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Domenica 1 settembre, i capoluoghi in rosso scenderanno a 2

Allerta caldo a Roma (Fotogramma)

Caldo afoso in aumento. E se qualcuno ancora spera di poter sapere con certezza quando finisce questa lunga estate 2024 dominata dall'anticiclone africano, ebbene sappiate che la possibile svolta arriverà solo tra 10 giorni. Oggi sabato 31 agosto saranno 9 le città da bollino rosso (ieri erano 8) per gli effetti delle alte temperature. Secondo il bollettino del ministero della Salute sulle ondate di calore, il livello massimo di allerta si registrerà a Bari, Bologna, Brescia, Firenze, Frosinone, Latina, Perugia, Roma e Trieste. Domani però, domenica 1 settembre, i capoluoghi in rosso, sui 27 monitorati, scenderanno a 2, Bari e Perugia.

La svolta

L'anno scorso, ricordano i meteorologi, il caldo africano finì il 10 settembre; anche l'estate 2024 potrebbe seguire questo copione meteo. Antonio Sanò, fondatore del sito www.iLMeteo.it, conferma che il caldo africano, con i 35-37°C all’ombra, insisterà sull’Italia anche la prossima settimana.

La burrasca di fine estate, che una volta avveniva a Ferragosto, sembra posticipata alla fine della prima decade di settembre. L’anticiclone africano si dimostra, infatti, più resistente agli attacchi atlantici rispetto all’anticiclone delle Azzorre, protagonista del secolo scorso. In altre parole, da metà luglio il promontorio subtropicale ha conquistato l’Europa meridionale e non se n'è più andato, nonostante qualche rapido attacco perturbato.

La tendenza

Sabato 31. Al Nord: sole e molto caldo, temporali sulle Dolomiti. Al Centro: sole e molto caldo. Al Sud: soleggiato e caldo.

Domenica 1. Al Nord: sole e molto caldo; acquazzoni sui rilievi. Al Centro: sole prevalente. Al Sud: soleggiato.

Tendenza: sole e caldo con Caronte salvo temporali sulle Alpi, sugli Appennini e localmente in Pianura Padana ad inizio settimana.

Un team di giornalisti altamente specializzati che eleva il nostro quotidiano a nuovi livelli di eccellenza, fornendo analisi penetranti e notizie d’urgenza da ogni angolo del globo. Con una vasta gamma di competenze che spaziano dalla politica internazionale all’innovazione tecnologica, il loro contributo è fondamentale per mantenere i nostri lettori informati, impegnati e sempre un passo avanti.

Salute e Benessere

Tumore del colon, il cancro che ha colpito Totò Schillaci:...

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Morto oggi il capocannoniere di Italia 90. Il quadro di Maurizio Vecchi, professore di gastroenterologia dell'università degli Studi di Milano e direttore della Gastroenterologia ed Endoscopia al Policlinico del capoluogo lombardo

Totò Schillaci nel 2023 - Fotogramma /Ipa

Addio a Totò Schillaci, indimenticato capocannoniere delle 'notti magiche' di Italia '90, morto oggi a soli 59 anni a causa di un tumore del colon che lo aveva colpito un paio di anni fa. L'ex calciatore era ricoverato nel reparto di Pneumologia dell'Ospedale Civico di Palermo dal 7 settembre, quando le sue condizioni di salute erano peggiorate. Quello al colon, spiegava all'Adnkronos Salute qualche giorno fa Maurizio Vecchi, professore di gastroenterologia dell'università degli Studi di Milano e direttore della Gastroenterologia ed Endoscopia al Policlinico del capoluogo lombardo, è il "secondo tumore per frequenza ed è ai primi posti sia nei maschi che nelle femmine. Una neoplasia che dobbiamo tenere bene in considerazione".

I 'numeri' del cancro al colon, prevenzione punto chiave

I dati parlano chiaro: secondo le stime che ogni anno vengono diffuse nel rapporto 'I numeri del cancro', nel 2023 le nuove diagnosi di tumore del colon-retto sono state circa 50mila, numero inferiore solo ai nuovi casi di cancro al seno (circa 55.900). "Una frequenza elevata", osserva l'esperto. Ma questo tumore ha anche un'altra caratteristica: "Se preso nei primissimi stadi, può essere debellato completamente e avere una prognosi eccellente per la vita, con una sopravvivenza a 5 anni superiore al 90%".

Per questo, continua Vecchi, "è davvero importante aderire allo screening" previsto per questa malattia. "Purtroppo, questo concetto non è ancora molto diffuso tra la popolazione generale, perché solo il 30-40% delle persone aderisce a questo tipo di programma. E' un tasso sicuramente insoddisfacente, molto basso". E c'è un altro alert che sta aprendo nuove valutazioni: "Purtroppo ultimamente si sta segnalando una maggiore frequenza dei casi di tumore del colon anche in un'età non attesa prima", fra persone più giovani. "Tanto che si sta ipotizzando di abbassare l'età di inizio dello screening a 45".

I test, la diagnosi: cosa fare

Se questo tumore viene diagnosticato tardivamente, "quando è già molto esteso e quando sono presenti metastasi a distanza, a quel punto la sopravvivenza a 5 anni è bassa". Ecco perché questa neoplasia è "il target ideale per un programma di screening, che prevede in questo caso una volta ogni due anni, a partire dai 50 anni di età, l'invito a ritirare in farmacia una provetta per la ricerca del sangue occulto nelle feci, ed eseguire il test, riportando il campione in farmacia, tutto questo gratuitamente".

Se la ricerca del sangue occulto fosse positiva, "il paziente viene invitato sempre gratuitamente a eseguire l'accertamento di secondo livello, che è la colonscopia. Ovviamente in questa fase l'adesione è molto più elevata. Il cancro al colon è un tumore di cui dobbiamo occuparci, anche perché i programmi di prevenzione in questo caso sono veramente volti non solo a fare una diagnosi precoce di un tumore già in atto, ma anche a trovare addirittura i polipi adenomatosi del colon, che sono il 'precursore' tipico del carcinoma, e possono essere rimossi durante la colonoscopia, facendo ripartire da zero un cammino che era già iniziato verso il tumore del colon. E' questo l'unico campo in cui noi facciamo vera e propria prevenzione, perché andiamo a togliere una lesione che non è ancora un tumore, ma che lo diventerà".

In generale, "la percentuale dei tumori diagnosticati in fase iniziale è aumentata, perché l'attività di screening ha ridotto significativamente lo stadio di malattia. E - prosegue Vecchi - ci sono degli studi che dimostrano negli Usa, ma anche in Italia, come l'implementazione dello screening riduce alla fine la mortalità". Ed ecco, riflette l'esperto, "anche perché sorprende sempre che la malattia possa recidivare a distanza di tempo, nel momento in cui viene completamente eradicata con un intervento chirurgico ed eventualmente con una terapia adeguata. In alcuni casi ovviamente questo succede, soprattutto però quando la diagnosi, l'intervento chirurgico e la terapia vengono eseguiti quando già il tumore è andato un po' oltre l'organo iniziale, magari ha colpito i linfonodi ed è presente nel fegato in cui c'è la sede tipica delle prime metastasi. E non possiamo essere certi che, anche se andiamo a togliere quei linfonodi o quelle lesioni del fegato, non ci siano già cellule in giro che magari si riveleranno in tempi successivi".

"Oggi diciamo che le forme diagnosticate nella fase più avanzata possono essere intorno al 10-15%, lo stadio che già coinvolge i linfonodi riguarda probabilmente il 30-40% dei casi. Mentre intorno al 50%, fortunatamente, viene scoperto in fase iniziale", illustra lo specialista. Dopo il fegato, il secondo 'filtro' dell'organismo che può essere colpito "è il polmone - spiega ancora Vecchi - Si capisce dunque quanto è importante che anche i media dedichino tempo e spazio al tumore del colon. Il 95% di queste neoplasie è rappresentato dal cosiddetto tumore sporadico, che comunque ha una sua familiarità, per cui le persone che hanno avuto in famiglia dei casi sono più esposte a questo rischio, soprattutto se i tumori del colon del familiare sono avvenuti in età precoce o intorno ai 50 anni. In queste circostanze i parenti di primo grado devono iniziare lo screening anche prima dell'età prevista per la popolazione generale".

Le terapie

Quanto alle terapie, "sono migliorate in maniera eclatante nel corso degli anni, sia dal punto di vista delle tecniche chirurgiche, sempre più precise e focalizzate, che delle chemioterapie, divenute molto più efficaci. Nei tumori più bassi del retto ci sono dei casi selezionati con caratteristiche genetiche precise in cui si è visto che l'immunoterapia fa regredire completamente la malattia. E si lavora anche nella direzione dei vaccini a mRna e verso sistemi che possano aumentare la capacità diagnostica senza usare mezzi invasivi. Nell'arco di non molti anni dovrebbe concretizzarsi per esempio la cosiddetta 'biopsia liquida': da un prelievo di sangue potremo identificare la presenza di Dna tumorale. Il primo messaggio oggi è: aderite agli screening" che offrono la ricerca del sangue occulto, conclude Vecchi. "E non sarebbe una scelta sbagliata se un 50enne che ha avuto la madre colpita dal tumore a 70 anni volesse fase la colonscopia. Ma un altro punto fermo da tenere a mente è che, anche quando la diagnosi arriva in fase avanzata, si può intervenire, con approcci mirati pure sulle lesioni secondarie. Quindi mai darsi per vinti".

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Salute e Benessere

Neurologi: “Entro 2050 triplicheranno casi demenza...

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Neurologi:

A causa del rapido invecchiamento della popolazione in Italia, "si prevede che il numero di persone affette da demenza quasi triplicherà entro il 2050, passando da 1,2 milioni nel 2019 a oltre 3 milioni, con costi stimati diretti fino a più di 60 miliardi di euro. L'aumento dell'aspettativa di vita inoltre determinerà un aumento delle persone affette da demenza nei paesi a basso reddito e in povertà". A fare il punto è la Sin, la Società italiana di Neurologia, in occasione della Giornata Mondiale dell’Alzheimer che si celebra il 21 di settembre e della riunione del G7 sulle demenze prevista ad Ancona l’8 di ottobre.

"Negli ultimi anni diversi studi hanno sottolineato come lo sviluppo di una demenza e soprattutto della Malattia di Alzheimer non sia inevitabile. Infatti, intervenire sui fattori di rischio modificabili, a partire dall'infanzia e continuando per tutta la vita, potrebbe prevenire o ritardare di molti anni quasi la metà dei casi di demenza - prosegue la Sin - Anche se in Italia le persone vivono più a lungo e a parità di età si ammalano meno rispetto a 30 anni fa, il numero di persone affette da demenza è destinato ad aumentare in virtù dell’invecchiamento della popolazione. Ciononostante, il potenziale per prevenire e gestire meglio la demenza è elevato se si interviene per contrastare i fattori di rischio, anche nelle persone con un elevato rischio genetico di demenza".

Sulla base di recenti prove, "sono stati individuati due nuovi fattori di rischio: elevati di lipoproteine a bassa densità (Ldl) o colesterolo 'cattivo' nella mezza età e la perdita della vista non trattata in età avanzata - ricordano i neurologi - Questi nuovi fattori di rischio si aggiungono ai fattori di rischio precedentemente identificati dalla 'Lancet Commission' nel 2020 (bassi livelli di istruzione, problemi di udito, ipertensione, fumo, obesità, depressione, inattività fisica, resistenza all’insuline e diabete, consumo eccessivo di alcol, traumi cranici, inquinamento atmosferico e isolamento sociale), che sono collegati al 40% di tutti i casi di demenza. Oltre a questi, tuttavia, devono essere tenuti in considerazione anche la contaminazione e sofisticazione degli alimenti, le alterazioni del microbiota intestinale e orale, i disturbi del sonno, le infezioni da Hsv e probabilmente l’invecchiamento immunitario o immunosenescenza".

La Sin chiede ai governi e alla società di 'impegnarsi nell'affrontare i rischi della demenza nel corso della vita'

La Sin chiede ai governi e alla società "di impegnarsi nell'affrontare i rischi della demenza nel corso della vita, sostenendo che una azione di promozione a favore della Prevenzione primaria e secondaria rappresenta la vera arma per vincere la sfida con le demenze, incrementando nello stesso tempo i sostegni socio-sanitari a favore dei malati e dei loro familiari".

“Per ridurre il rischio di Alzheimer può e deve essere fatto molto di più - afferma Alessandro Padovani, presidente della Sin - Abbiamo prove convincenti del fatto che un'esposizione più lunga ai diversi fattori di rischio ha un effetto maggiore e che i rischi agiscono maggiormente nelle persone vulnerabili. Ecco perché è fondamentale incentivare gli sforzi preventivi verso coloro che ne hanno più bisogno, compresi coloro che vivono in aree a basso e medio reddito e nei gruppi socio-economicamente svantaggiati. É un compito che riguarda tutti e che deve mirare a ridurre le disuguaglianze di rischio rendendo gli stili di vita sani il più possibile raggiungibili per tutti".

Le raccomandazioni della Sin

Per ridurre il rischio di demenza nel corso della vita, la Sin delinea diverse raccomandazioni tra cui: offrire un'istruzione scolastica di buona qualità incentivando gli studi superiori; promuovere un’istruzione permanente nelle diverse fasi della vita sostenendo le Università della terza età e le attività associative volontarie: promuovere l’uso del casco e protezioni per la testa nell’uso di monopattini e biciclette, nei luoghi di lavoro a rischio e nelle attività sportive di contatto: ridurre l'esposizione all'inquinamento ambientale e alimentare attraverso rigorose politiche per un ambiente pulito e sano; ampliare le misure volte a ridurre il fumo di sigaretta, come il controllo dei prezzi, l'innalzamento dell'età minima per l'acquisto e il divieto di fumo nei luoghi comuni anche all’esterno; ridurre il consumo di alcol e ampliare le misure volte a ridurre l’eccessivo consumo di superalcolici nei luoghi di ritrovo

E ancora: la promozione di una lotta all’isolamento e alla solitudine a tutte le età favorendo la realizzazione di ambienti comunitari e alloggi di supporto per contrastare il disagio sociale; promuovere una attiva campagna di prevenzione dei disturbi della vista e dell’udito nella logica dell’approccio 'One Health', favorendo screening oftalmologici e audiologici dell’età di 65 anni; promozione della salute dentaria rendendo accessibili a tutti gli screening odontoiatrici mediante il coinvolgimento degli Ordini dei Medici e degli Odontoiatri; monitorare i livelli di trigliceridi e colesterolo unitamente alla glicemia e al colesterolo Ldl, a partire dai 35 anni promuovendo una campagna di prevenzione ai disturbi alimentari; monitorare i livelli di pressione arteriosa periodicamente a partire dai 35 anni riducendo l’uso di sale negli alimenti; prevenire e trattare i disturbi del sonno mediante un’educazione all’igiene del sonno; individuare precocemente i disturbi del tono dell’umore anche mediante il coinvolgimento dell’Ordine degli Psicologi favorendo una tempestiva presa in carico da parte della Psichiatria nei centri di cura; promuovere nelle scuole e nei luoghi di lavoro una attiva campagna di informazione a favore di un’alimentazione sana e di una attività fisica costante anche nelle età avanzate

Secondo la Sin, "queste azioni sono particolarmente importanti alla luce delle nuove prove che dimostrano che la riduzione dei rischi di demenza non solo aumenta gli anni di vita in buona salute, ma riduce anche il tempo che le persone che sviluppano demenza trascorrono in cattiva salute, a supporto della necessità di una diagnosi precoce e di interventi di prevenzione secondaria".

'Puntare a migliorare la qualità della vita'

"Uno stile di vita sano – prosegue Padovani - che preveda esercizio fisico regolare, non fumare, un sonno regolare, fornire stimoli cognitivi e mentali anche al di fuori dell'istruzione formale e che eviti un uso eccessivo di sostanze alcoliche e favorisca un’alimentazione equilibrata ricca in verdure e frutta, non solo è in grado di ridurre il rischio di demenza, ma può anche ritardarne l'insorgenza così come rallentarne il decorso. Ciò ha enormi implicazioni sulla qualità della vita per gli individui e benefici in termini di risparmio sui costi per le società". Secondo i neurologi, l’Italia "potrebbe in questo modo ottenere in 20 anni risparmi sui costi attuali pari a circa 10 miliardi di euro da destinare alla realizzazione di attività di sostegno ai malati e ai familiari".

In uno studio pubblicato sulla rivista 'The Lancet Healthy Longevity', Naaheed Mukadam (UCL Psychiatry) e i coautori hanno modellato l'impatto economico dell'implementazione di alcune di queste raccomandazioni, usando l'Inghilterra come esempio. I risultati "dello studio suggeriscono che l'uso di interventi a livello di popolazione di nota efficacia per affrontare i fattori di rischio della demenza potrebbe avere un profondo effetto sulla prevalenza della demenza e sulle disuguaglianze, nonché significativi risparmi sui costi", chiosa la Sin.

Proprio per sensibilizzare la popolazione sulla Malattia di Alzheimer, a partire da sabato 21 settembre sui canali social ufficiali della Società italiana di Neurologia verranno pubblicate delle video pillole in risposta ad alcune delle domande ricevute dagli utenti.

Le richieste della Sin al Governo

La Sins chiede anche "un maggiore supporto per le persone affette da demenza e le loro famiglie. In molte regioni e in molte aree del nostro Paese, gli interventi efficaci che si sa possano giovare alle persone affette da demenza non sono ancora disponibili o non sono una priorità. Allo stesso modo, le esigenze di molti caregiver non sono adeguatamente considerate e soddisfatte. Sarebbe importante fornire interventi di 'coping' per i familiari che prestano assistenza e che sono a rischio di depressione e ansia, garantendo oltre ad agevolazioni e supporti economici, anche supporto emotivo, pianificazione per il futuro e informazioni sulle risorse mediche e socio-sanitarie. A maggior ragione, è quanto mai necessario promuovere azioni concertate a sostegno delle persone sole e isolate così come di tutte le persone fragili, data l’evidenza che queste sono a maggior rischio di sviluppare la Malattia di Alzheimer".

“Per dare la piena attuazione alle azioni sopradescritte è necessario creare una migliore organizzazione dei servizi per la demenza a livello dei distretti sanitari – sostiene Camillo Marra, presidente delle Sindem (Associazione autonoma aderente alla Sin per le demenze) - allo scopo di mettere in rete tutte le competenze presenti a livello territoriale dando piena attuazione a quelli che sono i dettami del Dm 77. La creazione di Pdta locali potrà facilitare l’accesso dei pazienti in fase più precoce di malattia e permettere quelle politiche di stratificazione del rischio e screening di popolazione propedeutiche alla attuazione di programmi di prevenzione e presa in carico precoce dei pazienti e dei caregiver”.

Per la ricerca, la Sin chiede "una maggiore integrazione tra le diverse Istituzioni nazionali e regionali al fine di accedere a finanziamenti Europei per incentivare la ricerca di base, traslazionale e epidemiologica nel nostro paese, già tra i primi al mondo per quanto riguarda gli studi su Alzheimer e Demenze. Ancora molto deve essere fatto per comprendere i diversi meccanismi che favoriscono le malattie del cervello e ad oggi non abbiamo una terapia miracolosa in grado di impedire lo sviluppo della Malattia di Alzheimer né di bloccare la Malattia. Ci sono diverse evidenze a supporto del fatto che essa può essere rallentata con farmaci che in Europa non sono ancora autorizzati, soprattutto se diagnosticata precocemente, ma dobbiamo fare di più per garantire cure efficaci e sicure e soprattutto per sostenere la creazione di reti regionali che permettano di avere registri di patologia".

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Salute e Benessere

Bere 3 caffè al giorno può proteggere da diabete e malattie...

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Un nuovo studio pubblicato sul 'Journal of Clinical Endocrinology & Metabolism'

Bere 3 caffè al giorno può proteggere da diabete e malattie del cuore

Il caffè fa male o bene al cuore? E' una domanda ricorrente nella patria dei cultori dell'espresso. Una risposta arriva dalla scienza: secondo un nuovo studio pubblicato sul 'Journal of Clinical Endocrinology & Metabolism', consumare regolarmente quantità moderate della bevanda e quindi quantità moderate di caffeina può offrire un effetto protettivo contro diverse malattie cardiometaboliche, tra cui diabete di tipo 2, coronaropatie, ictus. I ricercatori che firmano il lavoro hanno scoperto un'associazione fra un rischio più basso di multimorbilità cardiometabolica (Cm) di nuova insorgenza - che si riferisce alla coesistenza di almeno 2 malattie cardiometaboliche - e l'assunzione regolare di caffè o caffeina.

Quanto caffè 'fa bene'?

Quale sarebbe la quantità ideale per un effetto-scudo? "Consumare 3 tazze di caffè o 200-300 mg di caffeina al giorno potrebbe aiutare a ridurre il rischio di sviluppare multimorbilità cardiometabolica" in persone senza alcuna malattia di questo tipo, dichiara l'autore principale dello studio Chaofu Ke, Dipartimento di epidemiologia e biostatistica della School of Public Health al Suzhou Medical College - Soochow University, in Cina. Oggi con l'invecchiamento della popolazione che si osserva un po' in tutto il mondo, la prevalenza di persone con più patologie cardiometaboliche sta diventando una preoccupazione crescente per la salute pubblica, si osserva nello studio. Il consumo di caffè e caffeina potrebbe svolgere un ruolo protettivo da non trascurare, rilevano i ricercatori.

Dallo studio è emerso che chi assumeva regolarmente una quantità moderata di caffè (3 al giorno) o caffeina (200-300 mg al giorno) aveva un rischio di multimorbilità cardiometabolica ridotto del 48,1% rispetto ai non consumatori o del 40,7% rispetto ai consumatori di meno di 100 mg di caffeina al giorno. Ke e i suoi colleghi hanno basato le loro scoperte sui dati della UK Biobank, ampio e dettagliato studio longitudinale sulla dieta, con oltre 500mila partecipanti di età compresa tra 37 e 73 anni. Lo studio ha escluso chi aveva informazioni ambigue sull'assunzione di caffeina. E il pool di partecipanti ha raggiunto un totale di 172.315 persone, prive in partenza di malattie cardiometaboliche, usate per le analisi della caffeina, e 188.091 per le analisi del consumo di caffè e tè.

Perché il caffè fa bene

L'assunzione di caffè e caffeina a tutti i livelli era inversamente associata al rischio di multimorbilità cardiometabolica nei partecipanti senza questo tipo di malattie. Ma chi aveva consumi moderati mostrava il rischio più basso, secondo i risultati dello studio. Un'assunzione moderata di caffè o caffeina era inversamente associata a quasi tutte le fasi di sviluppo della multimorbilità cardiometabolica.

"I risultati - conclude Ke - evidenziano che promuovere quantità moderate di caffè o caffeina come abitudine alimentare per le persone sane potrebbe avere benefici di vasta portata per la prevenzione" di questo problema.

Numerosi studi epidemiologici hanno rivelato effetti protettivi del consumo di caffè, tè e caffeina sulla morbilità di singole malattie cardiometaboliche. Tuttavia, i potenziali effetti di queste bevande sullo sviluppo di multimorbilità su questo fronte erano in gran parte sconosciuti. Gli autori hanno esaminato la ricerca disponibile sull'argomento e hanno rilevato che le persone con una singola malattia cardiometabolica possono avere un rischio di mortalità per tutte le cause due volte superiore rispetto a quelle prive di qualsiasi malattia cardiometabolica. E hanno scoperto che gli individui con multimorbilità cardiometabolica possono avere un rischio di mortalità per tutte le cause quasi da 4 a 7 volte superiore. Rispetto a quest'ultima condizione, i ricercatori hanno infine notato anche che può presentare rischi più elevati di perdita di funzionalità fisica e stress mentale rispetto ai pazienti con singole malattie.

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