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Le crescenti sfide demografiche dell’Italia viste...

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Le crescenti sfide demografiche dell’Italia viste dall’Unione europea

Cause e conseguenze del calo demografico italiano? Ci pensa la Commissione europea a dipingere il quadro della situazione nell’ultimo Country report 2024 dedicato al Belpaese. Dai tassi di natalità ai minimi storici, passando per una popolazione sempre più anziana, fino alla spesa per le pensioni in aumento e le conseguenze che avrà l’assenza di un ricambio generazionale nel sistema-lavoro, per la Commissione la situazione è chiara: è necessario intervenire. Come? Investendo nel futuro di donne e giovani e puntano al Mezzogiorno come hub per l’energia. Scopriamo nel dettaglio perché.

Tasso di natalità

Ormai è noto che nel 2022 il tasso di natalità ha registrato un picco storico che è andato peggiorando nel 2023. L’età media delle donne alla nascita del primo figlio è 31.7, contro una media dell’Ue di 29.4. Il saldo migratorio rimane positivo ma non compensa più il basso tasso di natalità. Nel 2022, oltre 410.000 persone sono emigrate in Italia, mentre circa 150.200 hanno lasciato il Paese. “Poiché gli emigranti hanno un livello medio di competenze superiore a quello degli immigrati, la fuga di cervelli rimane una sfida”, si legge nel report.

Come se non bastasse, l’aumento dell’età media del nostro Paese ha fatto sì che una popolazione sempre più anziana non trovasse un numero congruo di giovani nella forza lavoro. L’Italia, con la sua media di 48.4 anni nel 2023, prevede una diminuzione della popolazione in età lavorativa dello 0,7% entro il 2030. Fino al 2050, questo calo sarà pari al 14,1% e la sostenibilità delle finanze pubbliche inizia a vacillare. Su questo tema sono stati chiari anche gli attuali ministri del governo Meloni che, in un evento dedicato alla denatalità, hanno spiegato le l’Italia è già in ritardo sulle politiche lavorative e che donne e giovani restano la sfida maggiore. Dall’occupazione di questi due grandi gruppi può dipendere concretamente il futuro produttivo del Paese.

Spesa per le pensioni

Come spiega la Commissione nel Country Report, gli sviluppi demografici sfavorevoli “prevedono di aumentare la spesa per le pensioni prima che inizi a diminuire nel lungo termine grazie alla riforma delle pensioni del 2011. La spesa pensionistica dell’Italia come quota del Pil è tra le più alte dell’Ue (nel 2022, 15.6% del Pil contro l’11.4% nell’Ue), il che limita le risorse disponibili per la spesa a favore della crescita, soprattutto considerando l’alto livello del debito pubblico. Sebbene la riforma delle pensioni del 2011 aiuterà a ridurre la spesa per le pensioni nel lungo termine, si prevede che questa aumenterà sostanzialmente nel medio termine a causa degli sviluppi demografici”.

Ma ancora più critica è la visione sulle misure politiche adottate negli ultimi anni. Secondo la Commissione, infatti, queste hanno ulteriormente aumentato la spesa delle pensioni. Dal regime pensionistico anticipato, meglio noto come Quota 100 e introdotto nel 2019, fino alla recente decisione di estenderlo con criteri di accesso più rigorosi (Quota 102 e Quota 103) e altri regimi temporanei di pensionamento anticipato per le donne e i lavoratori vulnerabili, potrebbero anche peggiorare la situazione.

Sostenibilità fiscale a rischio

Insieme a bassi tassi di partecipazione e crescita della produttività, ciò contribuisce ai rischi stimati di sostenibilità fiscale dell’Italia nel medio termine e ai rischi medi nel lungo termine. “L’assegno universale per i figli aiuterà a combattere la povertà infantile e potenzialmente il basso tasso di natalità, se integrato con investimenti nei servizi di assistenza e un migliore accesso al mercato del lavoro”, specifica la Commissione.

Ciò che aumenta i rischi di povertà è:

La mancanza di accesso a servizi di assistenza di qualità e a prezzi accessibili.
L’ingresso tardivo nel mercato del lavoro.
I lavori a bassa qualità e la stagnazione salariare a lungo termine.

Tuttavia, l’impatto positivo delle politiche familiari è minore quando ci sono maggiori incertezze economiche.

La soluzione? “Un modo per mitigare questo è rafforzare le politiche di equilibrio tra lavoro e vita privata e fornire assistenza all’infanzia accessibile e di alta qualità – ha suggerito la Commissione -. L’assegno universale per i figli, così come le misure incluse nella legge di bilancio 2024, potrebbero aiutare ad aumentare il tasso di natalità nel lungo termine; oltre all’investimento del Prr, ulteriori misure nei servizi di assistenza potrebbero anche stimolare i tassi di natalità permettendo alle donne di lavorare. Allo stesso modo, misure per promuovere pari opportunità e equilibrio tra lavoro e vita privata, tra cui congedi parentali più generosi per i padri, aumentando la quota di adulti che partecipano alla formazione e sostenendo la partecipazione delle donne e dei giovani sarebbero benefici”.

Le politiche migratorie

Uno dei temi che maggiormente influenzano le politiche demografiche e familiari è quello dell’immigrazione. Le politiche migratorie, infatti, secondo la Commissione, “potrebbero essere rafforzate per mitigare le dinamiche demografiche sfavorevoli nel breve e medio termine. Il nuovo decreto del 2024 sui flussi migratori raddoppia quasi il numero di cittadini stranieri provenienti da paesi non Ue ammessi ogni anno in Italia rispetto al precedente decreto sui flussi migratori del 2020 (+99.5%). Estende la durata del permesso di lavoro a tre anni e aggiunge nuovi settori di lavoro. Semplifica anche il processo di conversione dei permessi di studio in visti di lavoro e attiva la collaborazione con le giurisdizioni straniere per facilitare il riconoscimento delle competenze per i cittadini non Ue”.

Ma non basta. Perché per affrontare la fuga di cervelli nel breve termine servirà una strategia che possa attrarre e trattenere lavoratori e studenti altamente qualificati e allinearla “con le esigenze industriali e di sviluppo del Paese”.

“Sbloccare il potenziale del Mezzogiorno”

La Commissione, nell’analizzare la condizione demografica italiana, ha dedicato una sezione del Country Report al Mezzogiorno. Riconoscendone l’importanza, nel report si legge che “il sud ha un grande potenziale come hub logistico nel Mediterraneo. Nel 2022, il trasporto marittimo ha trasportato il 74% delle merci scambiate tra l’Ue e il resto del mondo (Eurostat). Il Mar Mediterraneo copre l’1% della superficie marina globale ma trasporta il 20% del trasporto marittimo. I porti del sud Italia stanno guadagnando competitività: Gioia Tauro si è classificata nono nell’Ue per il traffico di container, Augusta si è classificata settima per il commercio marittimo di massa liquida e Napoli, Palermo e Messina sono tra i primi 20 porti del Mediterraneo per passeggeri da crociera”.

Nel 2021, l’Italia è stata il primo paese dell’Ue per il trasporto marittimo a corto raggio, fornendo il 17,6% di tutto il traffico dell’Ue. Data la sua posizione centrale nel Mediterraneo, l’Italia potrebbe avere un ruolo maggiore nel fornire collegamenti (e commercio) nella regione. Ma non c’è una strategia univoca a supporto.

Le energie rinnovabili

Inoltre, c’è il grande tema dell’energia rinnovabile. Il 96,3% dell’eolica italiana e il 40,2% della fotovoltaica sono prodotte al Sud. “Data la sua elevata potenzialità di energia rinnovabile, il sud ha rappresentato anche l’80,7% delle richieste di connessione alla rete elettrica nazionale per l’energia solare e l’88,0% per l’energia eolica nel 2022 – spiega la Commissione -. Diverse misure politiche, in particolare gli incentivi fiscali, sostengono le attività economiche nel sud, ma mancano di un focus chiaro. Il principale strumento utilizzato è il credito d’imposta per il sud. Nel 2020, questa misura ha beneficiato soprattutto la manifattura (35,1%), il commercio (16,8%) e l’edilizia (14,8%). I principali beneficiari sono le micro o piccole imprese, che assorbono il 64% di tutte le risorse”.

I sussidi al Mezzogiorno e i rischi dell’autonomia differenziata

Resto al Sud” è il primo incentivo di cui, circa il 50%, è destinato al turismo, il 22% alla manifattura, il 20% ai servizi personali e meno del 3% all’Ict. I vantaggi concessi alle imprese che operano nelle otto zone economiche speciali, tra le quali l’avere procedure semplificate, hanno attirato investimenti nella transizione energetica, nella logistica, nell’agroalimentare, nel commercio al dettaglio, nella riparazione di veicoli e nel settore della metallurgia (tra gli altri).

Inoltre, le imprese che operano nel sud hanno anche diritto a contributi sociali ridotti per i dipendenti (escludendo settori come l’agricoltura, il lavoro domestico e le entità pubbliche): “Le simulazioni effettuate dal Centro comune di ricerca della Commissione mostrano che un aumento dei salari nella parte bassa della distribuzione dei salari sarebbe particolarmente vantaggioso per i dipendenti nel sud”, ha suggerito la Commissione. Nel 2022, inoltre, è stato creato un nuovo ministero che combina gli affari dell’Ue con la coesione territoriale. Nel 2023, il “decreto Mezzogiorno” ha trasferito la responsabilità dai commissari straordinari a un unico organismo dedicato e sotto la responsabilità dello stesso ministero.

Un approccio ecosistemico potrebbe integrare la definizione della strategia industriale per il sud, basandosi sulle specializzazioni industriali esistenti e sulle catene di valore strategiche. La Commissione riporta a questo punto l’esempio della Sicilia che sta beneficiando di investimenti specifici su microelettronica e energia rinnovabile, con la costruzione della prima linea di produzione di barre di carburo di silicio in Europa: “La gigafactory 3Sun di Catania sta diventando anche un attore chiave nella produzione di pannelli solari in Europa, e ci sono investimenti importanti supportati dalla politica di coesione. Tuttavia, c’è margine per sviluppare ulteriormente gli ecosistemi industriali attorno a questi investimenti strategici. Basandosi sugli investimenti mirati nel piano di ripresa e resilienza, l’Italia potrebbe incoraggiare la consolidazione tra i principali attori e le nuove imprese lungo le catene di valore strategiche, rafforzare le partnership con il mondo accademico e il trasferimento di tecnologia, e migliorare l’offerta di competenze fornendo formazione professionale mirata”.

E, infine, un ultimo capitolo è stato dedicato all’autonomia differenziata. Il Senato ha approvato la legge quadro per l’attuazione di livelli differenziati di autonomia delle regioni con statuto ordinario all’inizio di quest’anno.

Il disegno di legge, adesso, è nelle mani della presidenza della Repubblica, e “comprende alcune garanzie per le finanze pubbliche, come ad esempio le valutazioni periodiche della fiscalità regionale e dei requisiti regionali relativi ai contributi per raggiungere gli obiettivi del bilancio nazionale. Tuttavia – chiarisce la Commissione -, mentre il disegno di legge attribuisce specifiche prerogative al governo nel processo di negoziazione, esso non fornisce alcun quadro comune per valutare le richieste regionali. Inoltre, permangono rischi di aumento delle diseguaglianze”. Questa legge, in sintesi: “Aumenterà la complessità istituzionale, portando il rischio di maggiori costi sia per il pubblico che per i cittadini e il settore privato”.

Un team di giornalisti altamente specializzati che eleva il nostro quotidiano a nuovi livelli di eccellenza, fornendo analisi penetranti e notizie d’urgenza da ogni angolo del globo. Con una vasta gamma di competenze che spaziano dalla politica internazionale all’innovazione tecnologica, il loro contributo è fondamentale per mantenere i nostri lettori informati, impegnati e sempre un passo avanti.

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Maternità surrogata, ok della Commissione Giustizia del...

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La Commissione Giustizia del Senato ha approvato il disegno di legge promosso da Fratelli d’Italia che introduce il reato universale di maternità surrogata, segnando un importante passo avanti nella legislazione italiana su questo delicato tema. Il provvedimento, già approvato dalla Camera il 26 luglio 2023, è pronto per l’esame definitivo in Aula. La relatrice di FdI, Susanna Campione, è stata incaricata di presentare il ddl in Senato.

Contenuto e reazioni al ddl

Il disegno di legge propone la criminalizzazione universale della maternità surrogata, rendendo perseguibile chiunque, ovunque nel mondo, pratichi o utilizzi questa tecnica per ottenere un bambino. Il ddl è stato approvato senza modifiche nonostante il tentativo della Lega di inasprire ulteriormente le pene previste. L’emendamento del Carroccio, che mirava a introdurre pene fino a 10 anni di reclusione e multe fino a 2 milioni di euro, è stato bocciato con il voto contrario di Fratelli d’Italia, Forza Italia e delle opposizioni.

Il provvedimento è stato fortemente sostenuto da Giorgia Meloni e rappresenta una delle bandiere politiche di Fratelli d’Italia. Il capogruppo di FdI alla Camera, Tommaso Foti, ha dichiarato: “Con questo provvedimento diciamo basta al business esecrabile di commercializzazione del corpo femminile e di bambini. È una battaglia di civiltà e libertà.”

Opposizioni e critiche

Le opposizioni hanno espresso forti critiche verso il ddl, sottolineando l’inaccettabile rapidità con cui è stato portato avanti e denunciando l’assenza di una calendarizzazione del dibattito sul fine vita. Ilaria Cucchi, senatrice dell’Alleanza Verdi e Sinistra (Avs), ha dichiarato: “La maggioranza ha voluto approvare a tutti i costi il reato universale di maternità surrogata, una proposta di legge irragionevole, a rischio di incostituzionalità e inapplicabile.”

Secondo Cucchi, il provvedimento non solo ignora i diritti dei bambini nati da maternità surrogata ma evita anche un dibattito più ampio sui diritti delle coppie omogenitoriali e sulle adozioni per single e coppie omosessuali.

Maternità surrogata: una panoramica

La maternità surrogata è una tecnica di procreazione assistita in cui una donna porta avanti una gravidanza per conto di altre persone o coppie, chiamate genitori intenzionali. Esistono due principali tipi di maternità surrogata:

surrogazione tradizionale: la madre surrogata è fecondata con lo sperma del padre intenzionale e ha un legame genetico con il bambino.
surrogazione gestazionale: l’embrione, creato tramite fecondazione in vitro con gameti dei genitori intenzionali o di donatori, è impiantato nell’utero della surrogata, che non ha legami genetici con il bambino.

In Italia, la maternità surrogata è vietata dalla legge n. 40 del 19 febbraio 2004, che prevede pene fino a due anni di reclusione e multe fino a un milione di euro per chi pratica o utilizza la surrogazione. Nonostante il divieto, alcune coppie italiane ricorrono a questa tecnica all’estero, affrontando poi complesse questioni legali al momento del ritorno in patria.

Opinione pubblica e prospettive future

L’opinione pubblica italiana è divisa sulla questione. Secondo un’indagine dell’Eurispes, il 39,5% degli italiani è favorevole alla maternità surrogata, con un maggiore sostegno tra i giovani. Questo indica che il dibattito sulla surrogazione potrebbe evolvere ulteriormente in futuro, portando forse a una revisione delle leggi attuali.

Il disegno di legge sull’universalizzazione del reato di maternità surrogata rappresenta una significativa stretta normativa in un contesto già fortemente regolato. Il suo futuro ora dipende dall’esame e dall’approvazione del Senato, dove continueranno a confrontarsi visioni etiche, giuridiche e sociali profondamente diverse su questo complesso tema.

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Perché il bonus mamme non decolla?

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Immaginate di poter ricevere un bonus di tremila euro all’anno solo per essere madri lavoratrici. Sembra una manna dal cielo, vero? Si tratta del bonus mamme introdotto dal governo Meloni, non richiesto, però, dal 40% delle lavoratrici con due o tre figli. Un’opportunità sfuggita di mano o una misura mal comunicata? I dati dell’Inps relativi ai primi cinque mesi del 2024 offrono uno sguardo su questa vicenda, rivelando le ragioni dietro la mancata adesione di molte donne.

Un’opportunità non colta da molte

A fine maggio 2024, solo 484.730 lavoratrici avevano richiesto il bonus mamme, nonostante la platea delle aventi diritto fosse significativamente più ampia, contando 793 mila potenziali beneficiarie tra dipendenti pubbliche, private e lavoratrici agricole a tempo indeterminato. Le lavoratrici precarie, autonome e domestiche, tuttavia, sono escluse da questa misura, il che riduce ulteriormente la possibilità di raggiungere una parte consistente della forza lavoro femminile.

Una delle ragioni dietro il basso tasso di adesione potrebbe essere la confusione generata dalla gestione di due differenti bonus mamme. Il primo, destinato alle madri con tre o più figli, è valido fino al 2026, mentre il secondo, riservato a quelle con due figli, uno dei quali sotto i dieci anni, scade a fine 2024. Questa distinzione ha creato incertezza tra le lavoratrici, amplificata dall’obbligo di presentare una domanda formale al datore di lavoro, un passaggio che molte non avevano previsto.

Solo 142 euro al mese nelle tasche delle mamme

La scoperta che il bonus di tremila euro è lordo e corrisponde solo a circa 1.700 euro netti ha deluso molte lavoratrici. Questo importo, distribuito mensilmente, si traduce in un aumento di circa 142 euro al mese, un contributo significativo ma non rivoluzionario. Inoltre, per ottenere il massimo beneficio, è necessario avere una retribuzione annua lorda superiore a 27.500 euro; chi guadagna meno riceve proporzionalmente di meno. L’aumento effettivo della busta paga è ulteriormente influenzato dalla decontribuzione generale del 6-7% prevista per il 2024, il che significa che l’incremento potrebbe essere inferiore rispetto alle aspettative.

Il bonus erogato dall’Inps è accessibile anche a dirigenti e funzionarie, senza limiti di reddito. Tuttavia, molte lavoratrici con redditi superiori ai 35 mila euro hanno erroneamente pensato di non aver diritto all’agevolazione, a causa di informazioni fuorvianti. Inoltre, la scarsa pubblicità della misura ha contribuito alla limitata adesione, lasciando potenzialmente inutilizzati parte dei 450 milioni di euro stanziati per questo scopo.

Un’analisi delle categorie di lavoratrici rivela differenze significative nell’adesione al bonus. Solo il 37% delle lavoratrici agricole a tempo indeterminato ha fatto richiesta dell’agevolazione, mentre la percentuale tra le dipendenti pubbliche è del 56%. Nel settore privato, il 62% delle lavoratrici aventi diritto ha presentato domanda.

Un bonus con tante ombre

Il bonus mamme 2024, pur essendo stato concepito per sostenere le lavoratrici con figli, ha sollevato diverse critiche. Una delle principali riguarda l’esclusione delle lavoratrici domestiche, autonome, libere professioniste e quelle con contratti a termine. Inoltre, l’esonero contributivo può comportare la riduzione di altre misure di sostegno come l’assegno unico o un aumento dell’Irpef, che potrebbero annullare parzialmente i benefici del bonus. Le simulazioni mostrano che l’incremento effettivo dello stipendio netto potrebbe essere inferiore alle aspettative a causa di imposte aggiuntive.

L’implementazione del bonus ha incontrato ostacoli burocratici che hanno causato ritardi nell’erogazione. A gennaio 2024, molte lavoratrici non avevano ancora ricevuto il bonus nelle loro buste paga a causa della mancata pubblicazione tempestiva della circolare Inps necessaria per l’attuazione della misura. Questo ritardo ha ulteriormente complicato la situazione, generando insoddisfazione e confusione tra le beneficiarie.

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Mezzi pubblici e vestiti, le (discutibili) misure...

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Più di due terzi delle giovani donne italiane vivono con la paura costante di essere vittime di violenza o molestie. È quanto emerge da una ricerca inedita di Eumetra per Telefono Donna Italia, che getta luce su paure, percezioni e vissuti di oltre 800 giovani tra i 16 e i 25 anni.

La paura di subire violenza è una presenza costante nella vita delle giovani donne italiane, influenzando profondamente il loro comportamento quotidiano. Il dato impressionante del 66% delle giovani donne che teme di vivere episodi di violenza o molestie mette in luce una realtà allarmante. Questa paura non è solo teorica, ma si traduce in azioni concrete e strategie di auto-protezione. Più di sei ragazze su dieci adottano misure preventive come evitare i mezzi pubblici nelle ore serali e notturne, preferire abiti più coprenti e cercano la sicurezza di una telefonata mentre tornano a casa.

Paura e precauzioni quotidiane

Questi comportamenti rivelano un livello di allerta che condiziona fortemente la loro libertà e il loro stile di vita. Le giovani donne sentono il bisogno di navigare nella vita pubblica con una costante attenzione alla propria sicurezza, rinunciando spesso a libertà che i loro coetanei maschi danno per scontate. La paura di un’aggressione fisica rappresenta la preoccupazione più diffusa, ma anche altre forme di molestia influenzano significativamente le loro abitudini.

Le differenze di genere emergono chiaramente anche nella percezione delle cause di comportamenti violenti. Molti ragazzi ritengono che l’abbigliamento provocante o l’assunzione di alcol e droghe possano giustificare le molestie, una visione che le ragazze respingono fermamente. Queste ultime, infatti, sottolineano che nessun comportamento, stato di alterazione o scelta di abbigliamento può mai giustificare una violenza.

Questa disparità di percezione evidenzia la necessità di una maggiore educazione e sensibilizzazione sulle tematiche della violenza di genere, non solo per proteggere le giovani donne ma anche per rieducare i giovani uomini a una cultura del rispetto e della parità. I dati di Eumetra, dunque, non solo raccontano una realtà preoccupante, ma lanciano un appello urgente a tutta la società per un cambiamento profondo e strutturale.

“Questa ricerca, mai effettuata prima d’ora, – racconta Stefania Bartoccetti, fondatrice di Telefono Donna – rivela il grado di consapevolezza dei giovani nei confronti del rispetto delle donne ed è un atto dovuto per affrontare il tema della violenza in maniera preventiva”.

L’impatto di social e trap

Un aspetto cruciale emerso dall’indagine condotta da Eumetra riguarda l’influenza dei social media e della musica trap sull’immagine e sul trattamento delle donne nella società contemporanea. Secondo i risultati, quattro ragazze su dieci ritengono che i social media contribuiscano a dipingere una visione negativa delle donne, mentre oltre la metà delle intervistate crede che questi strumenti favoriscano comportamenti offensivi. Dall’altro lato, solo il 10% dei ragazzi attribuisce ai social media la responsabilità di creare una visione distorta delle donne.

Similmente, la musica trap è stata identificata come una fonte di contenuti che spesso trivializzano o riducono le donne a stereotipi sessualizzati. Secondo il 40% delle ragazze intervistate, i testi delle canzoni trap contribuiscono a diffondere un’immagine poco rispettosa delle donne. Questo dato contrasta con l’opinione di solo il 20% dei ragazzi, indicando una percezione differenziata tra i generi riguardo al modo in cui la musica influisce sulla percezione delle donne nella società.

La paura nelle relazioni

La paura di subire violenza o molestie non si limita ai contesti pubblici, ma permea anche le relazioni interpersonali delle giovani donne italiane. Secondo l’indagine, il 56% delle ragazze teme i partner gelosi come potenziali minacce. Questo timore è praticamente assente tra i ragazzi, evidenziando una disparità di percezione tra i sessi riguardo alle dinamiche di controllo e di violenza all’interno delle relazioni sentimentali.

Questa paura influisce profondamente sulle decisioni quotidiane delle giovani donne. Quasi tre ragazze su dieci hanno ammesso di aver fatto rinunce, come modificare il proprio abbigliamento o limitare la propria vita sociale, per accontentare il partner e prevenire comportamenti potenzialmente aggressivi. Queste scelte non sono solo una risposta alla minaccia percorsa, ma anche un riflesso della pressione psicologica e emotiva che molte ragazze vivono nelle loro relazioni.

La difficoltà della denuncia

L’indagine ha rivelato le complesse dinamiche che circondano la denuncia delle violenze subite dalle giovani donne italiane. Nonostante l’alto livello di consapevolezza riguardo ai rischi e alle paure legate alla violenza, molte giovani donne affrontano significativi ostacoli nel processo di denuncia.

Un primo ostacolo critico è rappresentato dalla reticenza delle vittime, che spesso preferiscono tacere per timore di ritorsioni. Questo atteggiamento riflette una profonda preoccupazione nel confrontarsi con un sistema giudiziario e sociale che potrebbe non offrire il supporto necessario. Come sottolineato da Renato Mannheimer, Advisory Board Consultant di Eumetra, “Mi ha molto colpito che, secondo le ragazze, il tema della violenza sulle donne è molto sottovalutato, soprattutto dagli uomini, dalla classe politica e dalla Chiesa”. Questa percezione può contribuire a un clima generale di sfiducia verso le istituzioni.

In aggiunta, la ricerca ha evidenziato come alcuni ragazzi intervistati ritengano che una donna sia in parte responsabile se rimane con un partner violento senza denunciarlo. Questa opinione riflette una mancanza di comprensione delle dinamiche complesse che spesso caratterizzano le relazioni abusive, come il controllo psicologico e le minacce di violenza futura.

Altro ostacolo significativo è la mancanza di supporto istituzionale e sociale efficace. Le giovani donne possono temere di non essere credute o di non ricevere il sostegno necessario dalle autorità competenti, il che può dissuaderle ulteriormente dalla denuncia.

Affrontare queste sfide richiede un impegno continuo da parte di istituzioni, organizzazioni e società civile per migliorare l’accesso alla giustizia e garantire un supporto completo alle vittime di violenza di genere. La sensibilizzazione e l’educazione sono essenziali per promuovere una cultura di rispetto e di protezione per tutte le donne che vivono esperienze di violenza.

Educazione sentimentale e sessuale

L’indagine esplora anche l’educazione affettiva e sessuale, rivelando un divario significativo tra ragazzi e ragazze. Secondo i dati raccolti, c’è una differenza marcata tra ragazze e ragazzi riguardo all’informazione e alla formazione emotiva e sessuale. Le ragazze emergono come più coinvolte e informate riguardo all’educazione affettiva. Per il 60% di loro, l’educazione affettiva si definisce come la capacità di relazionarsi con rispetto e di gestire i propri sentimenti. Queste informazioni sono spesso acquisite attraverso internet, ma anche tramite l’influenza di insegnanti e genitori, soprattutto nelle fasce di età più giovani, come dimostrato dai dati relativi alle giovanissime tra i 16 e i 17 anni.

Nel contesto dell’educazione sessuale, i dati evidenziano una prevalenza del passaparola e dei media digitali rispetto al coinvolgimento degli adulti. Mentre la figura degli insegnanti e dei genitori rimane importante, solo il 20% dei ragazzi indica di ricevere informazioni significative da questi canali. Inoltre, il 40% dei ragazzi ammette di considerare la pornografia come una fonte d’informazione, contrapposta a soli due ragazzi su dieci tra le ragazze.

Questi dati mettono in luce la necessità di un approccio educativo più completo e informato riguardo alle relazioni affettive e sessuali. Educare i giovani su come sviluppare relazioni rispettose e consensuali è cruciale per contrastare stereotipi dannosi e promuovere una cultura di rispetto reciproco. L’educazione deve essere inclusiva, riflettendo la diversità delle esperienze e delle identità, e deve fornire gli strumenti per affrontare le sfide emotive e sociali che i giovani incontrano nella loro crescita.

Collegando questo approccio educativo alla tematica della violenza di genere, è essenziale garantire che l’educazione sentimentale e sessuale non solo informi, ma anche trasformi le norme culturali e sociali, preparando le nuove generazioni a costruire relazioni sane e rispettose in un contesto di pari opportunità e dignità per tutti.

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