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Giorgetti: “Emergenza demografica? Conseguenze sulla produttività”

L’emergenza demografica dovrebbe diventare un argomento nell’agenda europea. Lo ha sostenuto con chiarezza il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, in una nota diffusa al termine della sessione dell’Ecofin a porte chiuse, a Budapest, dedicata alla demografia e alle conseguenze sulla sostenibilità economica e sociale dei Paesi europei.

“Come Italia sosteniamo questa iniziativa – ha affermato Giorgetti sulla necessità di rendere comune il problema della crisi demografica -. L’auspicio è che il dibattito non si esaurisca con la denuncia di una condizione simile a molti Paesi, compresa l’Italia, ma diventi oggetto di riflessioni e proposte della commissione”.

Crisi demografica: problema europeo

“Prudentemente la commissione in questi anni non si è mai occupata di dare raccomandazioni su un tema ritenuto delicato – ha aggiungo il ministro – ma è anche vero che il Pnrr affronta diversi aspetti non secondari, come la necessità di implementare gli asili nido per rendere possibile la coesistenza della maternità con la partecipazione al lavoro. Il fattore demografico, non dimentichiamolo, ha implicazioni su moltissimi aspetti comprese produttività e crescita: quando parliamo della competitività del sistema europeo inevitabilmente dobbiamo anche ricordare che le corti giovani sono più produttive e tendono a essere più ricettive delle trasformazioni dei cambiamenti”.

Le parole del ministro arrivano in seguito alla riunione informale dei ministri dell’Economia e Finanze europei. Il think tank Bruegel ha così presentato un’analisi per sostenere con chiarezza che il calo demografico avrà conseguenze ingenti sul futuro economico dei Paesi membri.

Il calo della popolazione, in sintesi, metterà a dura prova i sistemi di welfare e le finanze pubbliche nei prossimi decenni. Dall’analisi, come riporta Reuters, è emerso che l’invecchiamento della società europea ridurrà il numero di persone con un lavoro e che pagano le tasse, aumentando al contempo il numero di coloro che percepiscono la pensione e necessitano di maggiore assistenza sanitaria.

Anche se si permettesse all’immigrazione di continuare ai ritmi attuali, una soluzione già inaccettabile per molti Paesi europei, non basterebbe a compensare il calo della popolazione in età lavorativa. In assenza di un’immigrazione netta, il numero di persone nella fascia di età lavorativa 20-64 anni in Europa diminuirà di circa un quinto, passando da 264 milioni nel 2022 a 207 milioni nel 2050.

E, anche se l’Unione europea (attualmente composta da 450 milioni di cittadini) accettasse poco più di un milione di immigrati all’anno, ciò compenserebbe meno della metà del calo della popolazione in età lavorativa.

Oltre l’immigrazione, secondo il think tank, servirà una migliore gestione dei costi dell’assistenza sanitaria e dell’assistenza a lungo termine, nonché la riforma dei sistemi pensionistici e sanitari. Secondo il rapporto sull’invecchiamento della popolazione del 2024 della Commissione europea, nel 2070 per ogni 10 persone inattive con più di 65 anni ci saranno solo 14 persone occupate, in calo rispetto alle 22 del 2022.

La proposta italiana crea polemiche

Lo stesso ministro Giorgetti, mentre sottolineava la necessità di introdurre nell’agenda europea la questione demografica, promuoveva degli sgravi fiscali a chi ha almeno due figli. Stando a quanto anticipato da Il Foglio, il ministro avrebbe esposto il progetto che mira a “cambiare le regole delle detrazioni fiscali” a favore di chi sceglie di avere figli, “anche a costo di eliminare o rivedere “le agevolazioni per chi invece non ne ha”. Il tutto a prescindere dal reddito.

In vista della manovra di Governo, si parla di maggior sussidi alle mamme dipendenti o con partita iva. Ma per tutti gli altri?

La notizia ha già attirato numerose polemiche. Sui social, infatti, si sono scagliati in molti contro la presunta decisione del ministro che – se approvata in manovra – costerà un aumento delle tasse a chi figli non ne ha.

“Noi che abbiamo quattro gatti siamo figli di un Dio minore”, scrive qualche utente su X. O ancora, si legge sui social: “Pagheranno i single? In un Paese in cui mancano servizi non dovrebbero essere prioritari asili nido accessibili e sostegno economico a chi vuole figli, ma non può permetterseli? E che fine farà chi i figli non può averli?”.

Per il momento nulla di ufficiale. Ma che la denatalità sia già un problema evidente è sotto gli occhi di tutti. “Oggi in Italia viviamo una situazione di iniquità perché non si pagano le tasse in base alla composizione famigliare ma solo in base al reddito e quindi è iniquo il fatto che una famiglia con più figli paghi le stesse tasse di una famiglia composta da una sola persona“. Gigi De Palo, presidente della fondazione per la Natalità e ideatore degli Stati Generali della Natalità, plaude alla proposta del ministro dell’Economia: “Anche perché – osserva all’Adnkronos – i cittadini di domani pagheranno la pensione anche a chi i figli non li ha voluti o non li ha potuti fare. Tutti dovrebbero tifare per questo tipo di politiche famigliari”.

De Palo riflette sull’idea del ministro: “Avendo parlato più volte con Giorgetti, so che questa cosa ce l’ha molto chiara. Ora si tratta di trasformarla insieme a tutto il governo. La natalità è una questione economica del Paese, non di un ministero della famiglia senza portafoglio. Quindi, ben venga che sia il ministro dell’Economia a fare questo ragionamento, speriamo che il governo lo segua. Il mio auspicio, – tenendo presente la levata di scudi che c’è stata attorno all’assegno unico – è che questa proposta porti ad una convergenza di tutto il Parlamento, di tutte le forze politiche perché stiamo andando verso un punto di non ritorno. O lo facciamo il prima possibile, o tutti si dovranno assumere tutte le responsabilità, non solo chi ha governato. Perché anche dall’opposizione sento una serie di ragionamenti, per esempio sulla sanità, ma l’unico modo per investire seriamente sulla sanità non è mettendo soldi sulla sanità ‘tout court’ ma parallelamente vanno messi soldi sulle famiglie per non fare andare la sanità in default”.

“Se l’opposizione farà opposizione in maniera intelligente, creando una situazione di non conflittualità su questo tema, potrà aiutare – ha concluso De Palo -. Ora c’è la proposta del ministro, c’è sempre stata la volontà politica della presidente del Consiglio, se anche l’opposizione mostra volontà politica in tal senso allora si fa strada e si cambia la storia, invertendo la tendenza”.

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Vincent Cassel papà per la quarta volta: ma quali sono i...

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Vincent Cassel, 57 anni, diventa papà per la quarta volta. A dare il dolce annuncio è la fidanzata Narah Baptista, 27 anni, che con una foto sui social ha fatto sapere della gravidanza.

La modella brasiliana ha condiviso su Instagram le prime foto col pancione scrivendo: “Mamma ti aspetta. Fotografie scattate dalla nonna”. L’attore ha risposto con un dolce “Sono fortunato ad averti nella mia vita”. I due sono legati da poco più di un anno. E se per la modella è la prima gravidanza, per Cassel è la quarta volta.

L’attore è già padre di tre figlie, Deva e Leonie, rispettivamente 20 e 14 anni, nate dal matrimonio con Monica Bellucci. Poi cinque anni fa, con la seconda moglie Tina Kunakey, altrettanto 27enne, è venuta al mondo Amazonie.

E mentre l’attore diventerà papà per la quarta volta, c’è qualche collega che ha ampiamente superato questo record. Scopriamo alcuni dei papà vip “più proliferi”.

I papà vip più proliferi: ieri e oggi

Se prendessimo esempio da questi papà famosi, il problema della denatalità sarebbe estinto. Quantomeno non si può dire che non abbiano contribuito alla messa al mondo di un numero di figli tale sufficiente a mantenere alto il ricambio generazionale (almeno quello delle proprie famiglie). Perché mentre il tasso di natalità crolla a picco, alcune personalità dello showbiz hanno fatto la differenza e sono passate alla storia per essere dei papà proliferi, maternità surrogate incluse.

Di un’altra epoca, ma un evergreen della genitorialità rinomata per la quantità, c’è Marlon Brando. L’attore, noto per la sua tumultuosa vita privata, sia con partner maschili che con quelli femminili, ha messo al mondo e riconosciuto 12 figli, avuti da tre mogli diverse e donne sconosciute al grande pubblico e ne ha adottati altri tre, per un totale di 15.

Elon Musk, il miliardario fondatore di Tesla e SpaceX, ha 12 figli da diverse relazioni. L’imprenditore, di quasi 53 anni, ha accolto il terzo figlio con la compagna attuale Shivon Zilis, di 38 anni, lo scorso giugno.

A seguire, Eddie Murphy, con i suoi dieci figli: i primi due, li avuti da due donne diverse, sono nati prima di sposare la modella Nicole Mitchell, dalla quale ne ha poi avuto altri cinque. Dopo il divorzio nasce Angel Iris, riconosciuta grazie al test del Dna, dalla relazione con la Spice Girl Mel B. Infine, ha avuto gli ultimi due figli dalla modella Paige Butcher.

Ma c’è anche, Mel Gibson con i sette figli, tutti nati dalla stessa madre, l’infermiera Robyn Moore, con cui il matrimonio è durato ben 26 anni e poi altri due figli, una avuta dalla musicista russa Oksana Grigorieva, e l’ultimo con la sceneggiatrice televisiva Rosalind Ros.

Rimanendo in tema non si possono non considerare altrettanto “proliferi” anche gli attori Robert De Niro, Brad Pitt e Jude Law. Tutti e tre hanno in comune le carriere costellate di successi e sei figli, nel caso di Pitt, tre adottati insieme alla moglie e collega Angelina Jolie.

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Papà-vip italiani

Spostandoci in Italia, invece, celebri sono diventate le parole dell’attore Christian De Sica che sul padre Vittorio ha dichiarato: “Mio padre ci ha lasciato in eredità anche la scoperta di numerosi fratelli e sorelle nascoste. La mia non era una famiglia, ma una cooperativa. Gli uomini erano maschilisti e lui era innamorato di tutte quelle donne”. Dalla stessa mamma è nato il fratello Manuel De Sica, mentre da altre donne, Vittorio De Sica ha avuto Emiliana De Sica e Vicky Lagos. Gli altri figli ai quali ha alluso Christian non sono noti al grande pubblico.

Non è un attore, ma è famoso in tutta Italia per la sua musica: Gigi D’Alessio, negli scorsi giorni sul palco dell’Arena di Verona, al Tim Music Awards, ha risposto in modo ironico al conduttore Carlo Conti sul numero di figli messi al mondo fino ad oggi. Napoletano, 57 anni, il cantante ha in totale sei: ha avuto Claudio, Ilaria e Luca dal matrimonio con Carmela Barbato, poi Andrea dalla relazione con Anna Tatangelo e Francesco e Ginevra, nati dall’amore con la fidanzata Denise Esposito.

E sempre in tema musica, c’è Roby Facchinetti dei Pooh con i suoi cinque figli e Al Bano Carrisi con i suoi sei figli. Mentre, nel mondo dello sport c’è Antonio Cassano che ne ha avuti cinque.

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Demografica

Valditara: “Smartphone armi di distruzione di massa”, sono...

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Gli smartphone sono “un’arma di distruzione di massa”. Non ha dubbi il ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, che ha lanciato l’allarme a ‘Porta a Porta’, su Rai 1.
“Circa 50mila ragazzi hanno abbandonato la scuola per rifugiarsi in un mondo virtuale fatto di cellulari e social media, isolandosi per mesi nelle proprie stanze”, ha detto il ministro collegando l’uso degli smartphone al fenomeno degli hikikomori.

Questi sono i primi giorni di scuola senza cellulare in classe per bambini e ragazzi fino ai 14 anni “anche per l’uso didattico”, come stabilito dal dicastero in estate. Molti genitori hanno apprezzato l’iniziativa di Valditara, soddisfatto della risposta ottenuta: “La reazione del mondo della scuola è stata molto positiva. I ragazzi, con grande senso di responsabilità, e i genitori, entusiasti e al 90% favorevoli, hanno capito che ci stiamo prendendo cura di loro e che abbiamo a cuore la loro salute”, ha detto il ministro, convinto che la scuola debba “insegnare a guardarsi negli occhi”.

Il contatto umano è proprio quello che preoccupa Valditara, che promuove una grande campagna di sensibilizzazione contro l’abuso di smartphone e social network: “Dare un cellulare in mano a un bambino di 7-8 anni può avere effetti devastanti”, denuncia il ministro per cui l’educazione digitale deve partire dalle case e dalle scuole italiane.

Il ministro Valditara vuole portare la crociata anti-smartphone fuori dai confini nazionali: “Ho incontrato la ministra dell’istruzione di Cipro che ha molto apprezzato la decisione di vietare il cellulare a scuola. Abbiamo pensato di preparare un documento da sottoporre a Bruxelles a tutti i ministri dell’Istruzione sul tema, anche perché alcuni Stati come la Francia, l’Olanda, la Svezia, già si sono avviati in questa direzione e credo che raggiungeremo facilmente, credo, un forte consenso”, ha aggiunto.

Smartphone e hikikomori, che relazione c’è?

Se ne sta parlando solo negli ultimi anni, ma il termine ’hikikomori’ è stato coniato dallo psichiatra giapponese Saito Tamaki già negli anni ‘80.
Forma italiana del nipponico 引き籠もり o 引きこも, deriva dalla fusione delle parole “hiku”, “tirare”, e “komoru”, “ritirarsi” o “chiudersi”. Quindi, un hikikomori è una persona che ha scelto di limitare fortemente o eliminare del tutto la propria vita sociale, preferendo tattiche di ‘autoreclusione’. Un hikikomori rifiuta il contatto con le persone dentro e fuori casa; quando vuole comunicare lo fa indirettamente, usando gli smartphone o il pc.

Negli ultimi anni, il fenomeno si sta espandendo anche in Occidente, dove sempre più adolescenti e giovani adulti scelgono di ritirarsi dalla vita sociale, scolastica o lavorativa per periodi prolungati, generalmente superiori a sei mesi.

Gli hikikomori in Italia

Negli ultimi anni, il fenomeno hikikomori ha mostrato un incremento preoccupante accelerato dal lockdown. In Italia, recenti studi hanno identificato circa 66.000 casi tra gli studenti, con una prevalenza nella fascia di età 11-13 anni. Se consideriamo anche le fasce di età più alte, le stime suggeriscono che in Italia potrebbero esserci tra i 100.000 e i 200.000 hikikomori.

Il Ministro Valditara ha espressamente collegato l’uso degli smartphone a questo fenomeno di autoesclusione sociale. È indubbia la relazione tra le due situazioni, meno chiara è la direzione: gli smartphone sono una causa del fenomeno o un mezzo di comunicazione utilizzato dopo la scelta di recludersi?

Molti di loro utilizzano il web come unica forma di comunicazione con il mondo esterno, preferendo le interazioni virtuali al contatto diretto. Tuttavia, è importante notare che l’abuso delle tecnologie non è la causa principale di questa condizione; piuttosto, può essere visto come una conseguenza del ritiro sociale e un facilitatore del fenomeno. Gli hikikomori spesso sviluppano una dipendenza da Internet e dai videogiochi come modo per affrontare l’isolamento, ma ciò non significa che la tecnologia sia la causa scatenante del loro disagio.

Hikikomori: è una malattia?

Il fenomeno degli hikikomori è un argomento di crescente interesse nella comunità scientifica, che sta cercando di inquadrarlo all’interno delle patologie psichiatriche. Sebbene non sia ufficialmente riconosciuto come una diagnosi nel DSM-5, (che classifica i disturbi mentali in diverse categorie) molti esperti lo considerano un disturbo a sé stante, caratterizzato da un isolamento sociale prolungato e volontario.

La scienza ha iniziato a sviluppare criteri diagnostici per l’hikikomori. Secondo una revisione recente, i criteri includono un ritiro dalla vita sociale per almeno sei mesi, il rifiuto di attività scolastiche o lavorative, e l’assenza di altre patologie psichiatriche che possano spiegare il comportamento. Questo approccio è stato proposto anche dal governo giapponese, che ha riconosciuto la rilevanza sociale del problema e ha delineato i criteri necessari per la diagnosi.

Conseguenze a lungo termine

In alcuni casi, il ritiro sociale può restare una parentesi buia nella vita dell’individuo, in altre può avere conseguenze gravi e durature. Gli hikikomori possono sperimentare un deterioramento delle loro capacità sociali e professionali, rendendo difficile il reinserimento nel mondo esterno.

La letteratura suggerisce che molti hikikomori possono rimanere isolati per anni e, una volta tentato il reinserimento, possono avere difficoltà nel trovare lavoro o stabilire relazioni sociali.

Inoltre, l’autoisolamento può portare a problemi di salute mentale aggiuntivi, come depressione e ansia (che già affliggono la metà dei giovani italiani), creando un circolo vizioso difficile da rompere.

Studi recenti hanno evidenziato l’importanza di un intervento precoce. La telepsichiatria si sta dimostrando una modalità promettente per raggiungere questi giovani attraverso i loro dispositivi digitali, permettendo ai professionisti della salute mentale di fornire supporto anche a distanza senza che ci sia un forte rifiuto dell’individuo. Tuttavia, la mancanza di una definizione chiara e condivisa del fenomeno complica gli sforzi terapeutici e di ricerca.

Il fenomeno degli hikikomori è complesso e richiede un approccio multidisciplinare per affrontarne le cause e le conseguenze. La comunità scientifica continua a esplorare questo tema, con l’obiettivo di sviluppare strategie efficaci per supportare i giovani in difficoltà.
Nel frattempo, sempre più governi decidono di limitare l’uso degli smartphone e dei social agli adolescenti, come fatto dal Ministro Giuseppe Valditara.

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Viagra, cosa succede se lo prende una donna?

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E se a prendere il Viagra fossero le donne? Un recente studio clinico ha rivelato che l’uso del Sildenafil, comunemente noto per il trattamento della disfunzione erettile e commercialmente noto come Viagra, potrebbe ridurre il rischio di parto cesareo d’emergenza.

La ricerca, pubblicata sul Journal of Reproduction e Infertility, ha mostrato che il farmaco è in grado di aumentare il flusso sanguigno uteroplacentare. Ciò contribuirebbe alla diminuzione del 51% del rischio di complicazioni legate alla sofferenza fetale durante il travaglio.

Sofferenza fetale e parto cesareo

La sofferenza fetale (Fd) è uno dei principali segnali di pericolo per la morte intrauterina (Iufd) e rappresenta una delle principali cause di parto cesareo d’emergenza. In Paesi come Australia, Stati Uniti e Regno Unito, si legge nella ricerca, dal 23% al 27% dei parti cesarei avviene in risposta a questo stato critico del feto. La causa principale è la riduzione del flusso sanguigno uterino durante il travaglio, che può scendere fino al 60%, mettendo in serio pericolo la salute del feto.

Attualmente, l’unico trattamento efficace per evitare danni permanenti è il cesareo d’emergenza, che tuttavia comporta rischi significativi sia per la madre che per il neonato, inclusi morbilità materne (cioè l’insieme di patologie che una donna può avere in gravidanza) e problemi neonatali. Da qui, l’importanza di identificare soluzioni sicure per prevenire tali interventi. E il Viagra sembra essere una di queste.

Il ruolo del Sildenafil: vasodilatazione e riduzione del rischio

Il Sildenafil o Viagra, agisce come vasodilatatore, migliorando il flusso sanguigno verso l’utero e il feto. La ricerca ha analizzato il suo potenziale per migliorare la perfusione utero placentare, prevenendo l’ipossia e la sofferenza fetale. Il dottor Milani che ha condotto lo studio e il suo team hanno scoperto che usare il Viagra durante il travaglio ha portato a una riduzione significativa dei casi di cesareo d’emergenza, passando dal 26% nel gruppo di donne che non lo assumevano al 12,5% nel gruppo trattato col farmaco.

“Questo studio dimostra che il Sildenafil può essere un’opzione farmacologica semplice ed efficace per ridurre il rischio di sofferenza fetale, evitando così interventi chirurgici d’emergenza”, hanno spiegato i ricercatori. “I risultati sono particolarmente incoraggianti poiché non abbiamo riscontrato effetti collaterali significativi legati al farmaco”.

La metodologia dello studio

Lo studio condotto nel Reproductive Health Research Center, del Department of Obstetrics and Gynecology, della School of Medicine, Al-Zahra Hospital, Guilan University of Medical Sciences di Rasht è stato condotto tra luglio e settembre del 2022 e ha coinvolto 208 donne in gravidanza. Le partecipanti, di età compresa tra 18 e 40 anni, sono state suddivise in due gruppi: il gruppo Sildenafil ha ricevuto dosi da 50 milligrammi ogni sei ore, mentre il gruppo di controllo ha ricevuto un placebo.

Tutti i partecipanti sono stati monitorati durante il travaglio e i dati demografici e clinici sono stati raccolti attentamente per garantire la precisione dei risultati. L’obiettivo principale era valutare se il Sildenafil potesse ridurre il tasso di sofferenza fetale e di cesareo d’emergenza rispetto al gruppo di controllo.

Risultati

I risultati sono stati incoraggianti. Nel gruppo al quale è stato somministrato il Viagra, l’87,5% delle donne ha avuto un parto vaginale spontaneo, rispetto al 74% del gruppo placebo. Inoltre, i casi di sofferenza fetale sono diminuiti del 53,8% nel gruppo trattato.

Anche i neonati nati dalle donne del “gruppo Sildenafil” hanno mostrato punteggi Apgar (con i quali si misura la condizione motoria, respiratoria, muscolare ecc.) più alti, indicando una salute migliore alla nascita.

Turner ha aggiunto: “L’uso di Sildenafil non ha influenzato negativamente la durata del travaglio, né ha aumentato il rischio di emorragia postpartum, un dato che conferma la sicurezza del farmaco in questo contesto”.

Questo studio potrebbe rappresentare una svolta nella gestione del travaglio. Sebbene siano necessari ulteriori studi per confermare questi risultati, il Sildenafil si sta dimostrando un’opzione promettente per ridurre il numero di cesarei d’emergenza. Il team ha sottolineato l’importanza di ulteriori ricerche per comprendere appieno i benefici a lungo termine e gli eventuali rischi associati all’uso di Sildenafil durante il travaglio.

In conclusione, l’uso di Sildenafil offre nuove speranze per la gestione della sofferenza fetale, riducendo il rischio di interventi invasivi e migliorando gli esiti materno-fetali.

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