Depressione e sclerosi multipla, studio pilota su protocollo Emdr DeprEND
Condotto dai ricercatori del Dipartimento di Psicologia dell'Università Cattolica di Milano
Depressione e sclerosi multipla: un nuovo studio ha esplorato per la prima volta la fattibilità e l'efficacia del protocollo internazionale Eye movement desensitization reprocessing (Emdr) per trattare i disturbi depressivi (DeprEND) nelle persone con Sm. Una recente pubblicazione a firma di Francesco Pagnini, professore ordinario di Psicologia, e Cesare Massimo Cavalera, del Dipartimento di Psicologia dell'Università Cattolica di Milano, ha evidenziato come un innovativo uso del protocollo Emdr DeprEND per il trattamento della depressione nei pazienti con Sm, malattia cronica e degenerativa, sia importante per lavorare sulla sintomatologia depressiva che spesso questi pazienti presentano. Il progetto è stato finanziato dall'associazione Emdr Europe ed è realizzato in collaborazione con Luca Ostacoli, professore ordinario del Dipartimento di Scienze cliniche e biologiche dell'Università degli Studi di Torino, e con l'équipe della Fondazione Don Gnocchi di Milano guidata dal neurologo Marco Giuseppe Rovaris.
Recenti studi - spiega una nota - hanno rilevato alti tassi di depressione tra le persone affette da sclerosi multipla, con importanti sintomi che compromettono significativamente il benessere generale. La letteratura esistente suggerisce una possibile interconnessione tra depressione e declino delle funzionalità fisiche in pazienti affetti da Sm.
Nello studio sono state coinvolte 13 persone con Sm e sintomi depressivi, sottoposte a valutazioni psicologiche e fisiche prima e dopo l'intervento e un successivo follow-up a 3 mesi. Il protocollo ha mostrato un alto livello di adesione ed efficacia, con una riduzione significativa dei sintomi depressivi post-intervento, che rimangono tali anche al follow-up dopo 3 mesi. I dati suggeriscono - spiegano i ricercatori - che il trattamento Emdr DeprEND non solo allevia i sintomi depressivi, ma è stato dimostrato che può anche indurre cambiamenti funzionali nel cervello che contribuiscono al miglioramento del benessere emotivo. L'analisi qualitativa dei diari compilati dai pazienti ha rivelato che gli aspetti più apprezzati dell'intervento erano un ritrovato senso di pace e libertà, oltre a un aumentato livello di 'agency'. Questi risultati suggeriscono che il protocollo Emdr DeprEND potrebbe essere un trattamento efficace ed economico per ridurre i sintomi depressivi nei pazienti affetti da Sm. Considerando la mancanza odierna di terapie standardizzate, l'integrazione di questo protocollo con la terapia farmacologica potrebbe migliorare il benessere mentale e psicofisico dei pazienti con Sm.
"I risultati di questo progetto pilota sono molto incoraggianti in termini di riduzione dei sintomi depressivi sia dopo il trattamento che al follow-up di 3 mesi - commenta Cavalera - Considerando questi esiti promettenti, diventa rilevante condurre una versione più estesa dello studio, per verificare se tali effetti rimangono consistenti anche in un randomized controlled trial. Se così fosse, si potrebbe ipotizzare l'adozione diffusa di questo trattamento per tutti i pazienti con sclerosi multipla e sintomi depressivi".
"La riduzione dei sintomi depressivi - rimarca lo specialista - potrebbe portare a una diminuzione della necessità di altri interventi più costosi, migliorando la qualità della vita dei pazienti senza gravare eccessivamente sul sistema sanitario".
Salute e Benessere
Obesità, parla l’esperta: “Farmaci sono svolta...
Bertoli (Auxologico): "L'arrivo del tirzepatide amplia il ventaglio delle terapie"
"Per chi si occupa di obesità, soprattutto di obesità grave", l'avvento dei nuovi farmaci per il trattamento di questa complessa patologia "è stato visto come la prima vera svolta degli ultimi 30 anni". A fare il punto all'Adnkronos Salute è Simona Bertoli, professore ordinario di nutrizione clinica e direttore della Scuola di specializzazione in Scienza dell'alimentazione all'università Statale di Milano. Nel quadro già caratterizzato dalla presenza di liraglutide e semaglutide, in Italia arriva una nuova molecola di questa classe terapeutica, tirzepatide, che agisce sia sui recettori Gip che Glp-1.
"La precedente svolta era stata la chirurgia bariatrica" nel suo sviluppo "meno invasivo. Poi c'era stato un ulteriore avanzamento, che era stato quello delle cosiddette Very low-calorie ketogenic diet (Vlckd), che per tanto tempo sono state molto poco attenzionate dal punto di vista scientifico e invece negli ultimi anni hanno avuto diversi studi a sostegno della loro efficacia anche nelle forme più gravi, e sono attualmente molto utilizzate". Ma "un approccio farmacologico non c'era. Ora, in mezzo tra la dieta e la chirurgia bariatrica, abbiamo tante opzioni. E sono previsti anche nuovi farmaci nei prossimi anni, che si stanno testando e sono in fase 1 o 2. Parliamo almeno di un'altra decina di terapie", dice.
Il tirzepatide "va ad ampliare l'armamentario farmacologico che in questo momento abbiamo a disposizione per l'obesità", evidenzia l'esperta che dirige i Centri obesità e il Laboratorio di ricerca sulla nutrizione e l'obesità all'Irccs Auxologico di Milano. "E' un tema molto caldo in questo momento il trattamento farmacologico, ed è stato incluso nelle linee guida già diversi anni fa. Poi ovviamente nei vari Paesi i farmaci sono arrivati in tempi diversi, l'Italia è stata fra gli ultimi. Ma ora il nostro approccio alla patologia sta cambiando in maniera migliorativa, perché a questo punto nei pazienti che non hanno risposto a quello che resta il primo livello di terapia, cioè l'intervento sullo stile di vita, abbiamo un secondo step. E nelle persone trattate effettivamente abbiamo avuto ottimi risultati dal punto di vista del calo di peso e anche della correzione di quelli che sono i fattori di rischio e le complicanze dell'obesità".
"Rimane in questo momento fortissimo il problema dei costi - spiega Bertoli - Perché i farmaci sono a prescrizione medica obbligatoria, ma completamente a carico del paziente, a meno a che non abbia anche il diabete" e allora vengono rimborsati. "Questo succede perché l'obesità è stata sì riconosciuta anche in Italia nel 2019 come patologia, ed è quindi entrata nell'elenco delle patologie croniche, tuttavia non sono stati definiti né i codici di esenzione specifici né i Lea. A questo si aggiunge il problema che la patologia colpisce in particolare nelle fasce sociali più basse. In questo momento siamo nell'ordine dei 350 euro al mese", per una terapia che è a lungo termine.
"All'inizio - analizza Bertoli - i pazienti vivevano l'idea di affidarsi al farmaco un po' come una sconfitta sulla terapia dietetica che non riuscivano a fare, e nutrivano una certa diffidenza perché si veniva da anni di farmaci mai specifici per l'obesità, prescritti spesso in maniera off label, che in alcuni casi avevano degli effetti collaterali importanti, e in parte anche per una questione di comunicazione, perché si diceva che la strada da seguire non era quella farmacologica ma imparare a mangiare, migliorare l'attività fisica, lo stile di vita. Ad oggi invece, alla luce di quanto si è sentito della sicurezza di questi farmaci e degli ultimi dati usciti sulla semaglutide che mostrano una riduzione della mortalità per malattia cardiovascolare, l'atteggiamento del paziente con obesità verso la terapia è significativamente migliorato".
Nella pratica, "il trattamento lo proponiamo a molti pazienti, ma - osserva l'esperta - il numero di quelli che accettano è più basso, essenzialmente per la questione dei costi. Nell'ambito dell'attività libero-professionale rilevo un dato più alto, nell'ambito del sistema sanitario nazionale i numeri si riducono. Abbiamo appena fatto uno studio in cui, appunto, abbiamo iniziato con la sola terapia dietetica e a chi non rispondeva veniva offerto il trattamento farmacologico e di questi solo il 27% ha accettato, nonostante il fallimento sulla dieta. Andando a indagare le cause, emergeva che la ragione principale in un 60% dei casi era di tipo economico".
Resta quindi questo freno. Anche perché la durata della terapia non è breve. "Gli studi che sono usciti fanno vedere che il trattamento seguito fino a 4 anni di distanza determina una prima perdita di peso importante e poi un mantenimento del peso perso. Però fanno vedere anche che chi lo sospende in questi studi randomizzati in placebo ha un rischio di recupero del peso. Si tratterà di vedere cosa succede nella vita reale. E' possibile che la perdita di peso porti le persone verso un diverso investimento su se stesse e a cambiare il livello di attività fisica e altri elementi che potrebbero anche far sì che non tutti recuperino il peso perduto. Però al momento questi dati non li abbiamo", ragiona Bertoli. Quanto alla new entry tirzepatide, "promette dei risultati ancora maggiori, perché la perdita di peso riesce ad essere nel 30% circa dei pazienti anche intorno ai 30 kg, che è qualcosa di simile a quello che si ottiene nella chirurgia bariatrica. E si può dire che praticamente il 98% dei pazienti perde almeno il 5% del peso, che è il primo obiettivo di un intervento dietetico".
Salute e Benessere
Bignami (Siaarti): “Da Ia a smart-watch, terapie...
Al 78esimo congresso della Società scientifica a Napoli, 'per un monitoraggio più stretto fondamentali anche telemedicina e dispositivi indossabili’
"Dall’Intelligenza artificiale all’utilizzo di smart-watch, dalla telemedicina ai dispositivi indossabili. Le nostre terapie intensive sono sempre più hi-tech. Le nuove tecnologie in anestesia, rianimazione, terapia intensiva, emergenza, urgenza, terapia del dolore e iperbarica ci aiutano in moltissimi modi. Sicuramente ci consentono un monitoraggio sempre più stretto dei pazienti e un migliore trattamento nel post ricovero ospedaliero". Lo afferma all’Adnkronos Salute Elena Bignami, professore ordinario di Anestesiologia e Terapia Intensiva e del Dolore presso il Dipartimento di Medicina e Chirurgia dell'Università di Parma e presidente eletto di Siaarti per il triennio 2025-2, in occasione del 78esimo congresso nazionale della Società italiana di anestesia, rianimazione, terapia intensiva e terapia del dolore, in corso a Napoli.
"Non solo l'intelligenza artificiale, ormai a noi nota già in Radiologia per la diagnostica per immagini – spiega Bignami – un grande aiuto arriva dagli smart-watch che possono essere un alert. Quotidianamente in anestesia, per esempio, le tecniche di intelligenza artificiale ci aiutano nella fase organizzativa della programmazione delle sale operatorie, evitando di avere problemi ad esempio rimandando gli interventi, o non essere adeguati nella tempistica. Inoltre, ci permettono di stratificare il rischio del nostro paziente, così come in terapia intensiva, e andare sempre di più verso la medicina personalizzata. Noi identifichiamo precocemente un paziente con una specifica diagnosi e riusciamo a proporre il trattamento giusto per quel paziente in quel momento".
"Un'altra cosa molto interessante nella fase perioperatoria", periodo che va dall'ingresso del paziente in sala operatoria fino al suo trasferimento in sala risveglio, "è la possibilità di unire l'intelligenza artificiale, per esempio, ai dispositivi indossabili che sono una nuova tecnologia. E quindi questo ci permette di scindere quel binomio difficile tra logistica e funzione. Non tutti i pazienti da terapia intensiva sono così gravi ma al tempo stesso non tutti i pazienti sono così tranquilli da non poter avere un monitoraggio. E quindi questi dispositivi indossabili, i cui i risultati vengono registrati con l'intelligenza artificiale, ci permettono uno stretto monitoraggio. Un'altra applicazione molto importante è la telemedicina che, insieme all'Ia, in terapia del dolore è fondamentale".
Salute e Benessere
G7 Salute, Ryan (Oms): “Antibiotici tra più grandi...
"Investire nell'agricoltura e negli allevamenti, questi farmaci non vanno usati per far crescere gli animali"
"L’antibiotico-resistenza sta diventando il più grande killer in tutto il mondo, anche per l'Occidente non è una sfida lontana. Io ho perso mio zio per l’antibiotico resistenza perché è stato infettato in ospedale. Gli antibiotici sono una delle più grandi invenzioni della storia umana e noi stiamo distruggendo questa grandissima invenzione usandola troppo sugli esseri umani. L’unico modo per combattere il problema sono le giuste politiche: tendiamo a colpevolizzare le persone e i medici, ma questo è un problema che riguarda le politiche, affinché gli antibiotici siano usati nel modo corretto sugli umani e sugli animali e non per fare crescere gli animali. Al momento ci sono delle politiche sbagliate e non dovremmo incolpare i singoli, anche se ciascuno ha la propria responsabilità. Ma troppe volte i governi spostano la responsabilità dalle politiche e dalle autorità di controllo alla comunità. Gi investimenti sono necessari ma non risolvono tutto, ci vuole consapevolezza, educazione e giuste politiche". Così Mike Ryan, direttore esecutivo del Programma Emergenze sanitarie dell'Organizzazione mondiale della sanità (Oms), ospite del G7 Salute ad Ancora in un punto stampa con i giornalisti.
"È necessario anche investire in agricoltura: l’obiettivo è non incentivare l’utilizzo di antibiotici come fattore di crescita per l’agricoltura e l’allevamento. Dobbiamo trovare dei modi per incentivare l’agricoltura ad abbandonare questo approccio - ha rimarcato - Non voglio spaventare le persone, lo stato a livello globale delle persone è sicuramente meglio oggi che in passato. Tuttavia l'Europa è stata sempre a rischio pandemie e l'Italia è particolarmente a rischio per la sua storia di viaggi e scambi commerciali, allo stesso tempo anche se siamo più forti non è detto non ci siamo più pericoli da un punto di vista sanitario".