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I nostri cervelli sono fatti per essere collegati: lo studio di Huw Green

“Nessuno si salva da solo” non è solo il titolo di un romanzo di Margaret Mazzantini, ma è anche il risultato raggiunto da uno studio pubblicato sul The Guardian con un titolo eloquente: “The big idea: why your brain needs other people” (La grande idea: perché il tuo cervello ha bisogno di altre persone”).

Per l’autore Huw Green, psicologo clinico e neuropsicologo, le relazioni con gli altri sono così potenti da influenzare i nostri ricordi, la nostra parte cognitiva. “Il lavoro clinico e l’esperienza di vita hanno rivelato i modi in cui, sorprendentemente, la cognizione è anche qualcosa che avviene all’interno delle nostre relazioni con altre persone. Sembra controintuitivo nell’era delle neuroscienze, ma penso sempre di più che quanto sei cognitivamente compromesso sia una funzione del contesto sociale in cui ti trovi”, scrive sul quotidiano britannico.

I risvolti possono essere sconvolgenti. Secondo Green, le disabilità cognitive non sono solo il risultato di deficit fisici o mentali, ma anche delle barriere sociali. Ne consegue che un contesto sociale favorevole può migliorare significativamente la qualità della vita di chi ha disabilità cognitive.
Emozione e pensiero, irrazionalità e razionalità si fondono: le nostre relazioni forniscono il contesto e la motivazione per pensare, deliberare e prendere decisioni.

La teoria di Green sfida quella moderna secondo cui la cognizione sia un processo puramente individuale e meccanico. “Questo legame cervello-cognizione è un principio sempre più centrale nella nostra cultura scientifica, ma con esso viene la sensazione che dovremmo capirci come analoghi alle macchine. Rimuovi una parte dell’hardware e il software è danneggiato.

Più tempo passo con i pazienti, tuttavia, più diventa evidente che questo è solo una parte del quadro”.

Cosa ha scoperto Green nelle sue analisi?

Lo studio di Huw Green

La teoria dello psicologo britannico è la possibilità per riflettere sull’evoluzione della nostra società, anche in termini demografici. Secondo alcuni esperti di psicologia e di demografia, infatti, la prima causa della crisi di natalità dei Paesi più sviluppati è lo svuotamento dei rapporti personali. Il mettere al primo posto sé stessi e il proprio lavoro, avendo poi poca energia da dedicare agli altri, famiglia inclusa.

Più che una cultura nemica dei figli, una cultura deumanizzata dai ritmi sempre più serrati. Anche il costante processo di urbanizzazione e l’allontanamento dalle campagne favorirebbe la “deumanizzazione” delle persone, senza contare che l’eccessivo stress, spesso correlato al lavoro, diminuisce la libido e può avere conseguenze sulla fertilità e sulla gravidanza.
Secondo alcuni esperti, dunque, la priorità è capire quale sia il nostro ruolo all’interno del mondo e come possiamo vivere meglio grazie alle relazioni con gli altri, e non “nonostante” le relazioni con gli altri.

“Uno dei miei compiti clinici – spiega Huw Green – è fare richieste insolite alle persone per scoprire sintomi cognitivi che altrimenti passerebbero inosservati. Una volta ho intervistato un uomo con una grave perdita di memoria dopo un infortunio causato da una mancanza di ossigeno al cervello. Sua moglie, presente all’intervista, mi ha preso da parte dopo. Era scioccata. Non si era resa conto di quanto fosse grave, perché, semplicemente chiacchierando con lui, non era evidente che avesse difficoltà a creare nuovi ricordi”. A questo punto lo psicologo spiega il primo tassello della sua “grande idea”: se la nostra capacità di pensare dipende dalle richieste che la nostra vita ci pone, allo stesso modo viene influenzata dalle domande che gli altri ci fanno o che noi facciamo agli altri.

E anche quando non è il momento delle domande, possiamo fare la differenza nella vita delle altre persone.

“Quando ci siamo trasferiti nella nostra attuale casa con la mia giovane famiglia, – scrive ancora lo psicologo Huw Green – una delle nostre anziane vicine, Emily, è venuta a presentarsi. Era calorosa e amichevole e giocava con i nostri figli in un modo adorabile ed esagerato. Spesso ripeteva le stesse cose nelle nostre conversazioni. Mi sono chiesto se potesse avere la demenza e, col passare del tempo, la mia impressione è stata confermata. Mi vedeva quasi quotidianamente mentre riportavo i bambini a casa da scuola, ma ogni volta che la incontravamo si presentava come se non ci fossimo mai incontrati prima. Per noi non era un problema. Adorava i bambini e loro adoravano lei. Rideva e cantava con loro, a volte nel mezzo della strada. Mi preoccupavo per lei, ma sembrava sempre stare bene e sapevo che suo figlio viveva nelle vicinanze e si prendeva cura dei suoi bisogni fondamentali”.

In questa fase, lo psicologo descrive una situazione patologica, per cui, clinicamente si può fare ben poco. “In un certo senso Emily era compromessa. Non riusciva a ricordare chi eravamo e era socialmente disinibita. Ma in un altro senso, il contesto sociale ha notevolmente mitigato la sua compromissione. Non solo i suoi problemi di memoria erano mascherati, ma aveva trovato uno spazio in cui non erano importanti e dove la sua personalità gioiosa e la sua esuberanza contagiosa potevano prosperare. Il modello sociale della disabilità suggerisce che le persone sono disabilitate dalle barriere nella società piuttosto che dalla loro differenza fisica o mentale”.
Insomma, anche con una evidente patologia, ciascuno può trovare il proprio ruolo e dare il proprio contributo alla società a patto che viva delle relazioni umane forti.

L’esempio di Okinawa: vivere insieme per vivere meglio

La “teoria” di Green trova ulteriore conferma nell’esempio dell’isola di Okinawa. Qui le persone vivono mediamente 13 anni in più rispetto al resto del mondo, e non a caso gli anziani hanno un ruolo attivo all’interno della società.

La gemma preziosa della vita sociale di Okinawa sono i moai, un gruppo di circa cinque persone che vivono la vita insieme. I membri di questa struttura sociale crescono insieme, si incontrano periodicamente, discutono su tematiche comuni e ridono molto. In definitiva, i moai sono una specie di seconda famiglia dove ci si offre vicendevolmente assistenza emotiva, sociale e anche finanziaria. Questa struttura non sostituisce la famiglia di sangue, la affianca. Nei moai il benessere del gruppo viene concepito come somma del benessere di tutti gli individui.

Con un’aspettativa di età così alta (85 anni) è fondamentale non lasciare gli anziani indietro. Per questo, al centro della loro cultura c’è quello di mantenere sempre, a qualsiasi età, un ikigai, uno scopo nella vita. Come riporta National Geographic, spesso gli anziani di Okinawa si mantengono attivi con l’artigianato locale di tessitura delle stoffe basho-fu. La pulizia delle fibre e la procedura di avvolgimento del filo richiede una dedizione, che in parte ricorda la passione e l’impegno con cui gli anziani si ritagliano ancora un ruolo nella società in alcuni piccoli borghi italiani.

Non è solo un modo per rimanere socialmente attivi, ma è anche un’opportunità per le tessitrici di contribuire a migliorare il reddito proprio e degli altri.

Uno spunto che non dovremmo ignorare in un’Italia sempre più anziana, ma con gli anziani dimenticati e messi al margine della società.

Le prove quotidiane

Anche la nostra società, spiega lo psicologo, rifletta l’importanza degli altri nella nostra vita. Che è poi la base della democrazia: “Deliberiamo insieme per arrivare a decisioni importanti, discutiamo idee per metterle alla prova. Questi processi sono radicati nelle nostre istituzioni politiche. Le democrazie presumono che decisioni morali e politiche significative siano migliori se prese attraverso processi interpersonali di dibattito, piuttosto che decise dai singoli individui”, ricorda Green.

Ciascuno di noi è uno ζῷον πολιτικὸν (Leggi: zôon politikòn), un “animale politico”, diceva il filosofo greco Aristotele già nel IV secolo a.C.

Anche senza scomodare i concetti più alti, la nostra vita ci ricorda tutti i giorni quanto siano importanti gli altri per le scelte che prendiamo, dalle più piccole a quelle che svoltano una intera esistenza sulla terra.
“Considera quei momenti in cui la presenza degli altri ti ha ricordato un appuntamento, un nome, o semplicemente ti ha incoraggiato a concentrare la tua attenzione in modo diverso. Le nostre relazioni forniscono un contesto in cui pensare e una ragione per pensare”, spiega lo psicologo Huw Green.

Il pensiero di Lev Vygotskij

La psicologia è da tempo affascinata dall’”elemento sociale” nel pensiero. Green ricorda che circa un secolo fa, lo psicologo sovietico Lev Vygotskij osservò come l’emergere del pensiero individuale possa essere inteso come l’internalizzazione del dialogo con le altre persone.
In effetti, spesso i bambini piccoli che giocano da soli parlano a sé stessi riecheggiando quelle che sembrano le istruzioni degli adulti. Alcuni direbbero “scimmiottando”, ma in realtà il discorso è più profondo. Queste istruzioni somigliano chiaramente alla struttura verbale che è stata loro fornita dai caregiver. Imparare a pensare per sé stessi è un processo di rappresentazione dei contributi degli altri, spiegava lo psicologo sovietico Lev Vygotskij. In altre parole, questo processo dimostra come impariamo a pensare attraverso le interazioni con gli altri.

I possibili risvolti negativi

Chiaramente, non ci sono solo influenze positive. A tal proposito, Huw Green spiega che è sorprendente quanto una persona voglia evitare un argomento possa renderci difficile anche solo pensare a quell’argomento.

In altre parole, il livello di compromissione cognitiva di una persona dipende in gran parte dai supporti sociali di cui dispone. Se una persona ha un forte sostegno sociale, le difficoltà cognitive possono essere mitigate. Tuttavia, questo non significa che i problemi causati da lesioni cerebrali o dalla demenza possano essere completamente eliminati. I danni al cervello portano inevitabilmente a difficoltà nel pensiero, ma la gravità di queste difficoltà è influenzata anche dalle persone che ci circondano.

In definitiva, la cognizione non è un processo che avviene esclusivamente all’interno del nostro cervello, ma è strettamente legata alle nostre interazioni sociali. “Parlare di compromissione cognitiva significa parlare di qualcosa che non potrebbe esistere allo stesso modo senza le altre persone che popolano le nostre vite”, conclude Huw Green.

Un team di giornalisti altamente specializzati che eleva il nostro quotidiano a nuovi livelli di eccellenza, fornendo analisi penetranti e notizie d’urgenza da ogni angolo del globo. Con una vasta gamma di competenze che spaziano dalla politica internazionale all’innovazione tecnologica, il loro contributo è fondamentale per mantenere i nostri lettori informati, impegnati e sempre un passo avanti.

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Alcuni comuni veneti hanno più richieste di cittadinanza...

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C’è qualcosa che non funziona nel diritto di cittadinanza italiano, almeno seguendo il buon senso. Ragazze e ragazzi nati in Italia non possono fare richiesta di cittadinanza, mentre altri, che magari non hanno mai visto il Belpaese, possono.

Da una parte, persone nate in Italia da genitori stranieri, che pur frequentando scuole italiane e vivendo nel Paese sin dal primo giorno, devono attendere anni prima di poter avanzare la richiesta di cittadinanza. Dall’altra, ci sono oriundi italiani, persone nate all’estero, che possono ottenere la cittadinanza italiana anche senza aver mai vissuto in Italia, perché il meccanismo di attribuzione si basa sullo ius sanguinis.

Caos cittadinanza, il caso del Veneto

Questa disparità è particolarmente evidente nel Veneto, dove 92 mila bambini e ragazzi, figli di genitori stranieri, vivono e studiano senza avere la cittadinanza, mentre 300 mila oriundi nati all’estero, con un trisavolo veneto, riescono a ottenerla. Si tratta di un fenomeno che pone serie domande sul senso di appartenenza e cittadinanza nel nostro Paese, ma anche sui criteri con cui vengono stabiliti i diritti civili.

Il Veneto è una delle regioni italiane più colpite da questa dinamica, a causa del suo passato di forte emigrazione verso le Americhe tra Ottocento e Novecento. Molti discendenti di emigranti veneti, principalmente in Brasile e Argentina, richiedono la cittadinanza italiana grazie alla legge sullo ius sanguinis. Salvatore Laganà, presidente del Tribunale di Venezia, ha confermato che il 43% delle richieste per discendenza in tutta Italia proviene proprio dal Veneto. Dal trasferimento della competenza nel 2022, il Tribunale ha gestito oltre 23 mila pratiche, con ancora 18 mila richieste pendenti.

La regione oggi si trova a gestire migliaia di richieste di cittadinanza, un compito che grava pesantemente sui piccoli Comuni. Il paradosso demografico è evidente: in un territorio in cui nascono sempre meno bambini – circa 30 mila all’anno – il numero di nuovi cittadini per discendenza supera di gran lunga quello delle nuove nascite.

Questo scenario sottolinea quanto sia urgente una riforma del sistema di cittadinanza in Italia, che tenga conto non solo dei legami di sangue, ma anche del radicamento effettivo e dell’integrazione nella società italiana.

Un fattore che aggrava la situazione è che una singola pratica può riguardare interi nuclei familiari, portando il numero di persone coinvolte a moltiplicarsi. Questo ha intasato le anagrafi dei piccoli Comuni veneti, come Val di Zoldo, dove le richieste di cittadinanza superano di gran lunga il numero di nascite locali: nel 2024, il Comune ha registrato 54 nuove cittadinanze, contro soli 11 nuovi nati.

La critica ai benefici per gli oriundi

Il sindaco di Val di Zoldo, Camillo De Pellegrin, ha espresso preoccupazione riguardo al fatto che questi nuovi cittadini, pur ottenendo il passaporto italiano, raramente vivono in Italia o contribuiscono alla comunità locale. In molti casi, la cittadinanza italiana rappresenta uno strumento per ottenere benefici, come la possibilità di viaggiare e lavorare in Europa, senza che ci sia un reale interesse a vivere nel Paese. De Pellegrin ha sottolineato come questo fenomeno sovraccarichi gli uffici comunali, distogliendo risorse dalle necessità locali, come la gestione dell’immigrazione e del mercato del lavoro.

Rivedere la cittadinanza

Proprio nelle scorse settimane, la maggioranza di governo si è spaccata sul diritto di cittadinanza e sui modelli Ius soli, Ius scholae e Ius culturae, che si pongono come alternative al vigente sistema basato sul principio dello Ius sanguinis.

L’attuale legislazione sulla cittadinanza italiana pone l’accento sui legami di sangue piuttosto che sui legami reali con il Paese. Il diritto italiano consente ai discendenti di italiani all’estero di richiedere la cittadinanza attraverso lo ius sanguinis, anche se vivono a migliaia di chilometri di distanza e non hanno alcun legame tangibile con l’Italia. Brasile e Argentina sono tra i Paesi con il maggior numero di discendenti di italiani, e molti di loro sfruttano questa possibilità. Secondo Laganà, il numero di richieste è in costante aumento, complicando ulteriormente il lavoro delle autorità locali.

Una situazione inconcepibile per il vicepremier e leader di Forza Italia, Antonio Tajani che in un’intervista al Corriere della Sera ha chiosato: “Svegliamoci, il mondo è cambiato. Il Paese è maturo per lo Ius scholae”. Di tutt’altro avviso l’altro vicepremier e leader della Lega, Matteo Salvini, che ha scritto in un post: “”La legge sulla cittadinanza va benissimo così, e i numeri di concessioni (Italia prima in Europa con oltre 230mila cittadinanze rilasciate, davanti a Spagna e Germania) lo dimostrano. Non c’è nessun bisogno di ius soli o scorciatoie”.

Intanto, l’Istat certifica che l’80,3% dei giovani stranieri residenti in Italia si sente italiano, nonostante non sia riconosciuto come cittadino.

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La proposta della Lega sulla castrazione chimica: “I malati...

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La proposta della Lega di introdurre la castrazione chimica per pedofili e stupratori ha recentemente guadagnato terreno nel dibattito politico italiano. Presentata come ordine del giorno al ddl Sicurezza, la proposta ha ottenuto il via libera del governo, aprendo la strada alla discussione parlamentare.

“Copiare altri Paesi europei ed occidentali che per pedofili e stupratori hanno in vigore la castrazione chimica, mi sembra un passo in avanti verso la civiltà”, ha affermato il ministro delle Infrastrutture, Matteo Salvini, parlando del possibile inserimento della misura nel Ddl sicurezza a margine del salone nautico di Genova. “Sono contento se offriamo più sicurezza ai cittadini, non della Lega, ai cittadini di destra e di sinistra, giovani e anziani, simpatici e antipatici, e prevedere il carcere per chi usa i minori e le gravidanze per rapinare e rubare è una questione di civiltà, prevedere lo sgombero delle case occupate abusivamente mi sembra assolutamente di buon senso, sottolinea il ministro. Un pedofilo, uno che abusa di una ragazza, di una donna o di un bambino di otto anni, oltre che essere un criminale, è un malato. E i malati vanno curati. E quindi conto che questo tavolo porti a degli esiti positivi per tutti”, ha concluso Salvini.

Il deputato Igor Iezzi ha sottolineato l’importanza di istituire una commissione o un tavolo tecnico per valutare la possibilità di trattamenti farmacologici e psichiatrici per i condannati, con l’obiettivo di ridurre il rischio di recidiva.

Favorevoli e contrari

Il ministro delle Infrastrutture, Matteo Salvini, ha espresso il suo sostegno entusiasta alla proposta, definendola un passo avanti verso la civiltà e la sicurezza dei cittadini. La Lega vede nella castrazione chimica una misura di giustizia e buonsenso, mirata a garantire tolleranza zero per stupratori e pedofili.

Dall’altra parte, le forze di opposizione si sono schierate fermamente contro la proposta. Il Partito Democratico, rappresentato dalla deputata Simona Bonafè, ha criticato la misura come incostituzionale e contraria ai principi del sistema giuridico italiano. Anche Italia Viva e Alleanza Verdi e Sinistra hanno espresso forti riserve, accusando la Lega di promuovere una politica repressiva e di propaganda.

Davide Faraone, capogruppo di Italia Viva alla Camera, ha dichiarato: “La violenza sessuale è un reato odioso per cui, così come per tutti i reati, va garantita certezza della pena ma arrivare come fa la Lega a tornare a proporre la castrazione chimica, addirittura con un tavolo ad hoc, è inaccettabile e incostituzionale. Pensare di sottoporre, seppur volontariamente, un detenuto a pena corporale viola qualunque principio di umanità e giustizia. Ci opporremo a questa follia, la Lega ha superato il segno. Anziché darsi alla becera propaganda, si preoccupino di garantire la sicurezza nelle nostre città, che i dati del Viminale ci mostrano essere sempre più insicure.”

Luana Zanella, presidente di Alleanza Verdi e Sinistra alla Camera, ha aggiunto: “Sono anni, direi decenni che la subcultura leghista in materia di reati sessuali ripropone come un mantra la castrazione chimica. È solo un modo per parlare alla pancia del paese, uno slogan di chi ritiene che la violenza sessuale o la pedofilia siano un problema ormonale. Niente di più falso. Smettano di ridurre la questione ad un problema fisiologico di ormoni, rimuovendo la radice culturale e patriarcale della violenza sessuale e proponendo scorciatoie ridicole.”

Cosa è la castrazione chimica?

La castrazione chimica è un trattamento farmacologico che mira a ridurre il desiderio sessuale attraverso l’uso di farmaci che abbassano i livelli di testosterone. Questo trattamento è generalmente volontario e reversibile, e viene utilizzato come misura per prevenire la recidiva in individui condannati per reati sessuali. La castrazione chimica non comporta interventi chirurgici e i suoi effetti cessano una volta interrotto il trattamento.

Paesi europei dove c’è la castrazione chimica

Il ministro Salvini ha fatto riferimento al copiare altri Paesi. Perché in effetti, in Europa, la castrazione chimica è già in Germania, Francia, Regno Unito, Belgio, Svezia, Finlandia, Norvegia, Danimarca, Estonia, Lituania, Polonia, Ungheria e Islanda. In questi Paesi, il trattamento è generalmente volontario e reversibile, mirato a ridurre il desiderio sessuale attraverso terapie ormonali.

La proposta della Lega sulla castrazione chimica continua a suscitare un acceso dibattito in Italia. Mentre i sostenitori vedono nella misura un passo necessario per la sicurezza e la giustizia, gli oppositori la considerano una violazione dei diritti umani e dei principi costituzionali. Il futuro della proposta dipenderà dalle prossime discussioni parlamentari e dalla capacità delle diverse forze politiche di trovare un compromesso.

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Sophia Loren, 90 anni e non sentirli…ma come?

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Sophia Loren oggi compie 90 anni, anche se per crederci bisognerebbe guardare la sua carta di identità. Nata a Roma il 20 settembre 1934 con il nome Sofia Costanza Brigida Villani Scicolone, a 15 anni partecipa al concorso di bellezza Miss Italia e vince il titolo di Miss Eleganza. In quella occasione viene notata da registi e produttori cinematografici, tra cui Carlo Ponti, che le offrirà un contratto per recitare nei suoi film e diventerà suo marito dal 1966 al 2007, anno della sua dipartita.

Da quel concorso, nulla è stato come prima. Nella vita di Sophia Loren e del cinema italiano, di cui rappresenta una leggenda vivente. Con due Oscar all’attivo, tra cui uno alla carriera, e ruoli iconici in pellicole come La ciociara e Matrimonio all’italiana, Loren ha conquistato il mondo con il suo talento, il suo fascino senza tempo e il suo carisma ineguagliabile.

Oggi, nonostante le 90 candeline, continua a rappresentare una fonte di ispirazione per molte donne che vedono in lei l’esempio perfetto di come affrontare l’invecchiamento con grazia e in salute.

I consigli di Sophia Loren per invecchiare bene

Sophia Loren ha più volte condiviso i suoi segreti per invecchiare bene, senza mai tradire la sua immagine di donna autentica e naturale, che non ha mai cambiato forma al suo corpo, neanche quando ritenuto ‘non del tutto conforme’ ai canoni dello spettacolo. Celebre la sua frase: “Non voglio un corpo e un viso perfetto. Voglio semplicemente indossare la vita che ho vissuto”.

Non vedere la sua bellezza esterna è impossibile, ma tutto parte da dentro, assicura lei: “Esiste una fonte di giovinezza: è la tua mente, il tuo talento, la creatività che metti nella tua vita e nella vita delle persone che ami. Quando impari a sfruttare questa fonte, avrai veramente sconfitto l’età”.

“La bellezza di una donna – ha anche affermato Sophia Loren – aumenta con il passare degli anni. La bellezza di una donna non risiede nell’estetica, ma la vera bellezza in una donna è riflessa dalla sua anima.”

Ecco alcuni dei suoi consigli principali per invecchiare bene:

Curare la propria alimentazione: Sophia Loren è una grande sostenitrice della dieta mediterranea. In molte interviste ha sottolineato l’importanza di mangiare sano, favorendo alimenti freschi e naturali. Il suo amore per l’olio d’oliva è celebre: “Uso olio d’oliva per tutto”, ha dichiarato Loren in diverse occasioni, spiegando che lo utilizza non solo nella sua dieta, ma anche come idratante per la pelle;
L’importanza del sonno: “Vado a dormire presto. Mai dopo le 20. Guardo un po’ di tv e poi spengo. Se posso cerco di addormentarmi alle 21”, ha rivelato in passato al Corriere della Sera;
Mantenere un’attività fisica regolare: anche se non è mai stata un’appassionata di palestra, Loren ha sempre sostenuto l’importanza del movimento quotidiano. Passeggiate all’aria aperta, nuoto e yoga sono alcune delle sue attività preferite per mantenere il corpo attivo;
Pensare positivo e coltivare l’amore per la vita: come abbiamo visto, Sophia Loren ha sempre ribadito che il segreto della longevità non risieda solo nel prendersi cura del proprio corpo, ma anche nella mente. La diva senza tempo ha sempre sottolineato l’importanza di non lasciarsi travolgere dallo stress, ma di affrontare le difficoltà con serenità e ottimismo. La visione ‘costruttiva’ della vecchiaia è un chiaro esempio di questo approccio;
Non temere il passare del tempo: per Sophia Loren, accettare con serenità il processo di invecchiamento è fondamentale. Nella sua biografia ha scritto una delle frasi più apprezzate dalle donne: “Nulla rende una donna più bella della convinzione di essere bella”. Per lei, l’età non dovrebbe mai essere vista come un limite, ma come una fase naturale della vita che va vissuta appieno.

Un’icona senza tempo

Sophia Loren continua a rappresentare un esempio luminoso di eleganza e saggezza, anche nel suo novantesimo anno. Il suo approccio alla vita e all’invecchiamento è un invito a tutte le donne a prendersi cura di sé stesse, non solo esteticamente ma anche spiritualmente.

Come ha dichiarato a Vanity Fair nel 2020: “L’invecchiamento è una parte della vita, ma non deve definirti. Sono i sogni e la voglia di vivere che contano davvero”.

E Sophia Loren, evidentemente, ha ancora tanti sogni e ancora tanta voglia di vivere.

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