Harris-Trump, scontro sull’aborto: “Lo vogliono fino al nono mese”, ma la moderatrice smentisce il tycoon
Il diritto all’aborto è stato uno dei temi più caldi del dibattito televisivo Harris-Trump. Nonché il primo tema su cui il candidato repubblicano è scivolato gravosamente, facendosi richiamare dalla moderatrice. Da sempre, l’aborto rappresenta uno dei terreni di scontro più accesi non solo tra i “rossi” e i “blu” degli Usa, ma tra i conservatori e i progressisti di tutto il mondo.
Donald Trump ha accusato i democratici di voler permettere l’aborto “fino al nono mese” di vita del bambino, prima di essere smentito.
Trump-Harris, lo scontro sull’aborto
Al quindicesimo minuto del dibattito, la moderatrice Lindsay Davis chiede ai candidati di esporti sul diritto all’aborto, partendo da Trump:
“Hai sorpreso molti con il tuo divieto di aborto a sei settimane, perché inizialmente avevi detto che era troppo breve e hai affermato, cito testualmente: ‘voterò che abbiamo bisogno di più di sei settimane’. Il giorno dopo però hai cambiato rotta e hai detto che avresti votato a favore del divieto a sei settimane. La vicepresidente Harris dice che le donne non dovrebbero fidarsi di te su questo tema, poiché hai cambiato posizione molte volte. Perché dovrebbero fidarsi?”
Il candidato repubblicano spiega che il suo cambio di rotta è dovuto alle posizioni degli avversari politici: “I Democratici sono radicali in questo. E la sua scelta per la vicepresidenza – dice Trump riferendosi a Walz – che penso sia una scelta orribile per il nostro Paese, perché lui è davvero fuori strada, dice che l’aborto al nono mese va benissimo. Dice anche che l’esecuzione dopo la nascita, non è più un aborto perché il bambino è nato.
E questo – continua il tycoon – non va bene per me, quindi ho votato così. Ma ciò che ho fatto è qualcosa che da 52 anni cercano di fare: trasferire Roe v. Wade agli Stati. E grazie al genio, al cuore e alla forza di sei giudici della Corte Suprema, siamo riusciti a farlo”.
Trump smentito dalla moderatrice
Le dichiarazioni di Trump hanno costretto la moderatrice a un fact checking e alla smentita: “Non esiste alcuno stato in questo Paese dove sia legale uccidere un bambino dopo che è nato. Signora Vicepresidente, vuole rispondere a Donald Trump?”
“Come ho detto, sentirete un sacco di bugie. E questo non è affatto sorprendente. Cerchiamo di capire come siamo arrivati a questo punto”. Con queste parole, la replica di Kamala Harris si sposta sulla ‘revoca’ della sentenza Roe v. Wade, vantata da Trump come un successo repubblicano.
La sentenza Roe v. Wade
Il riferimento è alla decisione della Corte Suprema degli Stati Uniti di ribaltare Roe v. Wade, la sentenza storica del 1973 che garantiva il diritto costituzionale all’aborto a livello federale. Prima di essere annullata nel 2022 con il caso Dobbs v. Jackson Women’s Health Organization, la sentenza impediva agli Stati federati di imporre restrizioni significative sull’aborto nelle prime fasi della gravidanza.
Trump rivendica come un successo la scelta della Corte Suprema di restituire ai singoli Stati la facoltà di decidere autonomamente le proprie leggi sull’aborto, piuttosto che seguire una normativa federale unificata.
Per la vicepresidente Kamala Harris, invece, la dinamica è più controversa: “Donald Trump ha scelto personalmente tre membri della Corte Suprema degli Stati Uniti con l’intenzione che avrebbero annullato le protezioni di Roe v. Wade. E hanno fatto esattamente quello che lui intendeva”.
Per la candidata repubblicana le conseguenze per le donne sono state devastanti: “Ora, in più di 20 Stati, ci sono divieti sull’aborto voluti da Trump, che rendono criminale per un medico o un’infermiera fornire assistenza sanitaria. In uno Stato, si prevede l’ergastolo per i medici […]
Ho parlato con donne in tutto il Paese. Vogliamo parlare di ciò che la gente voleva? Donne incinte che volevano portare a termine la gravidanza, ma hanno subito un aborto spontaneo, negata l’assistenza in un pronto soccorso perché i medici temevano di finire in prigione e lei stava perdendo sangue in macchina nel parcheggio”. Per questo, sostiene Harris, la storica sentenza va ripristinata al più presto: “Vi prometto – continua – che quando il Congresso approverà una legge per ripristinare le protezioni di Roe v. Wade, come Presidente degli Stati Uniti, la firmerò con orgoglio. Ma se Donald Trump fosse rieletto, firmerebbe un divieto nazionale sull’aborto”.
Le considerazioni della candidata repubblicana muovono anche dalla scelta di J.D. Vance come vice Trump. Il senatore dell’Ohio, infatti, è noto per le sue posizioni estreme in materia di diritti civili.
Secondo il sito LGBTI Washington Blade, il senatore repubblicano si sarebbe opposto persino alle eccezioni per le vittime di stupro e incesto.
Le eccezioni per stupro, incesto e saluto della donna
Queste posizioni non saranno portate avanti in caso di vittoria, sostiene Trump: “Credo fortemente nelle eccezioni per stupro, incesto e per la vita della madre. Anche Ronald Reagan lo credeva. L’85% dei Repubblicani sostiene le eccezioni, è molto importante. Ma siamo riusciti a farlo e ora gli Stati stanno votando su questo”.
Per il candidato repubblicano, il diritto all’aborto va dibattuto sul piano burocratico: “Per 52 anni, ogni studioso legale, ogni democratico, ogni repubblicano, liberale o conservatore, voleva che questa questione fosse riportata agli stati, dove il popolo poteva votare. E questo è ciò che è successo”, ha detto Trump sottolineando che il diritto all’aborto va normato dai singoli Stati e non dal governo federale.
Harris smentisce Trump parlando dei divieti previsti dal suo mandato che “non prevedono eccezioni, nemmeno per stupro o incesto, il che significa che una sopravvissuta a un crimine, una violazione del suo corpo, non ha il diritto di decidere cosa succederà dopo al suo corpo. Questo è immorale. E non è necessario abbandonare la propria fede o le proprie convinzioni profonde per concordare che il governo”. Poi, la candidata repubblicana chiude sul tema: “Certamente Donald Trump non dovrebbe dire a una donna cosa fare con il proprio corpo”.
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Tumori, sempre più guarigioni ma disuguaglianze e stili di...
Tassi di guarigione in aumento, diminuzione della mortalità e un numero crescente di persone che convivono con un tumore. Ma anche persistenti disuguaglianze sociali nell’accesso alla diagnosi precoce e la permanenza di stili di vita che favoriscono lo sviluppo della malattia. È la fotografia che emerge dalla 14esima edizione del censimento ‘I numeri del cancro in Italia 2024‘ dell’Associazione italiana oncologia medica Aiom, presentata oggi a Roma a Palazzo Baldassini.
Cominciamo dai nuovi casi: in Italia nel 2024 sono stimate 390.100 nuove diagnosi di tumore, di cui 214.500 negli uomini e 175.600 nelle donne. Cifre sostanzialmente stabili rispetto al 2023, quando sono state 395.900, e al 2022, quando furono 391.700. Il tumore più frequentemente diagnosticato quest’anno è il carcinoma della mammella (53.686 casi), seguito dai tumori a colon-retto (48.706), polmone (44.831), prostata (40.192) e vescica (31.016).
La buona notizia è che la metà di questi malati guarirà e avrà la stessa attesa di vita di chi non ha sviluppato il cancro, grazie soprattutto alla diagnosi precoce. Nello specifico, la probabilità di guarigione per le donne colpite, nello scorso decennio, da tumore dell’utero è stata del 69%, per il collo dell’utero del 58%, per l’ovaio del 32%. Nel carcinoma della mammella la sopravvivenza è pari complessivamente al 73%, ma passa dal 99% nello stadio I all’81% nello stadio II, per scendere al 36% negli stadi III e IV. Per il tumore del colon-retto, considerando tutti gli stadi, la probabilità di guarire è del 56%, oscillando tra il 92% se la malattia è diagnosticata in stadio precoce e il 71% in stadio II.
Un altro elemento positivo, determinato soprattutto dai progressi nelle terapie, è costituito dal costante incremento del numero di persone che vivono dopo la diagnosi di tumore: nel 2024 sono circa 3,7 milioni, il 6,2% dell’intera popolazione, spiega Diego Serraino, direttore Soc Epidemiologia oncologica e Registro tumori del Friuli Venezia Giulia, Centro di riferimento oncologico Irccs Aviano.
Mortalità in calo
Quanto a chi non ce la fa, nel 2022 in Italia sono stati stimati 35.700 decessi per cancro del polmone, 24.200 per il colon-retto, 15.500 per la mammella, 14.900 per il pancreas e 9.900 per lo stomaco. Dei quasi 10 milioni di morti oncologiche ogni anno in tutto il mondo, il 10,5% avviene in giovani adulti, cioè persone di età compresa tra 20 e 49 anni. In Europa, dove le popolazioni sono più vecchie, le morti per cancro in giovani adulti rappresentano il 4,3% di tutti i decessi oncologici registrati nel 2022.
Inoltre, sempre secondo il censimento, la mortalità per cancro nei giovani adulti in 15 anni (2006-2021), è diminuita del 21,4% nelle donne e del 28% negli uomini. Una riduzione particolarmente accentuata per il carcinoma polmonare: -46,4% di decessi nelle donne e -35,5% nei maschi. Un dato particolarmente importante, se si considera che questa neoplasia rappresenta la prima causa di morte oncologica negli uomini giovani adulti e la seconda nelle donne dopo il tumore della mammella, come ha sottolineato Massimo Di Maio, presidente eletto Aiom.
Fabrizio Stracci, presidente Airtum, ha anche evidenziato come “un ruolo, seppure parziale, nel potenziale calo delle nuove diagnosi di cancro vada anche attribuito alla riduzione di circa il 2,5% della popolazione italiana tra il 2017 e il 2024, da 60.484.000 abitanti a 58.990.000″.
C’è ancora molto da fare, a partire dagli screening
Rimangono comunque alcune aree su cui intervenire, a partire dalla prevenzione che passa dagli stili di vita e dai tre programmi di screening. Nel 2023, rispetto agli anni precedenti – evidenzia il report – si registra una maggiore copertura della popolazione, che raggiunge il 49% per lo screening mammografico, il 47% per quello cervicale e il 32% per quello colorettale. Tuttavia, restano notevoli differenze territoriali, con le regioni meridionali che fanno registrare livelli di adesione inferiori rispetto alle altre aree in tutti e tre i programmi.
Basta vedere i dati: per la mammografia la copertura ha raggiunto il 62% al Nord, il 51% al Centro e il 31% al Sud, mentre lo screening cervicale mostra un livello di copertura pari al 57% al Nord, al 45% al Centro e al 35% al Sud. Inferiori le percentuali di adesione allo screening colorettale: 45% al Nord, 32% al Centro e 15% al Sud, snocciola Paola Mantellini, direttrice Osservatorio nazionale screening, organismo coordinato dall’Istituto per lo studio, la prevenzione e la rete oncologica della Regione Toscana.
Eppure, “individuare un tumore o i suoi precursori in fase iniziale permette di intervenire tempestivamente, con trattamenti più efficaci, meno invasivi e con minori rischi di complicanze, garantendo maggiore sopravvivenza e qualità della vita”, rimarca l’esperta.
La prevenzione passa dagli stili di vita
Altro grosso capitolo, gli stili di vita, un aspetto sottolineato anche dal ministro della Salute Orazio Schillaci nella prefazione del volume del censimento, frutto della collaborazione tra Aiom, Airtum (Associazione italiana registri tumori), Fondazione Aiom, Osservatorio nazionale screening (Ons), Passi (Progressi delle aziende sanitarie per la salute in Italia), Passi d’Argento e Società italiana di anatomia patologica e di citologia diagnostica (Siapec-Iap): “Oggi sappiamo che l’errata alimentazione incide per circa il 35% sull’insorgenza dei tumori e che la dieta mediterranea riduce del 10% la mortalità complessiva, prevenendo lo sviluppo di numerosi tipi di cancro”.
“La prevenzione è un pilastro fondamentale della nostra strategia. Promuovere stili di vita sani e incrementare l’adesione ai programmi di screening organizzati sono obiettivi strategici per ridurre il rischio di sviluppare molte tipologie di tumore, consentire una diagnosi precoce e intercettare tempestivamente la malattia. In questo contesto, il ruolo della ricerca è fondamentale”, ha sottolineato ancora Schillaci nel messaggio inviato al presidente Aiom Francesco Perrone in occasione della presentazione del censimento.
Sullo stile di vita è intervenuto anche lo stesso Perrone, il quale ha evidenziato come a fronte di una lieve riduzione dei nuovi casi di cancro il quadro rimanga ancora preoccupante proprio per la permanenza di alti fattori di rischio, comportamentali e ambientali.
Italiani rimandati sugli stili di vita
Gli italiani, infatti, non fanno benissimo quanto a stile di vita: il 24% degli adulti fuma, il 33% è in sovrappeso e il 10% è obeso, il 18% consuma alcol in quantità a rischio per la salute. E si registra un boom di sedentari, aumentati dal 23% nel 2008 al 28% nel 2023.
Più nel dettaglio, il fumo è più frequente fra gli uomini (28% vs 21%), fra i più giovani, fra i residenti nel Centro-Sud ed è fortemente associato allo svantaggio sociale, coinvolgendo molto di più le persone con difficoltà economiche (36% vs 21%) o bassa istruzione (26% fra chi ha al più la licenza elementare vs 18% fra i laureati), ha spiegato Maria Masocco, responsabile scientifico dei sistemi di sorveglianza Passi e Passi D’Argento, coordinati dall’Istituto superiore di sanità.
Quanto all’alcol, considerato sostanza tossica e cancerogena secondo le principali Agenzie internazionali di salute pubblica, non esiste rischio zero e qualsiasi modalità di consumo comporta un rischio, tanto più elevato quanto maggiore è la quantità di alcol consumata. Nel biennio 2022-2023, in Italia meno della metà degli adulti di età compresa tra i 18 e i 69 anni (42%) dichiara di non consumare bevande alcoliche, ma 1 persona su 6 (18%) ne fa un consumo definito a ‘maggior rischio’ per la salute, per quantità e/o modalità di assunzione.
Da notare che, diversamente dagli altri fattori di rischio comportamentali, il consumo di alcol è più frequente fra le classi sociali più abbienti, senza difficoltà economiche e/o con livelli di istruzione elevati.
Anche sull’attività fisica c’è molto margine di miglioramento: facendo riferimento ai livelli attualmente raccomandati dall’Oms, nel biennio 2022-2023 il 48% della popolazione adulta in Italia può essere classificata come ‘fisicamente attiva’, il 24% ‘parzialmente attiva’, e il 28% è completamente ‘sedentaria’.
La sedentarietà è più frequente fra le donne (32% vs 24% fra gli uomini), aumenta con l’età (24% fra 18-34enni vs 33% fra i 50-69enni), disegna un chiaro gradiente geografico a sfavore delle regioni del Meridione (40% vs 16% nel Nord) e un gradiente sociale a svantaggio delle persone con maggiori difficoltà economiche (42%) o basso livello di istruzione (48% fra chi ha al più la licenza elementare vs 25% fra i laureati). Non solo, ma negli anni la sedentarietà è aumentata significativamente e costantemente passando dal 23% del 2008 al 28% nel 2023, coinvolgendo allo stesso modo uomini e donne e tutte le classi di età, ma più velocemente i più giovani e soprattutto il Meridione e il Centro, ampliando il gradiente geografico fra Nord (dove resta costante) e Sud del Paese; infine è aumentata anche fra le persone abbienti e meno abbienti, ma più velocemente fra le persone con maggiori difficoltà economiche.
Infine sovrappeso e obesità, altro importante fattore di rischio oncologico: nel biennio 2022-2023 più di 4 adulti su 10 sono in eccesso ponderale, ovvero il 33% è in sovrappeso e il 10% è obeso. L’obesità è poco più frequente fra gli uomini (11% vs 10% fra le donne), aumenta significativamente con l’età (5% fra 18-34 anni, 10% fra 35-49 anni e 14% fra 50-69 anni) e coinvolge particolarmente le persone con svantaggio sociale (18% fra persone con molte difficoltà economiche vs 9% fra chi non ne riferisce). Storicamente più frequente nel Sud del Paese, oggi il gradiente geografico fra Nord e Sud del Paese si è annullato.
Insomma nella lotta ai tumori ci sono segnali incoraggianti e risultati visibili, ma c’è ancora molto da fare, e in questo contesto si inserisce a tutto tondo il Piano oncologico nazionale 2023-2027 che, ha sottolineato infine Schillaci nel suo messaggio, “è una risposta concreta a queste sfide: dall’integrazione dei percorsi assistenziali al potenziamento della prevenzione, fino allo sviluppo della ricerca”.
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Vaccinazioni, novità e obiettivi per il 2025
La prevenzione è un tema che tocca tutti, senza eccezioni. Non c’è età, non c’è fascia di popolazione che possa considerarsi immune dalla necessità di prendersi cura della propria salute, e il nuovo Calendario della vita 2025 lo conferma con una visione a 360 gradi. Questo documento non è solo un aggiornamento delle linee guida vaccinali ma è una vera e propria mappa per orientarsi nell’universo della prevenzione: un vademecum per tutti, dai neonati agli anziani, passando per gli adolescenti e gli adulti.
Il documento, che raccoglie le evidenze scientifiche più aggiornate, è il frutto di un lavoro sinergico tra esperti e società scientifiche di rilievo, con un obiettivo preciso: aggiornare il piano vaccinale per tutte le età, dando nuove indicazioni e rispondendo alle sfide che la medicina ci presenta.
Le novità del calendario vaccinale
Il nuovo Calendario della Vita non è solo un aggiornamento tecnico, ma un vero e proprio vademecum per la salute. Sono molte le novità e i miglioramenti rispetto alla versione precedente del 2019. Prima fra tutte, l’introduzione della vaccinazione contro il virus respiratorio sinciziale (RSV) per neonati e bambini. Questo virus, responsabile di malattie respiratorie gravi nei piccoli, ha visto un innovativo approccio grazie all’uso di anticorpi monoclonali da somministrare ai neonati ad alto rischio. Una vera e propria rivoluzione che promette di ridurre drasticamente i ricoveri ospedalieri per bronchiolite nei più piccoli.
Un altro aggiornamento importante riguarda il vaccino contro il meningococco B, che viene offerto gratuitamente agli adolescenti. Il meningococco B è una delle cause principali di meningite e sepsi nelle persone giovani, quindi garantirne la prevenzione in età adolescenziale è fondamentale. Un piccolo gesto, che potrebbe fare una grande differenza nella vita dei ragazzi, salvando vite e prevenendo complicazioni gravi.
E non finisce qui. Il vaccino contro lo pneumococco è ora disponibile in nuove formulazioni, in grado di coprire un numero maggiore di ceppi (15 e 20). Si tratta di un vaccino essenziale per anziani e adulti fragili, che previene polmoniti e infezioni gravi. Anche l’Herpes Zoster, che può causare dolorosi focolai di varicella nell’età adulta, è al centro di un nuovo vaccino che garantisce una protezione più lunga e
Il Calendario della Vita 2025 non dimentica gli adulti, anzi. Se la vaccinazione infantile è ormai una routine consolidata, quella per gli adulti e gli anziani ha bisogno di essere potenziata. Malattie come l’influenza, lo pneumococco e l’Herpes Zoster (che può causare il doloroso fuoco di Sant’Antonio) richiedono una protezione continua. La medicina generale e i medici di famiglia sono sempre più chiamati a svolgere un ruolo fondamentale in questo tipo di prevenzione, promuovendo la vaccinazione tra i pazienti più vulnerabili.
Il tema del vaccino contro l’HPV (Human Papillomavirus) è un altro punto importante. Sebbene questo vaccino abbia già mostrato la sua efficacia nel prevenire il cancro al collo dell’utero, le coperture in Italia sono ancora insufficienti, soprattutto tra gli adolescenti. L’obiettivo è aumentare sensibilmente il numero di persone vaccinate, per ridurre ulteriormente l’incidenza di malattie oncologiche correlate al papillomavirus.
Un capitolo del Calendario è dedicato al vaccino contro il Covid-19, che ha cambiato il volto della sanità mondiale negli ultimi anni. L’introduzione di questo vaccino ha avuto un impatto senza precedenti, con milioni di vite salvate e una protezione straordinaria che ha ridotto i decessi e le complicazioni. Eppure, nonostante il suo successo, il vaccino contro il Covid è anche simbolo di una certa stanchezza da parte della popolazione. Il messaggio che viene ribadito con forza nel Calendario è che vaccinarsi è un investimento per il futuro, non solo per la propria salute, ma anche per la salute degli altri.
Anagrafe vaccinale nazionale
Ma c’è un aspetto che fa da filo conduttore in tutto il documento: la necessità di creare un’anagrafe vaccinale nazionale. In altre parole, un sistema centralizzato che raccolga e gestisca i dati relativi alle vaccinazioni non solo per i bambini, ma anche per gli adulti e gli anziani. Questo non è solo un passo verso una maggiore efficienza nella gestione delle campagne vaccinali, ma è anche un modo per garantire che nessuno venga lasciato indietro.
Se da un lato ci sono bambini che non ricevono i vaccini di routine, dall’altro ci sono adulti che dimenticano di rinnovare le proprie vaccinazioni o di chiedere quelle raccomandate dalla propria fascia di età. Un database che tenga traccia delle vaccinazioni di tutti potrebbe essere la soluzione.
In generale, le raccomandazioni contenute nel documento sono il risultato del lavoro di cinque società scientifiche e di oltre 50mila professionisti sanitari, tra cui medici pediatri, medici di medicina generale e specialisti in igiene e sanità pubblica. Il documento si propone come base per l’aggiornamento delle politiche sanitarie nazionali e auspica una maggiore integrazione delle vaccinazioni nelle politiche di salute pubblica, coinvolgendo anche i medici di base e gli specialisti nella promozione della prevenzione tra gli adulti e gli anziani.
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Ssn al bivio, digitale e donne la combinazione vincente?
Cosa succede quando il cuore pulsante del Servizio Sanitario Nazionale si spezza? Una generazione di medici e infermieri stremati, che non cercano più solo una cura per i pazienti, ma una via di fuga. Il III Rapporto sulla Salute e il Sistema Sanitario presentato da Eurispes ed Enpam sembra quasi il referto di una malattia cronica: un sistema nato per servire il benessere collettivo, oggi arranca tra carenze di personale, contratti precari e un burnout che brucia come febbre alta.
Un Ssn in transizione
Tra il 2008 e il 2022, il personale medico e infermieristico del Ssn è passato dall’espansione alla decrescita. Se un tempo 100 dipendenti usciti venivano sostituiti da 80 nuove assunzioni (nel 2014), oggi il saldo è ben più magro, aggravato dall’aumento del lavoro precario (+44,6% di contratti a tempo determinato tra il 2019 e il 2022). Il risultato? Età media sempre più alta (50,5 anni per i medici, 46,9 per gli infermieri) e una produttività che soffre di invecchiamento precoce.
Ma non è solo questione di numeri. I turni infiniti, le aggressioni nei Pronto Soccorso e la burocrazia opprimente non fanno che spegnere la passione per una professione che dovrebbe essere sinonimo di vocazione. La conseguenza? Un Ssn che si svuota di significato e di talento, con un medico su due in burnout (52%) e poco meno per gli infermieri (45%). E ancora una volta, le donne pagano il prezzo più alto: non solo sono le più esposte alle difficoltà di conciliazione lavoro-famiglia, ma anche alle aggressioni, che colpiscono i due terzi delle professioniste.
Donne e tecnologia al timone del cambiamento
Eppure, nel cuore della crisi, c’è una rivoluzione che pulsa silenziosa: quella delle donne. Oggi, due terzi del personale sanitario è femminile, e più di un medico su due è donna (51,3%). Ma attenzione: non è tutto oro ciò che luccica. Le posizioni di potere restano in mano agli uomini, con solo il 10% delle donne alla guida degli Ordini professionali e meno del 20% dei primari al femminile. Una disparità che sembra paradossale in un settore dove la presenza femminile è tanto forte quanto invisibile nelle stanze dei bottoni.
La tecnologia potrebbe essere l’alleata inaspettata di questo cambiamento. Tra intelligenza artificiale e telemedicina, il Ssn potrebbe non solo risparmiare tempo e risorse, ma anche migliorare le condizioni di lavoro dei suoi operatori. Già oggi, la digitalizzazione delle cartelle cliniche e la refertazione a distanza stanno cambiando il volto della professione, mentre la robotica chirurgica promette interventi più rapidi e precisi. Tuttavia, l’Italia è al 18° posto per digitalizzazione tra i 27 Paesi dell’Ue: il gap è evidente e pericoloso, soprattutto se le disuguaglianze dell’era analogica rischiano di moltiplicarsi in quella digitale.
Infine, c’è una nuova leva che spinge dal basso: la Generazione Z. Flessibili, mobili, digitalmente nativi, i giovani che si affacciano oggi alla professione portano con sé un nuovo modo di concepire il lavoro. Vogliono conciliare vita e carriera, chiedono ambienti di lavoro più sani e turnazioni sostenibili. Ma per trattenere questi giovani talenti, il Ssn deve cambiare pelle: stipendi più competitivi, meno burocrazia, più supporto per la conciliazione lavoro-vita privata.
Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza è forse l’ultima occasione per rimettere il Servizio Sanitario Nazionale sui binari giusti. La digitalizzazione è una strada obbligata, ma non sufficiente: serve un’azione integrata che tocchi tutte le dimensioni del sistema, dalla formazione del personale alla riforma delle carriere. E soprattutto, serve una visione che riconosca il valore umano di chi, ogni giorno, tiene in piedi il Ssn, spesso con sforzi sovrumani.
Il futuro del Ssn non è scritto, ma una cosa è certa: sarà più femminile, più digitale e, si spera, più giusto. Riusciremo a trasformare la crisi in opportunità?