“Nel 2050 impatto mal di schiena peggio di Alzheimer”, campagna fisioterapisti
Altro che 'banale mal di schiena'. Nel 2022 il low back pain o lombalgia occupava l'ottavo posto nella classifica delle malattie più invalidanti stilata in uno studio pubblicato nel maggio scorso su 'The Lancet'. E nel 2050 salirà al settimo, superando addirittura l'Alzheimer che balzerà dalla 22esima posizione all'ottava. I dati dell'analisi, secondo cui l'Italia per la metà del XXI secolo rientrerà fra i Paesi con la probabilità di veder crescere tra il 46% e il 53% patologie e disturbi come il mal di schiena, vengono ricordati dalla Federazione nazionale Ordine fisioterapisti (Fnofi) in vista della Giornata mondiale della fisioterapia in calendario domenica 8 settembre, dedicata quest'anno proprio al mal di schiena. Per l'occasione, Fnofi lancia oggi a Roma la campagna comunicativa 'Il movimento che non si ferma".
"Il mal di schiena - spiegano i fisioterapisti - è uno dei disturbi più trascurati dalle persone, anche se costringe a stare a casa 1 italiano su 3 ogni anno, in termini di assenza dal lavoro: indubbiamente un disturbo dall'impatto sociale e personale. E se il rapporto Censis-Fnomceo del luglio 2024 ci ricorda che sono almeno 4,5 milioni gli italiani che rinunciano a curarsi, oltre a questi - sottolinea la Fnofi - occorre considerare anche coloro che necessitano di interventi fisioterapici e riabilitativi, ma che vi rinunciano per molteplici ragioni".
"Secondo l'Istat - prosegue la Federazione - sono 8,6 milioni le persone che in Italia hanno difficoltà motorie, di cui 3,4 milioni con difficoltà gravi, e 5,5 milioni le persone che ricorrono al fisioterapista. In maggioranza (circa il 57%) sono le donne a ricorrere ai trattamenti fisioterapici. Già a fine 2022 l'Organizzazione mondiale della sanità segnalava come il 40% della popolazione europea e addirittura il 47% della popolazione italiana avesse necessità di ricevere un intervento riabilitativo, di cui la stragrande maggioranza di tipo fisioterapico (parliamo di circa 27 milioni di nostri connazionali). L'analisi riportata su Lancet conferma ancora di più quanto il mal di schiena è già una patologia invalidante e fornisce una prospettiva su cui urge fare prevenzione. Numeri che impongono di agire", ammoniscono i fisioterapisti, e di "lavorare sui dati, anche sommersi, delle persone che necessitano di un intervento mirato".
All'incontro di oggi hanno partecipato il presidente della Fnofi Piero Ferrante e la vicepresidente Melania Salina; Mariella Mainolfi, direttore generale delle Professioni sanitarie del ministero della Salute, e Saverio Proia, esperto di politiche sanitarie e del Centro studi Fnofi. Un'occasione anche per intitolare con una targa la sala del Consiglio Fnofi a Mauro Gugliucciello, fisioterapista scomparso, ricordato da tutti i colleghi e da Salina che presiede l'Ordine professionale del Friuli Venezia Giulia a cui Gugliucciello apparteneva.
"Imperativo categorico per lavorare sulla prevenzione del low back pain è raggiungere i cittadini - afferma Ferrante - anche attraverso i nostri nuovi canali social quali Instagram e Facebook, spiegando come affrontare al meglio la tematica del mal di schiena e le condizioni di cronicità, se sussistono, unite all'opportunità di un intervento fisioterapico. Come Federazione ci impegniamo a intervenire su un quadro, appunto il mal di schiena, che per sua natura ha generalmente un esito favorevole, a migliorare l'accessibilità delle cure per i cittadini, a far sì che il fattore economico non sia una barriera per affrontarlo nel migliore dei modi, rendendo in questo modo il sistema salute più sostenibile, favorendo anche l'apporto di valore che i liberi professionisti fisioterapisti possono dare al Servizio sanitario nazionale". Perché "il mal di schiena, che ogni anno affligge milioni di persone, è senza dubbio una tematica in cui il fisioterapista può e deve svolgere la sua azione importantissima, sia nei confronti della prevenzione, sia per aiutare le persone che ne soffrono a ricevere le risposte migliori".
"Il panorama anagrafico ed epidemiologico è radicalmente cambiato - osserva ancora il presidente Fnofi - I cittadini hanno mutate esigenze ed esigono, legittimamente, risposte appropriate. E il sistema salute, di conseguenza, sta vivendo situazioni di necessaria riorganizzazione, rispetto non solo alle nuove esigenze della popolazione, ma anche in rapporto al momento di crisi profonda che il nostro Ssn sta attraversando. Come sempre i fisioterapisti ci sono e ci saranno - assicura Ferrante - con le loro competenze, acclarate da percorsi universitari, master, dottorati di ricerca, carriere sempre più apicali e impegni sempre più costanti e coerenti con lo sviluppo, ormai inarrestabile, della scienza della fisioterapia. Ci sono e ci saranno - ribadisce il presidente - ben cosci del ruolo e del grado di autonomia professionale riconosciuto non solo dalle norme e dalle acclarate evidenze scientifiche, ma anche dalla totale sicurezza delle cure e dalla soddisfazione dei cittadini stessi".
Per l'Oms, rimarcano i fisioterapisti, "l'Italia è uno dei Paesi con una prevalenza marcata del low back pain nelle fasce di età più adulte, al pari di Stati Uniti, Australia, Russia, Iran e quasi tutta l'Europa".
Dall'agenzia delle Nazioni Unite per la salute, evidenzia la Fnofi, "arrivano segnali importanti attraverso la recente pubblicazione di nuove linee guida per gli interventi non chirurgici sul low back pain cronico, sia negli adulti che nelle persone più avanti con l'età". L'Oms "suddivide gli interventi necessari in 5 classi: l'educazione, ovvero l'apprendimento e la consapevolezza da parte del paziente; le terapie fisiche (gli esercizi), le terapie psicologiche, le terapie con multi-componenti e l'impiego di farmaci. Al tempo stesso, le linee guida dell'Oms raccomandano anche le azioni da non fare o da fare con cautela nell'ambito di interventi di cure routinarie: trazioni, ultrasuoni, la stimolazione elettrica transcutanea nervosa (Tens); l'utilizzo di medicinali analgesici a base di oppioidi, antidepressivi, anticonvulsivi; la perdita di peso farmacologica".
Salute e Benessere
Fargnoli (Sidemast): “Per cura psoriasi...
'Sono loro a dover inviare i pazienti dallo specialista, preoccupa ancora abbandono delle terapie appena c'è un miglioramento'
Anche 12 anni di attesa prima di ottenere le prime terapie specifiche. Per i pazienti con psoriasi curarsi è un'odissea. "I motivi del ritardo nell'inizio dei trattamenti sono da cercare nel territorio. Dobbiamo sensibilizzare i medici di medicina generale a inviare i pazienti dallo specialista, ma anche sensibilizzare lo stesso paziente". Lo ha detto Maria Concetta Fargnoli, ordinaria di Dermatologia e Venereologia presso l'Università dell'Aquila e vicepresidente di Sidemast (Società italiana di dermatologia e delle malattie sessualmente trasmesse), intervendo alla conferenza stampa a Roma sull'approvazione della rimborsabilità per il farmaco orale deucravacitinib.
L'altro problema è che il paziente rinuncia con facilità alle cure. "C'è una preoccupante tendenza - fa notare Fargnoli - all'abbandono delle terapie appena c'è un miglioramento, oppure si dilazionano gli intervalli di assunzione del farmaco senza che venga indicato dal medico. Problemi che nascono dalla sottovalutazione della condizione".
Al momento "per la psoriasi moderata severa abbiamo diverse terapie – spiega Fargnoli all'Adnkronos Salute - farmaci convenzionali che hanno sicuramente il limite in termini di efficacia, ma soprattutto di trattamento a lungo termine per la tossicità, e poi abbiamo i farmaci innovativi tra cui biologici e piccole molecole. I biologici di prima generazione sono molto efficaci, ma vengono spesso percepiti troppo forti dal paziente che invece vorrebbe, soprattutto nelle forme moderate, un trattamento meno aggressivo". Tra le richieste dei pazienti "un farmaco che riduca il burden infiammatorio e quelle che sono le comorbidità associate che necessitano una presa in carico multidisciplinare e quindi una collaborazione tra dermatologo, reumatologo, gastroenterologo, solo per fare alcuni esempi. Questa nuova molecola può aiutare i pazienti ad uscire dal guscio e riprendersi la loro vita, perché spesso a causa della psoriasi evitano le relazioni sociali", conclude.
Salute e Benessere
Processo al vino, condannato solo per rischi nei minori e...
Il vino fa male alla salute? Va condannato o assolto? La sentenza è stata pronunciata al termine di un processo in piena regola che si è celebrato ieri sera a Milano, promosso dall'Ordine dei medici provinciale OmceoMi: vino "colpevole", ma solo in parte, "per il fatto di essere certamente pericoloso per i soggetti vulnerabili, per i minorenni e per le donne in stato di gravidanza", e per questo "condannato a 18 mesi di lavori socialmente utili da scontare in un'azienda che produce vino analcolico". Vino "assolto", invece, "per i principali capi di imputazione (112, 590, 589 co. I e IV del codice penale), perché il fatto non costituisce reato".
La difesa esulta: "Si è confuso l'uso consapevole e moderato, che ha portato all'assoluzione, con l'abuso che invece è molto pericoloso, ma che non riguardava i capi d'imputazione. Tutti gli allarmi lanciati dagli esperti riguardano prevalentemente proprio l'abuso. Su cui tutti siamo d'accordo", si legge in una nota diffusa dopo il dibattimento che si è svolto nella sede di Confcommercio, presentato dall'ex rettore dell'università Statale meneghina, Elio Franzini, e diretto da Nunzia Gatto, già avvocato generale al Palazzo di Giustizia di Milano, incaricata dal presidente del tribunale Fabio Roia. Il vino è stato rappresentato dal produttore Walter Massa. Portavoce dell'accusa il magistrato Eugenio Fusco ("a differenza di quanto si dice il vino non ha effetti benefici", ha sostenuto nell'arringa), supportato dai testi Andrea Arighi (direttore Ssd Neurologia-Malattie neurodegenerative Policlinico Milano), Irene Cetin (direttrice Sc Ostetricia e Ginecologia Policlinico Milano) e Alberto Martelli, pediatra. Rappresentanti della difesa le avvocate Ilaria Livigni e Giorgia Andreis, sostenute dai testi Luigi Saverio Belli (direttore Sc Epatologia e Gastroenterologia Niguarda Milano), Stefano Carugo (direttore Uoc Cardiologia Policlinico Milano) e Vito Intini (presidente Onav, Organizzazione nazionale assaggiatori vino).
Le perizie sono state affidate ai medici legali Riccardo Zoja, Arnaldo Migliorini e Giuseppe Deleo, mentre la giuria era composta da Pierluigi Vecchio (direttore Federazione nazionale Ordini dei medici Fnomceo), Andrea Senna (presidente odontoiatri OmceoMi), Roberto Monaco (presidente Ordine medici Siena e segretario Fnomceo) e Filippo Anelli (presidente Fnomceo). "Questa sentenza rispecchia ciò che è emerso dal dibattimento - dichiara Roberto Carlo Rossi, presidente OmceoMi - Attenzione alle persone fragili, ai giovani e giovanissimi, alle donne in gravidanza, dove il vino può davvero essere pericoloso. Attenzione all'abuso, certamente. Ma nessuna evidenza scientifica reale attesta che il vino consumato correttamente sia dannoso per la salute e debba essere vietato".
Per il pediatra Martelli, pro-accusa, "in Italia i numeri relativi al consumo di etanolo fra i giovani sono davvero allarmanti. Il vino sembra però rientrare in questo fenomeno molto marginalmente, perché i giovani abusano perlopiù di superalcolici. Per i minori un percorso educazionale appare essere non più rimandabile in ambito famigliare e scolastico". Il neurologo Arighi avverte che "il consumo eccessivo e cronico di vino comporta gravi danni neurologici, sia a breve che a lungo termine. L'alcol, metabolizzato in acetaldeide, una sostanza tossica, causa stress ossidativo e danni alle cellule nervose. In acuto l'abuso di vino può portare a intossicazione alcolica e crisi epilettiche, nonché ad un aumentato rischio di ictus", mentre "l'assunzione cronica può causare patologie come la demenza alcolica, la neuropatia periferica, oltre a compromettere gravemente la memoria e le funzioni cognitive". Per la ginecologa Cetin, il vino "nuoce al feto durante tutta la gravidanza. Se si pianifica una gravidanza, è opportuno non bere vino e alcolici già dal mese precedente il concepimento perché l'alcol determina modificazioni epigenetiche ai gameti, anche a quelli maschili, che si formano nei 70 giorni precedenti il concepimento. Gli effetti tossici del vino sono principalmente legati al danno neuronale causato dall'etanolo e alla perdita neuronale conseguente. Queste condizioni sono poi associate anche a potenziali esiti nella vita futura".
La difesa sottoscrive i rischi dell'abuso, ma aggiunge altre osservazioni. "Il vino fa male al cuore? In assoluto no - dice il cardiologo Carugo - Le linee guida cardiologiche raccomandano 2 bicchieri (meglio vino rosso) per i maschi e 1 per le donne al giorno, e in generale non più di 100 grammi di alcool la settimana. I polifenoli (resveratrolo) esercitano un'attività antiossidante e antinfiammatoria, e fanno parte in toto della dieta mediterranea assai cardioprotettiva. Ovviamente il vino va assunto con moderazione, ma la complessità ed eterogeneità della 'matrice vino' è il veicolo ideale per aumentarne biodisponibilità e potenziali effetti biologici. L'azione pleiotropica, sinergica e additiva dei diversi fenoli potrebbe spiegare l'effetto protettivo esercitato dal vino anche a fronte di basse concentrazioni". E per non rovinarsi il fegato? "Il limite della moderazione viene abitualmente posto a 2 unità alcoliche al giorno per la donna e a 3 unità alcoliche al giorno per l'uomo - risponde l'epatologo Belli - Una unità alcolica corrisponde a circa 10 grammi di alcol, il contenuto di bicchiere di vino o di una birra da 250 cc. Il vino, anche in piccole quantità, è invece sconsigliabile nei soggetti che dovessero avere malattie epatiche concomitanti soprattutto se avanzate, come la cirrosi da qualunque causa. L'uso smodato dell'alcol è un capitolo a sé stante e può essere causa di malattia di 2 organi: il fegato, fino allo sviluppo di cirrosi, e il cervello quando si instaura dipendenza. Condizioni che nulla hanno a che vedere con il consumo moderato e raccomandato".
Salute e Benessere
Medicina, diagnostica per immagini sempre più centrale...
Gli interventi del radiologo Gualdi nei prossimi congressi
La frontiera della cardiologia viene applicata allo sport, e in particolare alle risposte degli atleti agli stress cardiaci. I casi drammatici e recenti di problemi cardiaci riscontrati durante le competizioni hanno riacceso il dibattito sulla salute degli sportivi e sulle potenzialità della medicina di leggere in anticipo i rischi e individuare le soluzioni. Anche di questo si parlerà il prossimo 25 ottobre a Roma con Gianfranco Gualdi, direttore scientifico del servizio di Diagnostica per immagini dell’Istituto di Medicina e scienze dello sport del Coni, terrà una relazione sulle “modificazioni che possono verificarsi negli atleti sottoposti ad attività agonistica a carico delle strutture cardiache con individuazione del sottile margine tra fisiologico e patologico al fine di accertarne l’idoneità sportiva”. L’intervento è inserito all’interno del 21.simo Congresso Romacuore 2024, organizzato da Collegio federativo di Cardiologia che avrà come tema centrale ‘il ruolo dell’imaging avanzato nelle idoneità sportive: tra fisiologia e patologia’.
Verranno invece descritte nel corso del 107.simo Congresso nazionale Siot, Società italiana di ortopedia e traumatologia, le ultime scoperte mediche sull’instabilità post-traumatica acuta e cronica della spalla nell’atleta. Nell’ambito dell’evento, previsto a Roma dal 29 e il 31 ottobre, è previsto infatti l’intervento di Gualdi che nasce dall’esperienza maturata nel settore sportivo. Partendo dalle modificazioni con coinvolgimento delle strutture anatomiche della spalla, nel suo intervento, il professore, già direttore dell’Unità operativa complessa di Radiologia d’Urgenza del Policlinico Umberto I di Roma, punterà a dimostrare le alterazioni che possono verificarsi a carico delle strutture legamentose e tendinee, oltre che a carico della cartilagine e dei capi ossei e delle strutture muscolari.