Strage Paderno, il 17enne: “L’idea di uccidere mi è venuta quella sera”
Nuovo interrogatorio per i giovane che domenica scorsa ha trucidato l'intera famiglia: madre, padre e fratellino
"Non so darmi una spiegazione, sono molto dispiaciuto, non volevo uccidere". Sono le parole, riferite dall'avvocato Amedeo Rizza, che il 17enne di Paderno Dugnano, accusato della strage della famiglia, ha rivolto alle magistrate della procura per i minorenni di Milano che lo hanno nuovamente interrogato. Lo studente è accusato di omicidio volontario pluriaggravato per aver infierito, a colpi di coltello, contro il fratellino di 12 anni, quindi sulla madre Daniela e infine sul padre Fabio, 51 anni, compiuti sabato scorso, poche ore prima del triplice omicidio.
La decisione di uccidere
"Non so spiegare il perché, vivevo da tempo un disagio, ma non volevo uccidere la mia famiglia, l'idea di ucciderli l'ho maturata solo quella sera" aggiunge il giovane, interrogato per un paio di ore per chiarire alcuni aspetti della serata tra sabato e domenica e gli spostamenti dopo il compleanno del padre festeggiato nella loro villetta.
Parole che potrebbero far cadere l'aggravante della premeditazione contestata dalla procura poiché il giovane, nella sua confessione di domenica pomeriggio, avrebbe parlato di un pensiero covato "da qualche giorno". E' attesa, intanto, per l'ufficialità sulla data dell'udienza per la convalida dell'arresto, attesa tra domani e giovedì.
La ricostruzione
Subito dopo la strage è stato proprio il 17enne a chiamare il 118 perché, ha detto in un primo momento all'operatore, "ho ucciso mio padre". Quando i militari, chiamati dai sanitari, sono arrivati nella villetta di via Anzio hanno trovano tre corpi, quello del padre di 51 anni, della madre di 48 e del fratellino di 12. Tutti accoltellati in casa senza segni di effrazione nella porta dell'abitazione. Il 17enne, indagato inizialmente per la morte del padre, viene condotto in caserma e interrogato. Qui, confessa di aver commesso il triplice omicidio.
Cronaca
Dalla luce delle lucciole una speranza per...
Un paziente su tre refrattario alle cure, lo studio Iit-ospedale San Marino-università di Genova apre nuove prospettive
La luce delle lucciole non accenderà più solo le notti d'estate, ma potrebbe anche illuminare il futuro delle persone con epilessia resistente, forme refrattarie ai farmaci oggi disponibili, che affliggono un paziente su 3. La speranza arriva da uno studio italiano pubblicato su 'Nature Communications', condotto da un team dell'Istituto italiano di tecnologia (Iit) coordinato da Fabio Benfenati, in collaborazione con l'Irccs ospedale Policlinico San Martino e l'università di Genova. Il lavoro, finanziato da Iit, San Martino, ateneo genovese e dal programma Prin (Progetti di rilevante interesse nazionale) del ministero dell'Università e della Ricerca, descrive "un approccio innovativo per il trattamento dell'epilessia, che sfrutta la bioluminescenza delle lucciole per prevenire l'iperattività neuronale tipica delle crisi epilettiche". I primi dati preclinici sono promettenti.
Con 550mila casi in Italia e oltre 50 milioni a livello globale - ricordano dall'Iit - l'epilessia è una delle patologie neurologiche più diffuse, tanto che dal 2020 è stata riconosciuta dall'Organizzazione mondiale della sanità come malattia sociale. E' caratterizzata da un'eccessiva attivazione di alcuni neuroni, che altera la normale funzionalità del cervello. Sebbene la maggior parte dei pazienti tragga beneficio dalle terapie disponibili, circa un terzo non risponde ancora alle cure. Un'alternativa è offerta dall'optogenetica, tecnica che modifica geneticamente i neuroni affinché esprimano opsine, proteine capaci di influenzare l'attività delle cellule nervose quando esposte alla luce. L'optogenetica permette di bloccare l'attivazione patologica del tessuto neurale patologico, riportando l'attività dei neuroni a livelli fisiologici e disinnescando sul nascere le crisi epilettiche. Questa strategia richiede però l'inserimento di fibre ottiche nel cervello per generare la luce necessaria al funzionamento delle opsine. Per bypassare questo passaggio invasivo, il Center for Synaptic Neuroscience and Technology dell'Iit ha sviluppato un sistema in grado di attivarsi autonomamente e in maniera mirata direttamente all'interno dei neuroni epilettici, riportandoli al loro stato naturale.
Una speranza nella luciferasi
"Il nostro approccio si basa su 3 elementi che vengono prodotti direttamente in tutte le cellule nervose grazie alla modifica genetica - spiega Caterina Michetti, prima autrice dello studio, ricercatrice dell'università di Genova e dell'Iit - Si tratta di un'opsina collegata a un sensore e a una molecola bioluminescente, una luciferasi, la stessa proteina che permette alle lucciole di emettere luce. La somministrazione del substrato, sostanzialmente un farmaco che la luciferasi consuma per produrre il segnale luminoso, consente di promuovere l'attivazione dell'opsina senza bisogno di inserire fibre ottiche".
L'idea della luciferasi non è l'unica novità della strategia 'made in Genova': "Il sensore risolve il problema della tempistica e della localizzazione, determinando quando e in quali neuroni attivare il circuito per prevenire le crisi epilettiche in arrivo", sottolineano i ricercatori. "Il nostro sistema - illustra Elisabetta Colombo, co-coordinatrice dello studio e ricercatrice del Center for Synaptic Neuroscience and Technology dell'Iit - è dotato di un sensore che percepisce l'acidificazione del neurone, caratteristica esclusiva dei neuroni epilettici, creando pertanto un circuito chiuso. Grazie alla somministrazione del farmaco che attiva la luciferasi, il nostro sensore controlla che il neurone sia sano o epilettico, e solo in quest'ultimo caso viene attivata l'opsina che riporta l'attività neuronale a livelli fisiologici".
La sperimentazione di una terapia basata su questo approccio è ancora a livello preclinico, ma i risultati mostrano "una diminuzione superiore a 3 volte nel numero di crisi epilettiche e una riduzione del 32%", praticamente di un terzo, "nella durata degli attacchi rispetto al gruppo non trattato", riporta l'Iit.
"Il modello sviluppato - commenta Benfenati, direttore del Center for Synaptic Neuroscience and Technology dell'Iit - rappresenta un approccio potenzialmente promettente per il trattamento dell'epilessia cronica refrattaria ai farmaci, indipendentemente dalla causa specifica, genetica o non genetica, in particolare per i casi in cui l'intervento chirurgico non è possibile. Il prossimo passo consiste nell'ottimizzare la modalità di somministrazione del farmaco, in modo che il sistema possa restare attivo a lungo nel cervello e intervenire prontamente quando è necessario".
Cronaca
Cancro al seno, 200 sostanze a rischio negli imballaggi...
Analisi del Food Packaging Forum rileva 143 potenziali cancerogeni nella plastica e 89 nella carta
"Quasi 200 sostanze a rischio per il cancro al seno" si nascondono nei materiali a contatto con gli alimenti. Imballaggi di plastica, carta o cartone, che possono rappresentare il veicolo di "un'esposizione diffusa" a composti potenzialmente cancerogeni, "nonostante la regolamentazione esistente". E' la conclusione di uno studio condotto dai ricercatori del Food Packaging Forum (Fpf), un'organizzazione senza scopo di lucro con sede a Zurigo, in Svizzera. Gli autori dell'analisi, pubblicata su 'Frontiers in Toxicology', lanciano un richiamo sulla "necessità urgente di misure preventive più forti per ridurre queste sostanze chimiche nei prodotti di uso quotidiano".
Molte nazioni - spiegano gli esperti Fpf - hanno una legislazione sui materiali a contatto con gli alimenti (Fcm o food contact materials), volta a proteggere i consumatori dall'esposizione a sostanze chimiche pericolose, spesso regolamentando in modo specifico i composti cancerogeni genotossici. Nelle confezioni alimentari queste sostanze non dovrebbero quindi essere comuni, ma i risultati del lavoro sembrano suggerire il contrario. I ricercatori hanno esaminato Fcm acquistati negli ultimi anni da mercati altamente regolamentati, Ue e Usa compresi. Confrontando un recente elenco di potenziali cancerogeni per il seno, sviluppato dagli scienziati del Silent Spring Institute statunitense, con il database Fpf sulle sostanze chimiche migranti ed estraibili a contatto con gli alimenti (FccMigEx), gli autori hanno scoperto negli Fcm 189 sostanze a rischio per il cancro al seno, incluse 143 nella plastica e 89 nella carta o nel cartone.
Limitando il confronto agli studi più recenti del database FccMigEx (2020-2022), basati su esperimenti che mimano la migrazione dei composti chimici in condizioni realistiche, i ricercatori hanno trovato evidenze di esposizione a 76 sospetti cancerogeni mammari da Fcm acquistati in tutto il mondo, 61 dei quali (l'80%) da materie plastiche. Per gli autori, ciò indica "un'esposizione continua della popolazione globale a queste sostanze chimiche in condizioni d'uso realistiche".
'Esposizione cronica e globale a potenziali cancerogeni, urge prevenzione'
"Questo studio è importante - dichiara Jane Muncke, Managing Director del Food Packaging Forum e coautore della ricerca - perché dimostra l'esistenza di un'enorme opportunità di prevenzione dell'esposizione umana alle sostanze chimiche che causano cancro al seno. Il potenziale di prevenzione tumorale attraverso la riduzione delle sostanze chimiche a rischio nella vita quotidiana è poco esplorato e merita molta più attenzione".
"L'identificazione della presenza di queste sostanze chimiche pericolose nei materiali a contatto con gli alimenti è stata possibile grazie al nostro database FccMigEx, una risorsa che riunisce informazioni preziose da migliaia di studi scientifici pubblicati sulle sostanze chimiche negli Fcm in un unico luogo facilmente esplorabile", afferma Lindsey Parkinson, Data Scientist e Scientific Editor di Fpf, autore principale dello studio.
"Nonostante le normative esistenti volte a limitare le sostanze cancerogene negli Fcm, lo studio evidenzia lacune negli attuali quadri normativi. I nostri risultati - ammoniscono gli autori - indicano che l'esposizione cronica dell'intera popolazione a sospetti cancerogeni mammari da materiali a contatto con gli alimenti è la norma ed evidenzia un'importante, ma attualmente sottovalutata, opportunità di prevenzione".
Cronaca
Donna suicida con la capsula per morire, arresti in Svizzera
Si tratta del primo utilizzo della controversa Sarco, la capsula che provoca la morte saturando l'aria di azoto. Il suicidio sarebbe avvenuto all'interno di un capanno in una foresta del canton Sciaffusa
Arresti in Svizzera nell'ambito di un'inchiesta aperta dalla procura di Sciaffusa dopo la morte di una donna con la controversa 'capsula suicida' Sarco (nome derivato da sarcofago). Si tratta del primo utilizzo della capsula, che provoca la morte saturando l'aria di azoto, e si sarebbe verificato in un capanno situato in una foresta del canton Sciaffusa.
Proprio ieri la ministra della sanità Elisabeth Baume-Schneider ha dichiarato, durante il question time al Consiglio nazionale, che la capsula suicida Sarco non è conforme alla legge. In estate, i ministeri pubblici di diversi cantoni, tra cui quello di Sciaffusa, hanno annunciato che avrebbero avviato procedimenti penali se la capsula fosse stata utilizzata nel loro cantone.