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Gap Nord-Sud, allarme rosso: nel Meridione quasi il doppio dei disoccupati e sanità al collasso

“Se non affrontato con urgenza il divario rischia di trasformarsi in una frattura che farà crollare le fondamenta economiche e sociali dell’Italia, ampliando ulteriormente le disuguaglianze”, è netto il commento di Raffaele Rio, presidente di Demoskopika, sul gap economico e sociale tra Nord e Sud Italia.

Nell’ultimo decennio, la forbice non è stata mai ampia come accaduto nel 2023, rivela l’indice del divario economico e sociale (INDES): 100 punti rispetto ai 92,5 punti del 2013. L’indice sviluppato dall’istituto di ricerca italiano prende in considerazione sette fattori: occupazione, disoccupazione, reddito disponibile familiare, speranza di vita, sanità, ricchezza pro-capite e povertà. Nell’ambito della ricerca, Demoskopika ha selezionato gli indicatori in base alla reperibilità della serie storica, all’ufficialità o all’autorevolezza delle fonti e alla rilevanza socio-economica.

Nonostante l’anno scorso il Sud sia cresciuto più del Nord in termini percentuali (rapporto Svimez), questa ulteriore indagine, che non si concentra solo sull’aspetto economico, rivela un’Italia sempre più spaccata. Il Mezzogiorno può ripartire dall’unico dato positivo emerso dalla ricerca, ovvero il tasso di occupazione.

Occupazione e disoccupazione in Italia

Per quanto riguarda il tasso di occupazione, l’INDES evidenzia un miglioramento sia al Nord che al Sud, con una riduzione del divario, che resta comunque molto ampio. Nel 2023, l’occupazione nel Nord è al 69,4%, mentre nel Mezzogiorno è al 48,2%, con un divario di 21,2 punti percentuali rispetto ai 22,4 punti percentuali del 2013. Questo indica progressi nel Mezzogiorno nell’accesso al mercato del lavoro. Tuttavia, in termini assoluti, il Mezzogiorno registra ancora 5,8 milioni di occupati in meno rispetto al Nord.

Anche la disoccupazione ha visto una riduzione in entrambe le aree e una riduzione del gap, ma il Sud presenta ancora tassi significativamente più alti. Nel 2023, la disoccupazione nel Nord è al 4,6%, contro il 14% del Mezzogiorno, con un divario di 9,4 punti percentuali rispetto agli 11,5 punti percentuali del 2013. Nonostante il miglioramento, il divario rimane ampio. Al Sud, nel 2023, i disoccupati sono quasi il doppio di quelli al Nord, con oltre un milione di persone in cerca di occupazione rispetto alle 592mila del Nord, per un divario di 433mila individui.

Differenze-occupazione-Nord-e-Sud Italia_Fonte: Demoskopika

Il rapporto di Demoskopika evidenzia anche che quattro degli altri cinque indicatori – reddito disponibile familiare, speranza di vita, sanità e ricchezza pro-capite – hanno raggiunto il massimo punteggio di 100 punti, contribuendo all’aumento del divario. In particolare, l’indicatore delle persone a rischio di povertà ha registrato un picco negativo nel 2019, con un valore di 97,9 punti.

Reddito e povertà al Nord e al Sud

Nel 2023, la forbice del reddito disponibile familiare tra Nord e Sud Italia si è ulteriormente allargata. La differenza reddituale è passata dai 12.969 euro del 2013 ai 16.916 euro del 2023, con un abissale incremento delle disparità economiche pari al 30,4%. L’indice di riferimento è aumentato da 76,7 punti nel 2013 a 100 punti nel 2023, che si traduce in un potere d’acquisto significativamente maggiore per le famiglie del Nord rispetto a quelle del Mezzogiorno.

Chiaramente anche il prodotto interno lordo pro capite ha mostrato una crescita diseguale tra le due aree. Nel Nord, il PIL pro capite è aumentato da 32.919 euro nel 2013 a 36.904 euro nel 2023, mentre nel Mezzogiorno, è passato da 17.980 euro a 19.821 euro nello stesso periodo. Il divario in termini assoluti è pari a 17.083 euro nel 2023, anche questo in aumento.
Tradotto in termini INDES, il punteggio è passato da 87,4 nel 2013 a 100 punti nel 2023, riflettendo una maggiore capacità del Nord di generare ricchezza rispetto al Sud. Per ridurre questo divario, sarebbero necessarie politiche di sviluppo economico mirate, come l’attrazione di investimenti e il supporto all’imprenditorialità nel Mezzogiorno.

L’altro lato della medaglia misura la povertà e conferma quanto visto sopra: la povertà nel Mezzogiorno continua a essere significativamente più alta rispetto al Nord, con una tendenza al peggioramento. Nel 2023, quasi 4 milioni di persone in più erano a rischio povertà nel Mezzogiorno rispetto al Nord: 6,7 milioni al Sud contro poco più di 2,7 milioni al Nord e il divario rischia di allargarsi con l’autonomia differenziata.

Parlare in termini assoluti offre un’analisi parziale perché il Sud è (sempre) meno popolato del Nord Italia. Se si guardano ai tassi, però, la situazione resta preoccupante: nel 2023 il tasso di povertà è del 9,9% nel Settentrione contro il 33,7% del Meridione. Un divario di 23,8 punti percentuali rispetto ai 22,9 punti percentuali del 2013. L’indice di povertà è passato da 94,2 nel 2013 a 97,9 punti nel 2023, il che significa che una parte significativa della popolazione del Mezzogiorno vive in condizioni di povertà.

Al Sud si vive un anno e mezzo in meno

Cosa fa più male alla salute, la povertà o lo stress? Una risposta, almeno parziale, arriva dall’indagine di Demoskopika. Si è soliti pensare il Sud Italia offra quantomeno un miglior tenore di vita rispetto al Nord e, più in generale, una salute migliore. Le difficoltà economiche e strutturali, però, contrastano i benefici naturali che il Mezzogiorno offre ai suoi residenti e così, nonostante il proverbiale “tran tran”, al Nord Italia la speranza di vita è più alta rispetto al Meridione.

Nel 2023, la speranza di vita è di 83,6 anni nel Nord e 82,1 anni nel Mezzogiorno; quindi, in media si vive un anno e mezzo di più al Nord. Dieci anni prima, nel 2013, la differenza era meno marcata: 82,7 anni nel Nord e 81,6 anni nel Sud e nelle Isole, con un divario di 1,1 anni. In pratica, nell’ultimo decennio il Mezzogiorno ha perso circa cinque mesi di longevità rispetto al Nord. In termini di INDES, la forbice sulla speranza di vita è aumentata da 68,8 nel 2013 a 100 punti nel 2023, segnalando un peggioramento relativo delle condizioni nel Sud.

Bisogna sottolineare che su questo incide anche la carenza della sanità pubblica che se al Nord è un problema al Sud è sempre più un dramma. Insomma, povertà e ospedali al collasso inficiano sulla speranza di vita nel Meridione, al netto della qualità della vita di tutti i giorni.

Le differenze nella sanità tra Nord e Sud Italia

Una conferma arriva dall’indicatore sanitario di Demoskopika che si riferisce alla valutazione dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), che misurano la qualità e l’accessibilità dei servizi sanitari.
In questo caso l’ultimo anno disponibile con dei dati è il 2022, quando il divario tra Nord e Sud ha raggiunto 68,3 punti rispetto ai 57,2 punti del 2017. In soli cinque anni l’INDES sanitario ha registrato un allargamento della forbice Nord-Sud di oltre dieci punti percentuali, evidenziando una crescente disparità nell’accesso e nella qualità dei servizi sanitari. L’indice sanitario è passato da 83,7 nel 2017 a 100 punti nel 2022.

Ovviamente, questa disparità produce effetti significativi sulla salute della popolazione del Mezzogiorno, contribuendo a una minore speranza di vita e a un peggioramento generale della qualità della vita. Per migliorare questa situazione, è necessario aumentare gli investimenti nella sanità nel Mezzogiorno, garantendo che i LEA siano rispettati uniformemente su tutto il territorio nazionale. E proprio questo è uno dei punti più criticati dalle opposizioni sull’autonomia differenziata che rischia di creare “cittadini di serie a e di serie b” (così Elly Schlein in Aula) anche di fronte a un diritto costituzionalmente garantito come la salute. Non a caso, anche la Commissione Ue ha bocciato l’autonomia differenziata.

Le disparità in termini di speranza di vita e qualità dei servizi sanitari tra Nord e Sud Italia rappresentano una sfida significativa per il sistema sanitario nazionale. Ridurre questo divario richiede un approccio integrato e sostenibile che coinvolga non solo l’aumento degli investimenti, ma anche riforme strutturali mirate.

Politiche di lungo termine dovrebbero includere:

Miglioramento delle infrastrutture sanitarie: costruzione e modernizzazione di ospedali e cliniche nel Mezzogiorno;
Formazione e assunzione di personale sanitario: incremento del numero di medici, infermieri e personale sanitario qualificato nelle regioni del Sud;
Accesso uniforme ai farmaci e alle tecnologie: assicurare che le innovazioni mediche e i farmaci essenziali siano disponibili in modo uniforme su tutto il territorio nazionale;
Prevenzione ed educazione sanitaria: promozione di campagne di prevenzione e programmi di educazione sanitaria per sensibilizzare la popolazione sui benefici di stili di vita sani;
Monitoraggio e valutazione: implementare sistemi di monitoraggio per valutare l’efficacia delle politiche sanitarie e apportare miglioramenti continui.

Divario Sanità Nord E Sud_Fonte: Demoskopika

Il commento di Raffaele Rio, presidente Demoskopika

Commentando i risultati dell’indagine, il presidente dell’istituto di ricerca italiano, Raffaele Rio ha evidenziato l’urgenza di cambiare direzione: “È fondamentale mettere da parte le contrapposizioni ideologiche e avviare un processo di autonomia consapevole piuttosto che differenziata o, peggio ancora, gridata, garantendo equo accesso ai servizi essenziali per tutti i cittadini, con tanto di definizione, a monte e non a valle, dei livelli essenziali delle prestazioni e della necessaria copertura finanziaria”.

Per Rio, le politiche economiche e sociali dovrebbero concentrarsi su due aree fondamentali:

miglioramento dell’efficienza e dell’efficacia dell’azione pubblica, il che implica una riforma della governance degli interventi statali, un significativo miglioramento delle risorse umane e tecnologiche della pubblica amministrazione e un forte orientamento verso il raggiungimento degli obiettivi, supportato da sistemi di incentivazione;
potenziamento dell’iniziativa privata per ridurre i deficit infrastrutturali nel Mezzogiorno, sfruttando appieno il potenziale delle aree urbane e migliorando la qualità del tessuto produttivo.

“Senza un innesto di maggiore dignità e pragmatismo istituzionale – conclude il presidente – si rischia una guerra civile psicologica, uno scontro al massacro e sempre più ideologico tra Nord e Mezzogiorno del paese. E a pagarne le conseguenze sarà l’Italia intera (linea condivisa dall’Ue, ndr.), con in testa alla lista, i suoi individui più deboli, i suoi sistemi più fragili”.

Un team di giornalisti altamente specializzati che eleva il nostro quotidiano a nuovi livelli di eccellenza, fornendo analisi penetranti e notizie d’urgenza da ogni angolo del globo. Con una vasta gamma di competenze che spaziano dalla politica internazionale all’innovazione tecnologica, il loro contributo è fondamentale per mantenere i nostri lettori informati, impegnati e sempre un passo avanti.

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Valditara: “Smartphone armi di distruzione di massa”, sono...

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Gli smartphone sono “un’arma di distruzione di massa”. Non ha dubbi il ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, che ha lanciato l’allarme a ‘Porta a Porta’, su Rai 1.
“Circa 50mila ragazzi hanno abbandonato la scuola per rifugiarsi in un mondo virtuale fatto di cellulari e social media, isolandosi per mesi nelle proprie stanze”, ha detto il ministro collegando l’uso degli smartphone al fenomeno degli hikikomori.

Questi sono i primi giorni di scuola senza cellulare in classe per bambini e ragazzi fino ai 14 anni “anche per l’uso didattico”, come stabilito dal dicastero in estate. Molti genitori hanno apprezzato l’iniziativa di Valditara, soddisfatto della risposta ottenuta: “La reazione del mondo della scuola è stata molto positiva. I ragazzi, con grande senso di responsabilità, e i genitori, entusiasti e al 90% favorevoli, hanno capito che ci stiamo prendendo cura di loro e che abbiamo a cuore la loro salute”, ha detto il ministro, convinto che la scuola debba “insegnare a guardarsi negli occhi”.

Il contatto umano è proprio quello che preoccupa Valditara, che promuove una grande campagna di sensibilizzazione contro l’abuso di smartphone e social network: “Dare un cellulare in mano a un bambino di 7-8 anni può avere effetti devastanti”, denuncia il ministro per cui l’educazione digitale deve partire dalle case e dalle scuole italiane.

Il ministro Valditara vuole portare la crociata anti-smartphone fuori dai confini nazionali: “Ho incontrato la ministra dell’istruzione di Cipro che ha molto apprezzato la decisione di vietare il cellulare a scuola. Abbiamo pensato di preparare un documento da sottoporre a Bruxelles a tutti i ministri dell’Istruzione sul tema, anche perché alcuni Stati come la Francia, l’Olanda, la Svezia, già si sono avviati in questa direzione e credo che raggiungeremo facilmente, credo, un forte consenso”, ha aggiunto.

Smartphone e hikikomori, che relazione c’è?

Se ne sta parlando solo negli ultimi anni, ma il termine ’hikikomori’ è stato coniato dallo psichiatra giapponese Saito Tamaki già negli anni ‘80.
Forma italiana del nipponico 引き籠もり o 引きこも, deriva dalla fusione delle parole “hiku”, “tirare”, e “komoru”, “ritirarsi” o “chiudersi”. Quindi, un hikikomori è una persona che ha scelto di limitare fortemente o eliminare del tutto la propria vita sociale, preferendo tattiche di ‘autoreclusione’. Un hikikomori rifiuta il contatto con le persone dentro e fuori casa; quando vuole comunicare lo fa indirettamente, usando gli smartphone o il pc.

Negli ultimi anni, il fenomeno si sta espandendo anche in Occidente, dove sempre più adolescenti e giovani adulti scelgono di ritirarsi dalla vita sociale, scolastica o lavorativa per periodi prolungati, generalmente superiori a sei mesi.

Gli hikikomori in Italia

Negli ultimi anni, il fenomeno hikikomori ha mostrato un incremento preoccupante accelerato dal lockdown. In Italia, recenti studi hanno identificato circa 66.000 casi tra gli studenti, con una prevalenza nella fascia di età 11-13 anni. Se consideriamo anche le fasce di età più alte, le stime suggeriscono che in Italia potrebbero esserci tra i 100.000 e i 200.000 hikikomori.

Il Ministro Valditara ha espressamente collegato l’uso degli smartphone a questo fenomeno di autoesclusione sociale. È indubbia la relazione tra le due situazioni, meno chiara è la direzione: gli smartphone sono una causa del fenomeno o un mezzo di comunicazione utilizzato dopo la scelta di recludersi?

Molti di loro utilizzano il web come unica forma di comunicazione con il mondo esterno, preferendo le interazioni virtuali al contatto diretto. Tuttavia, è importante notare che l’abuso delle tecnologie non è la causa principale di questa condizione; piuttosto, può essere visto come una conseguenza del ritiro sociale e un facilitatore del fenomeno. Gli hikikomori spesso sviluppano una dipendenza da Internet e dai videogiochi come modo per affrontare l’isolamento, ma ciò non significa che la tecnologia sia la causa scatenante del loro disagio.

Hikikomori: è una malattia?

Il fenomeno degli hikikomori è un argomento di crescente interesse nella comunità scientifica, che sta cercando di inquadrarlo all’interno delle patologie psichiatriche. Sebbene non sia ufficialmente riconosciuto come una diagnosi nel DSM-5, (che classifica i disturbi mentali in diverse categorie) molti esperti lo considerano un disturbo a sé stante, caratterizzato da un isolamento sociale prolungato e volontario.

La scienza ha iniziato a sviluppare criteri diagnostici per l’hikikomori. Secondo una revisione recente, i criteri includono un ritiro dalla vita sociale per almeno sei mesi, il rifiuto di attività scolastiche o lavorative, e l’assenza di altre patologie psichiatriche che possano spiegare il comportamento. Questo approccio è stato proposto anche dal governo giapponese, che ha riconosciuto la rilevanza sociale del problema e ha delineato i criteri necessari per la diagnosi.

Conseguenze a lungo termine

In alcuni casi, il ritiro sociale può restare una parentesi buia nella vita dell’individuo, in altre può avere conseguenze gravi e durature. Gli hikikomori possono sperimentare un deterioramento delle loro capacità sociali e professionali, rendendo difficile il reinserimento nel mondo esterno.

La letteratura suggerisce che molti hikikomori possono rimanere isolati per anni e, una volta tentato il reinserimento, possono avere difficoltà nel trovare lavoro o stabilire relazioni sociali.

Inoltre, l’autoisolamento può portare a problemi di salute mentale aggiuntivi, come depressione e ansia (che già affliggono la metà dei giovani italiani), creando un circolo vizioso difficile da rompere.

Studi recenti hanno evidenziato l’importanza di un intervento precoce. La telepsichiatria si sta dimostrando una modalità promettente per raggiungere questi giovani attraverso i loro dispositivi digitali, permettendo ai professionisti della salute mentale di fornire supporto anche a distanza senza che ci sia un forte rifiuto dell’individuo. Tuttavia, la mancanza di una definizione chiara e condivisa del fenomeno complica gli sforzi terapeutici e di ricerca.

Il fenomeno degli hikikomori è complesso e richiede un approccio multidisciplinare per affrontarne le cause e le conseguenze. La comunità scientifica continua a esplorare questo tema, con l’obiettivo di sviluppare strategie efficaci per supportare i giovani in difficoltà.
Nel frattempo, sempre più governi decidono di limitare l’uso degli smartphone e dei social agli adolescenti, come fatto dal Ministro Giuseppe Valditara.

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Viagra, cosa succede se lo prende una donna?

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E se a prendere il Viagra fossero le donne? Un recente studio clinico ha rivelato che l’uso del Sildenafil, comunemente noto per il trattamento della disfunzione erettile e commercialmente noto come Viagra, potrebbe ridurre il rischio di parto cesareo d’emergenza.

La ricerca, pubblicata sul Journal of Reproduction e Infertility, ha mostrato che il farmaco è in grado di aumentare il flusso sanguigno uteroplacentare. Ciò contribuirebbe alla diminuzione del 51% del rischio di complicazioni legate alla sofferenza fetale durante il travaglio.

Sofferenza fetale e parto cesareo

La sofferenza fetale (Fd) è uno dei principali segnali di pericolo per la morte intrauterina (Iufd) e rappresenta una delle principali cause di parto cesareo d’emergenza. In Paesi come Australia, Stati Uniti e Regno Unito, si legge nella ricerca, dal 23% al 27% dei parti cesarei avviene in risposta a questo stato critico del feto. La causa principale è la riduzione del flusso sanguigno uterino durante il travaglio, che può scendere fino al 60%, mettendo in serio pericolo la salute del feto.

Attualmente, l’unico trattamento efficace per evitare danni permanenti è il cesareo d’emergenza, che tuttavia comporta rischi significativi sia per la madre che per il neonato, inclusi morbilità materne (cioè l’insieme di patologie che una donna può avere in gravidanza) e problemi neonatali. Da qui, l’importanza di identificare soluzioni sicure per prevenire tali interventi. E il Viagra sembra essere una di queste.

Il ruolo del Sildenafil: vasodilatazione e riduzione del rischio

Il Sildenafil o Viagra, agisce come vasodilatatore, migliorando il flusso sanguigno verso l’utero e il feto. La ricerca ha analizzato il suo potenziale per migliorare la perfusione utero placentare, prevenendo l’ipossia e la sofferenza fetale. Il dottor Milani che ha condotto lo studio e il suo team hanno scoperto che usare il Viagra durante il travaglio ha portato a una riduzione significativa dei casi di cesareo d’emergenza, passando dal 26% nel gruppo di donne che non lo assumevano al 12,5% nel gruppo trattato col farmaco.

“Questo studio dimostra che il Sildenafil può essere un’opzione farmacologica semplice ed efficace per ridurre il rischio di sofferenza fetale, evitando così interventi chirurgici d’emergenza”, hanno spiegato i ricercatori. “I risultati sono particolarmente incoraggianti poiché non abbiamo riscontrato effetti collaterali significativi legati al farmaco”.

La metodologia dello studio

Lo studio condotto nel Reproductive Health Research Center, del Department of Obstetrics and Gynecology, della School of Medicine, Al-Zahra Hospital, Guilan University of Medical Sciences di Rasht è stato condotto tra luglio e settembre del 2022 e ha coinvolto 208 donne in gravidanza. Le partecipanti, di età compresa tra 18 e 40 anni, sono state suddivise in due gruppi: il gruppo Sildenafil ha ricevuto dosi da 50 milligrammi ogni sei ore, mentre il gruppo di controllo ha ricevuto un placebo.

Tutti i partecipanti sono stati monitorati durante il travaglio e i dati demografici e clinici sono stati raccolti attentamente per garantire la precisione dei risultati. L’obiettivo principale era valutare se il Sildenafil potesse ridurre il tasso di sofferenza fetale e di cesareo d’emergenza rispetto al gruppo di controllo.

Risultati

I risultati sono stati incoraggianti. Nel gruppo al quale è stato somministrato il Viagra, l’87,5% delle donne ha avuto un parto vaginale spontaneo, rispetto al 74% del gruppo placebo. Inoltre, i casi di sofferenza fetale sono diminuiti del 53,8% nel gruppo trattato.

Anche i neonati nati dalle donne del “gruppo Sildenafil” hanno mostrato punteggi Apgar (con i quali si misura la condizione motoria, respiratoria, muscolare ecc.) più alti, indicando una salute migliore alla nascita.

Turner ha aggiunto: “L’uso di Sildenafil non ha influenzato negativamente la durata del travaglio, né ha aumentato il rischio di emorragia postpartum, un dato che conferma la sicurezza del farmaco in questo contesto”.

Questo studio potrebbe rappresentare una svolta nella gestione del travaglio. Sebbene siano necessari ulteriori studi per confermare questi risultati, il Sildenafil si sta dimostrando un’opzione promettente per ridurre il numero di cesarei d’emergenza. Il team ha sottolineato l’importanza di ulteriori ricerche per comprendere appieno i benefici a lungo termine e gli eventuali rischi associati all’uso di Sildenafil durante il travaglio.

In conclusione, l’uso di Sildenafil offre nuove speranze per la gestione della sofferenza fetale, riducendo il rischio di interventi invasivi e migliorando gli esiti materno-fetali.

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Salta la Champions per assistere alla nascita del figlio,...

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Sta facendo discute l’attacco di Zvonimir Boban a Walter Benitez. Nel pre-partita di Juventus-Psv Eindhoven, Boban ha criticato duramente la scelta del portiere ospite, ‘reo’ di aver saltato il match per raggiungere in ospedale la moglie che stava per partorire.

“Ma cosa è ‘sta roba che parti e vai da tua moglie per la nascita del figlio?”, ha detto l’opinionista di Sky Sport prima della partita di Champions League. Poco prima, l’estremo difensore classe ‘93 aveva lasciato all’ultimo minuto Torino per tornare in Olanda e assistere alla nascita del figlio. Una decisione condivisa con il club, come si legge in un comunicato del Psv Eindhoven: “Walter Benítez non sarà parte della nostra squadra questa sera. Questa mattina ha lasciato l’hotel dei giocatori a Torino a causa della nascita di suo figlio. È stato concordato di comune accordo che tornerà dalla sua famiglia”.

Benítez non gioca per assistere alla nascita del figlio

L’allenatore ospite Bosz ha quindi schierato il secondo portiere Drommel, uscito dall’Allianz Stadium con tre gol subiti nel 3-1 finale. Forse le cose non sarebbero cambiate molto con il portiere titolare tra i pali, ma per Boban la sua scelta è stata clamorosamente sbagliata: “Magari non sarò moderno io, ma queste cose non le capisco: giochi una partita di Champions, non puoi mancare”, ha detto l’ex attaccante del Milan, che ha proseguito “È il tuo lavoro, giochi e poi scappi. Sarebbe potuto scendere regolarmente in campo per poi abbracciare la moglie e il bambino al suo ritorno”. Nel suo discorso Zvone lascia implicito l’allusione ai contratti milionari dei calciatori, che per alcuni giustificherebbero il suo richiamo. Le nuove generazioni, però, credono in un sistema di valori molto più umano, che predilige l’aspetto umano a quello professionale.

E così, il riferimento ai “compagni da aiutare” non ha salvato l’ex calciatore croato dalle critiche degli utenti sui social, che hanno trovato un “maschilismo” intrinseco nel suo ragionamento.
Di sicuro, ‘Zorro’ ha ragione quando dice di non essere moderno, perché negli ultimi anni il ruolo del padre sta cambiando velocemente.

Il ruolo dei papà sta cambiando

L’era del papà che porta il pane a casa e la mamma che stira è destinata a scomparire. Le mansioni di casa sono distribuite ancora in maniera diseguale, ma le nuove generazioni vogliono un sistema più inclusivo di quello ereditato dai propri genitori. Un sistema dove sia la madre che il padre possano far carriera liberamente, senza che la cura della famiglia imbrigli la donna e i suoi sogni.

Sia chiaro: non sono solo le donne a chiedere un profondo cambio di paradigma, anche i papà “moderni” vogliono avere più tempo per stare con i propri figli. Basta parlare con qualcuno di loro per capirlo, o leggere i numeri per avere un quadro ancora più chiaro. In Italia, ad esempio, il tasso di congedo di paternità è triplicato tra il 2013 e il 2022, come emerge da un’elaborazione di Save The Children su dati Inps. Essendo aumentata l’età media degli italiani che scelgono di avere un bambino, non sorprende che a richiedere il congedo siano gli uomini nelle fasce d’età comprese tra i 30 e i 39 anni (65,4%) e tra i 40 e i 49 anni (65,6%). Età in cui in Italia sei ancora considerato ‘giovane’, ma questo è un altro discorso.

Sono in costante aumento i papà-lavoratori che chiedono più tempo e flessibilità per essere coinvolti attivamente nella vita dei loro figli. Secondo un’indagine condotta da Pew Research Center, il 63% dei padri americani desidera una maggiore flessibilità lavorativa per bilanciare meglio famiglia e carriera. Anche in Italia si sta assistendo a un cambiamento culturale: un sondaggio Istat del 2022 ha rilevato che il 45% dei padri italiani vorrebbe poter trascorrere più tempo con i propri figli, ma spesso è ostacolato da dinamiche lavorative rigide e da una cultura che ancora percepisce il lavoro come prioritario rispetto alla famiglia. Un’indagine condotta da Manageritalia in collaborazione con Ipsos ha rivelato che l’85% dei manager under 45 in Italia vorrebbe avere la possibilità di trascorrere più tempo con i propri bambini, dicendosi d’accordo sul rendere obbligatorio anche il congedo parentale.

I congedi di paternità

Nonostante le richieste di mamme (nel 2022, il 63% delle dimissioni delle donne italiane è stato provocato dalla neo maternità) e papà, le norme non sono cambiate. In Italia, il congedo di paternità è di 10 giorni obbligatori e uno facoltativo solo per i padri lavoratori dipendenti, sia pubblici sia privati, retribuiti al 100%, utilizzabili tra i due mesi precedenti e quelli successivi al parto. Il congedo di maternità, invece, è di 5 mesi che possono essere distribuiti in vari modi tra i mesi prima del parto e quelli successivi.

Ci sarebbe anche il congedo parentale, che, però, spesso è un congedo di maternità mascherato, perché viene usato soprattutto dalle mamme perché, nonostante i progressi degli ultimi anni, la cura della casa e della famiglia è ancora fortemente sbilanciata a loro sfavore.
Il congedo parentale spetta ai genitori entro i primi 12 anni di vita del bambino (o dall’ingresso in famiglia in caso di adozione o affidamento) per un periodo complessivo, tra i due genitori, non superiore a dieci mesi secondo le nuove norme, elevabili a undici se il padre lavoratore si astiene dal lavoro per un periodo, continuativo o frazionato, di almeno tre mesi.

I mesi di congedo parentale possono essere utilizzati anche non consecutivamente ed essere ripartiti non equamente dalla coppia, ma nessuno dei due genitori può usufruire del congedo parentale per più di 6 mesi. I genitori possono usufruire il congedo parentale anche contemporaneamente.

La scorsa Manovra ha aumentato l’indennità del congedo parentale 2024. Con queste modifiche, l’indennità del secondo mese è salita dal 30% al 60%, che diventa 80% per il 2024. La legge di Bilancio, infatti, ha inserito una nuova norma che porterà i primi due mesi di congedo parentale a un indennizzo dell’80%.
Dal 2019 l’Unione europea ha adottato una direttiva specifica che prevede linee comuni sui congedi di paternità, stabilendo che alla nascita di un figlio o una figlia i padri hanno diritto a 10 giorni lavorativi di congedo. Una nullità rispetto al congedo obbligatorio previsto per le madri, una conferma della gender-gap che inizia tra le mura di casa e ricade su ogni aspetto della vita privata, a partire dal lavoro.

Insomma, anche le norme sul congedo sono “poco moderne” come Zvonimir Boban, ma il diritto è specchio della società, di cui segue i cambiamenti e gli stimoli. E fa sempre in tempo ad ammodernarsi.

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