Che influenza sarà? “Impegnativa, anziani e fragili si vaccinino”
Il punto con Nicastri e Vairo dello Spallanzani. "A fine 2023 abbiamo visto un boom di contagi influenzali che si sono sommati al Covid e al virus respiratorio sinciziale (Rsv). Pensiamo ai decessi che potrebbero fare questi patogeni insieme e togliamo dalla cartina dell'Italia una città di provincia con 20mila abitanti. Non possiamo accettarlo e la vaccinazione anti-influenzale, Covid e Rsv è l'unica arma raccomandata per anziani, fragili e immunodepressi"
Lo scorso anno "è stato registrato un dato delle vaccinazioni antinfluenzali troppo basso": sono diminuite (18,9%) rispetto alla stagione precedente (20,2%), con un calo - secondo i dati del ministero della Salute al 53% per gli anziani, insoddisfacente su questa fascia della popolazione. Dobbiamo ricordare che le complicazioni dell'influenza possono portare al decesso, 5-10mila persone ogni anno. A fine 2023 abbiamo visto un boom di contagi influenzali che si sono sommati al Covid e al virus respiratorio sinciziale (Rsv). Pensiamo ai decessi che potrebbero fare questi patogeni insieme e togliamo dalla cartina dell'Italia una città di provincia con 20mila abitanti. Non possiamo accettarlo e la vaccinazione anti-influenzale, Covid e Rsv è l'unica arma raccomandata per anziani, fragili e immunodepressi". Lo spiega all'Adnkronos Salute Emanuele Nicastri, direttore dell'Unità di Malattie infettive ad alta intensità di cura dell'Inmi Spallanzani di Roma.
Ma come sarà la prossima stagione influenzale? "E' possibile che vedremo una stagione con un'attività importante delle sindromi simil-influenzali - risponde Francesco Vairo, responsabile del Servizio regionale di Sorveglianza delle malattie infettive dello Spallanzani - I dati dell'emisfero australe indicano una stagione con un'incidenza di casi elevata in un quadro epidemiologico dove convivono l'influenza, appunto, ma anche il virus respiratorio sinciziale e il Covid. Non abbiamo una palla di vetro, ma credo ci sarà un'attività intesa ed è quindi necessaria una spinta maggiore alla campagna vaccinale che verrà".
L'invito che fa Nicastri è di pensare già ora a programmare con il proprio medico di famiglia il calendario delle vaccinazioni che dovrebbero partire ad inizio ottobre in molte regioni. "Sono virus - spiega Nicastri - che portano un carico di malattia importante, si può fare la triplice vaccinazione in una unica sede nello stesso giorno o calendarizzarle come singole. Il target dell'Oms negli anziani è il 95% della popolazione e come Italia noi siamo a poco più della metà del target". Ma per convincere gli over 60 a vaccinarsi è necessario cambiare paradigma. "C'è una stanchezza vaccinale - osserva l'esperto - immunizzare una persona sana è controintuitivo perché io ti proteggo per qualcosa che potrebbe avvenire ma anche non avvenire, dobbiamo dire che ci possono essere delle reazioni avverse segnalate nel consenso informato. Sappiamo che l'immunizzazione non ci evita il contatto, ma la forma grave di malattia, l'ospedalizzazione e il decesso".
La vaccinazione a chi non è nelle categorie a rischio? "Solo se fa parte di quei gruppi di lavoratori sensibili: operatori sanitari, forze dell'ordine, trasporto pubblico", suggerisce Nicastri. Quanto al virus respiratorio sinciziale umano, è uno dei virus più comuni che infettano i bambini. Ma non solo. Secondo un focus delle società scientifiche Siti-Simit, dedicato proprio all'Rsv, "l'impatto della malattia negli adulti di età sopra i 60 anni nei Paesi ad alto reddito è più elevato di quanto stimato in precedenza. Negli adulti sani l'Rsv solitamente comporta forme respiratorie lievi; forme severe ed anche fatali sono registrate in adulti ad aumentato rischio in rapporto all'età e/o a co-morbosità. A livello europeo negli adulti over 60 anni vengono stimati circa 3 milioni di casi di sindromi respiratorie acute, oltre 465mila ospedalizzazioni e circa 33mila decessi in ambito ospedaliero Rsv-correlati".
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Ritorno a Wuhan: un nuovo studio punta sull'origine naturale Sars-CoV-2
Alle radici del covid. Ritorno a Wuhan, Cina, dove tutto è cominciato a fine 2019, anno in cui un nuovo coronavirus, Sars-CoV-2, faceva il suo ingresso nel mondo degli esseri umani scatenando di lì a poco una pandemia senza confini. Virus fuggito da un laboratorio o arrivato all'uomo per vie naturali, tramite un animale 'ospite intermedio'? E' il giallo mai risolto di Covid-19. Un nuovo studio riavvolge il nastro, seguendo le tracce del 'Dna fantasma' nei campioni ambientali raccolti a inizio 2020 nel mercato all'ingrosso di frutti di mare di Huanan, dove sono stati censiti i primi casi umani. Gli autori del lavoro pubblicato su 'Cell' sono riusciti così a stringere il cerchio, fornendo una 'short list' delle specie selvatiche presenti nel mercato su cui si concentrano i sospetti.
Lo studio collaborativo internazionale porta la firma di scienziati di diversi atenei statunitensi ed europei e si basa su una nuova analisi dei dati pubblicati dal Cdc cinese, Centro per il controllo e la prevenzione delle malattie, provenienti da oltre 800 campioni raccolti nel mercato di Huanan e nei dintorni, a partire dall'1 gennaio 2020 e dai genomi virali segnalati dai primi pazienti Covid.
Nell'elenco delle specie da cui secondo il team molto probabilmente ha fatto il salto all'uomo Sars-CoV-2, ci sono diversi sospettati: secondo la ricerca, il virus era presente in alcune delle stesse bancarelle della fauna selvatica venduta al mercato, tra cui cani procioni (piccoli animali simili a volpi con macchie simili ai procioni) e zibetti (piccoli mammiferi carnivori imparentati con manguste e iene).
"Questo - evidenzia Florence Débarre, coautrice corrispondente del Centro nazionale francese per la ricerca scientifica (Cnrs) - è uno dei set di dati più importanti esistenti sull'origine della pandemia di Covid e siamo grati che siano stati condivisi". Lo studio, aggiunge il coautore corrispondente Kristian Andersen dello Scripps Research Institute, "aggiunge un ulteriore livello alle prove accumulate che puntano tutte allo stesso scenario: che gli animali infetti sono stati introdotti nel mercato da metà a fine novembre 2019, il che ha innescato la pandemia". Come si è arrivati a questi risultati. Analizzando i dati raccolti dal Cdc cinese "in modi nuovi e rigorosi", interviene l'altro coautore corrispondente, Michael Worobey dell'Università dell'Arizona.
Le indagini
L'1 gennaio 2020, dopo che gli animali erano stati rimossi e a poche ore dalla chiusura del mercato di Huanan, i ricercatori del Cdc cinese si sono recati nella struttura per raccogliere campioni. Hanno fatto tamponi su pavimenti, pareti e altre superfici delle bancarelle e sono tornati giorni dopo per concentrarsi sulle aree in cui si vendevano animali selvatici, e quindi su gabbie e carrelli usati per spostare gli animali. Infine hanno anche raccolto campioni dagli scarichi e dalle fogne.
Su quei campioni è stato eseguito il sequenziamento metatrascrittomico, tecnica che mira a ottenere tutte le sequenze di Rna (e che può anche raccogliere il Dna) da tutti gli organismi presenti in un campione: virus, batteri, piante, animali, esseri umani. Il team cinese, guidato da Liu Jun, ha pubblicato i propri risultati nel 2023 su 'Nature' e ha condiviso in modalità ad accesso aperto i dati raccolti. Quello che veniva lasciato irrisolto era il nodo delle identità esatte delle specie animali trovate che potrebbero rappresentare plausibili ospiti intermedi. Secondo l'ultima analisi di questi dati condotta dal team internazionale, in alcuni casi il materiale genetico del virus Sars-CoV-2 e degli animali è stato persino trovato sugli stessi tamponi. Le specie sono state identificate tramite la genotipizzazione dei loro genomi mitocondriali nei campioni.
"Molte delle specie animali chiave erano state eliminate prima dell'arrivo dei team del Cdc cinese, quindi non possiamo avere prove dirette che gli animali fossero infetti", afferma Débarre. "Stiamo osservando i 'fantasmi' del Dna e dell'Rna di questi animali nei campioni ambientali, e alcuni si trovavano in stand in cui è stato trovato anche il virus. Questo è ciò che ci si aspetterebbe di vedere in uno scenario in cui ci fossero stati animali infetti nel mercato". Tra l'altro, fa notare Worobey, "questi sono gli stessi tipi di animali che sappiamo aver facilitato il passaggio del coronavirus Sars originale agli esseri umani nel 2002. La cosa più rischiosa che si può fare è prendere animali selvatici che pullulano di virus e poi metterli a contatto con esseri umani che vivono nel cuore di grandi città, la cui densità di popolazione rende facile per questi virus prendere piede".
Potrebbe essere successo proprio questo nel 2019. Il team internazionale ha anche eseguito un'analisi evolutiva dei primi genomi virali riportati, comprese queste sequenze ambientali, e ha dedotto i genotipi progenitori più probabili del virus che ha infettato gli esseri umani e portato alla pandemia di Covid. I risultati implicano che ci fossero pochissime persone infettate, se non nessuna, prima del focolaio nel mercato.
Gli animali 'sospettati'
Attraverso la nuova analisi si è arrivati alla short list di specie animali presenti nel mercato umido e trovate contestualmente a campioni virali, che potrebbero rappresentare gli ospiti intermedi più probabili per Sars-CoV-2: il comune cane procione, specie suscettibile al virus e nota per aver portato la Sars nel 2003, è l'animale geneticamente più abbondante nei campioni delle bancarelle, e poi è stato trovato in una bancarella con Rna di Sars-CoV-2 del materiale genetico di civette delle palme mascherate, anch'esse associate alla precedente epidemia di Sars. Anche altre specie come il ratto del bambù e i porcospini malesi sono state trovate presenti in campioni positivi a Sars-CoV-2, così come una moltitudine di altre specie.
Gli esperti sottolineano l'importanza di comprendere le origini della pandemia di Covid, anche ora che è alle spalle, soprattutto alla luce di altri recenti 'spillover', salti di specie come quello che ha portato negli Usa alla diffusione del virus dell'influenza aviaria nei bovini. "C'è stata molta disinformazione" sulle radici di Sars-CoV-2, conclude Worobey. Capire queste dinamiche può avere un peso, a suo avviso, per la sicurezza nazionale e la salute pubblica. "La verità - chiosa - è che da quando la pandemia è scoppiata più di 4 anni fa, nonostante ci sia stata una maggiore attenzione al tema della sicurezza in laboratorio, non è stato fatto molto per ridurre la possibilità che uno scenario perfetto per una zoonosi si verifichi di nuovo".
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