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Guardare la Tv per più di 5 ore aumenta del 44% il rischio di demenza (e non solo)

Guardare troppa televisione potrebbe avere effetti devastanti sulla salute del cervello. Uno studio condotto su larga scala dalla Tianjin Medical University ha rivelato che guardare la Tv per più di 5 ore al giorno aumenta del 44% il rischio di sviluppare demenza.
Non solo: lo studio pubblicato sul Journal of the American Medical Directors Association ha anche associato l’eccessivo utilizzo della tv a tassi più elevati di ictus e Parkinson. Più in generale, l’indagine ha fatto emergere connessioni preoccupanti tra l’eccessivo consumo di televisione e diverse malattie neurologiche.

Demenza e Tv, che relazione c’è?

Lo studio ha analizzato i dati di 407.000 partecipanti di età compresa tra 37 e 73 anni, appartenenti al progetto UK Biobank. Di questi, circa 40.000 avevano effettuato una scansione cerebrale, ma nessuno di loro presentava disturbi neurologici all’inizio dell’osservazione. La durata del follow-up è stata di tredici anni, periodo durante il quale 5.227 persone hanno sviluppato una forma di demenza, 6.822 hanno subito un ictus e 2.308 sono state diagnosticate con la malattia di Parkinson.

Un dato interessante è che, in media, i partecipanti guardavano la Tv per circa 2 ore e 40 minuti al giorno, un valore vicino al limite di sicurezza indicato dai ricercatori. Coloro che superavano questa soglia, però, presentavano rischi significativamente maggiori di incorrere in malattie cerebrali.

Lo studio della Tianjin Medical University ha riscontrato la riduzione della materia grigia e il restringimento dei centri della memoria nei soggetti che passano diverse ore davanti alla Tv. Questi cambiamenti strutturali del cervello sono strettamente collegati a malattie neurodegenerative come la demenza e il Parkinson.

Per gli autori della ricerca, è ancora poco chiaro come guardare la Tv possa portare a questi effetti, ma una delle teorie più accreditate riguarda il legame tra sedentarietà, infiammazioni croniche e riduzione del flusso sanguigno al cervello.

Guardare la Tv per massimo 3 ore

Secondo i ricercatori, il tempo ideale da dedicare alla visione della televisione è di massimo 3 ore al giorno. Superare questo limite sembra avere un impatto diretto sulla salute cerebrale. Le analisi condotte dal team di ricerca hanno mostrato che chi guarda la Tv per 3 o 5 ore al giorno ha un rischio del 15% più alto di sviluppare la demenza rispetto a chi lo fa per un’ora o meno.
L’altro dato interessante (e preoccupante) è che il rischio di demenza pare aumentare in maniera più che proporzionale rispetto alle ore trascorse davanti alla Tv. Infatti, dalle 5 ore in poi, il rischio di demenza sale al 44%.

Questa soglia risulta critica anche per altre patologie. Chi guarda la Tv per oltre 5 ore al giorno ha anche un rischio del 12% più alto di subire un ictus e del 28% di sviluppare il Parkinson.

Senza considerare i danni fisici che la vita sedentaria comporta. Secondo i dati Foce (Federazione degli Oncologi, Cardiologi e Ematologi), in Italia solo l’8,2% degli adolescenti svolge almeno un’ora al giorno di attività fisica (moderata-intensa) come raccomandato dall’Organizzazione mondiale della sanità per questa fascia di età, il 18,2% è in sovrappeso e il 4,4% obeso. La sedentarietà è aumentata notevolmente con il lockdown e, oltre ad avere un grosso impatto sulla già fragile sanità pubblica, può avere conseguenze anche sulla fertilità della popolazione più giovane (per approfondire: Italiani sempre più sedentari, aumentano la spesa pubblica e il rischio di infertilità).

Stare al pc non è come guardare la Tv

Curiosamente, lo studio non ha riscontrato lo stesso effetto negativo per il tempo trascorso davanti al computer. Secondo i ricercatori, ciò potrebbe essere legato al fatto che l’uso del computer è spesso associato ad attività più impegnative dal punto di vista cognitivo, come il lavoro o la lettura, che possono contribuire a mantenere attivo il cervello e a ridurre il rischio di malattie neurologiche. E la tesi sembra reggere.

Uno studio condotto dallo psicologo Stephen Badham evidenzia quello che possiamo definire “il paradosso del digitale”: se la scienza è concorde nel ritenere che la eccessiva esposizione allo schermo stia peggiorando la salute mentale dei giovani, sembra che proprio l’uso degli smartphone abbia effetti positivi sulle facoltà mentali dei più anziani. Il discorso è analogo a quello dei pc, seppure con diverse proporzioni: rispetto all’attività totalmente passiva di guardare la tv, pc e (in minor parte) gli smartphone richiedono delle azioni da parte dell’utente, stimolandone l’attività cerebrale se non vengano utilizzati come seconda tv (ovvero solo per guardare contenuti forniti da altri).

Negli ultimi anni, inoltre, sempre più studi dimostrano che il ruolo fondamentale della socialità per la salute delle persone, ma la crisi demografica dei Paesi sviluppati e le migrazioni interne stanno lasciando da soli sempre più anziani. Nel 2022 il 30,52% degli ultra 65enni italiani viveva da solo e la tendenza è a peggiorare; per molti di loro, le connessioni digitali rappresentano il più frequente, se non l’unico, mezzo di contatto con i propri cari.

In definitiva, sedersi passivamente davanti a uno schermo per molte ore al giorno sembra avere effetti negativi molto più marcati rispetto ad altre attività che richiedono un maggiore coinvolgimento mentale.

Studi correlati e teorie scientifiche

Altri studi scientifici hanno confermato la correlazione tra comportamenti sedentari e malattie cerebrali. Una ricerca pubblicata su Nature Communications ha dimostrato che la sedentarietà prolungata porta a un aumento delle proteine amiloidi nel cervello, un marcatore dell’Alzheimer. Altri studi, come quello condotto dall’Università di Cambridge, hanno evidenziato che stili di vita attivi, anche in età avanzata, riducono significativamente il rischio di demenza.

Come ridurre il rischio di demenza

Allora come è possibile proteggere la salute del proprio cervello?
I ricercatori suggeriscono di ridurre il tempo trascorso davanti alla Tv a non più di 3 ore al giorno e, cosa ancora più importante, di dedicare parte del tempo libero ad attività fisiche e mentali che stimolino il cervello. Camminare, fare esercizio fisico o impegnarsi in hobby che richiedono concentrazione e creatività possono contribuire a mantenere attivi i centri della memoria e a proteggere il cervello dalle malattie neurodegenerative.

“La televisione – scriveva Pasolini – è un medium di massa, e come tale non può che mercificarci e alienarci”. A noi il compito di non fungere da specchio, e di riflettere nel senso umano del termine.

Un team di giornalisti altamente specializzati che eleva il nostro quotidiano a nuovi livelli di eccellenza, fornendo analisi penetranti e notizie d’urgenza da ogni angolo del globo. Con una vasta gamma di competenze che spaziano dalla politica internazionale all’innovazione tecnologica, il loro contributo è fondamentale per mantenere i nostri lettori informati, impegnati e sempre un passo avanti.

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Salta la Champions per assistere alla nascita del figlio,...

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Sta facendo discute l’attacco di Zvonimir Boban a Walter Benitez. Nel pre-partita di Juventus-Psv Eindhoven, Boban ha criticato duramente la scelta del portiere ospite, ‘reo’ di aver saltato il match per raggiungere in ospedale la moglie che stava per partorire.

“Ma cosa è ‘sta roba che parti e vai da tua moglie per la nascita del figlio?”, ha detto l’opinionista di Sky Sport prima della partita di Champions League. Poco prima, l’estremo difensore classe ‘93 aveva lasciato all’ultimo minuto Torino per tornare in Olanda e assistere alla nascita del figlio. Una decisione condivisa con il club, come si legge in un comunicato del Psv Eindhoven: “Walter Benítez non sarà parte della nostra squadra questa sera. Questa mattina ha lasciato l’hotel dei giocatori a Torino a causa della nascita di suo figlio. È stato concordato di comune accordo che tornerà dalla sua famiglia”.

Benítez non gioca per assistere alla nascita del figlio

L’allenatore ospite Bosz ha quindi schierato il secondo portiere Drommel, uscito dall’Allianz Stadium con tre gol subiti nel 3-1 finale. Forse le cose non sarebbero cambiate molto con il portiere titolare tra i pali, ma per Boban la sua scelta è stata clamorosamente sbagliata: “Magari non sarò moderno io, ma queste cose non le capisco: giochi una partita di Champions, non puoi mancare”, ha detto l’ex attaccante del Milan, che ha proseguito “È il tuo lavoro, giochi e poi scappi. Sarebbe potuto scendere regolarmente in campo per poi abbracciare la moglie e il bambino al suo ritorno”. Nel suo discorso Zvone lascia implicito l’allusione ai contratti milionari dei calciatori, che per alcuni giustificherebbero il suo richiamo. Le nuove generazioni, però, credono in un sistema di valori molto più umano, che predilige l’aspetto umano a quello professionale.

E così, il riferimento ai “compagni da aiutare” non ha salvato l’ex calciatore croato dalle critiche degli utenti sui social, che hanno trovato un “maschilismo” intrinseco nel suo ragionamento.
Di sicuro, ‘Zorro’ ha ragione quando dice di non essere moderno, perché negli ultimi anni il ruolo del padre sta cambiando velocemente.

Il ruolo dei papà sta cambiando

L’era del papà che porta il pane a casa e la mamma che stira è destinata a scomparire. Le mansioni di casa sono distribuite ancora in maniera diseguale, ma le nuove generazioni vogliono un sistema più inclusivo di quello ereditato dai propri genitori. Un sistema dove sia la madre che il padre possano far carriera liberamente, senza che la cura della famiglia imbrigli la donna e i suoi sogni.

Sia chiaro: non sono solo le donne a chiedere un profondo cambio di paradigma, anche i papà “moderni” vogliono avere più tempo per stare con i propri figli. Basta parlare con qualcuno di loro per capirlo, o leggere i numeri per avere un quadro ancora più chiaro. In Italia, ad esempio, il tasso di congedo di paternità è triplicato tra il 2013 e il 2022, come emerge da un’elaborazione di Save The Children su dati Inps. Essendo aumentata l’età media degli italiani che scelgono di avere un bambino, non sorprende che a richiedere il congedo siano gli uomini nelle fasce d’età comprese tra i 30 e i 39 anni (65,4%) e tra i 40 e i 49 anni (65,6%). Età in cui in Italia sei ancora considerato ‘giovane’, ma questo è un altro discorso.

Sono in costante aumento i papà-lavoratori che chiedono più tempo e flessibilità per essere coinvolti attivamente nella vita dei loro figli. Secondo un’indagine condotta da Pew Research Center, il 63% dei padri americani desidera una maggiore flessibilità lavorativa per bilanciare meglio famiglia e carriera. Anche in Italia si sta assistendo a un cambiamento culturale: un sondaggio Istat del 2022 ha rilevato che il 45% dei padri italiani vorrebbe poter trascorrere più tempo con i propri figli, ma spesso è ostacolato da dinamiche lavorative rigide e da una cultura che ancora percepisce il lavoro come prioritario rispetto alla famiglia. Un’indagine condotta da Manageritalia in collaborazione con Ipsos ha rivelato che l’85% dei manager under 45 in Italia vorrebbe avere la possibilità di trascorrere più tempo con i propri bambini, dicendosi d’accordo sul rendere obbligatorio anche il congedo parentale.

I congedi di paternità

Nonostante le richieste di mamme (nel 2022, il 63% delle dimissioni delle donne italiane è stato provocato dalla neo maternità) e papà, le norme non sono cambiate. In Italia, il congedo di paternità è di 10 giorni obbligatori e uno facoltativo solo per i padri lavoratori dipendenti, sia pubblici sia privati, retribuiti al 100%, utilizzabili tra i due mesi precedenti e quelli successivi al parto. Il congedo di maternità, invece, è di 5 mesi che possono essere distribuiti in vari modi tra i mesi prima del parto e quelli successivi.

Ci sarebbe anche il congedo parentale, che, però, spesso è un congedo di maternità mascherato, perché viene usato soprattutto dalle mamme perché, nonostante i progressi degli ultimi anni, la cura della casa e della famiglia è ancora fortemente sbilanciata a loro sfavore.
Il congedo parentale spetta ai genitori entro i primi 12 anni di vita del bambino (o dall’ingresso in famiglia in caso di adozione o affidamento) per un periodo complessivo, tra i due genitori, non superiore a dieci mesi secondo le nuove norme, elevabili a undici se il padre lavoratore si astiene dal lavoro per un periodo, continuativo o frazionato, di almeno tre mesi.

I mesi di congedo parentale possono essere utilizzati anche non consecutivamente ed essere ripartiti non equamente dalla coppia, ma nessuno dei due genitori può usufruire del congedo parentale per più di 6 mesi. I genitori possono usufruire il congedo parentale anche contemporaneamente.

La scorsa Manovra ha aumentato l’indennità del congedo parentale 2024. Con queste modifiche, l’indennità del secondo mese è salita dal 30% al 60%, che diventa 80% per il 2024. La legge di Bilancio, infatti, ha inserito una nuova norma che porterà i primi due mesi di congedo parentale a un indennizzo dell’80%.
Dal 2019 l’Unione europea ha adottato una direttiva specifica che prevede linee comuni sui congedi di paternità, stabilendo che alla nascita di un figlio o una figlia i padri hanno diritto a 10 giorni lavorativi di congedo. Una nullità rispetto al congedo obbligatorio previsto per le madri, una conferma della gender-gap che inizia tra le mura di casa e ricade su ogni aspetto della vita privata, a partire dal lavoro.

Insomma, anche le norme sul congedo sono “poco moderne” come Zvonimir Boban, ma il diritto è specchio della società, di cui segue i cambiamenti e gli stimoli. E fa sempre in tempo ad ammodernarsi.

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Georgia, arriva legge contro Pride e diritti Lgbtq+

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Prosegue la campagna di censura e limitazione dei diritti in Georgia. I legislatori del Paese hanno approvato la terza e ultima lettura di una legge sui “valori della famiglia e protezione dei minori” che ha severe limitazioni ai diritti Lgbtq+.

La legge prevede il divieto degli eventi del Pride e delle esposizioni pubbliche della bandiera arcobaleno, nonché la censura di film e libri che trattano temi Lgbtq+. E le polemiche non sono tardate ad arrivare.

Cosa c’è dietro il provvedimento

Il provvedimento è stato ampiamente sostenuto dai leader del partito al governo, Sogno Georgiano, che hanno ritenuto la legge necessaria per mantenere gli standard morali “tradizionali” in Georgia. Nel Paese, la Chiesa ortodossa profondamente conservatrice esercita una notevole influenza.

E non è un caso, quindi, che questo provvedimento arrivi a poco più di un mese prima dalle elezioni parlamentari del 26 ottobre. Il partito al governo sembra, infatti, cercare di consolidare il sostegno conservatore attraverso programmi che tutelino la famiglia tradizionale e i valori della Chiesa stessa.

Critiche e opposizioni a confronto

A commentare l’accaduto è Tamara Jakeli, direttrice del gruppo di attivisti Tbilisi Pride, che a Reuters ha descritto il disegno di legge come una delle più gravi minacce mai affrontate dalla comunità Lgbtq+ in Georgia. Jakeli ha dichiarato che “questa legge è la cosa più terribile che sia mai capitata alla comunità in Georgia. Molto probabilmente dovremo chiudere i nostri centri. Non c’è modo per noi di continuare”.

Il disegno di legge non solo ribadisce il divieto sui matrimoni tra persone dello stesso sesso, ma proibisce anche gli interventi di riassegnazione chirurgica del sesso.

Ad opporsi ad esso c’è anche la presidente georgiana Salome Zourabichvili che, pur essendo critica dal suo stesso partito e avendo poteri principalmente cerimoniali, ha dichiarato che si opporrà al provvedimento con un veto. Veto che, tuttavia, con la maggioranza parlamentare del partito, è probabile che venga superato.

Georgia: adesione europea e diritti a rischio

In Georgia, il tema dei diritti all’autodeterminazione e sessualità è particolarmente sentito. I sondaggi nazionali rilevano una diffusa disapprovazione delle relazioni omosessuali. La costituzione vieta matrimonio e adozione tra persone dello stesso sesso e le marce del Pride a Tbilisi sono spesso oggetto di contromarce o attacchi dagli anti-Lgbtq+.

Il Paese vorrebbe, inoltre, entrare a far parte dell’Unione europea e le elezioni di ottobre sarebbero decisive in tal senso. Ma la campagna contro i diritti sociali e civili e i profondi legami con la Russia del partito di maggioranza (candidato per un secondo mandato consecutivo), potrebbero rallentare il procedimento di adesione. Votare in controtendenza resterebbe l’unica alternativa possibile.

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La sfida demografica secondo Orsini: un’emergenza per il...

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La sfida demografica non può essere rimandata. Lo ha sostenuto con chiarezza, durante l’Assemblea di Confindustria 2024, il presidente Emanuele Orsini che ha posto l’accento su una delle questioni più critiche per il futuro dell’Italia: l’emergenza che la denatalità sta creando nel nostro Paese.

In un discorso che ha toccato temi economici e industriali di rilevanza globale, Orsini ha sottolineato come l’invecchiamento della popolazione e il basso tasso di natalità rappresentino una minaccia per la competitività e la stabilità nazionale.

“L’Italia sta affrontando un enorme deficit demografico”, ha affermato Orsini, spiegando come la diminuzione della popolazione attiva stia già avendo un impatto negativo su settori cruciali, frenando lo sviluppo industriale e aggravando la situazione economica, specialmente nel Mezzogiorno. Senza interventi strutturali, il trend non potrà che peggiorare, mettendo a rischio la sostenibilità del sistema sociale e produttivo.

Il nodo della natalità e le migrazioni regolari

Orsini ha sottolineato che uno dei maggiori problemi legati alla questione demografica è il basso tasso di natalità. Per far fronte a questa emergenza, ha proposto interventi volti a favorire la crescita della popolazione giovane, evidenziando che la scarsa attrattività del Paese per le professioni qualificate sta spingendo molti giovani laureati a cercare opportunità all’estero. “Vogliamo riportare a casa i nostri giovani“, ha detto il presidente, facendo riferimento alla necessità di trattenere i talenti italiani, così come di attrarre giovani professionisti stranieri.

Un altro aspetto affrontato è stato il tema dei flussi migratori regolari, che Orsini vede come una parte fondamentale della soluzione. La migrazione può colmare il divario tra domanda e offerta di lavoro in settori in cui le imprese italiane faticano a trovare manodopera qualificata. Per questo, è necessaria una riflessione più ampia sulla gestione delle migrazioni, sia in termini di formazione che di inclusione nel mercato del lavoro.

L’impatto sul sistema economico e sociale

L’invecchiamento della popolazione non solo riduce la forza lavoro disponibile, ma aumenta anche la pressione sui sistemi di welfare e sanità pubblica. La crescita della popolazione anziana richiede un adeguamento delle infrastrutture sociali e sanitarie, e Orsini ha invitato le istituzioni e il governo a elaborare politiche di lungo termine che possano affrontare questa sfida complessa.

Inoltre, Orsini ha ricordato che il declino demografico va di pari passo con la crisi del mercato immobiliare e dell’occupazione giovanile. Una delle iniziative proposte, il Piano Straordinario di Edilizia per i lavoratori neoassunti, mira a risolvere uno dei problemi centrali per i giovani: la difficoltà di accedere a una casa a prezzi accessibili. Questo piano, accolto positivamente dal governo, dovrebbe contribuire a creare le condizioni necessarie per incentivare la natalità e garantire un futuro più stabile alle nuove generazioni.

Il discorso di Orsini ha lanciato un chiaro segnale: l’Italia non può permettersi di ignorare la questione demografica. Solo attraverso politiche di sostegno alla natalità, una gestione efficace delle migrazioni e un rinnovato impegno per attrarre e trattenere i giovani talenti, il Paese potrà garantire un futuro prospero e competitivo. La demografia, ha concluso Orsini, non è solo una questione numerica, ma un tassello fondamentale per la crescita economica e sociale dell’Italia

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