L’istruzione tecnico-professionale si riforma: il nuovo modello 4+2 è legge
La riforma dell’istruzione tecnico-professionale ha ottenuto il via libera definitivo dalla Camera dei Deputati, segnando un momento cruciale per il sistema educativo e per il panorama economico italiano. Con un voto che ha visto 156 favorevoli, 97 contrari e 19 astenuti, il disegno di legge che introduce il nuovo modello educativo della filiera 4+2 ha finalmente assunto valore di legge. Questo cambiamento rappresenta un passo significativo verso un sistema educativo più integrato con le esigenze del mercato del lavoro, e riflette un impegno condiviso tra le istituzioni e le imprese.
Per il Ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, si tratta di “un momento importante per il futuro dei ragazzi e del nostro sistema produttivo”. Secondo Valditara, la nuova filiera tecnico-professionale rappresenta un’opportunità per garantire una formazione di alta qualità che risponde alle esigenze del mercato del lavoro e delle imprese. Valditara ha inoltre sottolineato il valore dell’integrazione tra scuola e mondo del lavoro, una componente chiave della riforma, che ha trovato consenso anche durante il recente G7 Istruzione di Trieste.
La riforma mira a creare una filiera tecnico-professionale di alta qualità che permetta ai giovani di acquisire competenze teoriche e pratiche di elevato valore. Questa trasformazione non si limita ad aggiornare i programmi di studio, ma si impegna a garantire che le competenze acquisite siano direttamente applicabili e richieste nel mondo del lavoro.
Le novità del modello 4+2
Il cuore della riforma è il nuovo modello 4+2, che rappresenta una trasformazione significativa e strategica del sistema di istruzione tecnico-professionale italiano. Questo modello introduce un percorso formativo articolato e innovativo, mirato a colmare il divario tra il mondo della scuola e quello del lavoro, rispondendo alle esigenze emergenti dell’economia moderna e alle richieste specifiche delle imprese.
Nel dettaglio, il modello 4+2 prevede un ciclo iniziale di quattro anni di istruzione tecnico-professionale, che si svolge all’interno degli Istituti Tecnici e Professionali. Durante questi quattro anni, gli studenti acquisiscono una preparazione teorica e pratica solida, integrata da una didattica orientata alle competenze specifiche richieste dal mercato del lavoro. Il programma si caratterizza per un rafforzamento delle materie STEM (scienza, tecnologia, ingegneria e matematica), un potenziamento delle competenze linguistiche e un’integrazione della didattica laboratoriale, che favorisce un apprendimento basato su esperienze pratiche e reali.
Il primo ciclo di formazione culmina con un diploma che ha valore equivalente a quello rilasciato dai percorsi liceali, ma con una preparazione maggiormente focalizzata sulle competenze tecniche e professionali. Questo diploma non solo consente l’ingresso diretto nel mondo del lavoro, ma anche l’accesso agli Istituti Tecnici Superiori (ITS Academy), che rappresentano la fase successiva del modello 4+2. Gli ITS Academy offrono un biennio di specializzazione avanzata, orientato a formare figure professionali altamente qualificate in settori chiave come la tecnologia, l’industria, la sostenibilità e l’innovazione.
In alternativa, il diploma quadriennale consente anche l’iscrizione all’università, offrendo agli studenti una maggiore flessibilità nella scelta del percorso educativo futuro e una preparazione che può essere ulteriormente ampliata attraverso studi superiori. Questa struttura permette agli studenti di orientare la propria formazione in base alle inclinazioni personali e alle opportunità professionali disponibili, rendendo il sistema educativo più versatile e adattabile alle esigenze individuali e del mercato.
Un aspetto innovativo del modello 4+2 è l’istituzione dei ‘campus’, reti educative che collegano istituti tecnici e professionali con gli ITS Academy e i centri di formazione professionale. Questi campus fungono da hub integrati, facilitando la collaborazione tra scuole e imprese e promuovendo un flusso continuo di aggiornamenti e feedback tra il sistema educativo e il mondo del lavoro. Attraverso i campus, gli studenti beneficiano di esperienze formative arricchite dalla partecipazione di esperti aziendali e dalla realizzazione di progetti concreti in collaborazione con le imprese locali.
La riforma prevede anche un potenziamento delle attività legate al territorio, con quote orarie riservate ad attività che rispondano alle esigenze specifiche delle comunità locali: un approccio che consente di allineare ulteriormente l’offerta formativa alle reali necessità del contesto socio-economico in cui gli studenti vivono e lavorano.
Infine, il modello 4+2 enfatizza l’importanza dei Percorsi per le Competenze Trasversali e l’Orientamento (PCTO), che saranno ulteriormente valorizzati attraverso esperienze di alternanza scuola-lavoro strutturate e monitorate. Questi percorsi mirano a integrare la formazione teorica con esperienze pratiche sul campo, preparando gli studenti a entrare nel mondo del lavoro con competenze immediatamente spendibili e una consapevolezza pratica delle dinamiche professionali.
Maggiore integrazione con il mondo del lavoro
Uno degli aspetti più innovativi della riforma è il rafforzamento del legame tra il sistema educativo e il settore produttivo. I nuovi percorsi formativi saranno arricchiti dalla partecipazione di esperti provenienti dalle imprese, che forniranno un contributo pratico e aggiornato, migliorano, così, non solo la qualità della formazione, ma aiutando anche a garantire che le competenze impartite siano effettivamente allineate con le esigenze del mercato del lavoro.
Inoltre, la riforma punta a potenziare lo studio delle materie STEM, delle lingue e delle competenze trasversali. Le attività didattiche saranno arricchite da laboratori e percorsi pratici, con particolare attenzione al collegamento con il territorio e le sue esigenze specifiche. Le istituzioni scolastiche avranno la possibilità di riservare ore di lezione per attività legate al contesto locale, promuovendo un apprendimento più contestualizzato e rilevante per le comunità in cui operano.
Reazioni e critiche
La riforma ha suscitato una varietà di reazioni da parte degli esponenti politici e degli esperti del settore. Maria Chiara Gadda di Italia Viva ha evidenziato l’urgenza di affrontare il problema della dispersione scolastica, particolarmente grave nel Sud Italia. Gadda ha criticato l’approccio prevalente che privilegia i percorsi universitari e liceali rispetto a quelli tecnico-professionali e ha chiesto un impegno concreto per garantire una efficace implementazione della riforma, sottolineando l’importanza di una sinergia tra istruzione e mondo del lavoro.
D’altra parte, Ilaria Cavo di Noi Moderati ha lodato il modello 4+2, considerandolo una risposta efficace alle sfide dell’era moderna, caratterizzata da rapidi cambiamenti tecnologici e transizione ecologica. Cavo ha sottolineato la necessità di un’istruzione che prepari i giovani a una realtà lavorativa in continua evoluzione, e ha espresso fiducia nella capacità della riforma di colmare il divario tra le competenze richieste e quelle offerte.
Al contrario, Elisabetta Piccolotti di Alleanza Verdi e Sinistra ha espresso forti riserve, accusando la riforma di promuovere un modello di istruzione superficiale e di ridurre il tempo scuola, non affrontando adeguatamente la dispersione scolastica. Piccolotti ha criticato la mancanza di risorse adeguate e la tendenza verso una formazione eccessivamente specializzata, che a suo avviso potrebbe compromettere una preparazione completa e critica degli studenti.
Valentina Grippo di Azione-Popolari Europeisti Riformatori ha manifestato delusione per la mancanza di una visione complessiva nella riforma e ha criticato la frammentazione dell’offerta formativa. Grippo ha accolto positivamente alcuni aspetti relativi agli ITS, ma ha chiesto un miglioramento dell’orientamento e un monitoraggio attento della sperimentazione.
Rosaria Tassinari di Forza Italia-PPE ha espresso soddisfazione per il provvedimento, considerandolo un passo fondamentale per riconoscere e valorizzare la formazione professionale. Tassinari ha lodato la riforma per il suo potenziale di migliorare l’integrazione tra formazione e lavoro, e ha sottolineato l’importanza di questo cambiamento per garantire opportunità adeguate agli studenti.
Antonio Caso del Movimento 5 Stelle ha criticato aspramente la riforma, accusandola di subordinare l’educazione alle esigenze delle imprese e di ridurre la scuola a un semplice addestramento lavorativo. Caso ha espresso preoccupazione per la mancanza di attenzione alla crescita personale e al pensiero critico, essenziali per un’educazione completa e liberatoria.
Infine, Giovanna Miele della Lega ha difeso con vigore il modello 4+2, sottolineando come esso risponda alle esigenze degli studenti e del mercato del lavoro. Miele ha criticato le opposizioni per non aver proposto soluzioni concrete e ha lodato la riforma per la sua capacità di rendere l’istruzione più pratica e orientata alla vita reale.
Con l’approvazione della riforma e l’introduzione del modello 4+2, il sistema educativo italiano si avvia verso una trasformazione significativa, con una sperimentazione già a partire dal prossimo anno scolastico. La riforma non solo migliora la qualità della formazione tecnico-professionale, ma allinea l’istruzione alle esigenze del mercato del lavoro, offrendo agli studenti strumenti concreti per affrontare le sfide future e contribuire alla crescita economica del paese.
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Che fine ha fatto la relazione annuale sull’aborto?
“Sono 46 anni che la relazione viene presentata: la relazione sull’attuazione della legge n.194 del 1978. E mai, in 46 anni, neanche negli anni ‘80 e ‘90 si è registrato ritardo simile. Cos’è successo per giustificare questo ritardo? Come è possibile che siamo nel 2024 e abbiamo i dati del 2021?”. A porre queste domande nelle aule parlamentari italiane è la deputata del Movimento 5 Stelle Gilda Sportiello. “C’è anche un rapporto Istat che riporta i dati del 2022, cosa che non fa il Governo. È un fatto tecnico o politico? L’Oms parla di aborto sicuro e tra gli ostacoli cita anche la mancanza di informazioni e non solo quelli che ci fate mancare voi non applicando la legge 194. Non ci dite che volete applicarla, perché altrimenti l’aborto farmacologico sarebbe garantito in tutte le Regioni in modo uguale”.
Le parole della deputata Sportiello sono diventate virali sui social e hanno attirato la curiosità di tutti quei cittadini interessati all’argomento. La Relazione annuale è un obbligo di legge e la scadenza per presentarla è il mese di febbraio. Non è la prima volta che c’è un ritardo, eppure siamo quasi alla fine dell’anno e dal ministero della Salute è arrivato solo un messaggio: “Sussistono oggettive difficoltà tecniche a rispettare la scadenza”.
La domanda che si pongono in tanti, oggi, è: che fine ha fatto la relazione annuale sull’aborto?
Relazione sull’aborto: “Una richiesta di legge”
Entro il mese di febbraio di oggi anno, la legge stabilisce che il Ministero della Salute debba presentare al Parlamento la “Relazione sull’attuazione della legge n.194 del 1978”. Legge che garantisce un aborto sicuro a tutte le donne e rappresenta una tutela sociale della maternità e dell’interruzione volontaria della gravidanza. Ma della Relazione, fino ad oggi, neanche l’ombra.
I dati pubblicati negli scorsi anni sono spesso lacunosi e non offrono un quadro preciso e chiaro dell’effettiva attuazione della legge nel nostro Paese. Eppure, i 22 articoli che la compongono stabiliscono i modi, i tempi e i luoghi in cui si può ricorrere all’Ivg in Italia.
Per essere chiari: l’aborto è possibile entro i 90 giorni di gestazione per motivi di salute fisica o psichica, condizioni economiche, sociali o familiari, per previsioni di anomalie o malformazioni del concepito o per le circostanze in cui è avvenuto il concepimento. Dopo i 90 giorni l’Ivg è consentita solo nei casi in cui la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna.
L’aborto deve essere, inoltre, praticato in una struttura sicura per la gestante. Bisogna quindi rivolgersi ad un medico che alla fine dell’incontro rilascia la copia di un documento che attesta lo stato di gravidanza e l’avvenuta richiesta di aborto. Dopo sette giorni, si può accedere all’Ivg, salvo casi di necessità per salute.
La differenza tra aborto chirurgico e farmacologico
La deputata Sportiello, proseguendo nel suo intervento, ha denunciato la mancanza di informazioni di cui, secondo lei, soffrirebbe la maggioranza, sulla differenza tra aborto chirurgico e farmacologico. E bene, per aborto chirurgico si fa riferimento all’aspirazione del contenuto intrauterino, con anestesia locale o generale, a partire dalla quattordicesima settimana.
Con il termine “farmacologico”, invece, si intende l’assunzione di mifepristone, la pillola nota con il nome RU486 e, a distanza di 48 ore, della prostaglandina. Il primo, il mifepristone “causa la cessazione della vitalità dell’embrione”, mentre l’assunzione del secondo farmaco “ne determina l’espulsione”. Questa procedura avviene entro nove settimane di età gestazionale presso le strutture ambulatoriali pubbliche collegate a ospedali, i consultori o in day hospital. In alcune Regioni italiane, dal 2025, sarà possibile assumere i farmaci direttamente dalla propria abitazione. A regolare queste norme è l’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) che ha modificato le linee guida sull’impiego del medicinale nel 2020.
Negli anni il ricorso all’aborto farmacologico è aumentato, passando da essere usato nel 3,3% degli interventi nel 2010 al 45,3% nel 2021, data alla quale risalgono i dati più recenti in materia.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) afferma che il sostegno degli operatori sanitari può essere autogestito dalle donne direttamente dalle proprie abitazioni. E mentre in Regioni come l’Emilia-Romagna, questo sarà realtà dal prossimo gennaio, nelle Marche, l’aborto farmacologico è utilizzato solo nel 19,6% dei casi, a differenza di regioni come la Liguria, nella quale la percentuale, sempre secondo i dati della Relazione del 2021, la percentuale è pari al 72,5% dei casi.
La mancanza di applicazione della legge n.194 del 1978
Una delle principali motivazioni per le quali deputati dell’opposizione e associazioni o enti che si occupano della materia criticano la mancata applicazione della legge, si deve anche agli obiettori di coscienza e al fatto che il Governo non garantisce un numero sufficiente di non obiettori per ogni Regione, costringendo le donne a spostarsi di chilometri per raggiungere una struttura che garantisca il loro diritto.
Con il termine “obiettori di coscienza” ci si riferisce a quei medici o operatori sanitari che possono liberamente scegliere di non effettuare gli interventi chirurgici perché “in contrato con i propri valori personali”, al netto dei casi in cui la vita della donna possa essere messa a rischio. Come stabilisce l’articolo 9 della legge 194, però, “gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate sono tenuti in ogni caso ad assicurare l’effettuazione degli interventi di interruzione della gravidanza richiesti”. Alle Regioni, il compito di assicurare l’aborto, “anche attraverso la mobilità del personale”.
Nel 2021, la percentuale media nazionale di obiettori di coscienza superava il 63% tra i ginecologi, il 33% tra il personale non medico e il 40,5% tra gli anestesisti. La distribuzione sul territorio nazionale, però, cambia tra l’Italia meridionale (78,5 per cento), quella insulare (76,5 per cento), e centrale (63 per cento) o settentrionale (54,7 per cento). La Sicilia detiene il numero maggiore, con l’85%, segue l’Abruzzo con l’84% e la Puglia, con l’80,6 per cento. In contrato, la provincia autonoma di Trento ha solo il 17%, la Valle d’Aosta il 25% e l’Emilia-Romagna il 45%.
Il numero di aborti nel 2021 è stato pari a 63.653, un calo del 72,9% rispetto al 1982, quando furono 234mila.
Che fine ha fatto la Relazione sull’aborto e perché è importante?
Se l’anno scorso la relazione è stata pubblicata a metà settembre e nel 2022 a giugno, nel 2021 a fine luglio, nel 2020 ad agosto, quest’anno, non è ancora stata pervenuta, nonostante il vincolo di febbraio come data ultima per legge. Per fare chiarezza, però, anche la relazione del 2017 è stata diffusa con un ritardo di dieci mesi. La Relazione riguarda l’attuazione della legge e dei suoi effetti, come stabilito dall’articolo 16.
Il diritto ad essere informati, diritto sancito dalla stessa Costituzione, prevede con la legge sull’aborto che una donna possa essere in grado di conoscere il tasso di obiettori di coscienza nella propria Regione di residenza o domicilio; quali sono i tempi utili per accedere alla pratica, ad esempio o, ancora, in quali strutture è possibile svolgere l’aborto. La mancanza della Relazione, o le sue lacune, così come il fatto che si riferisca a due anni precedenti (quella sui dati del 2021 è stata pubblicata lo scorso anno), non la rende neanche così tanto attendibile.
Se questa relazione è di competenza del Ministero della Salute, a quello della Giustizia spetta la relazione sulle violazioni della legge n.194 del 1978 e le richieste rivolte al giudice tutelare in caso di minorenni. Quest’ultima è arrivata il 4 aprile 2024, quando Carlo Nordio, ministro della Giustizia, ha trasmesso al Parlamento i dati relativi a questa fattispecie, riferiti al 2023. Questa seconda relazione, però, fornisce solo una panoramica parziale dell’andamento dell’aborto nel Paese. Il numero delle richieste al giudice tutelare, tra il 2021 e il 2023, sono aumentate rispettivamente da 348 nel 2021 a 394 nel 2022, fino alle 415 domande nel 2023.
La risposta dal Governo
In merito al ritardo sulla presentazione della ‘Relazione al Parlamento sull’attuazione della legge 194’ “sussistono oggettive difficoltà tecniche a rispettare la scadenza” prevista dalla normativa. Questo perché “la raccolta, il controllo e l’elaborazione dei dati analitici sulle interruzioni volontarie di gravidanza di tutte le Regioni e province autonome, determina un procedimento comprensibilmente lungo e delicato, che impegna a fondo l’insieme del Sistema di sorveglianza, dalle strutture periferiche a quelle centrali”. Lo ha detto il sottosegretario alla Salute, Marcello Gemmato, rispondendo nell’Aula della Camera.
“La trasmissione dei dati relativi al 2023 – ha continuato Gemmato – da parte delle Regioni e delle province autonome all’Istituto superiore di sanità e all’Istat è, infatti, ancora in corso. Una volta completata la trasmissione dei dati, gli organi centrali devono procedere alla necessaria verifica della qualità dei dati e alla integrazione delle informazioni mancanti tramite i dati provenienti dalle Schede di dimissione ospedaliera”.
Il lavoro del Terzo settore
Una panoramica sulla clandestinità alla quale molte donne ancora ricorrono è stata fornita dal Terzo Rapporto sui costi dell’aborto e i suoi effetti sulla salute delle donne, elaborato dall’Osservatorio Permanente sull’Aborto, che ha aggiornato i dati fino al 2022. Dal rapporto è emerso che il costo complessivo dell’aborto legale fino al 2022 è stato di circa 7,3 miliardi di euro, con un costo annuale di 56 milioni di euro, a cui si aggiungono 15,7 milioni per l’uso della pillola post-coitale.
Così come, il crescente uso dell’aborto farmacologico, che, “sebbene riduca il costo per singolo aborto, comporta maggiori complicazioni rispetto a quello chirurgico”. Il rapporto include inoltre una rassegna di studi che confermano un possibile legame tra aborto e cancro al seno, e confuta l’idea che l’obiezione di coscienza ostacoli il diritto all’aborto, analizzando in particolare la Regione Marche.
Infine, il rapporto sostiene che la legalizzazione dell’aborto nel 1978 non ha ridotto la mortalità femminile legata agli aborti clandestini, contrariamente a quanto previsto, e non ha eliminato l’aborto clandestino, mantenendo aperta una questione di giustizia sociale.
Dall’altro lato, invece, c’è l’Associazione Luca Coscioni che ha chiesto “Dati aperti” al Ministero della Salute: “Ci servono i dati aperti e per ogni struttura ospedaliera. Solo se i dati sono aperti sono utili e ci offrono informazione e conoscenza. Solo se i dati sono aperti hanno davvero un significato e permettono alle donne di scegliere in quale ospedale andare, sapendo prima qual è la percentuale di obiettori nella struttura scelta. I dati chiusi del ministero sono una fotografia sfocata. Ecco perché abbiamo mandato una richiesta di accesso civico generalizzato alle singole ASL e ai presidi ospedalieri chiedendo i numeri specifici per struttura. Chiedendo di aprire i dati, quei dati che dovrebbero essere già aperti”.
In merito alla richiesta di “rendere disponibili i dati sull’ interruzione volontaria di gravidanza in formato aperto” Gemmato ha fatto presente la necessità di rispettare le normative in materia di protezione dei dati personali. “In ossequio a queste disposizioni il ministero della Salute, nella Relazione al Parlamento, riporta i dati richiesti solo in forma aggregata per Regione e non per singolo presidio ospedaliero”.
Ma l’associazione ha lanciato una petizione: “A 45 anni dall’approvazione della legge 194 ancora non conosciamo lo stato della sua applicazione. Il governo non fornisce dati aperti, utili e aggiornati. L’ultima relazione del Ministro della Salute riguarda il 2021. Oggi non sappiamo come e dove si possa abortire nelle singole Regioni italiane. I metodi contraccettivi non sono conosciuti e accessibili come in altri Paesi europei. Firma per la pubblicazione di dati aperti sull’applicazione della legge sulla interruzione volontaria della gravidanza e per rendere gratuiti tutti i metodi contraccettivi”.
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Giornata Mondiale della Prematurità, le storie dei “bimbi...
In Italia, circa 24 mila neonati, pari al 6,3% delle nascite, arrivano al mondo prematuramente, con il 7,5% di questi bimbi nati prima delle 28 settimane. L’allarme sulla prematurità non riguarda soltanto le delicate condizioni cliniche dei neonati nelle prime settimane di vita, ma si estende alle conseguenze di lungo periodo che molti di loro possono affrontare. Il tema diventa particolarmente rilevante in occasione della Giornata Mondiale della Prematurità, il 17 novembre, che porta all’attenzione del pubblico e della comunità medica l’impatto della nascita pretermine sulla salute individuale e sul sistema sanitario. La complessità della gestione dei neonati prematuri, evidenziata dai dati del Network Italiano Neonatologia SIN Rapporto 2023, impone una riflessione sugli interventi sanitari e di supporto psicologico che possono mitigare i rischi e promuovere un futuro migliore per questi bambini.
Sfide e progressi della neonatologia
Gli sviluppi della neonatologia hanno permesso negli ultimi decenni un miglioramento della sopravvivenza dei neonati estremamente pretermine. Tuttavia, come sottolinea il presidente della Società Italiana di Neonatologia (SIN), Luigi Orfeo, tali progressi non sono ancora sufficienti a risolvere le difficoltà legate alla prematurità. Orfeo e altri esperti neonatologi hanno ribadito l’urgenza di aumentare la consapevolezza e migliorare l’assistenza a lungo termine, sottolineando l’importanza di programmi di medicina di transizione e follow-up che accompagnino il bambino fino all’età adulta.
I progressi della medicina hanno incrementato le possibilità di sopravvivenza per questi bambini, ma non hanno eliminato i rischi associati alla nascita prematura, che influenzano il loro sviluppo fino all’età adulta.
Le sfide dei prematuri
Il respiro è il primo dei tanti ostacoli che un neonato estremamente pretermine si trova ad affrontare. Sebbene i progressi nella cura neonatale abbiano contribuito a salvare vite, le complicanze respiratorie restano rilevanti. I neonati pretermine sono a rischio di displasia broncopolmonare (BPD), una condizione che interessa il 44,6% dei nati con meno di 28 settimane, con conseguenze che vanno da infezioni respiratorie severe all’ostruzione delle vie aeree, spesso fino all’età adulta. Questa ridotta funzionalità respiratoria può generare difficoltà quotidiane, come una maggiore vulnerabilità a infezioni e un’affaticabilità precoce, influenzando così la qualità della vita di questi individui. Secondo gli esperti, la comunità scientifica sta esplorando nuove strade preventive, tra cui le vescicole extracellulari e l’Insulin-like growth factor-1 (IGF-1), che mirano a stimolare lo sviluppo polmonare dei neonati.
Le sfide però non si fermano ai problemi respiratori. I neonati estremamente pretermine presentano un rischio elevato di sviluppare insufficienza cardiaca e cardiopatia ischemica già in giovane età adulta. Uno studio svedese ha evidenziato un legame diretto tra la nascita pretermine e il rischio di patologie cardiovascolari, anche a causa di quadri complessi come la sindrome metabolica, frequente in questa popolazione. Tuttavia, la gestione di tali complicazioni non è sempre ottimale, perché spesso si tende a trattare questi adulti ex-prematuri come pazienti asmatici, senza tenere conto della specificità dei loro problemi respiratori. La SIN avverte che è necessaria una maggiore cautela nella diagnosi di asma in pazienti nati molto pretermine, poiché la loro ostruzione bronchiale non segue le caratteristiche dell’asma tradizionale.
Oltre al cuore e ai polmoni, la prematurità colpisce in modo significativo anche il neurosviluppo, ponendo questi bambini a rischio di disturbi che spaziano dalla disabilità cognitiva ai disturbi dell’attenzione, fino all’autismo. In Italia, circa il 6,3% dei bambini nasce prematuro, con conseguenze che, come indicato dalla Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza (Sinpia), interessano in maniera frequente il neurosviluppo. In assenza di lesioni cerebrali visibili, il sistema nervoso dei neonati pretermine si sviluppa in un ambiente anomalo, che rende complesso il processo di maturazione cerebrale. Si stima che circa un bambino pretermine su due possa sviluppare disturbi legati a ritardi cognitivi, problemi comportamentali o difficoltà di regolazione emotiva, con effetti significativi sul lungo termine.
Elisa Fazzi, presidente della Sinpia, ha evidenziato che, nonostante l’aumento delle possibilità di sopravvivenza, le problematiche neurosviluppo non diminuiscono: se oggi risultano meno frequenti le gravi disabilità motorie e cognitive, si riscontra invece un aumento di difficoltà legate a coordinazione motoria, apprendimento, attenzione ed emotività. Il cervello dei neonati pretermine, grazie alla sua plasticità, è influenzato da esperienze e relazioni precoci; tuttavia, per ridurre i rischi, è fondamentale il supporto di un team di professionisti, neuropsichiatri infantili inclusi, che possa seguire il bambino e la famiglia nel lungo percorso di crescita. Gli esperti ritengono essenziale il monitoraggio continuo, con programmi di follow-up che possano aiutare a individuare tempestivamente eventuali difficoltà e intervenire in modo mirato.
La prematurità in Italia e il valore della sorveglianza nazionale
La percentuale dei neonati che nasce pretermine in Italia, seppure inferiore alla media mondiale, rappresenta un fenomeno di rilevante impatto demografico e sanitario. La Giornata Mondiale della Prematurità è un’occasione per riflettere sulle difficoltà che affrontano i “bimbi piuma”, come sono chiamati i neonati estremamente fragili, e per sensibilizzare l’opinione pubblica sulle esigenze di questa fascia di popolazione.
L’Istituto Superiore di Sanità ha lanciato, dal 2017, la necessità di una sorveglianza nazionale delle morti perinatali, con l’obiettivo di monitorare e prevenire i decessi evitabili che si verificano in utero o nelle prime settimane di vita. Grazie a un progetto pilota, denominato SPItOSS, in tre regioni italiane, Lombardia, Toscana e Sicilia, il sistema ha identificato criticità cliniche e organizzative, permettendo la definizione di interventi mirati. I risultati ottenuti finora indicano che la prematurità è tra le principali cause di mortalità perinatale, e l’ISS raccomanda di estendere la sorveglianza a livello nazionale per migliorare l’assistenza e ridurre i decessi evitabili, stimati in circa il 15,7% dei casi analizzati.
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Quando il piacere si nasconde dietro lo schermo, il disagio...
Il panorama sessuale dei giovani italiani si sta configurando in modo preoccupante, con un mix di isolamento, disinformazione e una crescente dipendenza dalle soluzioni virtuali. Secondo i dati rivelati dalla Società Italiana di Andrologia (SIA), quasi il 50% dei ragazzi non è soddisfatto della propria vita sessuale, e un importante 30,1% ammette di fare uso quotidiano di chat erotiche o siti pornografici. Questi numeri, resi noti in occasione della prima Giornata Nazionale per la Salute dell’Uomo, non solo fotografano un malessere diffuso, ma raccontano una generazione che affronta il tema della sessualità in solitudine, spesso rifugiandosi nelle informazioni online anziché confrontarsi con professionisti.
Lo studio svela che la maggior parte dei giovani (73,4%) non ha mai fatto una visita da un andrologo, preferendo consultare “dottor Google” per risolvere eventuali problematiche sessuali. Ma la ricerca evidenzia un altro dato sconfortante: solo il 30% dei ragazzi affronta prontamente i problemi sessuali, mentre circa il 15% continua a cercare risposte nel mare magnum del web. Una situazione che ha radici profonde nella scarsa educazione sessuale e nella disinformazione sulla prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili. Il risultato? Solo il 33% dei giovani maschi utilizza sempre il profilattico, e la maggior parte si affida a internet per raccogliere informazioni sulle MST, un fenomeno che contribuisce all’aumento di casi di infezioni come l’HPV, con implicazioni dirette anche sulla fertilità maschile.
La disinformazione sta lentamente ma inesorabilmente deteriorando la salute sessuale dei giovani, tanto che la fertilità maschile risulta compromessa rispetto ai coetanei degli anni ’90. Tommaso Cai, segretario della SIA, lancia un allarme: “Diventa imperativo riaprire il capitolo dell’educazione sessuale nei giovani maschi”, affinché possano avere gli strumenti giusti per tutelarsi e affrontare i problemi di salute sessuale con consapevolezza.
La disfunzione erettile tra i giovani
Non solo i giovani italiani sono più inclini a rifugiarsi nel virtuale per soddisfare i propri desideri, ma la loro salute sessuale sta anche subendo un lento declino, con problematiche sempre più diffuse come la disfunzione erettile. La SIA ha evidenziato che circa 3 milioni di uomini in Italia soffrono di disturbi legati all’erezione, una percentuale che sta crescendo a vista d’occhio. Tra i 40 e i 70 anni, uno su due presenta difficoltà di erezione lievi o gravi, un dato che fa riflettere sulla scarsa attenzione al tema della prevenzione e delle cure. La causa principale di questo aumento è la carenza di informazioni adeguate, che si traduce in una scarsa consapevolezza della problematica e in una prevenzione inefficace.
Nonostante la crescente diffusione della disfunzione erettile, molti uomini, anche giovani, preferiscono ignorare i sintomi piuttosto che affrontarli. Questo è dovuto anche al persistente stigma sociale che avvolge le problematiche sessuali, con molti giovani che non parlano con il medico né con i genitori dei disturbi che potrebbero riscontrare. Alessandro Palmieri, presidente della SIA, sottolinea come “un fattore determinante per la salute maschile sia la prevenzione”, un concetto che, purtroppo, sembra essere trascurato dalla maggior parte dei ragazzi. Eppure, la disfunzione erettile non è solo un problema legato all’età, ma può interessare anche i giovani, con circa il 30-40% degli adolescenti tra i 16 e i 18 anni che presenta una patologia andrologica.
Il ruolo della prevenzione e dell’informazione nella salute sessuale maschile
La sfida, dunque, non è solo medica ma anche educativa. La SIA ha avviato una campagna di sensibilizzazione per avvicinare i giovani alla prevenzione andrologica, con un focus particolare sulla fascia di età tra i 16 e i 35 anni. Questa iniziativa è supportata da partner istituzionali come l’Esercito Italiano, la Croce Rossa e il Corpo delle Infermiere Volontarie, con l’obiettivo di incentivare i giovani ad affrontare con maggiore serietà la propria salute sessuale.
Ma è evidente che non basta. La cultura del “tabù” attorno alla sessualità maschile, unita alla costante ricerca di soluzioni facili e veloci tramite internet, sta creando una generazione che affronta i problemi sessuali in modo superficiale, perdendo così importanti occasioni di cura e prevenzione.