Ucraina, Follini: “Serve politica estera condivisa”
Il punto di vista di Marco Follini per Adnkronos
"Se fosse possibile per un attimo, anche solo per un attimo, distogliere la nostra attenzione dalle vicissitudini del ministro Sangiuliano scopriremmo che c’è molto altro che bolle nel pentolone della politica. E che una parte del nostro destino si gioca anche fuori e lontano da quelle vicissitudini.
Al nostro paese, ad esempio, servirebbe una politica estera. Una, possibilmente condivisa. Non troppo incrinata da dubbi e incertezze. Idealistica, ma non ideologica. Rigorosa senza eccessi e flessibile senza disinvolture. Aperta al mondo eppure leale verso gli alleati. E se tutto questo non ci fosse, ci servirebbe almeno andarlo a cercare, afferrarne almeno un lembo. Aprendo una seria discussione strategica tra tutte le forze che sono interessate all’argomento.
Discussione che invece viene fatta a pezzi e bocconi, in modi estemporanei e qualche volta vistosamente strumentali e propagandistici. Come se ci potessimo permettere di non tener conto che è il nostro posizionamento internazionale -quasi solo quel posizionamento- che decide i nostri destini e rende più cupe o invece più luminose le nostre prospettive.
Ora, a questo governo andava reso merito di aver scelto fin dal suo esordio la solidarietà all’Ucraina. Ma poi quella linea, condivisa anche da una parte dell’opposizione, si è andata un po’ sfilacciando. E ora ci fa trovare, in solitaria compagnia con l’Ungheria e la Slovacchia, in prossimità di un mezzo disimpegno. Le armi a Kiev sì, ma il loro impiego oltre la frontiera no. Come se proprio quella frontiera non fosse il drammatico, e strategico, luogo del contendere.
Non appena il governo ha scelto questa linea, all’opposizione non è parso vero di risolvere i suoi dilemmi strategici facendosene scudo. Così oggi quasi l’intero arco politico si riconosce nella scelta di armare gli ucraini ma appunto solo per metà. Una scelta che magicamente compatta Meloni e Schlein, ma anche Conte e Salvini con la piccola eccezione del fu terzo polo e con il mugugno educato e quasi silenzioso di una piccola parte del Pd. Una linea assai discutibile, a giudicare dalle scelte dei paesi con cui siamo alleati. Ma che almeno avrebbe dovuto essere sancita da un dibattito e da un voto parlamentare in cui si fosse tentato di esprimere un indirizzo strategico. E invece niente.
Il fatto è che si fatica a cogliere l’intreccio inestricabile che lega nel nostro caso politica interna e relazioni internazionali. Arrivammo all’unità d’Italia grazie alle sapienti trame del conte di Cavour, che fu soprattutto il machiavellico ministro degli Esteri di se stesso. Poi l’Italia liberale fece i suoi bravi giri di valzer, alleata ora di questi ora di quelli. Poi venne la sciagurata scelta dell’asse Roma-Berlino. Poi ancora De Gasperi fissò i paletti del dopoguerra ancorando il nostro destino all’europeismo e all’atlantismo. Cosa che a noi, dopo, sembrò del tutto ovvia e quasi obbligata. Ma che all’epoca fu oggetto di non poche controversie, anche nell’inner circle dei partiti democratici e occidentali.
Insomma, abbiamo sempre fatto una certa fatica a tenere dritta la barra delle nostre alleanze. Ma almeno veniva in nostro soccorso la consapevolezza, umile e lucida, che erano quelle alleanze a decidere delle nostre sorti (e della nostra prosperità). Oggi invece una parte di quelle certezze sembrano vacillare. E un’altra parte viene data invece così comodamente per scontata da non aver bisogno neppure di quel minimo di cura e di manutenzione a cui pure si dovrebbe provvedere.
La sortita di Bettini che invita a spezzare i vincoli dell’atlantismo, la riottosità di Salvini e Conte ad allinearsi ad una scelta inevitabilmente severa verso la Russia putiniana, la diffusa “stanchezza” per la fatica e per i costi del sostegno all’Ucraina e la decisione di prendere una certa distanza dal concerto europeo e atlantico sulle armi a Kiev, senza contare le mille divisioni intorno alla drammatica questione mediorientale, sono tutti segnali di una situazione in forte movimento -anche sul piccolo fronte della nostra politica di casa. Sarebbe doveroso discuterne alla luce del sole. Magari anche sottraendo un po’ del nostro tempo e della nostra attenzione all’”affaire” Sangiuliano".
(di Marco Follini)
Politica
Lega, ecco i nuovi dipartimenti: Salvini lascia...
Fontana lascia gli Esteri, Durigon il Lavoro, Molteni la Sicurezza. Anche Bongiorno cede il testimone
Avvicendamenti, nuovi dipartimenti, e un rimescolamento dei compiti nella Lega. Sono queste le decisioni rese note oggi da Matteo Salvini, che nei giorni scorsi aveva nominato due nuovi vicesegretari: Alberto Stefani e Claudio Durigon. Una mossa, quella della riorganizzazione dei dipartimenti, sempre coordinati da Armando Siri, che lo stesso leader ha spiegato servirà per gestire al meglio le prossime sfide, per cogliere "la vittoria anche alle politiche 2027".
Cosa cambia
Complessivamente, i dipartimenti salgono a 31 rispetto ai 29 precedenti, con alcuni nomi importanti in uscita e altri in ingresso. L'attuale presidente della Camera, Lorenzo Fontana, dopo aver lasciato la vicesegreteria non sarà più il responsabile del dipartimento Esteri, al suo posto il deputato Paolo Formentini. Un altro avvicendamento riguarda il dipartimento Lavoro: Claudio Durigon, da poco vicesegretario della Lega, lascia il dipartimento a Tiziana Nisini. Anche Giulia Bongiorno, avvocato di Salvini a Palermo, lascia il posto all'ex sottosegretario alla Giustizia, Jacopo Morrone. Inoltre l'attuale sottosegretario all'Interno, Nicola Molteni, lascia la Sicurezza all'ex sindacalista di polizia Gianni Tonelli. Così come arriva all'Ambiente Vincenzo Pepe, al posto di Vannia Gava.
Tra le novità poi lo spacchettamento del dipartimento Agricoltura e Turismo. Qui resta Gian Marco Centinaio, che è anche vicepresidente di Palazzo Madama, mentre l'Agricoltura viene assegnata al senatore Giorgio Maria Bergesio. Mirco Carloni diventa invece nuovo responsabile delle Attività produttive al posto di Massimo Bitonci. Nasce infine il dipartimento della Cultura affidato alla deputata marchigiana Giorgia Latini.
La mossa, attesa da parte del leader della Lega, "per dare nuovo slancio al partito: l’obiettivo è creare eventi ad hoc in ogni provincia e spalancare le porte a nuovi ingressi", viene spiegato in un comunicato. Salvini e Siri hanno incontrato i coordinatori oggi pomeriggio, nel corso di una riunione negli uffici della Lega alla Camera.
Politica
Tavolo su castrazione chimica, sponda governo a Lega:...
Via libera del governo all'ordine del giorno al ddl Sicurezza, all'esame dell'aula di Montecitorio, presentato dal deputato Iezzi
La Lega rilancia la battaglia per arrivare a una legge sulla castrazione chimica per i pedofili e gli stupratori. Raccogliendo oggi il via libera del governo all'ordine del giorno al ddl Sicurezza, all'esame dell'aula di Montecitorio, presentato dal deputato Igor Iezzi che impegna l'esecutivo ad "istituire quanto prima una commissione o un tavolo tecnico con lo scopo di valutare, nel rispetto dei principi costituzionali e sovranazionali, in caso di reati di violenza sessuale o di altri gravi reati determinati da motivazioni sessuali, la possibilità per il condannato di aderire, con il suo consenso, a percorsi di assistenza sanitaria, di natura sia psichiatrica sia farmacologica, anche con eventuale trattamento di blocco androgenico mediante terapie con effetto temporaneo e reversibile, diretti ad escludere il rischio di recidiva". Un'apertura del governo che lo stesso Salvini subito saluta con favore: "Vittoria della Lega! Bene così, un altro importante passo in avanti per una nostra storica battaglia di giustizia e buonsenso: tolleranza zero per stupratori e pedofili".
Insorgono le forze di opposizione. "Con buona pace di Fi il governo è ormai piegato sulle posizioni estremiste di Salvini e della Lega", attaccano dal Partito democratico. Sottolineando con la deputata Simona Bonafè che siamo di fronte a "una proposta incostituzionale che mina alle basi il nostro ordinamento giuridico che ha superato da secoli il ricorso alle pene corporali". Da Avs si accusano i leghisti di una "vocazione repressiva senza confini che trascina tutta la destra, senza distinzioni".
Politica
Draghi da Meloni a Palazzo Chigi
Un'ora e un quarto di colloquio tra la presidente del Consiglio e l'ex premier a Palazzo Chigi
Colloquio di un'ora e un quarto oggi a Palazzo Chigi tra la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, e l'ex premier e numero uno della Bce, Mario Draghi.
Al centro dell'incontro, informa una nota diffusa da Palazzo Chigi, "un confronto approfondito sul Rapporto sul futuro della competitività europea presentato da Draghi, che contiene secondo il governo diversi importanti spunti, tra cui la necessità di un maggiore impulso all’innovazione, la questione demografica, l’approvvigionamento di materie prime critiche e il controllo delle catene del valore e, più in generale, la necessità che l’Europa preveda strumenti adatti a realizzare le sue ambiziose strategie - dal rafforzamento dell’industria della difesa fino alle doppie transizioni - senza escludere aprioristicamente nulla, compresa la possibilità di un nuovo debito comune. Priorità condivise che rispecchiano anche il lavoro portato avanti dal Governo in Italia e nelle Istituzioni europee. I due presidenti - informa la nota - sono rimasti d’accordo di tenersi in contatto per continuare ad approfondire queste materie".