Le regole del Partito democratico Usa forniscono alcune risposte, per altre bisognerà aspettare invece gli sviluppi politici (ed eventuali ricorsi legali)
E' lunga la lista degli interrogativi aperti dalla clamorosa rinuncia alla rielezione di Joe Biden che ha lasciato i democratici in una situazione senza precedenti della storia moderna, cioè nella posizione di dover andare verso un piano B, cioè un nuova nomination per la Casa Bianca a meno di un mese dalla convention e a poco più di tre mesi dall'Election Day.
Le regole del partito democratico forniscono la risposta ad alcune di queste domande, mentre per altre bisognerà ancora aspettare gli sviluppi politici ed eventuali ricorsi legali per avere delle risposte, ricorda Nbcnews, che fornisce una lista di questi interrogativi.
Biden deve liberare i suoi delegati?
No, perché il partito democratico ha regole diverse da quello repubblicano, che invece vincola i delegati a votare alla convention per il candidato per il quale sono stati eletti alle primarie. L'unico vincolo che hanno è di "riflettere in buonafede i sentimenti di quelli che li hanno eletti". Ovviamente bisogna tener conto che la campagna di Biden ha scelto i delegati tra i propri sostenitori per la loro lealtà, quindi è probabile che l'endorsement di Biden per Kamala Harris sarà ascoltato, ma non è vincolante.
Harris otterrà automaticamente il sostegno dei delegati?
La risposta è ovviamente no, la vice presidente dovrà ottenere il loro sostegno convincendoli. In meno di 24 ore dalla rinuncia di Biden, centinaia dei circa 4mila delegati hanno dato il loro sostegno a Harris, in alcuni case intere delegazioni di uno stato.
Harris può prendere il controllo delle casse della campagna di Biden?
Lo ha già fatto: dalla campagna Biden-Harris sono stati già depositati alla commissione elettorale federale i documenti per cambiare il nome in 'Harris for president'. In questo modo potrà avere il controllo dei quasi 96 milioni che a fine giugno di trovavano nelle casse della campagna di Biden. I legali dei democratici sono sicuri che la mossa è legittima, dal momento che il nome di Harris figurava nella campagna originaria. Ma bisogna ricordare che la politica americana si trova in terreni finora inesplorati, e non è escluso che qualcuno, vale a dire i repubblicani, possa fare un ricorso legale contro questa mossa.
Ancora una convention dem virtuale prima di Chicago?
A questa domanda la risposta non è ancora chiara. Prima della rinuncia di Biden era stata fissata per la prima settimana di agosto la votazione virtuale del candidato. Inizialmente deciso per rispondere ad una mossa dell'Ohio che aveva anticipato a prima della convention del 19 agosto la scadenza per la presentazione dei nomi dei candidati sulla scheda, il 'roll call' virtuale era stato appoggiato nelle ultime settimane dai fedelissimi di Biden per blindare in anticipo rispetto alla convention la sua candidatura. Anche perché ora è emerso che la legge dell'Ohio non entrerà in vigore fino a settembre.
Secondo alcuni, mantenere la 'roll call' virtuale entro due settimane, permetterebbe al partito di arrivare alla Chicago già con un candidato, o una candidata, ed evitare quindi una convention eccessivamente caotica.
Quando ci sarà la nuova nomination?
Questo è appunto ancora da determinare. Se nei prossimi giorni il partito si riunirà intorno al nome della Harris, che sta continuando a ricevere endorsement di peso, allora potrebbe essere incoronata appunto con la votazione virtuale entro il 7 agosto. Ma la commissione del partito deve ancora riunirsi mercoledì prossimo per finalizzare la questione della 'roll call' virtuale, potrebbe annullarla, rimandando quindi la votazione alla convention, o addirittura anticiparla.
Altri candidati contro Harris?
Si, ma finora nessuno l'ha fatto. Molti dei papabili i cui nomi sono circolati in queste settimane, come il governatore della California Gavin Newsom o la governatrice del Michigan Gretchen Whitmer, hanno già dato l'endorsement a Harris. Ma qualcuno potrebbe candidarsi e secondo alcuni fonti ci starebbe pensando Joe Manchin, il senatore centrista he ha lasciato il partito democratico a maggio diventando indipendente, e che è stato una spina nel fianco dell'amministrazione Biden, bloccando con il suo voto cruciale importanti pacchetti legislativi.
Cosa deve fare un dem per candidarsi contro la veep
Oltre che agire in fretta deve raccogliere le firme di almeno 300 delegati, ma non più di 600, non superando la soglia di 50 per ogni stato. Ogni candidato può firmare una sola petizione di un candidati. Calcolando che ci sono 4700 delegati e super delegati, il numero dei possibili candidati potrebbe arrivare ad un massimo di 15, in uno scenario da incubo di completo caos che sicuramente i democratici nelle prossime settimane cercheranno in tutti i modi di evitare.
Serve essere dem per candidarsi?
Tecnicamente sì. Secondo il documento per la convocazione della convention 2024 i candidati presidenziali devono firmare un impegno in cui affermano di essere "dei veri democratici" la cui carriera politica e le posizioni pubbliche sono "leali agli interessi, alla fortuna e successo del partito democratico". E' anche vero comunque che il senatore Bernie Sanders ha partecipato per due volte alle primarie da indipendente.
I dem rischieranno di sparire dalle schede in qualche Stato?
Questo è un punto su cui stanno insistendo i repubblicani, prospettando anche possibili ricorsi legali da parte di qualche Stato, ma non sembra che ci saranno problemi. Le regole dei partiti stabiliscono come attribuire la nomination ed ancora non c'e' stata una convention e quindi Biden, per quanto vincitore delle primarie, non era ancora formalmente il candidato nel momento in cui ha rinunciato a continuare la corsa per la Casa Bianca.
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Annunziata si è astenuta per errore sul paragrafo 8: l'eurodeputata lo ha segnalato, verrà registrato voto contrario
Gli eurodeputati italiani del gruppo S&D non hanno votato compatti sulla risoluzione sul sostegno all'Ucraina, che contiene un paragrafo, il numero 8, che ribadisce la richiesta di rimuovere le restrizioni all'uso delle armi inviate dall'Ue, affinché possano essere utilizzate anche per colpire obiettivi militari legittimi in territorio russo. Molti eurodeputati hanno votato a favore della risoluzione nel suo insieme, inclusi il capodelegazione Nicola Zingaretti, Lucia Annunziata e Sandro Ruotolo, oltre a Pina Picierno, vicepresidente del Parlamento, Irene Tinagli, Camilla Laureti, tra gli altri. Gli indipendenti Marco Tarquinio e Cecilia Strada si sono astenuti.
Nel voto separato per confermare il paragrafo 8, quello più controverso, Picierno si è espressa a favore, come ha annunciato pubblicamente prima del voto. Hanno votato contro gli eurodeputati Brando Benifei, Annalisa Corrado, Nicola Zingaretti, Camilla Laureti, Antonio Decaro, Matteo Ricci, Sandro Ruotolo, Cecilia Strada e Alessandro Zan. Si è astenuta Annunziata.
Dalla delegazione italiana del gruppo S&D precisano che Annunziata si è astenuta per errore sul paragrafo 8 della risoluzione, quello che riguarda la rimozione delle restrizioni all'uso delle armi. L'eurodeputata ha segnalato l'errore e verrà registrato voto contrario, come la maggior parte della delegazione. Anche sul testo della risoluzione sul Venezuela, dove Annunziata dal roll call risultava essersi astenuta, si tratta di un errore: il suo voto è contrario, come quello degli altri eurodeputati Pd.