Nomine Ue, Meloni all’attacco: incognita sul voto. L’assist di Mattarella
Oggi il vertice dopo l'intesa sulle cariche apicali. Von der Leyen potrebbe bussare alla porta della premier che valuta l'astensione. Il presidente della Repubblica: "Non si può prescindere da Italia"
In questi giorni Bruxelles è una Bisanzio del XXI secolo. La quantità di voci, off the record, background e 'spin' nella capitale belga è tale che si rischia di perdere il filo. Un punto fermo: l'accordo sui 'top jobs’, le cariche apicali Ue per la legislatura 2024-29, è stato fatto trapelare martedì tramite l'agenzia Dpa: i negoziatori di Ppe, Pse e Renew hanno concordato sulla tedesca Ursula von der Leyen presidente della Commissione Europea, il portoghese Antonio Costa presidente del Consiglio Europeo, l'estone Kqja Kallas Alta Rappresentante.
Meloni-Orban-Fiala fuori da intesa
Quindi, la partita è apparentemente già chiusa. Un'anticipazione così plateale dell'intesa rischia di rendere il vertice di oggi e domani una formalità, urtando la sensibilità, ma secondo alcuni in un certo senso facendo persino il gioco, di chi è rimasto fuori dall'intesa, come la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, il premier ceco Petr Fiala, dell'Ecr, e l'ungherese Viktor Orban, che non appartiene a nessuna famiglia politica
Meloni prova a battere i pugni sul tavolo, assicura che il suo Paese nel risiko delle nomine "porterà a casa il risultato" senza andare in giro "con il cappello in mano". E un 'assist' in vista del summit europeo è arrivato anche dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che in occasione della colazione di lavoro al Quirinale con la premier e ministri non ha mancato di far sentire la propria voce: "Non si può prescindere dall'Italia"..
Già la cena informale del 7 giugno era andata male: i leader che erano rimasti due ore ad aspettare i negoziatori, insieme al presidente del Consiglio europeo Charles Michel, come conferma una fonte diplomatica, non l'avevano presa bene, per usare un eufemismo. Se il Consiglio di oggi e venerdì dovesse chiudere la partita con un voto formale, la rottura sarebbe plateale. Certo non sarebbe la prima volta: nel 2014 il britannico David Cameron e l'ungherese Viktor Orban votarono contro Jean-Claude Juncker; nel 2019 Angela Merkel fu caldamente invitata ad astenersi sulla sua pupilla, Ursula von der Leyen, tirata fuori dal cilindro dopo aver fatto cadere, come tanti piccoli indiani, gli Spitzenkandidaten. Tra questi ultimi c'era proprio quel Manfred Weber, il kingmaker delle nomine, che Orban ha accusato di svolgere un ruolo "diabolico".
Le regole del voto
Sulla carta non c'è partita: si vota a maggioranza qualificata rafforzata, cioè almeno 20 Paesi membri a favore, in rappresentanza di almeno il 65% della popolazione. Ppe, Pse e Renew insieme contano su 22 capi di Stato e di governo, cui si può aggiungere, come minimo, il presidente lituano Gitana Nauseda. Non c’è modo, per i due dell’Ecr (Giorgia Meloni e il ceco Petr Fiala), anche unendo le forze con Viktor Orban e con lo slovacco Peter Pellegrini (sostituisce il premier Robert Fico, ancora convalescente dopo l’attacco che per poco non gli è costato la vita), per fermare l’accordo.
Certo, il Consiglio Europeo tenta “sempre” di essere “inclusivo”, spiega un alto funzionario Ue. Tuttavia, aggiunge, “ci sono delle regole”, la maggioranza qualificata rafforzata, e “non possiamo impedire ai leader di fare accordi”, se credono. Non è sicuro che si arriverà ad un voto: “Dovremo valutare esattamente a che punto sono i leader”, dice la fonte. Si dovranno soppesare, eventualmente, “i motivi” che spingono un capo di Stato o di governo a volere il voto: nel 2014 Cameron fu ben contento, per ragioni di politica interna, di opporsi a Juncker, in modo che la sua opinione pubblica sapesse.
Da parte della presidenza del Consiglio Europeo c’è una evidente volontà di tenere il più possibile i leader a bordo, anche perché Giorgia Meloni a livello Ue è sempre stata collaborativa. Anche una fonte diplomatica europea ritiene che “più ampio sarà il consenso” sulle cariche apicali, meglio sarà”. Con la premier italiana “si può lavorare”, hanno spiegato ripetutamente fonti Ue. Tuttavia, “il trattato è il trattato, ci sono delle regole”, ricorda l’alto funzionario Ue: quindi, se Ppe, Pse e Renew vorranno scegliere la linea dura, possono farlo. In questo clima, non aiuta il fatto che al presidente del Consiglio Europeo Charles Michel, che ha notoriamente rapporti pessimi con Ursula von der Leyen, si attribuisca la volontà di voler impedire un secondo mandato per l’attuale inquilina di palazzo Berlaymont.
L’assenza di Michel dal negoziato tra i delegati di Ppe, Pse e Renew il 7 giugno è sintomatica. E ha avuto come risultato che i leader ‘esterni’, quelli dell’Ecr e gli indipendenti, sono rimasti privi di un indispensabile ‘trait d’union’ con la maggioranza. Non è chiarissima neppure l’agenda del summit di domani. Le poche certezze sono che si inizierà prima del solito, intorno alle 14 (doorstep tra le 12.30 e le 13.30), con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, che sarà fisicamente presente al vertice, per firmare un accordo che riguarda gli impegni dell’Ue per la sicurezza dell’Ucraina.
Dopo interverrà, come di consueto, la presidente del Parlamento Europeo, Roberta Metsola. Successivamente, si dovrebbe parlare di Ucraina, di Medio Oriente, sicurezza e difesa, competitività, migrazioni, Montenegro, Mar Nero, Moldova, Georgia, minacce ibride e pure di lotta all’antisemitismo e alla xenofobia. C’è anche la roadmap per le future riforme interne. In tutto, sono per ora ben 49 punti di conclusioni, più l’agenda strategica allegata, almeno secondo l’ultima bozza (chilometrica). Gli ambasciatori stanno tentando di ‘chiudere’ il più possibile il testo, per limitare le possibilità di lunghe discussioni tra i leader, che comunque sono altamente probabili, vista l’elevata divisività di alcuni temi.
Solo dopo, a cena, è previsto che si parli di cariche apicali e dell’agenda strategica per questa legislatura. Non è chiaro neppure se i capi di Stato e di governo discuteranno prima delle prime o della seconda: “Stiamo ancora valutando”, dice l’alto funzionario. Una fonte diplomatica prevede che la discussione sui ‘top jobs’ si protrarrà nella giornata di venerdì. La partita, osserva, è stata gestita come se ci si trovasse a livello nazionale.
Il fatto è che, se Ppe, Pse e Renew dominano, almeno ad oggi, il Consiglio Europeo, al Parlamento Europeo mancano voti per far passare Ursula von der Leyen, che nel 2019 passò per soli 9 voti, grazie al Pis e ai Cinquestelle. Secondo una fonte diplomatica, alla Commissione stimano che la maggioranza possa registrare un tasso di franchi tiratori intorno al 15%, il che vuol dire che i 399 voti disponibili sulla carta non sono affatto sufficienti per stare tranquilli. Von der Leyen ha bisogno di almeno 361 voti, e non li ha. Se l’accordo sulle nomine passerà in Consiglio Europeo, dovrà cercare altri appoggi per assicurarsi la rielezione. Non è previsto un secondo tentativo: se fallisce, i leader dovranno individuare un altro presidente. Sarebbe un disastro per l’Ue, che vuol dar prova di essere in grado di decidere.
Cosa potrebbe fare Meloni
Probabilmente von der Leyen busserà anche alla porta di Meloni, che può garantirle come minimo 24 voti: tanti sono gli eletti di Fratelli d’Italia, una delle delegazioni più numerose dell’intero Parlamento. In realtà sta già bussando, e da tempo: la quantità di visite di persona in Italia della presidente in carica lo attesta con una certa chiarezza. Inoltre, la lettera sulle migrazioni ai capi di Stato e di governo contiene diversi punti che difficilmente saranno dispiaciuti alla presidente del Consiglio, a partire da una chiara apertura allo studio, in questa legislatura, di modalità per esaminare le richieste di asilo “lontano” dai confini esterni dell’Ue.
Tuttavia, deciderà la presidente del Consiglio cosa fare. L’astensione, in caso di voto, è una possibilità, ma non c’è una decisione, almeno finora, secondo una fonte diplomatica. C’è una discussione in corso, anche nella maggioranza (che nell’Ue è distribuita su tre gruppi politici diversi, uno dei quali, il Ppe, guida della maggioranza europea e gli altri due, Ecr e Id, all’opposizione) e c’è stata, come d’uso alla vigilia dei summit, una colazione al Quirinale. La premier deciderà come regolarsi sulla base di tutti questi elementi.
Comunque vada a finire il Consiglio Europeo sulle nomine, la partita si sposterà a Strasburgo, poco dopo la metà di luglio, dove i numeri sono assai meno solidi che all’Europa Building. E’ probabile che von der Leyen li cerchi a destra, nell’Ecr, e a sinistra, tra i Verdi, senza però aprire formalmente la maggioranza a nessuno dei due. Ancora ieri, la capogruppo socialista Iratxe Garcia Perez ha ripetuto per l’ennesima volta che una collaborazione con l’Ecr è una “linea rossa” invalicabile per i Socialisti. Ma, per dirla con l’eurodeputato di Renew Sandro Gozi, non si può certo impedire a Fratelli d’Italia “di fare una cosa giusta”, votare per von der Leyen. L’importante, agli occhi di Renew, è che i voti dell’Ecr non siano decisivi.
Del resto i polacchi del Pis votarono von der Leyen nel 2019, quando erano al governo, e Fdi, anch’esso nell’Ecr, comprese perfettamente. A proposito di Ecr, il gruppo avrebbe dovuto tenere oggi la riunione costitutiva, ma è slittata di una settimana, al 3 luglio. Sul resto delle conclusioni, non è atteso lo sblocco degli aiuti militari all’Ucraina tramite l’Epf, lo strumento fuori bilancio usato per sostenere Kiev, bloccato da mesi dal veto dell’Ungheria. Ungheria che, ad oggi, non ha annunciato veti sull’agenda strategica, pur chiedendo emendamenti talora impossibili da accogliere. “Vedremo”, si limita a dire l’alto funzionario Ue.
Sulla Georgia, i leader manderanno un messaggio “chiaro” a Tbilisi, e in particolare all’opinione pubblica georgiana, per evidenziare che il percorso intrapreso dal governo, con la cosiddetta ‘legge russa’, allontana il Paese dall’adesione all’Ue. E’ necessario chiarirlo al massimo livello, anche perché diversi media georgiani tendono a convogliare all’opinione pubblica il messaggio opposto.
Esteri
Putin e il missile Oreshnik, Ucraina non ci crede:...
La Russia spaventa l'Europa con la nuova arma. L'Ucraina: "Non esiste nessun nuovo missile"
Un'arma letale o un bluff? La Russia minaccia l'Europa agitando lo spettro del nuovo missile Oreshnik, lanciato per la prima volta contro un impianto industriale di Dnipro. L'Ucraina, però, non crede agli annunci di Vladimir Putin e sembra non giudicare fondate le analisi di esperti e osservatori: il nuovo missile, dicono a Kiev, non esiste.
Putin, in un vertice con il ministero della Difesa e industrie del comparto militare, ha tessuto le lodi della nuova arma che "non può essere intercettata da nessuno oggi al mondo". Il missile Oreshnik, secondo i pochi dati diffusi dal presidente russo, supera la velocità di 10 Mach nella fase finale della sua traiettoria ed è ritenuto un'arma ad alta precisione. Potrebbe anche essere armata con testate nucleari. Ora, la Russia avvierà la produzione in serie e parallelamente testerà nuovi missili a corto e medio raggio.
Al quadro delineato del presidente, oggi si aggiunge la 'chiosa' di Dmitry Medvedev. Il numero 2 del Consiglio di sicurezza si esprime con i toni ormai abituali: "I danni all'Europa per gli attacchi dei missili Oreshnik non saranno sopportabili. E' impossibile intercettarlo, meglio se smettono di sostenere la guerra", dice 'invitando' i paesi occidentali a sospendere la fornitura di armi a Kiev.
Nella guerra che si combatte anche con le informazioni, l'Ucraina prova a parare il colpo. Lo fa con le parole di Mykhailo Podolyak, consigliere del presidente Volodymyr Zelensky. "Non ci sono missili Oreshnik nella Federazione Russa, questa persona inadeguata si inventa qualche nome", dice facendo riferimento alle comunicazioni di Putin. "Questa è un'arma classica, un missile balistico intercontinentale previsto dai trattati. È chiaro quante armi di questo tipo abbia la Federazione Russa", dice Podolyak.
Esteri
Ucraina, centinaia di yemeniti reclutati dalla Russia:...
La mossa di una misteriosa compagnia legata ai ribelli dello Yemen per mandarli con l'inganno al fronte: la rivelazione del Financial Times
Reclutati con l'inganno, mandati con la forza a combattere in Ucraina. La Russia starebbe reclutando centinaia di yemeniti per combattere contro le truppe di Kiev, in una mossa che evidenzia i crescenti legami tra Mosca ed i ribelli Houthi, movimento filo-iraniano di fede zaydita che controlla ampie zone dello Yemen tra cui la capitale Sana'a. A rivelarlo è il Financial Times, secondo cui gli yemeniti verrebbero arruolati con la forza e quindi inviati in prima linea.
La promessa: stipendio alto e cittadinanza russa
Le reclute hanno raccontato al giornale della City di essere arrivate in Russia tramite una misteriosa società collegata agli Houthi, con la promessa di un impiego con stipendi elevati e persino della cittadinanza russa. La notizia, evidenzia il Ft, mostra il sempre maggiore allargamento del conflitto, mentre aumenta il numero delle vittime e il Cremlino cerca di evitare una mobilitazione generale. Tra le file russe ci sono già mercenari provenienti da Nepal e India e circa 12mila soldati dell'esercito regolare nordcoreano di stanza nella provincia russa di Kursk.
Il legame Russia-Houthi
L'inviato speciale degli Stati Uniti per lo Yemen, Tim Lenderking, ha spiegato che la Russia sta lavorando per aumentare i legami con gli Houthi e che tra le parti ci sono colloqui sui trasferimenti di armi. "Sappiamo che c'è personale russo a Sana'a che aiuta ad approfondire questo dialogo - ha precisato - I tipi di armi di cui si sta discutendo sono molto allarmanti e consentirebbero agli Houthi di colpire meglio le navi nel Mar Rosso e forse oltre".
Il mese scorso è emersa la notizia che la Russia ha fornito dati satellitari per aiutare gli Houthi ad attaccare le navi nel Mar Rosso. I ribelli da tempo prendono di mira le navi commerciali in questo tratto di mira in quella che definiscono un'azione solidale con i palestinesi nella Striscia di Gaza.
Esteri
Trovato corpo del rabbino scomparso negli Emirati, ira...
Trovato senza vita il corpo di rav Zvi Kogan, l'uomo era scomparso giovedì scorso. Netanyahu: "Troveremo assassini e mandanti". Katz: "Terrorismo antisemita". Spari nei pressi dell'ambasciata israeliana ad Amman, Giordania: "Attacco terroristico"
E' stato ritrovato il corpo del rabbino Zvi Kogan, scomparso giovedì negli Emirati Arabi Uniti e la cui auto era stata individuata ieri abbandonata ad Al-Ain, a circa 90 minuti da Dubai. Ad annunciarlo l'ufficio del primo ministro emiratino ed il ministero degli Esteri in una nota congiunta.
E "a tempo di record” le forze di sicurezza degli Emirati Arabi Uniti hanno arrestato tre persone in relazione all'omicidio del rabbino, ha annunciato il ministero degli Interni degli Emirati Arabi Uniti.
Dopo che la famiglia di Kogan ha denunciato la sua scomparsa, si legge in un comunicato, è stata avviata un'indagine. I risultati completi dell'indagine saranno resi noti al suo completamento.
Il corpo ritrovato ad Al Ain
Le autorità israeliane hanno annunciato oggi che il corpo di Kogan è stato trovato nella città emiratina di Al Ain, che confina con l'Oman, a circa 150 chilometri da Abu Dhabi. Secondo i media ebraici i funzionari sospettano che diversi cittadini uzbeki reclutati dall'Iran abbiano aggredito il rabbino e siano poi fuggiti in Turchia.
Nel comunicato, riporta il Times of Israel, si precisa che l'ambasciata di Israele nel Paese del Golfo è in contatto con la famiglia del rabbino Chabad, che è cittadino israeliano e moldavo. Secondo Channel 12, Kogan è imparentato con il rabbino Gavriel Holtzberg, assassinato insieme alla moglie in un attacco terroristico alla Nariman Chabad House di Mumbai nel 2008.
I media israeliani ieri evidenziavano i timori dei servizi di intelligence e sicurezza, i quali sospettavano che Kogan fosse stato rapito da tre cittadini uzbeki - presumibilmente incaricati dall'Iran e poi fuggiti in Turchia - e assassinato.
Netanyhau: "Attacco terroristico criminale e antisemita"
L'omicidio del rabbino Zvi Kogan negli Emirati è un "crimine terroristico antisemita codardo e spregevole", il commento del ministro israeliano della Difesa, Israel Katz, sul social X. "Lo Stato di Israele non si fermerà né rimarrà in silenzio finché i responsabili di questo atto criminale non pagheranno per le loro azioni", ha aggiunto.
"L'omicidio di Zvi Kogan, sia benedetta la sua memoria, è un atto abominevole di terrorismo antisemita. Lo Stato di Israele userà tutti i mezzi e tratterà i criminali responsabili della sua morte con il massimo rigore della legge". Così l'ufficio del primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, ha commentato la notizia del ritrovamento.
"Profondo shock - a nome mio, di tutti i membri del governo e dei cittadini di Israele" è stato espresso quindi dal primo ministro per il "rapimento" e l' "omicidio" di rav Kogan. Prendendo la parola durante una riunione del governo, Netanyahu ha definito l'omicidio del cittadino israeliano "un attacco terroristico criminale e antisemita".
Israele, ha assicurato, "agirà con tutti i mezzi e consegnerà alla giustizia gli assassini ed i loro mandanti". Netanyahu ha quindi detto di aver "molto" apprezzato la cooperazione degli Emirati Arabi Uniti nelle indagini sull'omicidio. "Rafforzeremo i legami tra noi proprio di fronte ai tentativi dell'asse del male di danneggiare le nostre relazioni pacifiche" e "lavoreremo anche per espandere la stabilità nella regione", ha aggiunto.
"Questo vile attacco antisemita è un promemoria della barbarie dei nemici del popolo ebraico", le parole su X del presidente israeliano, Isaac Herzog, esprimendo "dolore e indignazione" per la morte del rabbino. Quanto accaduto "non ci impedirà di continuare a far crescere comunità fiorenti negli Emirati Arabi Uniti o altrove, specialmente con l'aiuto dell'impegno e del lavoro degli emissari Chabad in tutto il mondo", ha aggiunto Herzog, il quale ha quindi ringraziato gli Emirati per la loro "rapida azione", confidando che faranno tutto il possibile per assicurare alla giustizia i responsabili.
Il Consiglio di sicurezza nazionale israeliano ha intanto ribadito l'invito ai suoi connazionali ad evitare i viaggi non essenziali negli Emirati. Il Consiglio, riporta il Times of Israel, attribuisce agli Emirati un livello di allerta 3 in quanto persiste una minaccia per gli israeliani e gli ebrei che si trovano nel Paese.
"Evitate di visitare attività commerciali, luoghi di ritrovo e luoghi di intrattenimento identificati con la popolazione israeliana ed ebraica", si sottolinea nel 'warning' in cui si chiede anche di "mantenere una maggiore vigilanza nei luoghi pubblici (inclusi ristoranti, hotel, bar, ecc.) ed evitare di esporre simboli israeliani". I viaggiatori sono inoltre invitati ad evitare di pubblicare sui social media e a bloccare i loro profili online.
Spari vicino ambasciata israeliana ad Amman: "E' terrorismo"
La sparatoria avvenuta nei pressi dell'ambasciata israeliana ad Amman, in Giordania, è stata un "attacco terroristico" che ha preso di mira le forze di sicurezza del Paese arabo, ha dichiarato il ministro delle Comunicazioni del governo giordano, Mohamed Momani, precisando in una nota che sono in corso indagini sull'attacco.
Secondo l'agenzia di stampa ufficiale Petra, nelle scorse ore la polizia ha sparato e ucciso un uomo armato che aveva aperto il fuoco contro una pattuglia nel quartiere Rabiah. Tre agenti sono rimasti feriti.