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Dal Vaticano un’apertura sul fine vita? La risposta non può essere univoca, ma il vademecum diffuso ieri dalla Pontificia Accademia per la vita, l’organismo del Vaticano responsabile delle questioni bioetiche, rappresenta una novità per la Santa Sede.

Fine vita, cosa ha detto il Vaticano

Il Vaticano ribadisce il rifiuto dell’eutanasia ma parla anche della necessità di trovare, in società democratiche e pluraliste, “un punto di mediazione fra posizioni differenti”. È soprattutto sull’accanimento terapeutico che la Santa Sede va oltre le tradizionali posizioni sottolineando che “il medico è tenuto a rispettare la volontà del paziente che le rifiuti con una consapevole e informata decisione, anche anticipatamente espressa in previsione dell’eventuale perdita della capacità di esprimersi e di scegliere”.

Monsignor Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita, chiarisce i punti cruciali del vademecum intitolato “Piccolo lessico del fine vita”:

Assoluta contrarietà a suicidio assistito ed eutanasia;
difesa del diritto alla vita, soprattutto per i più deboli;
necessaria valutazione dei trattamenti non proporzionati;
maggior cura dei malati;
collaborazione tra Chiesa e politica sui temi del fine vita

Paglia ridimensiona quella che da molti viene definita una “apertura storica” della Santa Sede, spiegando che le indicazioni presenti nel vademecum sono il frutto degli ultimi settant’anni di magistero dei Papi e della Chiesa.

Intanto, il Parlamento continua a non legiferare sul tema nonostante i ripetuti appelli della Corte costituzionale e le iniziative regionali. Chissà se l’invito del Vaticano cambierà le cose.

Il vuoto legislativo

Nel testo si legge: “Non si può ignorare che la sentenza della Corte costituzionale sollecita il Parlamento a colmare la lacuna legislativa rilevata in questo ambito, per di più in un contesto culturale che spinge, nei paesi occidentali, verso una deriva eutanasica. In questo quadro, far mancare il proprio apporto alla ricerca di un punto di convergenza tra differenti opinioni rischia, da una parte, di condurre a un esito più permissivo e, dall’altra, di alimentare la spinta a sottrarsi al compito di partecipare alla maturazione di un ethos condiviso”.

Il riferimento giurisdizionale è alla sentenza 135/2024 del 18 luglio scorso, quando la Consulta ha sostanzialmente ribadito che i requisiti per l’accesso al suicidio assistito restano quelli stabiliti dalla sentenza n. 242 del 2019, compresa la dipendenza del paziente da trattamenti di sostegno vitale.

In Italia si continua a colmare il vuoto normativo a cui fa riferimento il Vaticano con la sentenza “CappatoAntoniani” del 2019, un provvedimento spartiacque in materia.

In quella occasione, la Consulta stabilì che non è punibile chi aiuta una persona a suicidarsi, purché la persona che chiede di poter porre fine alla sua vita:

– sia tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale, come la ventilazione meccanica o la nutrizione artificiale;

– sia affetta da una patologia irreversibile, che non lascia alcuna speranza di guarigione o di miglioramento;

– soffra in modo intollerabile, sia fisicamente che psicologicamente, a causa della sua malattia;

– abbia espresso il suo proposito di suicidio in modo autonomo e liberamente formatosi, dopo aver ricevuto tutte le informazioni necessarie sulle sue condizioni di salute, sulle cure palliative disponibili e sulle modalità del suicidio assistito;

– sia pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, senza subire pressioni o influenze da parte di altri.

Anche la persone che assiste il suicidio deve rispettare delle condizioni.

Questi sono gli unici punti fissi dell’ordinamento italiano in tema di suicidio assistito. Nonostante i solleciti, mancano ancora regole e tempi certi. Per questo, lo scorso 30 luglio, dopo quasi vent’anni con la sclerosi multipla, una donna lombarda di 51 anni ha deciso di porre fine alle sue sofferenze martedì in Svizzera.

Il testo del Vaticano si interroga sui rapporti tra etica e legge chiedendosi in materia di eutanasia e suicidio assistito ribadendo che la Chiesa ha sempre sostenuto l’illiceità morale di queste pratiche ma chiedendosi se “in determinate circostanze, possano ammettersi mediazioni sul piano giuridico in una società pluralista e democratica, in cui anche i credenti sono chiamati a partecipare alla ricerca del bene comune che la legge intende promuovere”.

Sull’accanimento terapeutico

L’apertura diventa più netta in materia di sospensione della nutrizione e idratazione artificiale: “pur moralmente obbligatoria in linea di principio” si può valutare caso per caso anche in base al “disagio fisico del paziente” che “evoca il criterio della proporzionalità dei trattamenti”.

Il vademecum del Vaticano ricorda come “le società scientifiche principali definiscono unanimemente le NIA (nutrizione e idratazione artificiale, ndr.) come trattamento medico-sanitario a tutti gli effetti”.

Qui si pone, in sostanza, la questione per la Santa Sede: bisogna tenere distinte le attività di assistenza dagli altri trattamenti.

“Non si tratta pertanto di semplici procedure assistenziali e il medico è tenuto a rispettare la volontà del paziente che le rifiuti con una consapevole e informata decisione, anche anticipatamente espressa in previsione dell’eventuale perdita della capacità di esprimersi e di scegliere”.

Dunque, la nutrizione e l’idratazione artificiali sono “moralmente obbligatorie in linea di principio nella misura in cui e fino a quando dimostra di raggiungere la sua finalità propria, che consiste nel procurare l’idratazione e il nutrimento del paziente”. Riprendendo quanto affermato dalla Congregazione per la Dottrina della Fede in una risposta alla Conferenza episcopale statunitense, il vademecum della Santa Sede fa un passo importante riconoscendo la sussistenza di “motivazioni eticamente legittime per sospendere o non integrare la NIA in tre casi:

non più efficace dal punto di vista clinico;
non disponibile nel contesto sanitario considerato;
se comporterebbe per il paziente “un’eccessiva gravosità o un rilevante disagio fisico”.

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Alcuni comuni veneti hanno più richieste di cittadinanza...

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C’è qualcosa che non funziona nel diritto di cittadinanza italiano, almeno seguendo il buon senso. Ragazze e ragazzi nati in Italia non possono fare richiesta di cittadinanza, mentre altri, che magari non hanno mai visto il Belpaese, possono.

Da una parte, persone nate in Italia da genitori stranieri, che pur frequentando scuole italiane e vivendo nel Paese sin dal primo giorno, devono attendere anni prima di poter avanzare la richiesta di cittadinanza. Dall’altra, ci sono oriundi italiani, persone nate all’estero, che possono ottenere la cittadinanza italiana anche senza aver mai vissuto in Italia, perché il meccanismo di attribuzione si basa sullo ius sanguinis.

Caos cittadinanza, il caso del Veneto

Questa disparità è particolarmente evidente nel Veneto, dove 92 mila bambini e ragazzi, figli di genitori stranieri, vivono e studiano senza avere la cittadinanza, mentre 300 mila oriundi nati all’estero, con un trisavolo veneto, riescono a ottenerla. Si tratta di un fenomeno che pone serie domande sul senso di appartenenza e cittadinanza nel nostro Paese, ma anche sui criteri con cui vengono stabiliti i diritti civili.

Il Veneto è una delle regioni italiane più colpite da questa dinamica, a causa del suo passato di forte emigrazione verso le Americhe tra Ottocento e Novecento. Molti discendenti di emigranti veneti, principalmente in Brasile e Argentina, richiedono la cittadinanza italiana grazie alla legge sullo ius sanguinis. Salvatore Laganà, presidente del Tribunale di Venezia, ha confermato che il 43% delle richieste per discendenza in tutta Italia proviene proprio dal Veneto. Dal trasferimento della competenza nel 2022, il Tribunale ha gestito oltre 23 mila pratiche, con ancora 18 mila richieste pendenti.

La regione oggi si trova a gestire migliaia di richieste di cittadinanza, un compito che grava pesantemente sui piccoli Comuni. Il paradosso demografico è evidente: in un territorio in cui nascono sempre meno bambini – circa 30 mila all’anno – il numero di nuovi cittadini per discendenza supera di gran lunga quello delle nuove nascite.

Questo scenario sottolinea quanto sia urgente una riforma del sistema di cittadinanza in Italia, che tenga conto non solo dei legami di sangue, ma anche del radicamento effettivo e dell’integrazione nella società italiana.

Un fattore che aggrava la situazione è che una singola pratica può riguardare interi nuclei familiari, portando il numero di persone coinvolte a moltiplicarsi. Questo ha intasato le anagrafi dei piccoli Comuni veneti, come Val di Zoldo, dove le richieste di cittadinanza superano di gran lunga il numero di nascite locali: nel 2024, il Comune ha registrato 54 nuove cittadinanze, contro soli 11 nuovi nati.

La critica ai benefici per gli oriundi

Il sindaco di Val di Zoldo, Camillo De Pellegrin, ha espresso preoccupazione riguardo al fatto che questi nuovi cittadini, pur ottenendo il passaporto italiano, raramente vivono in Italia o contribuiscono alla comunità locale. In molti casi, la cittadinanza italiana rappresenta uno strumento per ottenere benefici, come la possibilità di viaggiare e lavorare in Europa, senza che ci sia un reale interesse a vivere nel Paese. De Pellegrin ha sottolineato come questo fenomeno sovraccarichi gli uffici comunali, distogliendo risorse dalle necessità locali, come la gestione dell’immigrazione e del mercato del lavoro.

Rivedere la cittadinanza

Proprio nelle scorse settimane, la maggioranza di governo si è spaccata sul diritto di cittadinanza e sui modelli Ius soli, Ius scholae e Ius culturae, che si pongono come alternative al vigente sistema basato sul principio dello Ius sanguinis.

L’attuale legislazione sulla cittadinanza italiana pone l’accento sui legami di sangue piuttosto che sui legami reali con il Paese. Il diritto italiano consente ai discendenti di italiani all’estero di richiedere la cittadinanza attraverso lo ius sanguinis, anche se vivono a migliaia di chilometri di distanza e non hanno alcun legame tangibile con l’Italia. Brasile e Argentina sono tra i Paesi con il maggior numero di discendenti di italiani, e molti di loro sfruttano questa possibilità. Secondo Laganà, il numero di richieste è in costante aumento, complicando ulteriormente il lavoro delle autorità locali.

Una situazione inconcepibile per il vicepremier e leader di Forza Italia, Antonio Tajani che in un’intervista al Corriere della Sera ha chiosato: “Svegliamoci, il mondo è cambiato. Il Paese è maturo per lo Ius scholae”. Di tutt’altro avviso l’altro vicepremier e leader della Lega, Matteo Salvini, che ha scritto in un post: “”La legge sulla cittadinanza va benissimo così, e i numeri di concessioni (Italia prima in Europa con oltre 230mila cittadinanze rilasciate, davanti a Spagna e Germania) lo dimostrano. Non c’è nessun bisogno di ius soli o scorciatoie”.

Intanto, l’Istat certifica che l’80,3% dei giovani stranieri residenti in Italia si sente italiano, nonostante non sia riconosciuto come cittadino.

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La proposta della Lega sulla castrazione chimica: “I malati...

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La proposta della Lega di introdurre la castrazione chimica per pedofili e stupratori ha recentemente guadagnato terreno nel dibattito politico italiano. Presentata come ordine del giorno al ddl Sicurezza, la proposta ha ottenuto il via libera del governo, aprendo la strada alla discussione parlamentare.

“Copiare altri Paesi europei ed occidentali che per pedofili e stupratori hanno in vigore la castrazione chimica, mi sembra un passo in avanti verso la civiltà”, ha affermato il ministro delle Infrastrutture, Matteo Salvini, parlando del possibile inserimento della misura nel Ddl sicurezza a margine del salone nautico di Genova. “Sono contento se offriamo più sicurezza ai cittadini, non della Lega, ai cittadini di destra e di sinistra, giovani e anziani, simpatici e antipatici, e prevedere il carcere per chi usa i minori e le gravidanze per rapinare e rubare è una questione di civiltà, prevedere lo sgombero delle case occupate abusivamente mi sembra assolutamente di buon senso, sottolinea il ministro. Un pedofilo, uno che abusa di una ragazza, di una donna o di un bambino di otto anni, oltre che essere un criminale, è un malato. E i malati vanno curati. E quindi conto che questo tavolo porti a degli esiti positivi per tutti”, ha concluso Salvini.

Il deputato Igor Iezzi ha sottolineato l’importanza di istituire una commissione o un tavolo tecnico per valutare la possibilità di trattamenti farmacologici e psichiatrici per i condannati, con l’obiettivo di ridurre il rischio di recidiva.

Favorevoli e contrari

Il ministro delle Infrastrutture, Matteo Salvini, ha espresso il suo sostegno entusiasta alla proposta, definendola un passo avanti verso la civiltà e la sicurezza dei cittadini. La Lega vede nella castrazione chimica una misura di giustizia e buonsenso, mirata a garantire tolleranza zero per stupratori e pedofili.

Dall’altra parte, le forze di opposizione si sono schierate fermamente contro la proposta. Il Partito Democratico, rappresentato dalla deputata Simona Bonafè, ha criticato la misura come incostituzionale e contraria ai principi del sistema giuridico italiano. Anche Italia Viva e Alleanza Verdi e Sinistra hanno espresso forti riserve, accusando la Lega di promuovere una politica repressiva e di propaganda.

Davide Faraone, capogruppo di Italia Viva alla Camera, ha dichiarato: “La violenza sessuale è un reato odioso per cui, così come per tutti i reati, va garantita certezza della pena ma arrivare come fa la Lega a tornare a proporre la castrazione chimica, addirittura con un tavolo ad hoc, è inaccettabile e incostituzionale. Pensare di sottoporre, seppur volontariamente, un detenuto a pena corporale viola qualunque principio di umanità e giustizia. Ci opporremo a questa follia, la Lega ha superato il segno. Anziché darsi alla becera propaganda, si preoccupino di garantire la sicurezza nelle nostre città, che i dati del Viminale ci mostrano essere sempre più insicure.”

Luana Zanella, presidente di Alleanza Verdi e Sinistra alla Camera, ha aggiunto: “Sono anni, direi decenni che la subcultura leghista in materia di reati sessuali ripropone come un mantra la castrazione chimica. È solo un modo per parlare alla pancia del paese, uno slogan di chi ritiene che la violenza sessuale o la pedofilia siano un problema ormonale. Niente di più falso. Smettano di ridurre la questione ad un problema fisiologico di ormoni, rimuovendo la radice culturale e patriarcale della violenza sessuale e proponendo scorciatoie ridicole.”

Cosa è la castrazione chimica?

La castrazione chimica è un trattamento farmacologico che mira a ridurre il desiderio sessuale attraverso l’uso di farmaci che abbassano i livelli di testosterone. Questo trattamento è generalmente volontario e reversibile, e viene utilizzato come misura per prevenire la recidiva in individui condannati per reati sessuali. La castrazione chimica non comporta interventi chirurgici e i suoi effetti cessano una volta interrotto il trattamento.

Paesi europei dove c’è la castrazione chimica

Il ministro Salvini ha fatto riferimento al copiare altri Paesi. Perché in effetti, in Europa, la castrazione chimica è già in Germania, Francia, Regno Unito, Belgio, Svezia, Finlandia, Norvegia, Danimarca, Estonia, Lituania, Polonia, Ungheria e Islanda. In questi Paesi, il trattamento è generalmente volontario e reversibile, mirato a ridurre il desiderio sessuale attraverso terapie ormonali.

La proposta della Lega sulla castrazione chimica continua a suscitare un acceso dibattito in Italia. Mentre i sostenitori vedono nella misura un passo necessario per la sicurezza e la giustizia, gli oppositori la considerano una violazione dei diritti umani e dei principi costituzionali. Il futuro della proposta dipenderà dalle prossime discussioni parlamentari e dalla capacità delle diverse forze politiche di trovare un compromesso.

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Sophia Loren, 90 anni e non sentirli…ma come?

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Sophia Loren oggi compie 90 anni, anche se per crederci bisognerebbe guardare la sua carta di identità. Nata a Roma il 20 settembre 1934 con il nome Sofia Costanza Brigida Villani Scicolone, a 15 anni partecipa al concorso di bellezza Miss Italia e vince il titolo di Miss Eleganza. In quella occasione viene notata da registi e produttori cinematografici, tra cui Carlo Ponti, che le offrirà un contratto per recitare nei suoi film e diventerà suo marito dal 1966 al 2007, anno della sua dipartita.

Da quel concorso, nulla è stato come prima. Nella vita di Sophia Loren e del cinema italiano, di cui rappresenta una leggenda vivente. Con due Oscar all’attivo, tra cui uno alla carriera, e ruoli iconici in pellicole come La ciociara e Matrimonio all’italiana, Loren ha conquistato il mondo con il suo talento, il suo fascino senza tempo e il suo carisma ineguagliabile.

Oggi, nonostante le 90 candeline, continua a rappresentare una fonte di ispirazione per molte donne che vedono in lei l’esempio perfetto di come affrontare l’invecchiamento con grazia e in salute.

I consigli di Sophia Loren per invecchiare bene

Sophia Loren ha più volte condiviso i suoi segreti per invecchiare bene, senza mai tradire la sua immagine di donna autentica e naturale, che non ha mai cambiato forma al suo corpo, neanche quando ritenuto ‘non del tutto conforme’ ai canoni dello spettacolo. Celebre la sua frase: “Non voglio un corpo e un viso perfetto. Voglio semplicemente indossare la vita che ho vissuto”.

Non vedere la sua bellezza esterna è impossibile, ma tutto parte da dentro, assicura lei: “Esiste una fonte di giovinezza: è la tua mente, il tuo talento, la creatività che metti nella tua vita e nella vita delle persone che ami. Quando impari a sfruttare questa fonte, avrai veramente sconfitto l’età”.

“La bellezza di una donna – ha anche affermato Sophia Loren – aumenta con il passare degli anni. La bellezza di una donna non risiede nell’estetica, ma la vera bellezza in una donna è riflessa dalla sua anima.”

Ecco alcuni dei suoi consigli principali per invecchiare bene:

Curare la propria alimentazione: Sophia Loren è una grande sostenitrice della dieta mediterranea. In molte interviste ha sottolineato l’importanza di mangiare sano, favorendo alimenti freschi e naturali. Il suo amore per l’olio d’oliva è celebre: “Uso olio d’oliva per tutto”, ha dichiarato Loren in diverse occasioni, spiegando che lo utilizza non solo nella sua dieta, ma anche come idratante per la pelle;
L’importanza del sonno: “Vado a dormire presto. Mai dopo le 20. Guardo un po’ di tv e poi spengo. Se posso cerco di addormentarmi alle 21”, ha rivelato in passato al Corriere della Sera;
Mantenere un’attività fisica regolare: anche se non è mai stata un’appassionata di palestra, Loren ha sempre sostenuto l’importanza del movimento quotidiano. Passeggiate all’aria aperta, nuoto e yoga sono alcune delle sue attività preferite per mantenere il corpo attivo;
Pensare positivo e coltivare l’amore per la vita: come abbiamo visto, Sophia Loren ha sempre ribadito che il segreto della longevità non risieda solo nel prendersi cura del proprio corpo, ma anche nella mente. La diva senza tempo ha sempre sottolineato l’importanza di non lasciarsi travolgere dallo stress, ma di affrontare le difficoltà con serenità e ottimismo. La visione ‘costruttiva’ della vecchiaia è un chiaro esempio di questo approccio;
Non temere il passare del tempo: per Sophia Loren, accettare con serenità il processo di invecchiamento è fondamentale. Nella sua biografia ha scritto una delle frasi più apprezzate dalle donne: “Nulla rende una donna più bella della convinzione di essere bella”. Per lei, l’età non dovrebbe mai essere vista come un limite, ma come una fase naturale della vita che va vissuta appieno.

Un’icona senza tempo

Sophia Loren continua a rappresentare un esempio luminoso di eleganza e saggezza, anche nel suo novantesimo anno. Il suo approccio alla vita e all’invecchiamento è un invito a tutte le donne a prendersi cura di sé stesse, non solo esteticamente ma anche spiritualmente.

Come ha dichiarato a Vanity Fair nel 2020: “L’invecchiamento è una parte della vita, ma non deve definirti. Sono i sogni e la voglia di vivere che contano davvero”.

E Sophia Loren, evidentemente, ha ancora tanti sogni e ancora tanta voglia di vivere.

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