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Hiv, esperti: “Dialogo, personalizzazione e attenzione ad aspetti pratici essenziali per aderenza terapeutica”

Fondamentale il rapporto medico-paziente. Per chi segue la terapia orale, ausili come packaging ‘light’ e 'conta pillole' possono aiutare i pazienti nella quotidianità

Hiv, esperti:

Oggi le persone che vivono con Hiv, grazie ai progressi della ricerca e alle nuove terapie, hanno un'aspettativa e una qualità di vita molto superiori rispetto al passato. L’avanzare dell’età, però, li espone spesso alle comorbilità che altre patologie legate all’invecchiamento possono provocare, con conseguente necessità di dover seguire terapie anche per altre patologie croniche. Un aspetto, questo, che può influire sull’aderenza alla terapia antiretrovirale, in particolare per quella orale, che richiede costanza e regolarità da parte del paziente. L’aderenza, infatti, può essere faticosa per chi deve assumere una terapia tutta la vita, specie se quotidianamente.

Terapia orale: la più semplice possibile, sempre dialogando col paziente

“Nei pazienti che hanno comorbidità o che per altre questioni seguono politerapie, cioè che assumono già una terapia per via orale fatta di più compresse, la terapia antiretrovirale deve essere il più semplice possibile, perché tra l'altro la pillola della terapia per l'infezione da Hiv a volte per il paziente ha un “sapore diverso”, in senso metaforico chiaramente, perché è associata comunque a un peso psicologico”. Lo spiega Antonella Castagna, direttrice della Clinica di Malattie infettive dell'università Vita-Salute San Raffaele, Istituto scientifico San Raffaele di Milano.

“È importante trovare strategie che ricordino il meno possibile alla persona di essere Hiv positiva”, osserva Gabriella d’Ettorre, professore associato di Malattie infettive all’Università Sapienza di Roma, che prosegue: “ma un altro aspetto che contribuisce ad aiutare l'aderenza alla terapia è la spiegazione alla persona che vive con Hiv di quello che andiamo a fare insieme. Gestire l'infezione significa assumere una terapia che tenga sotto controllo il virus e soltanto nel momento in cui noi medici rendiamo edotta la persona di quello che è il compito della terapia e di quello a cui si può andare incontro nel momento in cui non la si assume, allora si stabilisce un'alleanza medico-paziente che diventa un'alleanza terapeutica che contribuisce all'ottimizzazione dell'aderenza alla terapia”.

“Bisogna conoscere il paziente e, al di là dei progressi delle terapie, risulta essenziale il rapporto fra medico e paziente per la riuscita della cura”, rimarca Elio Manzillo, direttore Uoc Immunodeficienze e Malattie dell'immigrazione, Azienda Ospedaliera Specialistica dei Colli, Ospedale Cotugno di Napoli. “Il percorso terapeutico non è una mera distribuzione di farmaci o convincere il paziente che il farmaco che gli si sta somministrando sia il migliore - prosegue - il paziente va portato per mano e seguito”.

"A volte si pensa all'aderenza terapeutica come a un insieme di fattori molto difficili da gestire - e in parte è vero anche se le terapie antiretrovirali di oggi ci hanno molto semplificato il compito - ma direi che l'ascolto del paziente e un approccio personalizzato sono fondamentali. E probabilmente dobbiamo fare ancora un po' di strada su questo aspetto”, sottolinea Castagna.

Ogni paziente ha la sua soluzione e la praticità della confezione conta

"Il messaggio chiave - specifica D'Ettorre - è che ogni persona è singola, è diversa dall'altra, non esiste la terapia adatta a tutti, esiste la terapia che deve calzare bene alla singola persona".

In quest'ottica, soprattutto per quanto riguarda la terapia orale, anche piccole attenzioni, come un packaging compatto e discreto e che, grazie all’indicazione dei giorni della settimana, aiuti a tenere il conto delle pillole, possono essere importanti per favorire l'aderenza alla terapia.

“Assolutamente, fra l’altro ne abbiamo un'esperienza diretta quando conduciamo gli studi clinici dove c'è una verifica molto più stringente del numero di pillole consegnate al paziente e restituite; quindi, tutto ciò che sembrano piccoli dettagli, ma che favoriscono l'assunzione della terapia in modo semplice, ha degli impatti anche sull'aderenza alla terapia e, in generale, sulla qualità di vita”, argomenta Castagna.

"Spesso ci sfugge che dover portare delle compresse con sé e magari aver bisogno di conservarle in un dato modo può non essere sempre facile per la singola persona, in base a quella che è la sua vita. Quindi anche il confezionamento dei farmaci diventa un aspetto importante che le aziende, devo dire, tengono in considerazione non solo per un discorso di conservazione e di trasporto ma anche per aiutare i pazienti a non dimenticare l'assunzione del farmaco. Questo è un aspetto importante perché siamo di fronte a un'infezione cronica e proprio questa cronicità di assunzione dei farmaci può essere poi causa di dimenticanza nella quotidianità", aggiunge D’Ettorre.

Si comprende bene, dunque, come anche un packaging che incontra le esigenze di flessibilità del paziente, assume un ruolo non trascurabile nel difficile equilibrio psicologico che una aderenza terapeutica ottimale richiede.

Peraltro, le persone che vivono con Hiv sono coscienti di avere più opzioni terapeutiche a disposizione, esponendoli però anche al rischio di una minore aderenza: “Essere consapevoli di avere a disposizione più opportunità terapeutiche efficaci e meno tossiche spesso fa sì che si abbassi il livello di aderenza dei pazienti. Infatti, rispetto ai pazienti del passato quelli di oggi partono in condizioni migliori - chiarisce Manzillo -. Le persone che noi osserviamo come naive (coloro che non ha mai assunto una determinata molecola, ndr) hanno una situazione immunologica di base sicuramente discreta, il che permette loro di rispondere meglio alla terapia farmacologica ma che non deve indurli ad abbassare la guardia”, conclude Manzillo.

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Salute e Benessere

Fargnoli (Sidemast): “Per cura psoriasi...

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'Sono loro a dover inviare i pazienti dallo specialista, preoccupa ancora abbandono delle terapie appena c'è un miglioramento'

Fargnoli (Sidemast):

Anche 12 anni di attesa prima di ottenere le prime terapie specifiche. Per i pazienti con psoriasi curarsi è un'odissea. "I motivi del ritardo nell'inizio dei trattamenti sono da cercare nel territorio. Dobbiamo sensibilizzare i medici di medicina generale a inviare i pazienti dallo specialista, ma anche sensibilizzare lo stesso paziente". Lo ha detto Maria Concetta Fargnoli, ordinaria di Dermatologia e Venereologia presso l'Università dell'Aquila e vicepresidente di Sidemast (Società italiana di dermatologia e delle malattie sessualmente trasmesse), intervendo alla conferenza stampa a Roma sull'approvazione della rimborsabilità per il farmaco orale deucravacitinib.

L'altro problema è che il paziente rinuncia con facilità alle cure. "C'è una preoccupante tendenza - fa notare Fargnoli - all'abbandono delle terapie appena c'è un miglioramento, oppure si dilazionano gli intervalli di assunzione del farmaco senza che venga indicato dal medico. Problemi che nascono dalla sottovalutazione della condizione".

Al momento "per la psoriasi moderata severa abbiamo diverse terapie – spiega Fargnoli all'Adnkronos Salute - farmaci convenzionali che hanno sicuramente il limite in termini di efficacia, ma soprattutto di trattamento a lungo termine per la tossicità, e poi abbiamo i farmaci innovativi tra cui biologici e piccole molecole. I biologici di prima generazione sono molto efficaci, ma vengono spesso percepiti troppo forti dal paziente che invece vorrebbe, soprattutto nelle forme moderate, un trattamento meno aggressivo". Tra le richieste dei pazienti "un farmaco che riduca il burden infiammatorio e quelle che sono le comorbidità associate che necessitano una presa in carico multidisciplinare e quindi una collaborazione tra dermatologo, reumatologo, gastroenterologo, solo per fare alcuni esempi. Questa nuova molecola può aiutare i pazienti ad uscire dal guscio e riprendersi la loro vita, perché spesso a causa della psoriasi evitano le relazioni sociali", conclude.

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Salute e Benessere

Processo al vino, condannato solo per rischi nei minori e...

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UOMO UBRIACO DAVANTI A BOTTIGLIA DI VINO, FOTO SIMBOLICA DI ALCOLISMO ALCOL (/Fotogramma, MILANO - 2004-10-12) p.s. la foto e' utilizzabile nel rispetto del contesto in cui e' stata scattata, e senza intento diffamatorio del decoro delle persone rappresentate - FOTOGRAMMA

Il vino fa male alla salute? Va condannato o assolto? La sentenza è stata pronunciata al termine di un processo in piena regola che si è celebrato ieri sera a Milano, promosso dall'Ordine dei medici provinciale OmceoMi: vino "colpevole", ma solo in parte, "per il fatto di essere certamente pericoloso per i soggetti vulnerabili, per i minorenni e per le donne in stato di gravidanza", e per questo "condannato a 18 mesi di lavori socialmente utili da scontare in un'azienda che produce vino analcolico". Vino "assolto", invece, "per i principali capi di imputazione (112, 590, 589 co. I e IV del codice penale), perché il fatto non costituisce reato".

La difesa esulta: "Si è confuso l'uso consapevole e moderato, che ha portato all'assoluzione, con l'abuso che invece è molto pericoloso, ma che non riguardava i capi d'imputazione. Tutti gli allarmi lanciati dagli esperti riguardano prevalentemente proprio l'abuso. Su cui tutti siamo d'accordo", si legge in una nota diffusa dopo il dibattimento che si è svolto nella sede di Confcommercio, presentato dall'ex rettore dell'università Statale meneghina, Elio Franzini, e diretto da Nunzia Gatto, già avvocato generale al Palazzo di Giustizia di Milano, incaricata dal presidente del tribunale Fabio Roia. Il vino è stato rappresentato dal produttore Walter Massa. Portavoce dell'accusa il magistrato Eugenio Fusco ("a differenza di quanto si dice il vino non ha effetti benefici", ha sostenuto nell'arringa), supportato dai testi Andrea Arighi (direttore Ssd Neurologia-Malattie neurodegenerative Policlinico Milano), Irene Cetin (direttrice Sc Ostetricia e Ginecologia Policlinico Milano) e Alberto Martelli, pediatra. Rappresentanti della difesa le avvocate Ilaria Livigni e Giorgia Andreis, sostenute dai testi Luigi Saverio Belli (direttore Sc Epatologia e Gastroenterologia Niguarda Milano), Stefano Carugo (direttore Uoc Cardiologia Policlinico Milano) e Vito Intini (presidente Onav, Organizzazione nazionale assaggiatori vino).

Le perizie sono state affidate ai medici legali Riccardo Zoja, Arnaldo Migliorini e Giuseppe Deleo, mentre la giuria era composta da Pierluigi Vecchio (direttore Federazione nazionale Ordini dei medici Fnomceo), Andrea Senna (presidente odontoiatri OmceoMi), Roberto Monaco (presidente Ordine medici Siena e segretario Fnomceo) e Filippo Anelli (presidente Fnomceo). "Questa sentenza rispecchia ciò che è emerso dal dibattimento - dichiara Roberto Carlo Rossi, presidente OmceoMi - Attenzione alle persone fragili, ai giovani e giovanissimi, alle donne in gravidanza, dove il vino può davvero essere pericoloso. Attenzione all'abuso, certamente. Ma nessuna evidenza scientifica reale attesta che il vino consumato correttamente sia dannoso per la salute e debba essere vietato".

Per il pediatra Martelli, pro-accusa, "in Italia i numeri relativi al consumo di etanolo fra i giovani sono davvero allarmanti. Il vino sembra però rientrare in questo fenomeno molto marginalmente, perché i giovani abusano perlopiù di superalcolici. Per i minori un percorso educazionale appare essere non più rimandabile in ambito famigliare e scolastico". Il neurologo Arighi avverte che "il consumo eccessivo e cronico di vino comporta gravi danni neurologici, sia a breve che a lungo termine. L'alcol, metabolizzato in acetaldeide, una sostanza tossica, causa stress ossidativo e danni alle cellule nervose. In acuto l'abuso di vino può portare a intossicazione alcolica e crisi epilettiche, nonché ad un aumentato rischio di ictus", mentre "l'assunzione cronica può causare patologie come la demenza alcolica, la neuropatia periferica, oltre a compromettere gravemente la memoria e le funzioni cognitive". Per la ginecologa Cetin, il vino "nuoce al feto durante tutta la gravidanza. Se si pianifica una gravidanza, è opportuno non bere vino e alcolici già dal mese precedente il concepimento perché l'alcol determina modificazioni epigenetiche ai gameti, anche a quelli maschili, che si formano nei 70 giorni precedenti il concepimento. Gli effetti tossici del vino sono principalmente legati al danno neuronale causato dall'etanolo e alla perdita neuronale conseguente. Queste condizioni sono poi associate anche a potenziali esiti nella vita futura".

La difesa sottoscrive i rischi dell'abuso, ma aggiunge altre osservazioni. "Il vino fa male al cuore? In assoluto no - dice il cardiologo Carugo - Le linee guida cardiologiche raccomandano 2 bicchieri (meglio vino rosso) per i maschi e 1 per le donne al giorno, e in generale non più di 100 grammi di alcool la settimana. I polifenoli (resveratrolo) esercitano un'attività antiossidante e antinfiammatoria, e fanno parte in toto della dieta mediterranea assai cardioprotettiva. Ovviamente il vino va assunto con moderazione, ma la complessità ed eterogeneità della 'matrice vino' è il veicolo ideale per aumentarne biodisponibilità e potenziali effetti biologici. L'azione pleiotropica, sinergica e additiva dei diversi fenoli potrebbe spiegare l'effetto protettivo esercitato dal vino anche a fronte di basse concentrazioni". E per non rovinarsi il fegato? "Il limite della moderazione viene abitualmente posto a 2 unità alcoliche al giorno per la donna e a 3 unità alcoliche al giorno per l'uomo - risponde l'epatologo Belli - Una unità alcolica corrisponde a circa 10 grammi di alcol, il contenuto di bicchiere di vino o di una birra da 250 cc. Il vino, anche in piccole quantità, è invece sconsigliabile nei soggetti che dovessero avere malattie epatiche concomitanti soprattutto se avanzate, come la cirrosi da qualunque causa. L'uso smodato dell'alcol è un capitolo a sé stante e può essere causa di malattia di 2 organi: il fegato, fino allo sviluppo di cirrosi, e il cervello quando si instaura dipendenza. Condizioni che nulla hanno a che vedere con il consumo moderato e raccomandato".

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Salute e Benessere

Medicina, diagnostica per immagini sempre più centrale...

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Gli interventi del radiologo Gualdi nei prossimi congressi

Medicina, diagnostica per immagini sempre più centrale nella sicurezza degli atleti

La frontiera della cardiologia viene applicata allo sport, e in particolare alle risposte degli atleti agli stress cardiaci. I casi drammatici e recenti di problemi cardiaci riscontrati durante le competizioni hanno riacceso il dibattito sulla salute degli sportivi e sulle potenzialità della medicina di leggere in anticipo i rischi e individuare le soluzioni. Anche di questo si parlerà il prossimo 25 ottobre a Roma con Gianfranco Gualdi, direttore scientifico del servizio di Diagnostica per immagini dell’Istituto di Medicina e scienze dello sport del Coni, terrà una relazione sulle “modificazioni che possono verificarsi negli atleti sottoposti ad attività agonistica a carico delle strutture cardiache con individuazione del sottile margine tra fisiologico e patologico al fine di accertarne l’idoneità sportiva”. L’intervento è inserito all’interno del 21.simo Congresso Romacuore 2024, organizzato da Collegio federativo di Cardiologia che avrà come tema centrale ‘il ruolo dell’imaging avanzato nelle idoneità sportive: tra fisiologia e patologia’.

Verranno invece descritte nel corso del 107.simo Congresso nazionale Siot, Società italiana di ortopedia e traumatologia, le ultime scoperte mediche sull’instabilità post-traumatica acuta e cronica della spalla nell’atleta. Nell’ambito dell’evento, previsto a Roma dal 29 e il 31 ottobre, è previsto infatti l’intervento di Gualdi che nasce dall’esperienza maturata nel settore sportivo. Partendo dalle modificazioni con coinvolgimento delle strutture anatomiche della spalla, nel suo intervento, il professore, già direttore dell’Unità operativa complessa di Radiologia d’Urgenza del Policlinico Umberto I di Roma, punterà a dimostrare le alterazioni che possono verificarsi a carico delle strutture legamentose e tendinee, oltre che a carico della cartilagine e dei capi ossei e delle strutture muscolari.

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