Meloni ‘chiude’ caso Sangiuliano, ministro lascia e arriva Giuli
Sangiuliano presenta "dimissioni irrevocabili", Giuli nuovo ministro della Cultura
Dopo giorni sull'ottovolante, sono arrivate le dimissioni. Gennaro Sangiuliano ha rinunciato alla poltrona di ministro della Cultura con una lettera alla premier Giorgia Meloni nel tardo pomeriggio, a distanza di qualche ora dal nuovo post di Maria Rosaria Boccia ("time to time...") che annunciava altre indiscrezioni sulla vicenda nel corso dell'intervista di ieri a 'In Onda' su La7. "Sono fiero dei risultati raggiunti sulle politiche culturali in questi quasi due anni di governo", ma le "mie dimissioni sono irrevocabili", scrive l'ex direttore del Tg2 ringraziando la leader di Fratelli d'Italia "per avermi difeso".
Nelle ultime ore, raccontano, il pressing del governo nei confronti di Sangiuliano era diventato sempre più forte. Ieri è maturata la convinzione che la situazione fosse diventata ormai insostenibile di fronte alle continue 'rivelazioni' dell'imprenditrice campana.
Un vero e proprio stillicidio mediatico che avrebbe finito per penalizzare la credibilità e la tenuta dell'esecutivo e della stessa presidente del Consiglio. "C'era troppa carne al fuoco, così non si poteva andare avanti", dice a mezza bocca un big di Fratelli d'Italia e fedelissimo della Meloni, ricordando anche i timori legati ai risvolti giudiziari della questione (anche stavolta, come per il caso Delmastro-Donzelli, i riflettori sono puntati sull'esposto in Procura del leader dei Verdi Angelo Bonelli).
"Questa storia doveva finire giorni fa, bisognava assolutamente mettere la parola fine una volta per tutte e ripartire, per senso di responsabilità e per il bene dell'intera coalizione", confida un esponente di spicco del centrodestra, preoccupato anche dalle voci su una presunta 'regia esterna' dietro le mosse della Boccia.
Col passare dei giorni, dopo un'iniziale difesa di Sangiuliano, Meloni si sarebbe convinta dell'opportunità politica di chiudere al più presto la vicenda, scegliendo di stringere i tempi. E alla fine è prevalso "il buonsenso e la Realpolitik", sottolinea chi ha seguito il dossier Boccia. Da qui la decisione di non andare oggi al G7 dei Parlamenti a Verona (preferendo un video collegamento dal suo ufficio di Piazza Colonna) e di concentrarsi sulla miglior exit-strategy da adottare per Sangiuliano. Arrivata a Palazzo Chigi in mattinata, poco prima delle 17 Meloni ha lasciato la sede del governo per recarsi al Colle dove ha informato il Capo dello Stato Sergio Mattarella del passo indietro di Sangiuliano.
Il Presidente della Repubblica ha firmato il decreto delle dimissioni, accettando la proposta della premier di nominare alla guida del dicastero al collegio Romano Alessandro Giuli, attuale presidente della Fondazione Maxxi.
Al termine del colloquio con Mattarella, Meloni è rientrata alla Presidenza del Consiglio per poi fare ritorno al Colle per il giuramento di Giuli alle 19. "Ringrazio sinceramente Sangiuliano, una persona capace e un uomo onesto, per lo straordinario lavoro svolto finora", le parole di Meloni sui social, che ha assicurato: "Con Giuli proseguirà l'azione di rilancio della cultura nazionale". In serata il neo-ministro della Cultura si è presentato a Palazzo Chigi per un colloquio con il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano.
Nelle stesse ore, Sangiuliano esce dal Collegio Romano ed entra nell'auto di servizio senza rilasciare dichiarazioni alle telecamere che lo attendevano fuori alla sede del Mic. "In lacrime vi abbraccio tutti" il commiato dell'ex direttore del Tg2 nella chat frequentata dai ministri del governo Meloni. Dai leader alleati di Meloni arriva poi il ringraziamento al ministro dimissionario: "Sangiuliano è stato un ottimo ministro, ha fatto una scelta che gli permette di essere libero e di difendersi e dimostrare che è una persona perbene, ha tutta la nostra amicizia e solidarietà", dice il segretario di Forza Italia Antonio Tajani. "Un abbraccio e un ringraziamento a Gennaro Sangiuliano per questi due anni. Benvenuto e buon lavoro ad Alessandro Giuli", il commento del numero uno leghista Matteo Salvini.
Politica
M5S, Conte: “Grillo è il papà ma non può esercitare...
Il leader del M5S parla dello scontro con il garante: "Non vedo scissioni, se Grillo continua con le pec risponderanno gli avvocati"
"Grillo dice che non è il padrone del Movimento 5 Stelle ma il papà. Certo, è il fondatore del Movimento, ha avuto quest'opera meritoria di lancio del Movimento... Però il papà non può pensare di avere un telecomando in mano e di esercitare il parental control decidendo cosa dobbiamo vedere, perché siamo una comunità di adulti". Lo ha detto Giuseppe Conte, leader del M5S, parlando dello scontro con Beppe Grillo a '4 di sera' su Rete 4.
"Spero che la questione finisca qui - ha aggiunto - Se continueranno le pec da parte di Grillo o le diffide formali, vuol dire che risponderanno gli avvocati. Io non rispondo più. Ho già detto che questo processo è irreversibile e nessuno lo può fermare. Scissioni non ne vedo: una scissione si fa quando non c'è un'occasione di discussione".
Il presidente M5S ha parlato anche dell'ondata di maltempo che ha colpito l'Emilia Romagna. "Dobbiamo evitare - ha sottolineato - quello che è successo in passato, con la presidente Meloni in stivali pronta a intervenire a favore di telecamere ma poi i ristori non sono ancora arrivati ed è passato tantissimo tempo".
"Ho sentito il ministro Musumeci scaricare le responsabilità sulle autorità regionali o addirittura rimpallare responsabilità con un altro ministero del governo. Questa è una cosa che non va fatta. Se durante la pandemia di Covid avessi fatto la stessa cosa, il Paese sarebbe collassato. Bisogna lavorare a tutti i livelli: governo, regioni e comuni". ha scandito Conte.
Poi su Open Arms: "Non auguro la condanna a nessuno, nemmeno a un avversario politico. Ma le mie posizioni sul caso Open Arms, attraverso le lettere scritte, sono state chiare. Dire 'io difendo i confini nazionali' è un concetto fondamentale. Ma qui non erano confini terrestri, erano confini marittimi. E se ci sono persone in condizioni critiche bisogna intervenire".
"Eravamo a cavallo di Ferragosto. Su quella nave c'erano anche minori. Spettava a Salvini consentire l'attracco. Salvini aveva già la prospettiva di uscire dal governo, quindi assunse un tono muscolare", ha aggiunto Conte ricordando le fasi critiche della vicenda Open Arms.
Politica
Lega, Vannacci: “Partito mio? Invenzione stampa di...
"Rosicate quanto volete, ma il governo italiano dura"
Roberto Vannacci non fonderà un partito suo, non adesso perlomeno. A dirlo è stato lo stesso europarlamentare eletto nelle file della Lega alla platea di poco più di 300 persone che, dalla prima festa organizzata in suo onore a Viterbo, sarebbe stata ben felice di accogliere una creatura politica solo del generale.
Prima di dirlo coram populo, però, Vannacci lo rivela ai giornalisti che durante l'arco della giornata hanno provato a carpirlo dall'organizzatore della kermesse, Umberto Fusco, e dal presidente de 'Il mondo al contrario', Fabio Filomeni. "Il partito è un’altra invenzione della stampa di sinistra, io non l'ho mai detto, ma non escludo nulla", chiarisce prima di sottolineare che lui sta bene nella Lega. E davanti a tutti aggiunge che il suo obiettivo è di "essere fedele, coerente con le idee che ho espresso. Non mi interessano le poltrone, mi interessa portare avanti idee, che ora sono condivise" con il partito di Matteo Salvini, con cui non c'è nessuna frizione, insomma.
D'altronde, i temi che affronta sul palco sono molto simili a quelli che porta avanti il Carroccio, i migranti e la sicurezza su tutti. L'Italia, dice infatti, diventerebbe una nuova Svizzera se la sicurezza fosse garantita al 100%, perché "siamo il Paese più bello del mondo". Un Paese che, forse, dice ancora, non dovrebbe svendere la cittadinanza, che invece dovrebbe essere concessa solo a determinate condizioni.
Vannacci parla anche dell'Ucraina, dei missili e della costruzione di un processo di pace, che dovrebbe partire da quell'Unione europea di cui lui ora è un esponente, e che sì, esiste. Parla della comunità Lgbt, di cui non capisce alcune cose, delle donne e del supporto alla maternità. Esprime anche un parere sul governo: "Durerà, anche se rosicate", afferma tra gli applausi dei presenti, ma si dispensa dal commentare l'operato del ministro della Difesa, Guido Crosetto.
L'occasione, però, è utile per scagliarsi contro i giornalisti, facendo nome e cognome. Se, infatti, deve essere grato a Matteo Pucciarelli di Repubblica, che ha scovato il suo libro e ha fatto in modo che diventasse famoso, non arrivano parole di stima nei confronti di un cronista de La Stampa e di uno del Giornale. E anche per alcuni colleghi, due su tutti Maurizio Gasparri e Chiara Gribaudo, arrivano frecce appuntite.
Sono le ultime, però. Il generale, acclamato fin dal suo arrivo con un po' di ritardo, si congeda firmando le copie dei suoi libri. Poi chissà se arriverà davvero un partito prima o poi.
Politica
Rai, sudoku nomine ancora senza soluzione: ‘fumata...
Dopo la visita di Roberto Sergio ieri a Palazzo Chigi per un faccia a faccia con Giorgia Meloni, salgono i rumors su una sua permanenza in Viale Mazzini, seppur nelle vesti di direttore generale
C'è chi si dice convinto che il sudoku verrà risolto 24 ore prima del voto del Parlamento, non un minuto prima. La deadline per l'elezione del Cda Rai si avvicina - il 26 settembre il giorno X - ma maggioranza e opposizione navigano ancora a vista, seppur sia convinzione diffusa che la fumata bianca arriverà senza colpi di scena o nuovi rinvii. Dopo la visita di Roberto Sergio ieri a Palazzo Chigi per un faccia a faccia con Giorgia Meloni, salgono i rumors su una sua permanenza in Viale Mazzini, seppur nelle vesti di direttore generale. L'incarico di amministratore delegato, salvo sorprese, dovrebbe andare a Giampaolo Rossi, in quota Fdi, anche se, raccontano i beninformati, il suo nome nei mesi scorsi avrebbe 'ballato' anche in seno al partito di via della Scrofa oltre che nei piani alti di Palazzo Chigi.
E se sui vertici la soluzione sembrerebbe ormai a portata di mano, l'affaire Cda al momento è lungi dall'esser risolta. Per la presidenza serve infatti l’ok dei due terzi della Commissione di Vigilanza Rai, quindi un accordo con almeno una parte dell'opposizione. Il Cda Rai è composto da sette membri: due vengono eletti dalla Camera e due dal Senato, altri due vengono indicati dal ministero dell'Economia (uno è l'amministratore delegato, l'altro il presidente che appunto deve passare per il gradimento della Vigilanza) e un altro membro viene eletto dai dipendenti dell'azienda.
Dopo il passaggio di Maria Stella Gelmini nelle file di Noi Moderati, al centrodestra mancano due voti per portare a casa la partita, vale a dire il raggiungimento del quorum dei due terzi necessario per l'entrata in carica del presidente. Forza Italia continua a puntare su Simona Agnes, che farà sì parte del Cda - su indicazione del Mef o del Parlamento, semmai dovesse servire un piano B - ma che difficilmente la spunterà come guida del Consiglio d'amministrazione. In caso di indicazione parlamentare, i piani di Meloni e del centrodestra, che attualmente prevedono un nominato in quota Fdi (Valeria Falcone) e uno in quota Lega verrebbero scompaginati. A dare le carte potrebbe essere ancora una volta Matteo Renzi, potenziale ago della bilancia visti i due membri in quota Iv. Ma è soprattutto il M5S che potrebbe fare la differenza, mentre Pd e Avs minacciano l'Aventino.
Giuseppe Conte ha aperto alla possibilità di convergere su un nome di garanzia, qualora "ci fosse un presidente autorevole, assolutamente non riconducibile a logiche partitiche". Un identikit che però non corrisponde, secondo i pentastellati, al profilo di Agnes: "Per noi - spiegano fonti M5S vicine al dossier Rai - non si tratta di un veto sulla persona, ma di un problema di metodo. Agnes non può essere un presidente di garanzia" in quanto "espressione di Fi": un mix di fattori che renderebbe per i 5 Stelle "molto difficile" esprimere un voto a favore della figlia di Biagio Agnes.
La palla, sottolineano nel Movimento, è nelle mani della maggioranza: "Serve uno sforzo comune per trovare un nome condiviso". Negli ultimi giorni sono tornate ad affacciarsi diverse ipotesi alternative per la presidenza Rai, come Antonio Di Bella e Gianni Minoli, due figure interne all'azienda con alle spalle una lunga carriera nel servizio pubblico. Nei sondaggi interni al M5S, Di Bella verrebbe preferito a Minoli alla luce del contenzioso milionario (ormai chiuso, ndr) che vedeva contrapposti il padre di Mixer e Viale Mazzini sui diritti di 'La storia siamo noi'. Altra ipotesi gradita per il Movimento guidato da Giuseppe Conte sarebbe Milena Gabanelli.
Se non dovesse arrivare un accordo, ipotesi da non escludere, la soluzione sarebbe la nomina a presidente del membro più anziano: il timone del cda spetterebbe a quel punto ad Antonio Marano, ex direttore di Rai2 ma anche un passato da deputato nelle file della Lega.