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Torino, salvata 26enne con insufficienza epatica fulminante da colpo di calore

Foto di repertorio - FOTOGRAMMA

Una ragazza è stata salvata pochi giorni fa con un trapianto di fegato in super-urgenza per un'insufficienza epatica fulminante da colpo di calore. L'operazione all'ospedale Molinette della Città della Salute di Torino. "La ragazza, 26enne, residente nella zona di Alba, è stata colta da malore nei pressi di casa sua in campagna durante una mattina di sole rovente di questa caldissima estate. Rinvenuta dai familiari in stato di incoscienza, è stata portata in urgenza presso l'ospedale di Verduno - ricostruisce l'azienda ospedaliero-universitaria - La prima temperatura corporea interna misurata in pronto soccorso era di 41 gradi, comprovante il cosiddetto 'colpo di calore'. I medici rianimatori l'hanno subito intubata e sottoposta a raffreddamento con ghiaccio e liquidi freddi endovena. Il trattamento tempestivo ha consentito di stabilizzare le funzioni vitali della giovane paziente e di impedire la letale progressione verso l'insufficienza multi-organo. Tuttavia, a partire dal giorno successivo all'evento acuto, la situazione del fegato è andata progressivamente peggiorando, configurando molto rapidamente un quadro di severa insufficienza epatica in evoluzione fulminante".

Dopo meno di 4 giorni dal trapianto le condizioni della paziente sono in rapido miglioramento e la ragazza si sta progressivamente risvegliando presso la terapia intensiva." Questo episodio dimostra come questa calda estate non fermi la rete di donazione di Piemonte e Valle d'Aosta, capace di rispondere alle esigenze di cura e di salvare la vita di pazienti in lista di attesa anche urgente per trapianto", evidenzia l'Aou. "E' una vita salvata che conferma per l'ennesima volta l'altissimo livello dei professionisti e l'eccellente macchina organizzativa della Città della Salute di Torino. La fattiva collaborazione con gli altri ospedali piemontesi ha permesso di fare rete e di compiere un vero miracolo", ha affermato Giovanni La Valle, direttore generale dell'azienda.

"Pur nella tragicità della situazione, si è venuta a verificare la favorevole coincidenza temporale che l'équipe chirurgica del centro torinese proprio in quel momento si stesse trovando impegnata in un prelievo d'organi in un importante ospedale piemontese, grazie alla regia del Centro regionale Trapianti - riporta l'Aou in una nota - Il dottor Damiano Patrono stava infatti ultimando un delicato intervento di divisione del fegato di un donatore in due parti (il cosiddetto 'split liver'), affinché la parte sinistra del fegato (più piccola) fosse trapiantata in un ricevente pediatrico in un altro centro trapianti italiano e la parte destra (più grande) fosse trapiantata in un ricevente adulto a Torino. La fortuna ha voluto che il fegato 'split destro' fosse perfettamente compatibile con le necessità della ragazza e che quindi potesse esserle assegnato".

La gravissima paziente ha così potuto essere condotta in sala operatoria per trapianto con la massima tempestività, ovvero dopo meno di 2 ore dalla sua immissione in lista d'attesa in super-urgenza nazionale. Il trapianto di elevata complessità è durato circa 8 ore ed è tecnicamente riuscito.

Questo articolo è stato originariamente pubblicato dall’agenzia Adnkronos. Sbircia la Notizia Magazine non è responsabile per i contenuti, le dichiarazioni o le opinioni espresse nell’articolo. Per qualsiasi richiesta o chiarimento, si prega di contattare direttamente Adnkronos.

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Salute e Benessere

“Briciole al Ssn ed elemosina agli operatori”,...

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La protesta indetta per il 20 novembre da Cimo-Fesmed con Anaao-Assomed e gli infermieri Nursing-Up

Medici - Fotogramma

Ci sono "almeno 10 ragioni" per cui i medici della federazione sindacale, con i colleghi di Anaao-Assomed e gli infermieri di Nursing Up, hanno proclamato per il 20 novembre una giornata di sciopero nazionale. Lo dichiara Guido Quici, presidente di Cimo-Fesmed illustrando le ragioni della protesta. In quella data, spiega, "medici e infermieri sciopereranno e manifesteranno a Roma perché sono stufi di proclami che, puntualmente, non hanno seguito. Fare di tutto per spingere i medici ad abbandonare la sanità pubblica rappresenta un inaccettabile voltafaccia, o il frutto di un piano ben preciso volto ad arricchire - sulle spalle dei malati - il privato, le assicurazioni, le cooperative e le multinazionali della salute".

"Ogni anno, puntualmente, la legge di Bilancio si rivela una doccia fredda per la sanità pubblica e quindi per i cittadini e per il personale sanitario. Quello di illudere pazienti e professionisti della salute con mirabolanti promesse, per poi ritrovarsi con in mano un piatto di lenticchie - rileva Quici - è uno sport politico che non siamo più disposti ad accettare. E allo stesso modo risulta una presa in giro aumentare di 3 euro le pensioni minime e poi costringere le fasce più povere della popolazione a spendere centinaia di euro per visite mediche private, analisi, Tac e risonanze magnetiche che risultano inaccessibili nella sanità pubblica".

Le ragioni dello sciopero

Innanzitutto "erano stati annunciati 3,7 miliardi per la sanità pubblica", mentre "il prossimo anno ne arriveranno 1,3, sufficienti a malapena a finanziare i rinnovi dei contratti del personale sanitario, lasciando dunque briciole al miglioramento dell'assistenza sanitaria offerta ai cittadini". Ragione numero 2: "Erano state promesse 30mila assunzioni nel Servizio sanitario nazionale, ma la legge di Bilancio non ne prevede alcuna. E senza assunzioni sarà impossibile ridurre il carico di lavoro dei dipendenti e migliorare quindi le condizioni lavorative negli ospedali, oggi inaccettabili".

Terzo motivo dello sciopero: "Erano stati previsti, nella precedente legge di Bilancio, 200 milioni per i medici dipendenti per ridurre le liste d'attesa, ma si sta lavorando per ridurre del 50% il finanziamento a favore dei medici specialisti ambulatoriali interni". Quarto: "Era stata assicurata la defiscalizzazione al 15% dell'indennità di specificità medica, un riconoscimento vero della peculiarità della professione. Invece non è prevista alcuna defiscalizzazione, ma solo lo stanziamento di un misero finanziamento aggiuntivo che porterà nelle tasche dei medici circa 17 euro mensili. Una vera elemosina che offende tutta la categoria". Quinta ragione: "Era stata prevista la defiscalizzazione al 15% delle prestazioni aggiuntive, ma numerose aziende si rifiutano di applicarla in attesa di una circolare del Mef che non promette nulla di buono".

Ancora: "Erano stati garantiti importanti miglioramenti sul fronte della responsabilità professionale per far lavorare i medici con maggiore tranquillità; invece, i risultati non ancora ufficiali della Commissione D'Ippolito appaiono estremamente fumosi e poco efficienti", è il sesto motivo per cui i camici bianchi sciopereranno. Settimo: "Era stata dichiarata guerra contro i cosiddetti medici gettonisti, e invece il Governo ha proposto un disegno di legge che intende contrastarli attraverso il ricorso a contratti precari co.co.co". Ragione numero 8: "Erano state stanziate dallo Stato, negli anni passati, molte risorse in favore del personale sanitario, che tuttavia risultano ancora trattenute dalle Regioni. Non possono meravigliare, poi, le iniziative di alcune di esse che anticipano gli effetti dell’autonomia differenziata sul mercato del lavoro, elargendo premi di produzione extra contrattuali".

Nove: "Era stato promesso un vero finanziamento per la sanità pubblica, e invece ogni provvedimento adottato dal Governo aumenta le risorse destinate alla sanità privata, senza tenere in considerazione lo scandaloso dumping salariale tra medici del pubblico e medici dipendenti di aziende private, molti dei quali attendono il rinnovo del contratto di lavoro da 20 anni". Infine, decimo motivo di protesta: "Era stato annunciato il rispetto dei contratti di lavoro e il rinnovo dei Ccnl entro la scadenza; invece stiamo riscontrando numerose difficoltà nella corretta applicazione del Ccnl 2016-2018 nelle aziende, in particolare degli articoli che riguardano l'orario di lavoro, nel tentativo di continuare a lucrare sulle ore lavorate a titolo gratuito. Al contempo, siamo ancora in attesa dell'emanazione dell'atto di indirizzo necessario ad avviare le trattative per il Ccnl della dirigenza medica e sanitaria 2022-24, che scadrà tra 2 mesi".

"Con questo scenario - conclude Quici - non possiamo che condividere la scelta di chi decide di abbandonare la sanità pubblica. La Federazione Cimo-Fesmed sarà dalla sua parte e offrirà ogni possibile aiuto per supportare l'uscita dal Ssn".

Questo articolo è stato originariamente pubblicato dall’agenzia Adnkronos. Sbircia la Notizia Magazine non è responsabile per i contenuti, le dichiarazioni o le opinioni espresse nell’articolo. Per qualsiasi richiesta o chiarimento, si prega di contattare direttamente Adnkronos.
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Salute e Benessere

Alimenti: perché amiamo i carboidrati? Una ‘love...

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PASTA CRUDA - SPAGHETTI (PASTA CRUDA ORIZZONTALE DIETA MEDITERRANEA CARBOIDRATI SPAGHETTI) (FOTOARCHIV / IPA, Genova - 2007-09-11) p.s. la foto e' utilizzabile nel rispetto del contesto in cui e' stata scattata, e senza intento diffamatorio del decoro delle persone rappresentate - FOTOGRAMMA

Perché amiamo i carboidrati? La domanda ha ancora più valore oggi, giorno in cui si celebra in tutto il mondo il Pasta day dedicato ad uno degli alimenti cardine della dieta mediterranea italiana, tanto amato anche a livello globale. E un team di scienziati ha scoperto che questa 'love story' ha origini antichissime, risale forse anche ai tempi dei Neanderthal e precede l'avvento dell'agricoltura. Lo studio condotto da ricercatori dell'università di Buffalo e dal Jackson Laboratory parla chiaro: se abbiamo difficoltà a ridurre l'assunzione di carboidrati, la colpa potrebbe essere del Dna antico.

E' noto da tempo che gli esseri umani trasportano più copie di un gene che consente di iniziare a scomporre l'amido dei carboidrati complessi in bocca, fornendo il primo passo nel metabolismo di cibi amidacei come pane e pasta. Tuttavia, è stato notoriamente difficile per i ricercatori determinare come e quando il numero di questi geni si sia espanso. Il nuovo studio dimostra come la duplicazione di questo gene - Amy1 - potrebbe aver contribuito a plasmare l'adattamento umano agli alimenti amidacei, e questa duplicazione potrebbe essersi verificata già più di 800mila anni fa, molto prima dell'avvento dell'agricoltura. Gli autori fanno il punto dei risultati della loro ricerca su 'Science'. Lo studio dimostra in definitiva come le prime duplicazioni di questo gene abbiano posto le basi per un'ampia variazione genetica che esiste ancora oggi, influenzando l'efficacia con cui gli esseri umani digeriscono i cibi amidacei.

"L'idea è che più geni dell'amilasi si hanno, più amilasi si può produrre e più amido si può digerire efficacemente", spiega l'autore corrispondente dello studio, Omer Gokcumen, professore dell'ateneo Usa che ha condotto la ricerca. L'amilasi è un enzima che non solo scompone l'amido in glucosio, ma conferisce anche il sapore al pane, spiegano gli esperti. Gokcumen e colleghi, tra cui il coautore senior Charles Lee del Jackson Laboratory, hanno utilizzato una nuova modalità di mappatura del genoma per dettagliare a livelli massimi la regione del gene Amy1. Questa tecnica innovativa ha fornito un quadro più chiaro di come si sono evolute le duplicazioni di Amy1. Risultato: è emerso che gli antichi cacciatori-raccoglitori e persino i Neanderthal avevano già più copie di Amy1. Con buona pace dei 'pasta lovers' di oggi.

Gli scienziati, per arrivare a queste conclusioni, hanno analizzato i genomi di 68 esseri umani antichi, tra cui un campione di 45mila anni fa proveniente dalla Siberia. Dallo studio è emerso che i cacciatori-raccoglitori pre-agricoli avevano già una media di 4-8 copie di Amy1 per cellula diploide, il che suggerisce che gli esseri umani si aggiravano già per l'Eurasia con un'ampia varietà di numeri elevati di copie di Amy1, ben prima di iniziare a coltivare le piante e a consumare quantità eccessive di amido. Il lavoro ha inoltre messo in luce che nei Neanderthal e nei Denisoviani si verificavano già duplicazioni del gene Amy1. E questo suggerirebbe quindi che "il gene Amy1 potrebbe essersi duplicato per la prima volta più di 800mila anni fa, ben prima che gli esseri umani si separassero dai Neanderthal e molto più indietro di quanto si pensasse in precedenza", afferma Kwondo Kim, uno degli autori principali dello studio, scienziato del laboratorio di Lee.

"Le duplicazioni iniziali nei nostri genomi hanno gettato le basi per una variazione significativa nella regione dell'amilasi, consentendo agli esseri umani di adattarsi ai cambiamenti nella dieta, mentre il consumo di amido aumentava drasticamente con l'avvento di nuove tecnologie e stili di vita", aggiunge Gokcumen. La ricerca evidenzia anche come l'agricoltura abbia avuto un impatto sulla variazione di Amy1. Mentre i primi cacciatori-raccoglitori avevano più copie di geni, gli agricoltori europei hanno visto un aumento del numero medio di copie di Amy1 negli ultimi 4mila anni, probabilmente per le loro diete ricche di amido. "Le persone con un numero di copie di Amy1 più elevato probabilmente digerivano l'amido in modo più efficiente e avevano più prole", continua Gokcumen. "I loro lignaggi alla fine se la cavavano meglio in un lungo arco di tempo evolutivo rispetto a quelli con un numero di copie più basso, propagando così il numero di copie Amy1".

I risultati sono in linea anche con lavori precedenti. E, "dato il ruolo chiave della variazione del numero di copie di Amy1 nell'evoluzione umana - conclude l'autrice principale dello studio, Feyza Yilmaz (Jackson Laboratory) - questa variazione genetica rappresenta un'entusiasmante opportunità per esplorare il suo impatto sulla salute metabolica e scoprire i meccanismi coinvolti nella digestione dell'amido e nel metabolismo del glucosio". Scoperte da approfondire magari proprio davanti a un piatto di pasta.

Questo articolo è stato originariamente pubblicato dall’agenzia Adnkronos. Sbircia la Notizia Magazine non è responsabile per i contenuti, le dichiarazioni o le opinioni espresse nell’articolo. Per qualsiasi richiesta o chiarimento, si prega di contattare direttamente Adnkronos.
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Salute e Benessere

One Health, indagine ‘solo 1 paziente su 4 sa cosa...

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Si fa presto a dire One Health. La verità è che invece pochi pazienti sanno cosa sia, solo 1 su 4, e ancora meno sono gli operatori sanitari che riescono a tradurla in azioni concrete durante la loro attività. Eppure coloro che conoscono la One Health, un approccio strategico che interconnette la salute umana, animale e ambientale - la cosiddetta 'salute unica' - sono ben consapevoli del suo vantaggio più importante: il miglioramento degli standard di salute. E gli stessi ritengono che l'impiego della telemedicina, delle piattaforme digitali, e la realizzazione di nuove strutture e presidi per servizi di prossimità, possono servire a creare un nuovo modello di assistenza territoriale in ottica One Health. Sono i risultati di un'indagine nazionale promossa da MioDottore e condotta da Datanalysis, presentata a Roma, che ha coinvolto un totale di 1.700 persone (700 medici specialisti, 100 veterinari, 100 direttori generali e sanitari di aziende ospedaliere, 100 politici della sanità e 700 pazienti).

"L'approccio One Health promuove una visione integrata e olistica di salute umana, animale e ambientale, presentandosi come risposta alle sfide del nostro tempo e riconoscendo che la salute di ogni individuo è strettamente legata alla salute degli altri e dell'ecosistema in cui viviamo - spiega Stefano Vella, infettivologo e docente di salute globale all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma - Attraverso la comprensione delle complesse interazioni tra questi tre settori cruciali, l'approccio olistico che ne deriva mira principalmente a migliorare la salute collettiva, prevenire malattie e promuovere il benessere, assumendo un ruolo chiave anche nel più ampio quadro di obiettivi globali di sostenibilità".

"La pervasività dell'approccio One Health nell'elaborazione delle attuali strategie di risposta alle nuove sfide sanitarie testimonia l'ormai universale riconoscimento dell'interconnessione tra salute umana, animale e ambiente - osserva Ranieri Poli del Dipartimento One Health del ministero della Salute - Il ministero della Salute, nel suo nuovo assetto organizzativo, si è dotato di un Dipartimento One Health e il recente comunicato dei ministri della Salute del G7 ha dedicato ampio spazio a questo tema e a quelli ad esso strettamente connessi, come l'antibiotico-resistenza".

Un primo passo, con molta strada da fare. I risultati dell'indagine - riporta una nota - mostrano da un lato che il 95% dei direttori generali e sanitari e l'80% dei politici hanno sentito parlare di One Health. Ma anche che lo stesso vale solo per circa la metà dei veterinari e dei medici specialisti. Inoltre, ci sono altri molteplici ostacoli: oltre alle scarse conoscenze sull'argomento e alle difficoltà insite di applicare questo approccio, secondo la maggioranza del campione analizzato pesano anche la mancanza di una strategia chiara e la carenza di finanziamenti. Mentre invece il 73% dei pazienti di One Health non ne sa proprio nulla.

Tuttavia, i professionisti del mondo della sanità hanno ben chiare quali siano i principali problemi che la strategia One Health dovrebbe affrontare: in primis la resistenza antimicrobica (20%) e i focolai di malattie altamente infettive (20%), poi l'inquinamento ambientale (circa 18%). E hanno un'idea ben più precisa su come si potrebbe realizzare un nuovo modello di assistenza territoriale in un'ottica One Health e indicano: l'impiego della telemedicina, la realizzazione di nuove strutture e presidi sanitari con maggiore accessibilità e disponibilità di servizi di prossimità e anche un nuovo assetto istituzionale per la prevenzione sul territorio, in linea con un approccio integrato. Inoltre, le piattaforme digitali sono viste come uno strumento utile per arrivare ai cittadini e per meglio rispondere alle loro esigenze.

"Il concetto di One Health rappresenta un cambiamento di paradigma necessario nella gestione della salute globale. In MioDottore - afferma il Ceo, Luca Puccioni - crediamo fermamente che la tecnologia possa svolgere un ruolo cruciale in questo processo, consentendo una comunicazione fluida tra medici, pazienti e strutture sanitarie. Grazie alla tecnologia, infatti, è possibile non solo migliorare l'accesso alle informazioni sanitarie, ma anche promuovere una cultura della prevenzione e del benessere che abbraccia tutte le dimensioni della salute. La sinergia tra salute umana, animale e ambientale è la chiave per affrontare le sfide future e siamo convinti che investire nella digitalizzazione della salute possa trasformare il modo in cui gestiamo la prevenzione e la cura, rendendo le pratiche più efficienti e sostenibili".

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