I giovani si fidano più dell’Unione europea che dei partiti politici italiani
I giovani non si disinteressano alla politica così tanto come si potrebbe credere ed esiste una domanda di partecipazione, di ricerca continua di spazi e di nuove modalità di espressione. Questo è quanto è emerso dall’indagine condotta dall’Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo che ha analizzato la fiducia dei giovani verso le istituzioni e quanto si sentano coinvolti nei processi decisionali politici.
Solo il 31,6% ha fiducia nei partiti a oltre il 55% per il Presidente della Repubblica, ma per le istituzioni non politiche si arriva anche oltre il 60% come per la scuola, gli ospedali e il volontariato, fino al 74% per la ricerca scientifica. La fiducia nei confronti dell’Unione europea è al 54,5%, confermando in sostanza il livello pre-elezioni europee del 2019 (quando era al 54,2%). Vediamo nel dettaglio cos’è emerso.
La disillusione dei giovani
Il male maggiore è considerato il fatto che “ognuno pensa per sé e i cittadini non si occupano davvero del bene comune”. C’è anzi, secondo i giovani, una tendenza dell’attuale politica a polarizzare il dibattito pubblico, a tenere distanti le posizioni per logiche di parte anziché cercare punti di sintesi.
A far ben sperare sono quei quasi 3 giovani su 4 che, seppur considerato difficile, credono ancora che sia possibile impegnarsi in prima persona per far funzionare meglio il Paese. Ancor più elevata è la percentuale di coloro che affermano che, se la politica italiana offrisse vero spazio di partecipazione per i giovani questo migliorerebbe la loro visione della partecipazione democratica e li avvicinerebbe maggiormente all’impegno politico.
Più che disaffezione, in realtà, quello che è emerso è una disillusione ancora aperta alla possibilità di recuperare fiducia con un miglioramento della qualità dell’offerta politica e con evoluzione più inclusiva dei meccanismi che mettono in relazione domanda e offerta. Va considerato comunque con attenzione il fatto che oltre 1 giovane su 4 pensa che impegnarsi non serva ed è del tutto sfiduciato sul fatto che la politica possa essere utile per la sua vita e per quella del Paese.
Fiducia verso i partiti: una questione anche di cultura
A incidere sulla percezione e la fiducia che i giovani hanno nei partiti è il titolo di studio. La fiducia aumenta tra chi ha maggiori risorse socioculturali; mentre per i social network, ad esempio, la relazione risulta invertita con maggior fiducia per chi ha titolo di studio basso.
Ma ci può essere democrazia senza partiti? Il 6,3% risponde di non essere per niente d’accordo, mentre l’8,7% di essere pienamente d’accordo. I valori intermedi registrano le percentuali più alte. Potremmo essere tentati di interpretare questi dati come poco rilevanti dato che la parte più consistente degli intervistati è d’accordo o completamente d’accordo con l’importanza dei partiti, confermando, in tal senso, un trend tendenzialmente positivo che, come si è ricordato, vede la percentuale di fiducia nei loro confronti in aumento. Ma ciò che è importante sottolineare è il fatto che questo dato non si riferisce semplicemente alla fiducia nei partiti (che è del 31,6%), ma al loro ruolo per un (buon) funzionamento della democrazia: “Queste risposte indicano che una fetta non maggioritaria – spiega l’Istituto Toniolo -, ma non trascurabile degli intervistati pensa che i partiti non siano importanti per la democrazia, svilendo (più o meno consapevolmente) il loro ruolo come strumenti per “fare” le elezioni, oltre che come soggetti capaci di aggregare interessi, formulare le politiche pubbliche e reclutare la classe politica. Chi ha dato un voto inferiore a 5, esprimendo quindi una visione negativa abbastanza netta, è oltre 1 su 5 (si sale a quasi il 30% per chi ha titolo basso)”.
“Tutto questo interagisce anche con le attese delle nuove generazioni rispetto all’offerta politica. Nei focus group ricorre spesso l’espressione “votare il meno peggio” nelle parole dei giovani. Il loro “politico ideale” dovrebbe essere concreto, guardare oltre l’orticello del proprio mandato una volta eletto, credibile, coerente, onesto e convincente, innovativo e aperto mentalmente, credere veramente in quello che fa, spendersi per il bene del Paese: una persona che non fa il politico di professione ma mosso soprattutto da passione e vocazione sincera”, conclude l’Istituto.
La figura del leader politico
L’immagine dell’uomo forte e di potere si è diffusa nel nostro Paese a partire dagli anni Cinquanta e Sessanta, complice la televisione. Oggi, questa figura è stata sostituita da criteri di immediatezza e capacità attrattive e accattivanti di linguaggio imposte dai social media. Non stupisce, quindi, che dall’indagine sia emerso che il 72,5% degli intervistati è d’accordo con l’idea che l’Italia abbia bisogno di un leader politico con forte personalità.
Il tema cruciale è capire come risolvere la questione di fondo già accennata, ovvero far convivere le logiche della mediazione tipiche di una forma di governo parlamentare, con l’aspettativa di un leader in grado di agire immediatamente sul piano nazionale (e internazionale).
Esistono spazi di partecipazione?
Alla domanda se la politica italiana offra reale spazio di partecipazione, oltre il 60% dei giovani intervistati risponde che attualmente non ci sono opportunità per i più giovani di partecipare e agire in ambito politico. Solo il 32,5% dei rispondenti ritiene che alcuni partiti o movimenti offrano tali spazi e una esigua minoranza (pari al 5,2%) risponde in maniera affermativa. E se il 57,8% dei maschi risponde negativamente a questa domanda, tale percentuale sale di quasi 10 punti percentuali se consideriamo le risposte delle giovani intervistate (66,9%). La variabile “genere” pare quindi influire negativamente sulla possibilità di accedere a contesti nei quali agire e far sentire la propria voce.
Indagando ulteriormente questi dati, emergono informazioni interessanti andando ad analizzare le fasce d’età. All’aumentare dell’età cresce anche la percentuale di coloro che dichiarano che la politica non offra alcuno spazio di partecipazione: dal 15,5% nella fascia 18-22 anni al 27,6% tra i 32-34enni.
Forme e modi di partecipazione
Rimanendo in tema “giovani”, le nuove generazioni sono sempre più coinvolte in nuove forme di impegno politico nella sfera virtuale. Alla luce di tale cambiamento per comprendere le forme della partecipazione delle giovani generazioni è necessario andare oltre una concezione restrittiva di quest’ultima al fine di includere quelle attività che mirano ad affrontare problemi collettivi, che sono rivolte alla sfera pubblica e che sono messe in atto con espliciti obiettivi politici.
“La presente indagine ha rilevato informazioni non solo sulle forme di partecipazione politica “classiche” (manifestazioni, boicottaggio ecc.) ma anche su quelle più recenti, quali il mailbombing, l’uso delle foto profilo per veicolare un messaggio politico fino a seguire attivisti/influencer su questioni di interesse politico o pubblico”, spiegano i ricercatori. Ed è emerso che:
Per quanto riguarda le forme di engagement dei giovani, più di 4 su 5 dichiarano di aver discusso negli ultimi 12 mesi di problemi locali (relativi al proprio quartiere o comune) o di temi di attualità con la propria cerchia sociale (familiari, amici, colleghi ecc.). Particolarmente di rilievo è la percentuale di giovani ̶ ben il 63,6% ̶ che dichiarano di seguire influencer in relazione a questioni politiche o di interesse pubblico.
Per quanto riguarda le fonti di informazione, comprese quelle sulla politica, ma un ampliamento che aggiunge l’arena dei social a quanto veicolano i telegiornali, i dibattiti televisivi, i siti dei quotidiani, le discussioni in famiglia o con compagni di scuola e università. Il peso degli influencer, pur di rilievo, è tra quelli considerati meno rilevanti nella formazione di una propria opinione come documentato in precedenti indagini. Ad esempio, i dati riportati nel Rapporto Giovani 2024 sulla consapevolezza rispetto ai temi legati all’ambiente mostrano come il ruolo degli influencer risulti meno rilevante se confrontato a quello degli altri soggetti indicati (familiari, stampa, tv, insegnanti, coetanei).
Ma quali sono le forme di partecipazione politica? Le più comuni includono il boicottaggio di prodotti (69,0%) e la firma di petizioni (62,9%), entrambe strettamente legate all’essere informati su alcune questioni di interesse comune. Si boicottano prodotti per motivi etici e politici, mentre le petizioni vengono firmate su questioni verso le quali si è sensibilizzati. Inoltre, oltre il 50% del campione ha partecipato negli ultimi 12 mesi a iniziative riguardanti la propria comunità locale, come il quartiere o il comune, dimostrando che il contesto locale rappresenta un’importante arena per l’azione politica delle giovani generazioni.
Altre forme di partecipazione rilevanti si svolgono nel mondo digitale: più della metà degli intervistati (56,3%) ha preso parte attivamente a discussioni politiche online e il 46,5% ha utilizzato hashtag per diffondere idee o iniziative su questioni politiche o di interesse pubblico. Infine, un’altra modalità con la quale i giovani prendono posizione nel dibattito politico è cambiando la foto del profilo sui social media (41,0%). Il mondo digitale offre quindi spazi articolati di condivisione e azione centrali per i giovani. La percentuale di coloro che ha partecipato anche alle forme di partecipazione meno comuni tra i giovani, quali l’essere parte di movimenti politici, è comunque vicino alla soglia del 40%.
“In coerenza con questi dati – continuano i ricercatori -, ciò che sembra emergere dai focus group in modo più nitido è la visione alta che i giovani hanno della democrazia; una democrazia di fronte alla quale spesso sono le persone a non essere adeguate: dai politici “distanti” ai cittadini che non votano. Per i giovani, in buona sostanza, la democrazia è soprattutto cittadinanza, vita armoniosa e ordinata entro un contesto istituzionalmente regolato e protetto, in cui ognuno, a partire dai cittadini, deve fare la propria parte”.
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Divieto di elemosina, la Svezia vuole rendere illegale la...
Niente più accattoni per le strade della Svezia. La proposta viene dal governo di centro destra del Paese scandinavo, che ha formato una commissione che dovrà redigere entro il 26 giugno prossimo un rapporto su pro e contro e come introdurre il divieto nazionale di elemosina.
Attualmente i Comuni possono già vietare la pratica in alcuni luoghi specifici attraverso ordinanze locali e a determinate condizioni, ma nelle proposte della campagna elettorale portata avanti dal partito di estrema destra Democratici Svedesi (che non fa parte del governo ma lo sostiene in Parlamento) c’era per l’appunto quella di generalizzare la proibizione a tutto il territorio nazionale.
Perché, dicono, l’aumento del numero dei mendicanti ha portato all’aumento della criminalità. Una crescita dovuta anche al fatto che, afferma il governo istituendo la commissione, dall’inizio degli anni 10 del 2000, “i cittadini dell’Ue hanno cominciato a venire in Svezia in misura maggiore rispetto a prima, tra le altre cose, per chiedere l’elemosina”.
La commissione incaricata dal governo dovrà analizzare come funziona il sistema attuale e le normative locali, se sia possibile ampliare i limiti all’accattonaggio, nonché i vantaggi e gli svantaggi che presenta la normativa attuale rispetto ad un divieto nazionale. Infine, dovrà presentare proposte costituzionali che vietino l’accattonaggio a livello nazionale.
Governo non compatto, ma nemmeno l’opposizione
Alla novità sono seguite critiche da più parti, in primis all’interno della stessa coalizione di governo, formata da Moderati, Democratici Cristiani e Liberali: questi ultimi soprattutto avevano già detto che si sarebbero opposti all’introduzione del divieto di accattonaggio, e, se anche solo tre loro parlamentari votassero contro la proposta, la maggioranza andrebbe sotto, con i rischi del caso.
Ma anche l’opposizione non è compatta: i Verdi, il Partito di Centro e quello della Sinistra intendono opporsi alla misura, mentre i Socialdemocratici no, quindi il provvedimento, peraltro ancora da formulare, ha chances di passare.
Fanny Siltberg, portavoce dell’organizzazione cristiana Stockholms Stadsmission, ha definito il progetto “un inutile tentativo di spostare il problema rendendo illegale la povertà“. Mentre la liberale Anna Starbrink ha già detto che non voterà a favore, perché “non si può vietare alle persone di chiedere aiuto”.
La questione è complessa, perché oltre ad investire temi etici ed economici, si allarga anche al discorso della libertà di movimento: i Moderati hanno infatti già proposto di limitare la libera circolazione all’interno dell’Ue per coloro che viaggiano con lo scopo di mendicare.
In ogni caso, una normativa nazionale e generalizzata potrebbe rivelarsi incostituzionale, tanto che diverse associazioni hanno già fatto sapere che eventualmente presenteranno ricorso. Non solo: la Corte europea dei diritti dell’uomo ha già stabilito che le sanzioni contro le persone che fanno l’elemosina violano i diritti sanciti nella Convenzione europea (CEDU), che la Svezia ha ratificato.
Ma la Svezia è sola in questa ‘crociata’?
Paesi in cui fare l’elemosina è vietato
In Norvegia chiedere l’elemosina è vietato a livello nazionale dal 2015. Ma anche qui ci sono state molte proteste poiché la norma è stata vista come una misura troppo severa nei confronti dei senzatetto e delle persone in difficoltà. Il divieto è stato introdotto anche per contrastare le attività criminali legate al fenomeno, come le reti organizzate di sfruttamento dei mendicanti.
In Danimarca la pratica è illegale dal 2017. Il governo ha introdotto la legge per ridurre il problema delle persone che chiedono denaro nei luoghi pubblici, in particolare nelle città turistiche. La polizia può arrestare coloro che infrangono il divieto e, in alcuni casi, i trasgressori rischiano la detenzione.
Nel Regno Unito, l’accattonaggio era illegale in base a una legge del 1824, e nella pratica è raramente perseguito. Le autorità locali possono comunque emettere multe o imporre sanzioni amministrative alle persone che chiedono denaro in maniera insistente o aggressiva.
In molte città degli Stati Uniti mendicare è vietato o fortemente regolamentato. Città come New York, Los Angeles e Chicago hanno adottato leggi che limitano l’elemosina nelle aree pubbliche, vicino alle scuole o ai trasporti pubblici. Tuttavia, il divieto è spesso criticato per il suo impatto sui senzatetto.
Alcuni cantoni svizzeri, come Ginevra e Vaud, hanno introdotto divieti locali contro la mendicità per scoraggiare i questuanti, spesso collegati a reti di sfruttamento e tratta di persone.
La situazione in Italia
In Italia chiedere l’elemosina in modo semplice e non molesto non è un reato, ma l’articolo 669 del Codice Penale prevede sanzioni e arresto in caso di mendicità molesta, vessatoria, simulando deformità o malattie o sfruttando i minori per destare pietà nelle persone.
E sullo sfruttamento di minori, il Ddl sicurezza approvato due settimane fa introduce delle modifiche all’articolo 600-octies c.p., prevedendo che sia punito l’impiego nell’accattonaggio di minori fino ai sedici anni di età (non più fino ai quattordici anni) ed innalzando la pena da uno a cinque anni di reclusione, invece dei tre anni attualmente previsti. Introduce anche un inasprimento delle pene nel caso di induzione e sfruttamento dell’altrui accattonaggio “a fini di profitto”.
A livello locale, poi, alcuni Comuni hanno introdotto ordinanze che vietano l’elemosina in specifici luoghi pubblici, specialmente nei centri storici o nelle aree turistiche, ad esempio in città come Milano e Firenze.
Perché vietare l’elemosina
Molte volte il divieto di accattonaggio risponde a logiche populiste e di ‘sicurezza percepita’, com’è anche nel caso della Svezia dove il numero dei mendicanti in realtà risulta in diminuzione. Ma anche se a prima vista può sembrare un provvedimento punitivo che certamente non risolve il problema della povertà ma lo nasconde solo sotto al tappeto, in realtà ci sono dei buoni motivi per vietare l’elemosina:
lotta contro il crimine organizzato: in molte aree, l’elemosina è sfruttata da gruppi criminali che obbligano le persone, spesso migranti o minorenni, a mendicare per loro conto. Vietare l’elemosina potrebbe limitare questa forma di sfruttamento.
decoro urbano: vietare l’elemosina aiuta a mantenere il decoro delle città, specialmente nelle aree turistiche. La presenza di mendicanti in luoghi ad alto afflusso può essere percepita come un problema per il turismo e il commercio locale.
riduzione delle situazioni pericolose: in alcune aree, la mendicità può degenerare in episodi di aggressività, soprattutto quando viene praticata in modo insistente. Vietare l’elemosina potrebbe ridurre il rischio di conflitti tra mendicanti e cittadini.
Ovviamente sono molti i problemi collegati al divieto di accattonaggio, tralasciando questioni etiche come il fatto, per dirne uno, che l’aiuto alle persone bisognose è uno dei doveri del buon cristiano.
Gli svantaggi del vietare l’elemosina
Allo stesso tempo, vietare l’elemosina ha alcune conseguenze che dovrebbero essere tenute ben presenti:
• impatto sui più vulnerabili: la principale critica verso il divieto è che colpisce le persone più fragili, che spesso non hanno altre risorse, determinando una ancora maggiore emarginazione sociale e privando queste persone di una fonte di sussistenza seppur minima
• misura punitiva anziché assistenziale: invece di affrontare alla radice le cause della povertà e della marginalizzazione, il divieto punisce coloro che già vivono in condizioni di estrema difficoltà.
• rischio di invisibilizzazione del problema: vietare l’elemosina non risolve il problema ma rischia di renderlo meno visibile portando le autorità e la società civile a non impegnarsi adeguatamente nell’affrontarlo.
Insomma, la commissione messa in piedi dal governo svedese ha parecchi aspetti di cui tener conto.
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Mangiare pesce in gravidanza può ridurre il rischio di...
Mangiare pesce durante la gravidanza potrebbe abbassare significativamente il rischio di autismo per il nascituro, riducendolo fino al 20%. Questa è la conclusione di un recente studio finanziato dal programma ECHO dei National Institutes of Health e pubblicato sull’American Journal of Clinical Nutrition. Lo studio suggerisce che il pesce, già noto per i suoi benefici sulla salute grazie agli acidi grassi omega-3, giochi un ruolo fondamentale anche nello sviluppo neurocognitivo del feto, riducendo i rischi di disturbi dello spettro autistico.
I dettagli della ricerca
Lo studio ha coinvolto circa 4.000 donne in gravidanza e ha analizzato il consumo di pesce e l’uso di integratori di omega-3. Il campione è stato suddiviso in quattro gruppi a seconda della frequenza di consumo di pesce: meno di una volta al mese, più di una volta al mese ma meno di una volta a settimana, una volta a settimana, e due o più volte a settimana. Circa il 20% delle partecipanti ha dichiarato di non consumare pesce durante la gravidanza e una percentuale tra il 65% e l’85% non faceva uso di integratori di omega-3 o olio di pesce.
I ricercatori hanno quindi analizzato i risultati sulla salute dei bambini, misurando i tratti comportamentali legati all’autismo attraverso la Social Responsiveness Scale (SRS), un questionario compilato dai genitori che valuta i comportamenti associati all’autismo. I punteggi più alti nella scala SRS indicano una maggiore presenza di comportamenti correlati all’autismo.
I risultati
Dai risultati è emerso che mangiare pesce durante la gravidanza era effettivamente associato a una riduzione delle probabilità di ricevere una diagnosi di autismo nei bambini. Inoltre, vi era una lieve diminuzione dei punteggi SRS nei figli di coloro che consumavano pesce rispetto a chi non lo faceva. Il dato interessante è che questo effetto benefico si osservava indipendentemente dalla quantità di pesce consumata: sia che fosse una porzione a settimana, sia che fossero due o più porzioni, il rischio di autismo risultava comunque inferiore rispetto a chi non ne consumava affatto.
Al contrario, l’assunzione di integratori di omega-3 non ha mostrato una correlazione significativa con la riduzione del rischio di autismo. I ricercatori hanno dunque concluso che solo il pesce nella sua forma naturale sembra portare benefici diretti, piuttosto che i supplementi.
Benefici aggiuntivi e considerazioni
Emily Oken, coautrice dello studio e docente alla Harvard Medical School, ha sottolineato come il pesce non solo riduca i rischi legati all’autismo, ma sia anche associato a una serie di benefici ben documentati per la salute materna e fetale. “Altri vantaggi includono un minor rischio di parto pretermine e un migliore sviluppo cognitivo per il feto”, ha affermato Oken, aggiungendo che è fondamentale migliorare la comunicazione sulle linee guida riguardanti il consumo di pesce in gravidanza.
Per anni, infatti, molte donne sono state erroneamente dissuase dal mangiare pesce durante la gravidanza, a causa del timore di contaminazione da mercurio e di un presunto rischio di autismo, un’idea che è stata più volte smentita dalla scienza. La dottoressa Oken ha quindi ribadito l’importanza di superare queste false credenze e promuovere una corretta informazione su cosa fare durante la gravidanza.
Mangiare pesce in gravidanza è sicuro?
Nonostante i numerosi benefici, è comunque essenziale che le future mamme scelgano con attenzione il tipo di pesce da consumare. Alcuni pesci possono contenere elevate quantità di mercurio, una sostanza che può essere dannosa per il feto. Tra le specie consigliate vi sono salmone, sardine, sgombro e trota, mentre è meglio evitare pesci predatori di grandi dimensioni come squalo e pesce spada. La cottura del pesce è un altro fattore fondamentale: il pesce crudo o poco cotto può comportare rischi per la salute, come infezioni batteriche o parassitarie.
L’importanza dell’alimentazione in gravidanza
Lo studio pubblicato sull’American Journal of Clinical Nutrition sottolinea ancora una volta quanto sia importante seguire una dieta equilibrata e ricca di nutrienti durante la gravidanza, non solo per il benessere della madre, ma anche per garantire un corretto sviluppo del feto. Il pesce si conferma dunque un alimento chiave in questo contesto, grazie al suo apporto di acidi grassi omega-3 e altri nutrienti essenziali.
Le future mamme possono quindi trarre benefici significativi dal consumo regolare di pesce, non solo per ridurre il rischio di autismo, ma anche per migliorare complessivamente la salute e lo sviluppo del bambino.
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Un papà ha dipinto la casa di azzurro per la nascita del...
Dipingereste mai la vostra casa di azzurro per la nascita di vostro figlio? Se la risposta è sì, sappiate che non sarete i primi. Ci ha già pensato Federico Lucchetta, artista 39enne di Farra di Soligo (Treviso), mentre sua moglie era in ospedale per dare alla luce il secondo genito, martedì 1° ottobre.
Con l’aiuto di suo suocero e di alcuni amici, Federico è andato anche oltre: sul nuovo sfondo azzurro della villetta ha ‘scritto’ a caratteri cubitali bianchi il nome di suo figlio, Ettore. Nel giardino antistante, l’affiatato gruppo di lavoro ha anche installato dei palloncini finti dello stesso azzurro con cui hanno ridipinto la villa. Altro che fiocco blu dietro la porta, l’annuncio non è passato inosservato ai vicini di Via Belvedere e al web.
Guai però a pensare a quelle scene cringe con i papà che distruggono ogni cosa come incontrovertibile prova del loro entusiasmo per la nascita del maschietto.
La casa azzurra dipinta per la nascita figlio Ettore_screen video
Papà dipinge la casa di azzurro per la nascita del figlio: il precedente
Già nel 2020, in occasione della nascita della primogenita Vittoria, papà Lucchetta aveva posizionato in giardino una cicogna in cartapesta alta sette metri. Ci lanceremmo nell’ipotesi che anche questa non fosse passata inosservata.
Per il secondo genito non poteva esimersi, né replicare la trovata di quattro anni fa.
Dalla primavera ad ora ha avuto qualche mese per mettere a punto una nuova idea, senz’altro di grande impatto visivo e armoniosa nella scelta dello stile anche se, ammette l’artista, “Onestamente non è nemmeno un colore che mi piaccia molto ma richiama immediatamente le convenzioni sociali più comuni dedicate alla nascita di un bambino. E poi c’è la casa, che vuol dire famiglia”. La scelta vuole essere anche un messaggio di speranza che va oltre la nascita del figlio: “Tra tutte le sollecitazioni cupe che ci arrivano ogni giorno attraverso le notizie dal mondo, un tratto di ottimismo e di colore acceso ci stava”, ha spiegato. Impossibile dargli torto.
Più di un semplice annuncio
L’opera di Lucchetta e dei suoi ‘soci’ ricorda cosa possa rappresentare la nascita di un figlio (o di una figlia) solo per la famiglia e per la comunità. Anche il sindaco di Farra di Soligo non ha avuto nulla da ridire sulla scelta di dipingere di azzurro la villa di via Belvedere. Almeno chi non abita in condominio può scegliere più o meno liberamente la facciata della propria casa. Figuriamoci se si tratta di una modifica vistosa ma temporanea: “Non resterà di questa tinta molto a lungo, appena qualche settimana. Sempre di tasca mia, riporterò la casa alle tinte pastello di prima”, assicura Lucchetta senior.
Qualcuno lo ha anche accusato di esibizionismo, ma a lui non interessa; fa parte del gioco. Piuttosto, la sua scelta di dipingere la casa di azzurro per la nascita di Ettore è stata anche una mossa di marketing: “ormai gli influencer più o meno di passaggio il loro bravo lavoro sui social lo hanno fatto”, commenta al Corriere del Veneto.
Esperto di installazioni e di rappresentazioni pittoriche, Federico Lucchetta ha anche realizzato un dipinto di 40 metri quadrati nella sala consiliare di Pieve di Soligo in cui sono raffigurati alcuni dei cittadini più celebri della zona. Ma siccome l’arte non sempre paga, papà Lucchetta lavora anche nel settore della ristorazione (cosa bisogna fare per mantenere una famiglia in Italia!).
Dopo la cicogna alta sette metri per Vittoria e la casa dipinta di azzurro per Ettore, ci si chiede se Federico abbia già in mente qualcosa per il prossimo eventuale figlio, ma lui smorza l’entusiasmo: “No, penso proprio che ci fermeremo qui”. Magari qualcuno ci spera facendo leva sul detto ‘Non c’è due senza tre’, che proietterebbe Federico e co. nel novero delle famiglie numerose. Questo proverbio, però, non attecchisce sulla demografia italiana dove il tasso di fecondità è sceso a 1,2 figli per donna.
Ettore è già oltre la media.