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Buchmesse, Valensise: “Si rappresenta l’Italia e non governo in carica”

Il ministro commenta la lettera inviata a Jurgen Boos, direttore della Buchmesse, e a Innocenzo Cipoletta, presidente dell'Associazione italiana editori, da quaranta scrittori che manifestano la loro "preoccupazione" per la gestione messa in campo dal nostro Paese lamentando "l'ingerenza della politica"

Gennaro Sangiuliano

"Sono loro che discriminano, non noi". Lo ha detto il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, a margine della festa per i 50 anni del Giornale a Milano, a proposito della lettera inviata da quaranta scrittori al direttore della Frankfurter Buchmesse Jürgen Boos e al presidente dell'Aie Innocenzo Cipolletta.

"Se guardate all’elenco degli scrittori che sono stati invitati alla Buchmesse, poi si passa attraverso l’associazione degli editori, ci sono tantissimi scrittori che la pensano molto diversamente da me ed è bene che ci siano. Io sono felice che ci siano persone che la pensano diversamente da me ma che possono esprimere liberamente il loro pensiero", ha detto Sangiuliano. "Mi pare che il problema sia che abbiamo aggiunto qualcuno a questa lista. Quindi sono loro che discriminano, non noi", ha aggiunto il ministro, evidenziando che "lo stesso Saviano non era stato segnalato dal suo editore nonostante ciò Mauro Mazza lo ha invitato, ma più di questo che dobbiamo fare?".

Valensise non firma la lettera

Quando si partecipa ad una "manifestazione internazionale" non si rappresenta il governo in carica ma l'Italia. E' alla luce di questa motivazione che la giornalista e scrittrice Marina Valensise non ha firmato la lettera inviata a Jurgen Boos, direttore della Buchmesse, e a Innocenzo Cipoletta, presidente dell'Associazione italiana editori, da quaranta scrittori che manifestano la loro "preoccupazione" per la gestione messa in campo dal nostro Paese lamentando "l'ingerenza della politica".

"Anch'io - racconta all'AdnKronos la Valensise - ho ricevuto questa lettera e non l'ho sottoscritta. Penso che quando uno rappresenta l'Italia rappresenta il Paese e non il governo italiano. Andare quindi in una manifestazione internazionale con un animo ostile alle istituzioni non mi sembra che sia una scelta giusta", osserva la Valensise che riflette: "Noi non ci muoviamo in un ambito locale, territoriale o comunale dove possiamo far valere le fazioni degli uni sugli altri, ma ci muoviamo in un ambito internazionale. Non rappresentiamo il governo, siamo rappresentanti della cultura e della Nazione italiana".

"Insomma - dice la Valensise - l'idea di porsi in una situazione di antagonismo con le istituzioni non mi sembra buona. Io per questo non mi sono associata". Se uno scrittore è invitato "a partecipare a un evento internazionale rappresenta la cultura nazionale e non il governo. Deve pertanto rispettare il mandato che lo pone come una voce della letteratura o della cultura italiana. Penso anche - ma è un'ipotesi - che se Saviano fosse stato invitato avrebbe rifiutato l'invito. Quindi di fronte a un eventuale rifiuto, forse gli organizzatori hanno pensato bene di soprassedere. È un'ipotesi che faccio, non ho elementi per dirlo", precisa la Valensise.

Campi: "Ho ricevuto la lettera e non ho aderito"

"Ho ricevuto la lettera e non ho aderito". Lo dice all'AdnKronos lo storico Alessandro Campi che non ha firmato la missiva inviata a Boos e Cipolletta.

"Della lettera di Giordano - afferma Campi - non condivido l'obiettivo polemico nemmeno troppo implicito: accreditare l'idea che in Italia ci sia un clima di intolleranza e persecuzione nei confronti di scrittori e intellettuali. E che la colpa di questo clima sarebbe, va da sé, del governo di destra in carica. È surreale e persino un po' ridicolo l'allarmismo che si vuole diffondere. In Italia vige in realtà un regime di pieno pluralismo culturale che a certi ambienti della sinistra, autoreferenziale, poco interessata al confronto delle idee, non priva di venature intolleranti, abituata ad avere sotto il proprio controllo ogni spazio culturale, evidentemente non piace. Tra i cento autori chiamati a rappresentare l'Italia a Francoforte, basta leggerne i nomi, sono rappresentate le più diverse sensibilità ed esperienze. Perché non lo si vuole riconoscere solo per un banale e manifesto pregiudizio ideologico travestito da indignazione morale?", si chiede Campi.

La lettera firmata da 40 scrittori

Da Silvia Avallone a Nicola Lagioia, passando per autori come Dacia Maraini, Donatella Di Pietrantonio e Melania Mazzucco. Scrittori ai quali si uniscono tra gli altri Mario Desiati, Paolo Giordano, Maurizio de Giovanni, Chiara Valerio e Sandro Veronesi. Questi alcuni dei 40 scrittori che hanno preso carta e penna per scrivere al direttore della Frankfurter Buchmesse Jürgen Boos e al presidente dell'Aie Innocenzo Cipolletta nella quale manifestano "preoccupazione" sottolineando il fatto che "l'Italia sarà presente alla Buchmesse in modo insulare, tramite un programma di duetti fra autori italiani, un'anomalia che sappiamo avere pochi precedenti nella storia dei paesi ospiti e che denota una mancanza grave di strategia culturale ed editoriale da parte della commissione straordinaria incaricata in Italia".

I firmatari della lettera, tra cui anche Teresa Ciabatti, Mauro Covacich, Marco Missiroli ed Emanuele Trevi, tornano sull'esclusione di Roberto Saviano giudicandola "troppo vistosa per non essere un atto deliberato" e rimarcando che "non è un evento isolato in Italia. S'inscrive in una sequenza di prevaricazioni, di forme e gravità diverse, alle quali assistiamo negli ultimi due anni". Per queste ragioni chiedono "un momento di incontro pubblico con scrittori e scrittrici tedeschi", e più in generale internazionali, durante la Buchmesse 2024, nel quale discutere "proprio di questi argomenti, al di fuori degli spazi limitati che sono stati disegnati dalla commissione italiana per noi".

A completare la lista degli scrittori che hanno firmato la lettera ci sono: Viola Ardone; Andrea Bajani; Marco Balzano; Guido Barbujani; Franco Buffoni; Giulia Caminito; Olga Campofreda;Mauro Covacich; Antonio Franchini; Vins Gallico; Igort; Helena Janeczek; Vivian Lamarque; Ginevra Lamberti Vincenzo Latronico; Beatrice Masini; Francesca Melandri; Daniele Mencarelli; Valeria Parrella;Rosella Postorino; Paolo Rumiz; Roberto Saviano; Antonio Scurati; Gianluigi Simonetti; Fabio Stassi; Carlo Vecce; Alice Urciuolo.

"Ognuno di noi - sottolineano gli scrittori - avrebbe desiderato, durante la permanenza a Francoforte, di interagire con i protagonisti e le protagoniste dell'editoria tedesca e non solo, con i nostri colleghi europei e internazionali, in un momento storico in cui abbiamo più bisogno che mai di sentirci appartenenti a una cultura unica. Invece, l'Italia sarà presente alla Buchmesse in modo insulare, tramite un programma di duetti fra autori italiani, un'anomalia che sappiamo avere pochi precedenti nella storia dei paesi ospiti e che denota una mancanza grave di strategia culturale ed editoriale da parte della commissione straordinaria incaricata in Italia. Solo l'iniziativa dei singoli autori e dei loro editori tedeschi permetterà di ovviare almeno in parte a questa impostazione sconsiderata".

In merito al 'caso Saviano' gli autori affermano che "il commissario Mazza ha fornito una risposta che ha lasciato molti di noi indignati, tanto che alcuni invitati hanno deciso di non partecipare alla delegazione. Il tentativo maldestro di spiegare l'esclusione con motivazioni burocratiche non ha fatto che avvilirci ulteriormente. Sebbene la Buchmesse abbia reagito subito invitando Saviano, il vulnus è stato profondo per molti di noi, e rimane. Da quel momento abbiamo avviato un processo di discussione collettiva, a cui hanno partecipato molte e molti dei delegati italiani insieme ad altri colleghi, un processo inusuale per scrittori e scrittrici, l'esito del quale è anzitutto questa lettera che vi rivolgiamo. Ciò che vorremmo fosse manifesto è che 'l'incidente Saviano alla Buchmesse' non è un evento isolato in Italia. S'inscrive in una sequenza di prevaricazioni, di forme e gravità diverse, alle quali assistiamo negli ultimi due anni e delle quali spesso siamo l'oggetto, eventi singoli che mostrano una volontà esplicita di ingerenza sempre più soffocante della politica negli spazi della cultura. Tale ingerenza si esplica non solo nell'occupazione sistematica di ogni ruolo decisionale nella cultura secondo criteri di fedeltà politica, ma anche in forme più o meno esplicite di censura, in attacchi personali volti al discredito e in un uso spregiudicato delle querele ai danni di scrittori, giornalisti e intellettuali da parte di chi occupa posizioni di potere".

"Tutto questo, pensiamo, è inaccettabile all'interno dell'Europa in cui crediamo. Ed è inconciliabile con un'espressione sana della democrazia. L'esito delle ultime elezioni europee ha aggiunto a queste considerazioni sull'amara condizione della cultura italiana un senso di inquietudine per ciò che potrebbe accadere in futuro in altri paesi. E ci spinge a condividere con voi – e tramite voi con tutta la comunità di autori e lettori, con tutto il mondo editoriale – il nostro disagio", concludono gli scrittori nella loro lettera.

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Cultura

Ritanna Armeni racconta Via Rasella: “I valori della...

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Esce il nuovo libro della giornalista: "Descrivo quegli eventi colpita dal fatto che in quella strada non ci sia una lapide e nulla che ricordi quei giovani partigiani"

Ritanna Armeni racconta Via Rasella:

L'azione di v ia Rasella del 23 marzo del 1944 non è soltanto una pagina di storia imprescindibile nella lotta della Resistenza. I militanti che la misero a segno, ragazzi della classe intellettuale, hanno molto da insegnare ancora oggi. Non enunciarono semplicemente i valori di libertà in cui credevano ma li incarnarono mettendo a repentaglio la loro vita. La giornalista e scrittrice Ritanna Armeni ritorna su uno degli episodi più forti, significativi e tragici dell'occupazione dei tedeschi durante la Seconda guerra mondiale. Nel libro 'A Roma non ci sono le montagne', pubblicato da Ponte alle Grazie, ripercorre quelle ore descrivendole sotto forma di un romanzo da leggere tutto d'un fiato. Mette in luce le vicende personali, i sogni e le speranze dei protagonisti: piccoli tasselli che costituiscono un mosaico composito e variopinto.

Conversando con l'AdnKronos, Armeni sottolinea che il monito più prezioso che l'azione di via Rasella ci ha consegnato è che "i valori della libertà vanno praticati. Quei giovani - che provenivano da una classe sociale non bassa, dal momento che non erano operai ma studenti e professori universitari, avevano degli ideali che praticavano adeguandosi ai tempi che vivevano. Rischiavano la vita tutti i giorni. La loro testimonianza ha anche un grande significato morale per il presente. Noi spesso enunciamo i principi di libertà e di democrazia, ma poi in qualche modo ci adeguiamo alla realtà. A me quello che piace di questi ragazzi è il loro ardore giovanile, un ardore che non fa mai dimenticare che, accanto al principio, c'è l'azione". Certo, puntualizza Armeni, "non sto dicendo che oggi dobbiamo andare a mettere bombe, perché sono una pacifista. Però i valori vanno veramente praticati e ciascuno di noi sa come si può fare. Eravamo in una Roma occupata e sofferente e bisognava dare un messaggio in una situazione di guerra. Ora avremmo tanti modi per fare vivere i nostri messaggi".

Perché, però, concentrare l'attenzione su quei giovani, sulle loro vicende personali? Perché descrivere la grande Storia a partire dalle tante piccole storie che la compongono? "Racconto l'episodio di via Rasella - risponde l'autrice - perché sono rimasta colpita dal fatto che in quella strada non ci sia una lapide e nulla che ricordi il gruppo di partigiani che realizzò l'attacco. Persone eroiche, in qualche modo, perché rischiarono la vita per fare quell'azione contro i tedeschi". Motivo per cui, spiega la giornalista, "ho voluto restituire il loro valore, il loro impegno, la loro abnegazione, la loro passione per la libertà. E' di questo che, in fondo, si tratta. Ho quindi descritto nuovamente i fatti di via Rasella dal punto di vista delle persone che hanno compiuto questo atto".

Un taglio narrativo grazie al quale Armeni ha tratteggiato le esistenze di coloro che misero a segno l'impresa rappresentando "chi erano, quello che avevano fatto prima, i loro sentimenti, le loro letture, i loro amori". La narrazione si sviluppa nell'arco temporale di poche ore ed è scandita da un lento conto alla rovescia che scivola fino al momento fatale. Un espediente che aumenta, mano a mano, il pathos e che mette in luce tutte le fasi dell'evento in modo analitico e avvincente.

Il volume si intitola, non a caso, 'A Roma non ci sono le montagne'. Una scelta che ha una motivazione particolare: "Nelle montagne - argomenta Armeni - il nemico si avvistava prima, ci si poteva nascondere meglio e si creava maggiore solidarietà tra le persone. A Roma, invece, si era esposti in ogni momento al nemico, al massimo ci si rifugiava in un portone o in un convento. Occorreva quindi una capacità maggiore di nascondersi. Soprattutto era molto importante il fatto di non essere traditi. A Roma chiunque ti poteva denunciare, mentre in montagna si era in qualche modo più protetti". In ogni caso, proprio Roma fu teatro "della più importante azione partigiana dell'Europa occupata dal nazismo. In nessuna capitale europea c'è stata una mossa così grande, né a Parigi, né a Oslo, né a Bruxelles. Quello di Rasella rimane l'atto partigiano più importante dell'Europa occupata dalla Wehrmacht".

I fatti di via Rasella, inoltre, hanno fatto salire agli onori delle cronache ancor più rispetto al passato il ruolo delle donne. Le combattenti, segnala Armeni, furono in grado di "rompere un certo tipo di stereotipo, un certo modo di vedere la partigiana. Prima era una staffetta subalterna che, a costo della vita, trasportava le armi obbedendo alla logica della guerra gestita dagli uomini. Le donne di via Rasella, invece, fecero le cose per conto loro: Carla Capponi se decideva di far esplodere un camion di armi tedesche lo faceva. Idem Maria Teresa Regard che, con una bomba nella valigia, andò alla stazione Termini. La mise in un bar dove c'erano i tedeschi e la face esplodere. L'altra cosa che mi ha colpito molto è la provenienza sociale di quei ragazzi: Carlo Salinari, che nel racconto è Spartaco, il nome che assunse in clandestinità, era un grandissimo intellettuale. E' stato in seguito anche preside della facoltà di Lettere dell'Università di Roma; Mario Fiorentini è diventato uno dei più famosi matematici a livello mondiale. A Roma la Resistenza la fecero gli intellettuali anche perché non c'era la classe operaia", conclude Armeni. di Carlo Roma

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Cultura

Paolo Cognetti sul Tso: “Quello che mi hanno fatto in...

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La denuncia alle Iene dello scrittore de 'Le otto montagne'

Paolo Cognetti - Agenzia Fotogramma

A dicembre Paolo Cognetti aveva rivelato di aver essere stato sottoposto a un Tso (Trattamento Sanitario Obbligatorio), ora a 'Le Iene' spiega qualche dettaglio. "In ospedale - dice nel servizio di Gaston Zama andato in onda su Italia 1 - mi hanno legato a un letto con delle cinghie, mi hanno sparato un siringone nella coscia senza dirmi cosa fosse. Secondo me, quello che mi hanno fatto era illegale". E aggiunge: "Mi sono svegliato il giorno dopo a casa mia grazie a mia sorella perché mi aveva portato via".

Lo scrittore ha aperto le porte della sua baita, a Estoul in Valle d’Aosta, dove si rifugia per ritrovare se stesso, raccontando: "Ho subito un Tso per una grave depressione". Ripercorre quei momenti e descrive la diagnosi che ha cambiato il suo modo di vedere la vita: "Mi hanno diagnosticato un disturbo bipolare, che significa avere due fasi: una maniacale e una depressiva. Questa cosa l’ho sempre avuta, da quando ero ragazzo sicuramente". E ancora: "Il problema non è la fase maniacale. Il problema è quando arriva la fase depressiva. Stai a letto, pensi a come suicidarti e che tutta la tua vita è stata inutile. Io volevo attaccare una corda da alpinismo a quella trave e impiccarmi. Non mi hanno mai lasciato solo quest’estate, c’era sempre qualcuno con me. I pensieri suicidari sono molto comuni nella depressione". Nonostante tutto, guarda avanti: "Sto cercando di vivere senza farmaci. Non sono un no vax, ma vorrei vivere senza medicine". Cognetti non si limita a condividere solo momenti difficili: "Sto lavorando a qualcosa di nuovo. Credo che il ciclo della montagna, come lo chiamo io, sia per il momento esaurito. Ci sono tante altre cose nella vita".

Ripercorre anche la sua carriera e i suoi successi: "Con il Premio Strega ho capito che agli occhi del mondo ero uno scrittore. Questa unione è stata molto gratificante. Nel 2021 girano il film 'Le otto montagne' con protagonista Luca Marinelli. È stato qui con me due mesi, l’ho portato in montagna e allenato. La scena di cui vado più orgoglioso è quella in cui balla sulla pietraia, gliel’ho insegnata io". Tuttavia, ammette: "Il successo, la gente che ti riconosce… non è facile. Prima sei un tizio qua nella baita che si fa gli affari suoi e poi ti salutano tutti, ti fermano per strada, arrivano i soldi. Non è facile". Infine, parlando di ispirazioni, Cognetti rivela: "Mi piacerebbe parlare con Vasco Rossi. Trovo tanta verità nelle sue canzoni. La persona con cui vorrei parlare di più adesso è proprio lui".

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Cultura

Il fotografo Benedusi ricorda Toscani: “Perdo un...

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Amico e maestro, il fotografo scomparso a Cecina a 82 anni "era coraggioso e aperto alle novità - racconta -. E' come se la musica perdesse Bob Dylan"

Oliviero Toscani con Settimio Benedusi

Non solo un maestro. Per Settimio Benedusi, Oliviero Toscani era "un faro", un carissimo amico e una figura fondamentale nella sua carriera e vita privata. "Lo sto onorando nella maniera che a lui piacerebbe di più: lavorando" dice commosso Benedusi all'Adnkronos, ricordando il celebre fotografo scomparso a Cecina all'età di 82 anni. "Chi era Oliviero per me? Ci sono due metà della questione - spiega Benedusi - come fotografo, ovviamente un enorme maestro, colui il quale ha rivoluzionato il mondo e il linguaggio della fotografia. La sua è stata una rivoluzione totale e definitiva e tutto quello che ha fatto è nuovo e diverso rispetto a quello di altri".

A partire dalla fotografia di moda: "Prima di Oliviero - dice - erano solo belle modelle, dei manichini con vestiti addosso e basta. Lui ha usato la moda per raccontare un’etica, una morale, come faceva con la pubblicità. E' stato davvero rivoluzionario e incommensurabile quello che mi ha dato con il suo lavoro". Nella sua cameretta di adolescente, Benedusi aveva attaccato il poster di una campagna pubblicitaria Jesus Jeans, staccato da un muro della città. "Avevo 15 anni - ricorda - mentre gli altri avevano le immagini dei cantanti io avevo una delle sue prime campagne pubblicitarie, che mi aveva scioccato. Una fotografia semplice, efficace e potente che avevo staccato da una parete e attaccato nella stanza. Questo la dice lunga sul fatto che Oliviero fosse già il mio mito a 15 anni".

Mai avrebbe immaginato di diventare un giorno un suo carissimo amico. "Neanche nei miei sogni più rosei - ammette -. Poi nel tempo, al rispetto e alla conoscenza professionale si è unita quella amicale, anche più forte di quella professionale. Oliviero era una persona eccezione, il contrario di quello che pensa la gente: generoso, coraggioso, simpatico e divertente. Un uomo generoso e aperto alle novità. Se penso mi vengono in mente le infinite risate insieme". Durante il lockdown è stato Benedusi ad aprirgli le porte di Instagram: "Si poteva pensare che gli facesse schifo, perché Oliviero non amava i social - racconta - ma ci si è buttato come un adolescente. Facevamo infinite dirette. Aveva questa bramosia di novità, di essere al passo con i tempi".

Sin dal principio, Benedusi aveva coinvolto Toscani nel progetto 'Ricordi Stampati', ritratti fotografici d'autore per tutti a prezzi popolari. "Lui era nel futuro sempre - ricorda il fotografo - anche una settimana fa al telefono mi parlava di Ricordi Stampati e di come farlo al meglio. Fino a 10 giorni fa stava molto meglio. Era tornato pieno di energia. Io personalmente perdo un faro, un riferimento, una persona alla quale chiedere sempre consiglio. E anche se non lo avessi mai conosciuto direi la stessa cosa. Per chiunque fa il mio mestiere c’è un tempo prima e un tempo dopo Toscani. E' come se morisse Bob Dylan, un musicista che ha cambiato il linguaggio della musica e non a caso era il grande amore di Oliviero. Ecco, così come Bob Dylan ha usato la musica per parlare di politica, etica, e morale, in egual misura Toscani ha usato la fotografia per affrontare questi temi".

Tra i tanti scatti di Toscani ce ne è uno al quale Benedusi è particolarmente legato. "Oliviero parlava sempre del ritratto che fece a Carmelo Bene per Vogue - dice -. Era rivoluzionario rispetto a un'epoca in cui per la rivista si fotografavano modelli con la giacca precisa, perbene. Carmelo Bene arrivò negli studi di Vogue con la patta slacciata, tutto scombinato. Toscani sapeva, da un lato, che era sbagliato e non in linea con quello che si doveva fare ma dall’altro era tutto meravigliosamente perfetto, perché rivoluzionario". (di Federica Mochi)

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