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Biden ritira la candidatura: “Stop nell’interesse degli Stati Uniti, pieno appoggio a Kamala Harris”

L'annuncio in una lettera postata sui social. Harris: "Mi guagagnerò la nomination"

Joe Biden - Afp

Joe Biden, presidente degli Stati Uniti, annuncia ufficialmente il ritiro della candidatura per le elezioni in programma il 5 novembre 2024. Il presidente comunica la decisione con una lettera diffusa dal proprio profilo X: non sarà lui a sfidare Donald Trump per la Casa Bianca. In pole position c'è l'attuale vicepresidente, Kamala Harris.

"È stato il più grande onore della mia vita servire come vostro Presidente. E sebbene fosse mia intenzione ottenere la rielezione, credo - scrive - che sia nel miglior interesse del mio partito e del Paese che io mi ritiri e mi concentri esclusivamente sull’adempimento dei miei doveri di Presidente per il resto del mio mandato".

Biden, attualmente in isolamento per covid, cede sotto il pressing di un numero crescente di esponenti del partito democratico. Il passo indietro viene formalizzato a poco meno di un mese dal disastroso confronto televisivo con Donald Trump andato in onda il 27 giugno sulla Cnn. Biden è stato protagonista di una prestazione estremamente negativa, che ha innescato dubbi e domande sulle capacità fisiche e cognitive del presidente. Le successive apparizioni pubbliche, compresa una conferenza successiva al vertice Nato a Washington, non hanno consentito a Biden di recuperare la fiducia dell'universo dem e dei finanziatori: oggi, la resa.

Biden: "Pieno appoggio a Kamala Harris"

Il presidente ha poi fornito ''pieno supporto e appoggio a Kamala come candidata del nostro partito quest'anno''. Su 'X', Biden ha rivolto quindi un appello ai ''democratici'' dicendo che ''è tempo di unirci e battere Trump. Facciamolo''.

Il presidente Usa ha spiegato che di aver ''deciso di non accettare la candidatura e di concentrare tutte le mie energie sui miei doveri di Presidente per il resto del mio mandato. La mia primissima decisione come candidato del partito nel 2020 è stata quella di scegliere Kamala Harris come mia Vicepresidente. Ed è stata la decisione migliore che abbia mai preso''.

Il presidente e la vice hanno avuto un colloquio oggi, secondo una fonte citata dalla Cnn, che però non precisa quando esattamente i due abbiano parlato.

Harris: "Pronta a guadagnarmi la nomination"

Harris ha detto di essere ''onorata di avere l'appoggio del presidente'' e di volersi ''guadagnare e conquistare la nomination''. In una nota rilasciata dalla campagna elettorale di Biden-Harris, la vice presidente ha sottolineato che ''mancano 107 giorni alle elezioni. Insieme combatteremo. E insieme vinceremo''.

Harris ha aggiunto che ''nel corso dell'anno passato ho viaggiato in tutto il paese, parlando con gli americani della scelta chiara sa fare in questa elezione importante. Ed è ciò che continuerò a fare nei giorni e nelle settimane a venire. Farò tutto ciò che è in mio potere per unire il Partito Democratico e unire la nostra nazione, per sconfiggere Donald Trump e il suo estremo Project 2025''.

I finanziatori appoggiano Kamala

I principali donatori Dem hanno intanto espresso il loro sostegno a Harris come candidata alla presidenza Usa prima che il presidente ufficializzasse il suo ritiro, riporta la Cnn citando tre fonti ben informate secondo le quali diversi donatori avevano contattato il team della vicepresidente Harris per farle sapere che sarebbero stati disposti a sostenerla se si fosse candidata. ''Se qualcosa cambia, noi siamo lì per te'', aveva detto uno dei principali donatori.

Le donazioni più ingenti alla campagna per la rielezione di Biden si erano ridotte notevolmente nelle settimane successive al dibattito sulla Cnn con Donald Trump e alla conseguente crisi di fiducia nel Partito Democratico.

Secondo una fonte coinvolta nelle discussioni, i grandi donatori che avevano trattenuto gli assegni a causa delle preoccupazioni sulla candidatura di Biden hanno improvvisamente iniziato a contattare i loro consulenti, esprimendo la loro disponibilità a donare alla campagna.

Le parole di Obama e Clinton

''Joe Biden è stato uno dei presidenti americani più importante, nonché un caro amico e alleato per me. Oggi, ci è stato anche ricordato, ancora una volta, che è un patriota di primissimo ordine'', ha scritto su 'X' l'ex presidente degli Stati Uniti Barack Obama, senza esprimere il proprio sostegno a Kamala Harris.

L'ex presidente Bill Clinton e l'ex segretario di Stato degli Stati Uniti Hillary Clinton hanno invece reso noto l'appoggio pubblico alla vicepresidente. ''Siamo onorati nell'unirci al presidente nel sostenere la vice presidente Harris e faremo tutto ciò che è possibile per sostenerla''. In una nota i Clinton scrivono che ''abbiamo vissuto molti alti e bassi, ma niente ci ha reso più preoccupati per il nostro Paese rispetto alla minaccia posta da un secondo mandato di Trump'', che ha ''promesso di essere un dittatore dal primo giorno''. ''Ora è il momento di sostenere Kamala Harris e combattere con tutti i mezzi che abbiamo per eleggerla. Il futuro dell'America dipende da questo'', hanno aggiunto.

Anche il potente Congressional Black Caucus (Cbc), il caucus interno al Congresso composto da deputati e senatori afroamericani, ha espresso il suo ''pieno sostegno'' a Kamala Harris come candidata alla Casa Bianca. ''E' stata determinante nel raggiungere i risultati degli ultimi 3,5 anni e ha avuto un ruolo chiave per la riduzione dei tassi di mortalità materna, la protezione delle libertà riproduttive e la garanzia di opportunità economiche per tutti", si legge in una dichiarazione congiunta. "Farà un lavoro eccellente come Presidente degli Stati Uniti", prosegue la nota firmata dal presidente del Congressional Black Caucus, il deputato Steven Horsford, democratico del Nevada, e il presidente del comitato d'azione politica del Cbc, il deputato Gregory Meeks, democratico dello Stato di New York.

L'annuncio ufficiale

"Miei cari concittadini americani". Inizia così la lettera di Biden nella quale il presidente uscente annuncia lo stop alla corsa per la Casa Bianca. "Negli ultimi tre anni e mezzo abbiamo fatto grandi progressi come Nazione", rivendica il presidente.

"Oggi - scrive Biden - l’America ha l’economia più forte del mondo. Abbiamo fatto investimenti storici nella ricostruzione della nostra nazione, nella riduzione dei costi dei farmaci da prescrizione per gli anziani e nell'espansione dell'assistenza sanitaria a prezzi accessibili a un numero record di americani. Abbiamo fornito cure essenziali a un milione di veterani esposti a sostanze tossiche. Approvato la prima legge sulla sicurezza delle armi in 30 anni. Nominato la prima donna afroamericana alla Corte Suprema. Approvato la legislazione sul clima più significativa nella storia del mondo. L’America non è mai stata in una posizione migliore per guidare di quanto lo siamo noi oggi. So che niente di tutto questo avrebbe potuto essere fatto senza di voi, il popolo americano. Insieme, abbiamo superato una pandemia che capita ogni secolo e la peggiore crisi economica dai tempi della Grande Depressione. Abbiamo protetto e preservato la nostra democrazia. E abbiamo rivitalizzato e rafforzato le nostre alleanze in tutto il mondo".

"È stato il più grande onore della mia vita servire come vostro Presidente. E sebbene fosse mia intenzione ottenere la rielezione, credo - annuncia - che sia nel miglior interesse del mio partito e del Paese che io mi ritiri e mi concentri esclusivamente sull’adempimento dei miei doveri di Presidente per il resto del mio mandato".

"Permettetemi - scrive quindi Biden - di esprimere la mia più profonda gratitudine a tutti coloro che hanno lavorato così duramente per vedermi rieletto. Voglio ringraziare il Vicepresidente Kamala Harris per essere stato un partner straordinario in tutto questo lavoro". Biden esprime quindi "il mio sincero apprezzamento al popolo americano per la fede e la fiducia che avete riposto in me".

"Credo oggi a quello in cui ho sempre creduto, non c'è nulla che l'America non possa fare - quando lo facciamo insieme. Dobbiamo solo ricordarci che siamo gli Stati Uniti d'America", la conclusione della missiva del presidente Biden. Intanto la first lady Jill ha ripostato su 'X' la nota con cui il presidente ha annunciato la sua decisione con una emoji a forma di cuore.

Le reazioni Usa

Biden ha fatto la cosa giusta appoggiando Kamala Harris dopo aver abbandonato la corsa, ha detto alla Cnn il copresidente della campagna Cedric Richmond. "L'ha scelta come sua compagna di corsa. Ha avuto la possibilità di vedere quanto è intelligente, tenace e brava", ha detto Richmond, spiegando tra l'altro di essere stato avvisato della decisione del presidente prima dell'annuncio pubblico. "Joe Biden, nella storia della sua carriera, ha sempre messo il Paese al primo posto", ha detto del presidente che si è ritirato dalla corsa. “Questo ne è un altro esempio”. Richmond se l'è presa con i grandi donatori che hanno ritirato il sostegno economico a Joe Biden nelle ultime settimane, dopo la disastrosa performance del presidente Usa al dibattito con Trump. “Senza soldi non si vince e poi avrebbero puntato il dito contro il candidato. Avrebbero dato la colpa a Biden”, ha detto Richmond. “Per un presidente che ha realizzato così tanto, era una situazione senza via d’uscita”. “Ora quei donatori devono fare un passo avanti”, ha aggiunto.

''Oggi l'America è un posto migliore'', grazie ai risultati ottenuti dall'Amministrazione Biden. Così il leader della minoranza democratica alla Camera, Hakeem Jeffries, ha commentato la decisione. ''Il presidente Joe Biden è uno dei leader più affermati e influenti nella storia americana. In meno di un mandato, ha salvato la nazione da una pandemia che si verifica una volta ogni secolo, ha riportato l'economia dall'orlo della recessione, ha promulgato una legislazione importante per gli americani di tutti i giorni e ha salvato la nostra democrazia sconfiggendo l'insurrezionista in capo'', ha affermato Jeffries. ''L'America è un posto migliore oggi perché il presidente Joe Biden ci ha guidato con intelletto, grazia e dignità. Gli saremo eternamente grati'', ha sottolineato dopo che, nei giorni scorsi, aveva illustrato a Biden le preoccupazioni dei democratici.

L'ex presidente della Camera Nancy Pelosi ha espresso apprezzamento per la decisione del presidente. "Il presidente Joe Biden è un americano patriota che ha sempre messo il nostro Paese al primo posto. La sua eredità di visione, valori e leadership lo rendono uno dei presidenti più importanti nella storia americana", ha affermato Pelosi. Senza mai citare Kamala Harris e quindi senza esprimere il suo sostegno nei suoi confronti, Pelosi ha detto che ''Dio ha benedetto l'America con la grandezza e la bontà di Joe Biden''.

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Esteri

Ucraina, attacco-terremoto: distrutto arsenale Russia, cosa...

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Oltre 100 droni colpiscono un deposito di munizioni, armi e missili: colpo durissimo per Mosca

Le esplosioni in Russia

Un attacco paragonabile a un terremoto per cambiare la guerra. L'Ucraina sferra un colpo durissimo alla Russia, con un'offensiva che rischia di condizionare le strategie di Mosca nel conflitto. Un'ondata di oltre 100 droni lanciata da Kiev, supera il confine e arriva nell'area di Toropets, a quasi 500 km dalla capitale ucraina, e riduce in cenere uno dei principali depositi di munizioni e missili del ministero della Difesa russo.

Le esplosioni in serie producono un effetto tale da 'svegliare' i sismografi, che si attivano come se si fosse verificato un terremoto. Gli incendi si diffondono per un'area larga oltre 6 km nella regione di Tver, tra gli 11mila civili che vivono nell'area sono molti quelli chiamati ad abbandonare la propria abitazione.

Armi e missili in fumo

Andriy Kovalenko, a capo del centro per il contrasto alla disinformazione di Kiev, delinea la portata dell'azione ucraina: nei depositi, capaci di contenere armi e munizioni per centinaia di tonnellate, si trovavano missili S-300, S-400, sistemi Grad, Iskander e i Kn24 nordcoreani. Probabilmente, nelle strutture erano stoccate anche 'bombe plananti', che negli ultimi mesi hanno colpito obiettivi militari e civili.

L'arsenale colpito è una delle due strutture presenti nell'area. L'altra, già nei mesi scorsi, era stata colpita dai droni di Kiev. Il deposito di missili e munizioni era stato costruito a Toropets nel 2018 ed era stato presentato come una struttura di massima sicurezza.

I media ucraini attribuiscono i meriti ai servizi di sicurezza di Kiev, all'intelligence della Difesa e alle Forze speciali. L'attacco viene ampiamente discusso nei canali Telegram dei cosiddetti mil-blogger russi, esperti che monitorano il conflitto e spesso forniscono informazioni che non vengono ufficialmente diffuse. Il danno subito dalle forze armate russe, scrive in particolare Anastasia Kashevarova, è notevole: "Dopo 3 anni di operazione speciale siamo ancora a questo livello di idiozia".

Kiev ha usato droni o missili?

Ci si interroga sui mezzi utilizzati da Kiev: possibile che i droni siano riusciti a infliggere danni di portata così pesante? I depositi sono stati colpiti da missili a lungo raggio? Le domande si inseriscono nel dibattito di queste ultime settimane, caratterizzate dal pressing di Kiev per ottenere l'autorizzazione ad utilizzare i missili a lungo raggio - gli Atacms americani e gli Storm Shadwo anglofrancesi - contro obiettivi militari russi: basi e, appunto, depositi di armi.

La Russia, in ogni caso, continua a disporre di una macchina bellica capace di produrre ogni mese 42-56 missili balistici, 90-115 missili a lungo raggio e 500 droni, secondo le stime diffuse da Forbes.

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Esteri

Libano, esplodono walkie talkie. Hezbollah promette...

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Nuovo attacco con 20 morti e centinaia di feriti

Attacco con walkie talkie esplosivi

Un nuovo attacco contro Hezbollah in Libano. Dopo i cercapersone esplosivi, ecco i walkie talkie e le radio: altro esplosivo nei dispositivi, altri 20 morti e circa 450 feriti. Come per l'offensiva hi-tech attuata con i pager, nessuna rivendicazione da parte di Israele: né conferme, né smentite. Hezbollah, così come Hamas e Iran, non ha dubbi sulle responsabilità.

Cosa è successo

Tra le ricostruzioni, spicca quella del canale saudita all news al-Sharq, che cita una fonte di alto profilo della sicurezza libanese: "Sono stati piazzati dal Mossad" gli esplosivi all'interno dei walkie talkie saltati in aria. Ci sarebbero state 15-20 esplosioni nei sobborghi meridionali di Beirut ed altre 15-20 esplosioni nel sud del Paese.

I walkie talkie sono nettamente meno diffusi tra i militanti di Hezbollah rispetto ai cercapersone esplosi in massa martedì. Vengono distribuiti, infatti, solo alle persone che organizzano eventi come funerali e marce. Nonostante ciò, il bilancio dell'attacco è considerevole e secondo fonti israeliane i numeri sarebbero superiori a quelli comunicati dalle autorità libanesi.

"Questi attacchi saranno certamente puniti, ci sarà una vendetta sanguinosa", dice Hashem Safieddine, capo del Consiglio esecutivo di Hezbollah, oltre che cugino del leader del gruppo, Hassan Nasrallah, che oggi dovrebbe tenere un discorso. "Condanniamo fermamente la rinnovata e continua aggressione sionista contro il fraterno popolo libanese", la posizione assunta da Hamas, con una nota nella quale si denuncia che le esplosioni degli ultimi due giorni "ora minacciano la sicurezza e la stabilità della regione".

Israele prepara la nuova fase della guerra

L'attenzione di Israele si sta spostando da Gaza verso il fronte settentrionale ed il confine con il Libano dal momento che sta iniziando una "nuova fase" della guerra, dice il ministro della Difesa israeliano, Yoav Gallant, rivolgendosi al personale dell'aeronautica militare israeliana presso la base aerea Ramat David, situata non lontano da Haifa.

"Il centro di gravità si sta spostando verso nord. Stiamo dirottando forze, risorse ed energie verso nord", dice il ministro, secondo quanto riferito dal suo ufficio. "Credo che siamo all'inizio di una nuova fase di questa guerra e dobbiamo adattarci", aggiunge Gallant, ribadendo che gli obiettivi di Israele nel nord sono "chiari e semplici: riportare gli abitanti nelle loro case in sicurezza".

I segnali vengono colti dal Libano, che si prepara a "possibili scenari" di guerra con Israele come dice il premier ad interim libanese, Najib Mikati, dopo una riunione della Commissione la gestione delle crisi e dei disastri.

A capo della Commissione, il ministro dell'Ambiente Nasser Yassin afferma che in vista di un attacco di Israele stanno approntando rifugi per la popolazione e che ci sono un centinaio di scuole a disposizione. Quanto alle scorte di cibo, secondo Yassin "sono sufficienti per oltre tre mesi e una nave con 40mila tonnellate di cereali e farina sta per arrivare in Libano".

Si muove l'Onu

Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite si riunirà venerdì per discutere dell'ondata di esplosioni. Lo ha indicato un portavoce della presidenza slovena del Consiglio. La riunione, richiesta dall'Algeria, è in programma alle 15 ora locale (le 9 in Italia). Intanto il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres chiede uno stop agli attacchi hi-tech. "Penso che sia molto importante che ci sia un controllo effettivo degli oggetti civili, che non vengano armati. Questa dovrebbe essere una regola che i governi di tutto il mondo dovrebbero essere in grado di attuare", dice durante una conferenza stampa a New York.

Secondo il segretario generale, "la logica di far esplodere tutti questi ordigni" sembra essere quella di "un attacco preventivo prima di una grande operazione militare”, motivo per cui questo incidente, attribuito a Israele, dimostra che esiste un "serio rischio" di escalation regionale.

Da Washington, infine, la Casa Bianca ribadisce l'estraneità degli Usa: "Non siamo stati coinvolti in alcun modo negli incidenti" in Libano, dice il portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale della Casa Bianca, John Kirby, in un briefing con i giornalisti, ribadendo: "Vogliamo che la guerra finisca, tutto quello che abbiamo fatto è destinato a impedire l'escalation del conflitto".

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Esteri

Elezioni Usa, lo spettro di un altro 6 gennaio in caso di...

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Forse meno violento di quello di quattro anni fa, quando migliaia di sostenitori di Trump assaltarono il Congresso, ma con un impatto ancora più allarmante sulla tenuta istituzionale

Donald Trump e Kamala Harris - Afp

Kamala Harris continua a salire nei sondaggi, ma i democratici sono agitati dallo spettro di un altro 6 gennaio in caso di sua vittoria alle elezioni presidenziali di novembre. Forse meno violento e insurrezionale di quello di quattro anni fa, quando migliaia di sostenitori di Donald Trump assaltarono il Congresso nel tentativo di impedire la certificazione della vittoria di Joe Biden. Ma potrebbe avere un impatto ancora più allarmante e dilaniante sulla tenuta istituzionale e costituzionale degli Stati Uniti, fondata sul trasferimento pacifico dei poteri.

Lo scenario da incubo per i dem

Secondo Politico, lo scenario da incubo per i democratici prevede che nonostante la vittoria di Harris alla Casa Bianca, i repubblicani mantengono la maggioranza alla Camera, dando così allo Speaker Mike Johnson la possibilità di trovare i modi di ostacolare, se non bloccare del tutto la conta dei voti elettorali, cosa che farebbe ricadere sulla Camera l'ultima parola sull'elezione presidenziale, come previsto dal 12esimo emendamento della Costituzione.

Non bisogna dimenticare che l'allora poco conosciuto deputato della Louisiana nel 2020 guidò il ricorso dei repubblicani alla Corte Suprema in cui si chiedeva di rovesciare i risultati degli stati chiave, che sancivano la vittoria di Biden.

L'iniziativa fu benedetta personalmente da Trump, che anche in virtù di questo lo scorso ottobre ha dato il placet all'elezione di Johnson a Speaker. Ed ora a meno di due mesi dal voto, il leader repubblicano sta cercando di far passare una legge per impedire quelle che definisce la manovre dei dem per far votare in massa immigrati illegali. Accuse che fanno capire come la leadership del partito repubblicano, ormai largamente allineato su posizioni Maga, in caso di nuova sconfitta del tycoon, potrà appoggiare con forza le eventuali nuove denunce di brogli da parte di Trump.

Le conferme nei sondaggi

Una posizione diffusa anche tra la base elettorale, dal momento che un sondaggio di World Justice Project, rilanciato da The Hill, mostra che il 46% degli elettori repubblicani non è pronto ad accettare i risultati elettorali come legittimi in caso di vittoria dem. E il 14% di questi si dice pronto ad intraprendere azioni per rovesciare i risultati. Va comunque sottolineato che anche un 27% di elettori democratici si dice non disposto a riconoscere una vittoria repubblicana, con un 11% pronto a passare dalle parole ai fatti.

Interpellate da Politico, fonti dell'entourage dello Speaker liquidano i timori dei democratici come parte di una strategia tesa a raccogliere più fondi per la campagna per la riconquista della Camera. E di una "narrativa allarmista" riguardo ad una vittoria Gop che ha contribuito a portare ai due tentati assassinii di Trump. Un altro repubblicano vicino a Johnson poi afferma di dubitare che lo Speaker potrebbe cedere così facilmente ai desideri di Trump.

Non bisogna dimenticare poi che, in caso di vittoria dem alla Casa Bianca, Harris, che fino al 20 gennaio continuerà ad essere vice presidente, si troverà, in qualità di presidente del Senato, a presiedere la seduta per la certificazione di voti elettorali. Come il 6 gennaio 2021 fece, una volta sgombrato il Congresso dei rivoltosi, Mike Pence, reo agli occhi di Trump e dei suoi sostenitori di non aver accolto la richiesta del presidente uscente di bloccare la certificazione.

La nuova legge sulla conta dei voti, cosa può accadere

Inoltre, nel 2022 è stata passata una nuova legge che rende più difficile bloccare la conta dei voti elettorali: se prima bastava l'opposizione di un singolo membro per accogliere un'obiezione ora è richiesto il 20% di ciascuna delle due Camere. Ma tra i timori dei democratici c'e' anche quello che Johnson possa ottenere abbastanza repubblicani per bloccare alcuni voti elettorali cruciali, o cercare di riscrivere le regole che governano la sessione per la certificazione dei voti elettorali del 6 gennaio, con l'obiettivo di rendere più facili le contestazioni.

O addirittura cercare di ritardare la seduta che per legge deve essere convocata per il 6 gennaio. Il tutto avendo bene in testa che nessun candidato riceve almeno 270 voti elettorali certificati, la Costituzione prevede quella che viene chiamata la "contingent election", una sorta di elezione di emergenza, con la Camera che elegge il presidente e il Senato il vice presidente. Un procedimento che favorirebbe i repubblicani dal momento che ogni stato deve esprimere un solo voto - quindi anche i tanti piccoli stati a guida Gop avrebbero lo stesso peso di quelli più popolosi, come California e New York, di orientamento dem - e quindi è necessaria una maggioranza di almeno 26 stati.

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