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I Bajau, la popolazione che vive sott’acqua

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Se pensate di cavarvela in apnea, è arrivato il momento di ricredervi. In Indonesia, i Bajau riescono a stare sott’acqua senza l’ausilio di alcuna attrezzatura per oltre cinque minuti. Mediamente gli abitanti di questa tribù vivono sott’acqua per circa il 60% della loro giornata.

I Bajau, noti anche come “I nomadi dell’acqua”, sono una tribù nomade originaria del sud di Sulawesi, Indonesia, e oggi diffusa in tutto il sud-est asiatico, con una popolazione stimata di circa un milione di individui. Per adattarsi alle esigenze territoriali e di sopravvivenza, questo popolo ha sviluppato un’incredibile abilità: i Bajau riescono a trattenere il respiro per oltre cinque minuti e immergersi a decine di metri di profondità senza l’ausilio di attrezzature subacquee.

Ma come è possibile questo per un essere umano?

Come fanno i Bajau a vivere sott’acqua

Verrebbe quasi da definirli alieni o supereroi dato che la capacità media di apnea per la maggior parte della popolazione mondiale varia dai 30 ai 90 secondi. E invece, alla base di questa straordinaria capacità dei Bajau ci sono proprio la natura umana e i meccanismi di evoluzione.

Addirittura, alcuni membri della tribù sono in grado di immergersi fino a 70 metri e di passare fino a 8 ore al giorno sott’acqua. Questa abilità non è solo una curiosità, ma un elemento vitale per la loro sussistenza, in quanto la loro alimentazione dipende dalla pesca e dalla raccolta di conchiglie e crostacei.

La milza dei Bajau

L’adattamento dei Bajau si è tradotto principalmente nelle dimensioni della loro milza, molto più grande rispetto alla media mondiale.

Questa caratteristica è cruciale perché fornisce agli abitanti della tribù una riserva supplementare di ossigeno: la milza immagazzina sangue ossigenato, che viene rilasciato durante l’apnea, permettendo loro di restare sott’acqua per periodi prolungati. Studi scientifici hanno rivelato la presenza di un gene specifico, il PDE10A, associato proprio alla dimensione della milza dei Bajau.

Duro allenamento o selezione naturale?

Parlare di spirito di sopravvivenza è corretto, ma non basta per inquadrare la straordinaria capacità di apnea di questa tribù. Come spiega Geopop, gli scienziati si dividono sull’ingrandimento della milza dei Bajau secondo due teorie:

La plasticità fenotipica, secondo cui l’allargamento della milza deriva dall’allenamento e dalla continua pratica dell’apnea. In generale, questo meccanismo è alla base dello sviluppo dei muscoli tramite esercizio fisico;
La selezione naturale di Darwin, più accreditata della precedente. In pratica, secondo questa teoria, siccome i Bajau con una milza più grande avevano maggiori probabilità di sopravvivere e riprodursi, oggi la tribù ha una prevalenza di questo tratto genetico nella sua popolazione.

Alcune ricerche sembrano confermare la seconda teoria.

Gli scienziati, infatti, hanno confrontato le dimensioni della milza tra i Bajau pescatori, i Bajau non pescatori, e altre tribù circostanti che non praticano la pesca in apnea. I risultati hanno evidenziato che anche i Bajau non pescatori possiedono milze più grandi rispetto alle altre tribù. Chiaramente, questo suggerisce che l’adattamento sia stato genetico (teoria della selezione naturale) piuttosto che dovuto all’allenamento (teoria della plasticità fenotipica).

Non solo: il gene PDE10A, correlato alla grandezza della milza, è stato identificato anche in altre popolazioni adattate a condizioni estreme, come quelle del Tibet, che vivono ad alte altitudini e quindi con bassi livelli di ossigeno.

Possibili risvolti per la medicina

Di sicuro, i Bajau rappresentano un esempio affascinante di cosa sia in grado di fare l’essere umano per adattarsi agli ambienti estremi.

La loro capacità di immergersi per lunghi periodi ha attirato l’interesse della comunità scientifica anche per le potenziali implicazioni mediche: capire come i Bajau sfruttano al meglio le riserve di ossigeno potrebbe offrire nuovi spunti per il trattamento di condizioni mediche legate alla carenza di ossigeno come la Malattia polmonare ostruttiva cronica (BPCO), l’asma e la sindrome da apnea del sonno. La grande opportunità è studiare l’ipossia in modi non possibili in laboratorio.

Inoltre, sono in corso ulteriori ricerche per confrontare i tratti genetici dei Bajau con altre comunità di subacquei, come i Moken in Thailandia e le Haenyeo in Corea del Sud. Questi studi potrebbero fornire una comprensione più ampia di come diverse popolazioni si siano adattate in modo indipendente ad ambienti estremi simili, arricchendo ulteriormente la conoscenza dell’adattabilità fisiologica e genetica umana e magari offrendo nuove soluzioni a chi oggi soffre per patologie connesse alla carenza di ossigeno.

Un team di giornalisti altamente specializzati che eleva il nostro quotidiano a nuovi livelli di eccellenza, fornendo analisi penetranti e notizie d’urgenza da ogni angolo del globo. Con una vasta gamma di competenze che spaziano dalla politica internazionale all’innovazione tecnologica, il loro contributo è fondamentale per mantenere i nostri lettori informati, impegnati e sempre un passo avanti.

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Asma e aborto: c’è un legame?

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Le cure per l’asma sembrano essere correlate a maggiori probabilità di aborto spontaneo. A confermarlo è una ricerca danese, secondo la quale le donne che ne soffrono hanno rischi maggiori di incorrere in problemi di fertilità.

“Abbiamo scoperto che le donne che soddisfano la definizione di asma avevano un tasso più elevato di perdita fetale e un maggiore ricorso a trattamenti per la fertilità. Più grave era l’asma e più riacutizzazioni sperimentavano le donne, più era probabile che avessero bisogno di trattamenti per la fertilità”, ha affermato l’autrice principale dello studio, la dottoressa Anne Vejen Hansen, del dipartimento di medicina respiratoria presso l’ospedale universitario di Copenaghen.

Lo studio

Lo studio ha raccolto i dati di circa 770.000 donne danesi nate tra il 1976 e il 1999. Il monitoraggio è avvenuto dal 1994 al 2017, durante i loro anni riproduttivi migliori. Già nel 2021 alcune evidenze dimostravano la correlazione. La dottoressa Anne Vejen Hansen e il suo team hanno presentato i risultati martedì a Vienna, in occasione del convegno annuale della European Respiratory Society (ERS).

Ciò che è emerso è che le donne affette da asma hanno maggiori probabilità di avere un aborto spontaneo rispetto alle donne che non soffrivano di questa patologia respiratoria, con percentuali rispettivamente del 17% e del 15,7%.

Era anche più probabile che avessero una cartella clinica che dimostrasse che avevano dovuto provare un trattamento per la fertilità: il 5,6% delle donne affette da asma lo aveva fatto, rispetto al 5% delle donne senza asma.

Genitorialità a rischio?

Non solo una correlazione negativa. Lo studio ha anche evidenziato che la maggior parte delle donne affette da asma sia riuscita a superare questi ostacoli e ad avere un figlio: il 77% delle donne, indipendentemente dall’avere l’asma, è diventata madre.

“È rassicurante che le donne sembrino avere lo stesso tasso di natalità, indipendentemente dal loro asma”, ha affermato la dottoressa Lena Uller, presidente del gruppo ERS su farmacologia e trattamento delle vie aeree e responsabile del gruppo di ricerca di immunofarmacologia respiratoria presso l’Università di Lund in Svezia.

“Tuttavia, i risultati indicano anche che le donne con asma dovrebbero prendere in considerazione potenziali sfide riproduttive nella loro pianificazione familiare”, ha affermato Uller in un comunicato stampa dell’ERS. “Se le donne con asma sono preoccupate per la loro fertilità, dovrebbero parlarne con il loro medico”.

Quanto al modo in cui l’asma potrebbe interferire con la fertilità e la gravidanza, è ancora sconosciuto, ha affermato Hansen. “Potrebbe essere correlato a un’infiammazione sistemica in tutto il corpo, compresi gli organi riproduttivi delle donne”, ha ipotizzato.

I risultati, perciò, sono da considerarsi preliminari finché non saranno pubblicati su una rivista sottoposta a controprova scientifica.

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Apre a Torino la contestata ‘Stanza dell’ascolto’ per...

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A nulla sono valse le polemiche, le proteste e un ricorso al Tar (dichiarato non ‘urgente’ e dunque ancora pendente): a un anno dall’accordo tra l’Azienda ospedaliero-universitaria Città della Salute e della Scienza di Torino e il Movimento per la Vita, associazione anti-abortista di ispirazione cattolica e conservatrice, all’ospedale Sant’Anna del capoluogo piemontese ha aperto una “stanza dedicata all’accoglienza e all’ascolto” per le donne che intendono interrompere la propria gravidanza.

Si tratta di uno sportello accessibile su appuntamento, ‘liberamente’ e ‘volontariamente’ (nelle parole dell’assessore regionale alle Politiche sociali Maurizio Marrone che l’ha voluto), da chi vuole abortire e intende parlarne prima con qualcuno. Lunedì 9 settembre ha aperto ufficialmente i battenti, anche se non ci sono state richieste. Occorre precisare che se rivolgersi ai volontari della ‘stanza’ è una scelta personale, i sanitari dell’ospedale possono comunque indirizzare le donne verso questo passaggio prima di procedere all’intervento.

Dietro all’accordo, come accennato, c’è anche l’assessore Marrone, di Fratelli d’Italia, secondo cui lo sportello servirà ad aiutare le donne che desiderino “farsi aiutare nel vedere garantito il diritto ad avere i loro figli con progetti di sostegno”, e a “far superare le cause che potrebbero indurle alla interruzione della gravidanza”.

Non è ben chiaro tuttavia quali siano queste cause: tentennamenti dovuti alla pressione sociale, sensi di colpa di varia provenienza? Sicuramente c’è la volontà di fornire un supporto economico, ma si tratta di un aiuto una tantum e dunque si può dubitare che possa fare la differenza nella scelta di una persona.

L’iniziativa finanziata da soldi pubblici

Al di là dei dubbi, c’è anche un altro problema: la ‘stanza’ sarà finanziata dal ‘Fondo vita nascente’, istituito con una delibera dalla Regione Piemonte e finanziato dunque con soldi pubblici: oltre 400mila euro negli anni scorsi, quasi un milione di euro per il 2024.

Claudio Larocca, presidente regionale del Movimento per la Vita, ha detto che il fondo servirà ad acquistare materiali per la prima infanzia – ad esempio latte in polvere o pannolini – da dare a chi decide di abortire per motivi economici, in modo da motivarla a cambiare idea.

Tuttavia rimane confusione sull’utilizzo dei fondi e sul criterio con cui verrebbero erogati alle donne (tramite ISEE, graduatorie o cosa?) e anche sul loro effettivo utilizzo: secondo quanto denunciato dalle associazioni femministe e per i diritti civili, i soldi potrebbero anche essere usati per fare ‘propaganda anti-abortista’. D’altronde è lo stesso bando per il finanziamento del Fondo vita nascente a prevedere che il 35% dei fondi venga usato per consulenze esterne, pubblicità e promozione. Ricordiamo però che si tratta di soldi pubblici e che il nostro ordinamento, almeno in teoria, garantisce l’aborto.

La scelta dell’ospedale pubblico Sant’Anna nemmeno è casuale: è il primo centro in Italia per numero di parti (6414 nel 2022) e il primo in Piemonte per interruzioni volontarie di gravidanza: 2500 quelle effettuate nel 2021, il 50% di tutta la regione.

I problemi della legge 194/78

Il problema è a monte: la famosa legge 194/78 infatti non tutela il diritto di abortire in sé come espressione della libera scelta e dell’autodeterminazione della donna, quanto il diritto di accedere all’interruzione di gravidanza in presenza di “situazioni sfavorevoli”.

In pratica, la norma regola i casi in cui l’aborto non è reato e anzi prevede esplicitamente che i consultori stipulino accordi con delle associazioni che aiutino “la maternità difficile dopo la nascita”. Prevede anche che i consultori contribuiscano a far “superare le cause che potrebbero indurre la donna all’interruzione di gravidanza”. Espressione non a caso usata dall’assessore Marrone che, come sta avvenendo sempre più nel dibattito in materia, può dire che “stiamo soltanto applicando la legge”.

Ma la battaglia continua, a partire dal ricorso presentato al Tar ad ottobre 2023 dalla CGIL e dal movimento femminista Se Non Ora Quando Torino, che hanno chiesto che l’accordo venisse revocato perché in violazione dei principi della legge 194/78. La discussione del ricorso, presentato in ‘urgenza’ ma la cui urgenza non è stata riconosciuta, è stata rimandata a data da definirsi. Ora che la stanza è stata aperta, le associazioni torneranno all’attacco: “Credo che la Regione Piemonte, in completa sintonia col governo centrale, stia continuando a fare propaganda sulla famiglia e sulla natalità sulla pelle delle donne, e questo è inaccettabile”, ha commentato Anna Maria Poggio, segretaria della Cgil piemontese.

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Manovra, più incentivi per chi ha figli, fine bonus per chi...

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Le maglie sono strette, l’intenzione è chiara: con la Manovra finanziaria, il governo vuole aumentare i sostegni per chi ha figli e diminuire i bonus a chi non ne ha. L’obiettivo, dichiarato e necessario, è contrastare la denatalità, da cui dipende la tenuta del sistema Paese, incluse le Manovre future. Il ministro dell’Economia e delle Finanze Giancarlo Giorgetti ha chiarito che non si può fare tutto con le poche risorse a disposizione, (25 miliardi di euro, come la scorsa manovra).

Tra conferme e possibili cambiamenti, la Manovra dovrebbe mantenere alcuni dei pilastri della scorsa Legge di bilancio, mentre il Mef studia la possibile introduzione del quoziente familiare per le detrazioni.

Conferme: taglio del cuneo fiscale e rimodulazione Irpef

Tra le conferme più attese spicca il taglio del cuneo fiscale. Già previsto per il 2024, sarà esteso anche al 2025 e riguarderà circa 14 milioni di lavoratori, con una riduzione dei contributi previdenziali di 7 punti percentuali per i redditi fino a 25 mila euro e di 6 punti per quelli fino a 35 mila euro. Il taglio ha un costo stimato di 9,4 miliardi di euro e si traduce in un aumento dello stipendio netto di circa 100 euro al mese per circa 14 milioni di lavoratori.

Parallelamente, il governo confermerà anche la riduzione dell’Irpef, passata da quattro a tre aliquote, forse con qualche ritocco. Senza modifiche la conferma varrebbe circa 4 miliardi di euro.
Parte della maggioranza, Lega in primis, spinge per una riduzione della seconda aliquota dal 35% al 33% e dell’estensione del tetto del secondo scaglione fino ai 60 mila euro annui. Oltre, scatterebbe il terzo e ultimo scaglione con un’aliquota del 43%. Questa nuova misura coinvolgerebbe circa 8 milioni di lavoratori, il cosiddetto ceto medio, con un costo ulteriore di circa 4 miliardi.

Alcune forze politiche, come Forza Italia, spingono inoltre per l’introduzione di una zona “zero tasse” per i redditi fino a 12 mila euro. Il partito guidato da Antonio Tajani chiede anche l’innalzamento delle pensioni minime da 615 a 650 euro mensili, “con l’obiettivo di arrivare a mille euro entro la fine della legislatura”.

Detrazioni per chi ha figli: che cosa è il quoziente familiare?

Un cambiamento significativo potrebbe riguardare le detrazioni fiscali per chi ha figli. Il principio alla base di questa misura è semplice: alleggerire il carico fiscale delle famiglie numerose, riducendo o eliminando alcune detrazioni per chi non ha figli.

Per fare questo, il governo pensa al quoziente familiare, un indicatore della situazione economica delle famiglie che permette di calcolare l’imposta sul reddito non solo in base ai guadagni individuali, ma anche in base al numero di componenti del nucleo familiare. In questo modo, le famiglie con più figli potrebbero beneficiare di detrazioni più elevate e quindi pagare meno imposte.
Al momento, viene utilizzato solo in via di sperimentazione per l’agevolazione del superbonus edilizio al 90% sugli edifici unifamiliari. Il dicastero dell’Economia e delle Finanze ha già provato ad estenderne l’applicazione in occasione della scorsa legge di Bilancio, ma l’ipotesi è stata poi accantonata.

Il quoziente familiare, già adottato in altri Paesi europei come la Francia, è un indicatore più semplice rispetto all’Isee perché si ottiene dividendo il reddito complessivo del nucleo familiare per il numero dei suoi componenti in base a dei coefficienti, senza tener conto della composizione del patrimonio, come fa l’Indicatore della Situazione Economica Equivalente. Entrambi gli indicatori favoriscono le famiglie con più figli, anche se con motivazione differenti: il quoziente familiare perché divide il reddito per un numero maggiore di componenti, l’Isee perché considera la presenza di figli come un fattore che aumenta il bisogno economico della famiglia.

Gli effetti del quoziente familiare

Il quoziente familiare impatterebbe sul calcolo dell’Irpef: a parità di reddito viene avvantaggiato il nucleo familiare più grande e il risparmio aumenterebbe al crescere del reddito, avvantaggiando così le famiglie con redditi più elevati. Inoltre, l’aliquota Irpef verrebbe probabilmente applicata sull’intero reddito del nucleo e non più solamente sul reddito personale di ognuno dei componenti.

In pratica, il quoziente familiare ribalterebbe l’attuale sistema di tassazione, che è basato su redditi individuali. Infatti, oggi se i due coniugi hanno redditi diversi, vengono tassati diversamente, in base alle aliquote. Con il quoziente familiare, invece, si tasserebbe l’intero reddito del nucleo con la stessa aliquota rischiando di disincentivare il coniuge che guadagna meno.

[Qui per approfondire: come si calcola il quoziente familiare?]

Per la Manovra 2025, l’idea è di utilizzare questo sistema per determinare l’entità delle singole detrazioni. L’idea alla base è sempre la stessa: sostenere la natalità in un Paese che, secondo le previsioni, vedrà la sua popolazione in età lavorativa ridursi di 5,5 milioni di persone nei prossimi 15 anni.

Bonus mamme a rischio?

Se il taglio del cuneo fiscale e la rimodulazione dell’Irpef sembrano andare spedite verso la riconferma, non si può dire lo stesso per il bonus mamme. La conferma di questa misura, che prevede l’esenzione totale dai contributi per le lavoratrici madri con almeno due figli fino ai dieci anni, è una di quelle più in dubbio per la Manovra 2025.

Le incertezze derivano soprattutto dall’alto costo della misura e dal dibattito politico in corso su quali siano le priorità di spesa per il 2024. La sua cancellazione potrebbe comportare una riduzione del supporto diretto alle famiglie che il governo potrebbe compensare con un rafforzamento di altre misure per la natalità, come l’assegno unico (di cui il ministro Giorgetti ha smentito il taglio) e le detrazioni fiscali.

Le richieste delle famiglie numerose

La ratio con cui vuole intervenire il governo incontra le richieste delle famiglie numerose (con 3 o più figli), che recentemente si sono radunate a Brescia. La convention annuale dell’Associazione Nazionale Famiglie Numerose (Anfn) ha riunito 350 famiglie con tre o più figli provenienti da tutta Italia. Le coppie che con tre o più figli rappresentano l’8,7% del numero complessivo dei nuclei familiari; una percentuale che scende all’1% se si considerano le coppie con quattro o più figli.

L’incontro è stato un’occasione per discutere delle difficoltà che le famiglie numerose affrontano in Italia e per fare il punto sulle politiche di sostegno che, secondo molti partecipanti, sono ancora gravemente insufficienti. Nonostante la presenza simbolica della ministra per la Famiglia, Eugenia Roccella, tramite videomessaggio, il sentimento prevalente è stato di frustrazione, con numerosi genitori che hanno espresso il loro malcontento per la propria situazione anche in relazione agli altri Paesi europei.

I genitori delle famiglie numerose chiedono un impegno più concreto e incisivo da parte della politica.

A differenza di altri Paesi europei, dove le famiglie numerose ricevono sostanziali agevolazioni fiscali e sussidi, in Italia gli aiuti questi aiuti vengono spesso definiti come “briciole”. L’aumento del caro-vita ha aggravato questa condizione soprattutto perché gli effetti dell’inflazione si moltiplicano all’aumentare dei figli molto più velocemente dei benefici.

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