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Bonus 100 euro aumentato e anticipato a dicembre? Le famiglie con figli sperano

Il Bonus 100 euro, annunciato ad aprile e conosciuto anche come Bonus Befana, potrebbe essere anticipato e aumentato per il ceto medio. Il governo sta infatti valutando di anticiparne l’erogazione nelle tredicesime del 2024 per aiutare le famiglie in un periodo, quello natalizio, di particolare pressione finanziaria.

Il Bonus riguarderebbe le famiglie con un reddito entro i 28.000 euro, che riceverebbero forse anche più di 100 euro aggiuntivi nella busta paga della tredicesima, a dicembre. La misura rientra nell’ottica del governo di aiutare le famiglie più in difficoltà, soprattutto se hanno figli a carico.

Bonus 100 euro, chi può accedere?

L’aumento in busta paga dovrebbe essere destinato a coloro che nel 2024 rispettano i seguenti requisiti:

reddito complessivo non superiore a 28.000 euro;
coniuge non separato e (almeno) un figlio entrambi a carico. In alternativa, il richiedente dovrà avere almeno un figlio a carico, nel caso in cui l’altro genitore manchi o non abbia riconosciuto il figlio. In questo caso, il richiedente non deve essere coniugato o, se coniugato, deve essersi successivamente separato. Il richiedente dovrà avere almeno un figlio a carico anche se ci sono figli adottivi, affidati o affiliati del solo contribuente e questi non sia coniugato o, se coniugato, si sia successivamente separato;
l’imposta lorda viene determinata sui redditi da lavoro dipendente, percepiti dal lavoratore, (escluse pensioni e assegni equiparati) d’importo superiore a quello delle detrazioni spettanti.

In pratica, potranno ricevere il Bonus 100 euro i nuclei monogenitoriali e i dipendenti che hanno un coniuge e almeno un figlio o una figlia a carico, sempre entro i 28.000 di reddito annuo.

Aiutare le famiglie e il ceto medio

Le mosse del governo, al lavoro per la Manovra 2025, partono da due convinzioni: il ceto medio è troppo tassato; gli attuali incentivi alla natalità non sono sufficienti.

Il viceministro dell’Economia, Maurizio Leo, conferma le priorità dell’esecutivo in vista della Legge di Bilancio: “Agiremo in continuità con quanto fatto in questi due anni, guardando sempre all’equilibrio dei conti pubblici”.

Sul Bonus Befana dice: “Non escludiamo che il bonus da 100 euro previsto a gennaio per le famiglie possa essere rivisto e anticipato nel 2024 sostanzialmente implementando le tredicesime di questo anno. Vogliamo sostenere le famiglie, soprattutto in un momento particolare dell’anno”.
Chiaramente, per quanto utile, si tratterebbe di una misura spot, utile per il breve periodo, ma che non cambia la situazione delle famiglie durante l’anno. Per questo, l’obiettivo del Mef è confermare le principali misure adottate con la scorsa Manovra per sostenere le famiglie.
Tra le conferme più attese c’è il taglio del cuneo fiscale. Già previsto per il 2024, sarà esteso anche al 2025 e riguarderà circa 14 milioni di lavoratori, con una riduzione dei contributi previdenziali di 7 punti percentuali per i redditi fino a 25 mila euro e di 6 punti per quelli fino a 35 mila euro. Il taglio ha un costo stimato di 9,4 miliardi di euro e si traduce in un aumento dello stipendio netto di circa 100 euro al mese per circa 14 milioni di lavoratori.
Parallelamente, il governo confermerà anche la riduzione dell’Irpef, passata da quattro a tre aliquote, forse con qualche ritocco. Senza modifiche la conferma varrebbe circa 4 miliardi di euro.

Se la conferma del taglio è l’obiettivo, la riduzione della seconda aliquota è il ‘sogno’. Parte della maggioranza, soprattutto la Lega, spinge per una riduzione della seconda aliquota dal 35% al 33% e dell’estensione del tetto del secondo scaglione fino ai 60 mila euro annui. Oltre, scatterebbe il terzo e ultimo scaglione con un’aliquota del 43%. Questa nuova misura coinvolgerebbe circa 8 milioni di lavoratori, il cosiddetto ceto medio, con un costo ulteriore di circa 4 miliardi.

L’obiettivo principale, nonché la ratio della Manovra, sarà quello di aiutare le famiglie con figli, anche a discapito di quelle senza figli. D’altronde le maglie sono strette; le risorse totali a per la Manovra sono 25 miliardi di euro.

Un elemento, quest’ultimo confermato dal viceministro dell’Economia Maurizio Leo in un’intervista al Messaggero: “Siamo consapevoli che la classe media ha un livello di tassazione troppo alto, perché chi guadagna fino a 50mila euro l’anno non può certo considerarsi ‘ricco’. Abbassare le tasse al ceto medio è necessario, ma lo si deve fare con risorse da individuare”.

Diverse strade per favorire la natalità

L’ipotesi di anticipare (e forse aumentare) il Bonus 100 euro aiuterà qualche famiglia ad affrontare i puntuali conguagli fiscali di fine anno, qualcun’altra a fare i regali di Natale con più serenità, per la gioia dei figli.
Prima e dopo dicembre, però, ci sono altri undici mesi e le difficoltà dei nuclei con figli si fanno sentire. Per non parlare delle difficoltà delle famiglie numerose, che hanno almeno tre figli: per loro gli effetti dell’inflazione sono moltiplicati. La crisi demografica dice che c’è ancora tanta strada da fare per tornare a riempire le culle italiane: “Ci sono diverse strade: o potenziare l’assegno unico o introdurre detrazioni specifiche per i figli. L’obiettivo è venire incontro alla famiglia. Questo è un tema prioritario”, conferma il viceministro Leo.

Per rendere strutturale, o quanto meno solido, il sostegno alle famiglie serve un’economia forte, che passa da un buon livello di occupazione. “Ridurre le tasse è un passo nella giusta direzione – afferma Leo – ma per avere un impatto reale e duraturo, bisogna anche lavorare su una riforma complessiva del sistema fiscale che garantisca maggiore equità e sostenga la crescita economica”.

L’idea dell’esecutivo è quella di continuare con la politica per cui le imprese più assumono, meno pagano. “Abbiamo introdotto una super deduzione del costo del lavoro per chi assume a tempo indeterminato, pari al 120% per tutte le nuove assunzioni a tempo indeterminato, che arriva fino al 130% per chi assume mamme, under30, ex percettori di reddito di cittadinanza e persone con invalidità. Sull’Ires ci stiamo lavorando. Il Cdm ha approvato in prima lettura il decreto e, come sempre fatto fin qui, ora apriremo il confronto in sede Parlamentare per raggiungere il migliore risultato possibile”, conferma il viceministro.

Ora è tempo di calcoli e di aggiustamenti, ma la direzione è chiara: la priorità assoluta sarà sostenere le famiglie con figli e del ceto medio. Meglio ancora se soddisfano entrambi i requisiti come per il Bonus 100 euro, che a dicembre potrebbe rendere aiutare a rendere l’albero di Natale più bello. Ma non a tenerlo in vita tutto l’anno.

Un team di giornalisti altamente specializzati che eleva il nostro quotidiano a nuovi livelli di eccellenza, fornendo analisi penetranti e notizie d’urgenza da ogni angolo del globo. Con una vasta gamma di competenze che spaziano dalla politica internazionale all’innovazione tecnologica, il loro contributo è fondamentale per mantenere i nostri lettori informati, impegnati e sempre un passo avanti.

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Aumenta il prezzo del tabacco, gli over 50 australiani si...

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Marijuana Canva

Per rispondere all’aumento di prezzo del tabacco, gli australiani hanno aumentato il consumo di cannabis. Non tutti, però, solo gli over 50. Il dato, per certi versi sorprendente, emerge da un recente studio pubblicato sul Journal of Population Economics dai ricercatori di The Conversation che hanno evidenziato una relazione complessa tra i prezzi del tabacco e il consumo di cannabis.

Dopo aver analizzato quasi 100.000 individui grazie ai dati del National Drug Strategy Household Survey in Australia, la ricerca ha svelato come l’utilizzo di queste due sostanze, entrambe molto diffuse, vari in base all’età, con implicazioni politiche e sociali significative.

Un cambiamento di paradigma: cannabis e tabacco, complementi o sostituti?

La connessione tra cannabis e tabacco, definite spesso “sostanze in bundle” (consumate insieme), dipende da dinamiche economiche di base. Due prodotti possono essere complementi, usati insieme, o sostituti, consumati alternativamente. Lo studio ha scoperto che, per gli australiani sotto i 40 anni, cannabis e tabacco sono complementari: un aumento del prezzo del tabacco si traduce in una diminuzione del consumo di entrambe le sostanze. Al contrario, per gli over 50, aumentare il prezzo delle sigarette di cinque euro e cannabis si comportano come sostituti: l’aumento dei costi del tabacco stimola un incremento nell’uso di cannabis.

Per gli individui tra i 40 e i 50 anni, non si evidenzia invece alcuna correlazione economica significativa tra i due prodotti.

Cannabis e tabacco: le ragioni delle differenze generazionali

Le abitudini di consumo di cannabis e tabacco variano per una serie di fattori demografici e comportamentali.

  • Giovani sotto i 40 anni: questa fascia d’età tende a consumare tabacco e cannabis in modo simultaneo, spesso combinandoli in joint o “mulled cigarettes”;
  • Fascia 40-50 anni: questa categoria mostra un comportamento neutro, senza un evidente legame economico tra le due sostanze;
  • Over 50: gli individui più anziani sono generalmente più avversi al rischio. Il loro consumo è spesso più regolato e, con l’aumento del prezzo del tabacco, tendono a sostituirlo con la cannabis.

Per loro fortuna, il nuovo Codice della strada italiano non si applica in Australia.

Implicazioni delle politiche sui prezzi

Lo studio ha simulato l’impatto di un aumento del 10% del prezzo del tabacco sulla popolazione australiana. I risultati mostrano una complessa redistribuzione nei consumi:

  • Una diminuzione netta di 240.000 consumatori di cannabis;
  • Una riduzione significativa di 340.000 consumatori sotto i 40 anni;
  • Un aumento di 68.000 consumatori tra gli over 50.

Questi risultati evidenziano come un’unica misura politica possa avere effetti opposti su gruppi demografici diversi.

Consumo di cannabis e dinamiche sociali in Australia

La cannabis rimane tra le sostanze più diffuse in Australia: nel 2023, il 41% della popolazione sopra i 14 anni ha dichiarato di averla usata almeno una volta, con 2,5 milioni di consumatori regolari. Parallelamente, il consumo di tabacco è in forte calo grazie alle rigide politiche sul prezzo e alla diffusione di campagne di sensibilizzazione, mentre cresce l’uso di sigarette elettroniche e dispositivi di vaping, in particolare tra i giovani. Uno spunto di riflessione interessante considerando la proposta di aumentare il prezzo delle sigarette di cinque euro avanzata in Italia dall’Aiom e da Panorama della Sanità.

Questo contesto socioeconomico rende urgente comprendere le interazioni tra le due sostanze per orientare le politiche pubbliche.

Che cosa insegna questa ricerca

Lo studio pubblicato da The Conversation rappresenta un importante passo avanti nella comprensione del consumo di droghe. Gli autori mettono in guardia sui possibili effetti collaterali di politiche troppo mirate a una singola sostanza. La regolamentazione del tabacco, ad esempio, potrebbe avere ripercussioni inaspettate sull’uso di cannabis, accentuando il divario generazionale nel consumo delle due sostanze.

Inoltre, la ricerca apre a riflessioni più ampie: mentre il consumo congiunto di cannabis e tabacco sembra essere un comportamento tipico dei più giovani, l’adozione di cannabis come sostituto del tabacco tra gli over 50 suggerisce una crescente accettazione sociale e culturale della cannabis come alternativa.

Verso un approccio integrato alle politiche sulle droghe

I risultati dello studio pongono una sfida alle autorità di regolamentazione, evidenziando la necessità di politiche integrate che tengano conto delle differenze generazionali. Per ridurre l’uso complessivo di sostanze, sarà fondamentale considerare le interazioni tra diverse droghe e adottare approcci diversificati, basati su dati empirici e studi interdisciplinari.

Con la popolazione australiana che evolve verso una maggiore consapevolezza sui danni delle droghe, lo studio fornisce strumenti preziosi per una governance responsabile e mirata.

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Un mese senza alcol: la sfida del Dry January (che nasce da...

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Giovani bevono birra

Ogni anno, subito dopo che le luci delle festività natalizie si spengono e il caos dei bagordi del cenone di Capodanno lascia spazio a una nuova calma, gennaio si trasforma in una vera e propria sfida. Non parliamo di saldi irresistibili, di diete drastiche o di nuovi abbonamenti in palestra, ma di un’iniziativa che riguarda il bicchiere, un cambio di prospettiva che si tinge di sobrietà. È il Dry January, o “Gennaio Asciutto”, una campagna che invita le persone a prendersi una pausa dall’alcol per un intero mese.

Cos’è che spinge un numero sempre maggiore di persone a dire “no” alla birra dopo il lavoro, al calice di vino durante la cena, o al cocktail del weekend? Non si tratta solo di salute, anche se i benefici fisici sono certamente rilevanti. Piuttosto, il Dry January è un’opportunità di introspezione, un momento per ascoltare il proprio corpo e la propria mente. Un’esperienza di autoconsapevolezza, che non impone un cambiamento permanente ma che offre l’opportunità di fare un test, quasi come un gioco, per scoprire quanto influisce veramente l’alcol sulla nostra vita quotidiana. E i risultati, nonostante la reticenza iniziale di alcuni, spesso riescono a sorprendere anche i più scettici.

Cos’è il Dry January e come è nato

Il Dry January nasce come una campagna di sensibilizzazione sull’abuso di alcol, ideata e promossa dalla benefica organizzazione britannica Alcohol Change UK. Il suo scopo? Invitare tutti a una pausa dal consumo di alcol per tutto il mese di gennaio, con l’intento di stimolare una riflessione sulla relazione che ciascuno ha con l’alcol e sui benefici derivanti dall’astinenza.

Tutto ha inizio nel 2011, quando Emily Robinson, un membro di Alcohol Concern (oggi diventata Alcohol Change UK), decise di smettere di bere per un mese intero in preparazione a una mezza maratona. Durante quel periodo, Emily non solo notò i benefici immediati dell’astinenza, come un miglioramento del benessere generale e un aumento dell’energia, ma si rese anche conto di quanto fosse positivo il distacco dall’alcol, portandola a riflettere sulla propria vita. La sua esperienza scatenò l’interesse di molte persone, che la spinsero a trasformare quella che inizialmente era una sfida personale in una campagna vera e propria. Fu così che nel 2012 Emily lanciò la sua idea a livello internazionale, facendo del 2013 il primo anno ufficiale di Dry January.

Nel 2014, Alcohol Change UK registrò il marchio Dry January, dando ufficialmente vita all’iniziativa come la conosciamo oggi. Da allora, il successo è stato travolgente. Il numero di partecipanti è cresciuto esponenzialmente, passando da 4.000 nel 2013 a ben 215.000 iscritti globalmente nel 2024. E, con il passare degli anni, Dry January è diventato sempre più un’occasione di riflessione collettiva sul consumo di alcol, una vera e propria sfida che coinvolge milioni di persone in tutto il mondo.

I benefici del Dry January

Uno dei motivi principali per cui molte persone si iscrivono al Dry January è la possibilità di sperimentare un miglioramento della salute fisica. Ridurre o eliminare il consumo di alcol può avere effetti davvero sorprendenti sul nostro corpo.

Prendiamo il sonno, ad esempio: l’alcol, pur avendo un iniziale effetto rilassante, disturba profondamente il nostro ciclo del sonno, provocando risvegli notturni e una sensazione generale di stanchezza al mattino. Dopo un mese di astinenza, molti partecipanti notano una qualità del sonno notevolmente migliorata, con notti più tranquille e un risveglio più riposato.

Un altro effetto tangibile riguarda la pelle: l’alcol disidrata, e una pausa di un mese può fare miracoli. Il risultato? Una pelle più luminosa e sana, che recupera il suo naturale equilibrio. Inoltre, il corpo, privo dell’energia necessaria per metabolizzare l’alcol, può concentrarsi su attività più salutari, donando a molti una maggiore energia e vitalità. La mente, non sovraccaricata dai postumi della sera prima, risulta più chiara, consentendo maggiore concentrazione e produttività.

Tuttavia, i benefici non si limitano a questi aspetti fisici. Per molti, il Dry January rappresenta anche un’opportunità per rivedere le proprie abitudini e capire se davvero l’alcol gioca un ruolo così centrale nella loro vita sociale ed emotiva. È un mese dedicato all’ascolto di sé stessi, per esplorare i propri limiti e, magari, per rivalutare la propria relazione con l’alcol.

La spinta economica del Dry January

Dry January non è solo un fenomeno sociale, ma anche un motore per il cambiamento economico. Il mercato delle bevande analcoliche è in costante espansione, con un aumento globale del 34% tra il 2019 e il 2023, secondo un report di Global Market Insights. In Italia, diverse aziende, dai marchi storici alle start-up, stanno investendo in questa crescente tendenza, proponendo sul mercato birre analcoliche, vini senza alcol e cocktail ready-to-drink che offrono esperienze sofisticate senza gli effetti collaterali dell’alcol. La domanda è così forte che molte grandi catene di supermercati stanno ampliando continuamente le loro offerte di prodotti senza alcol, dando sempre più spazio a una “nuova normalità” nel bere.

L’impatto sociale

Ma il successo del Dry January non si misura solo nei numeri. Si tratta di un vero e proprio movimento culturale che ha il potere di stimolare una riflessione collettiva sul consumo di alcol, invitando le persone a mettere in discussione le proprie abitudini e a scoprire nuove modalità per divertirsi, rilassarsi e celebrare. Dry January diventa così l’occasione per riscoprire quanto possa essere bello vivere un mese senza dipendere da un bicchiere. Si scopre che si possono trovare altre forme di piacere, altre modalità per condividere momenti di convivialità, senza la necessità di un brindisi.

Un aspetto che sta guadagnando attenzione negli ultimi anni è l’incremento del consumo di alcol tra i giovani, con preoccupazioni crescenti sulle abitudini nocive come il binge drinking, ovvero il consumo eccessivo di alcol in breve tempo. Secondo un report Istat su dati del 2023, il 15% della popolazione di 11 anni e più consuma alcol in modo rischioso, con una prevalenza maggiore tra gli uomini (10,8%) rispetto alle donne (3,1%). Il binge drinking è particolarmente diffuso tra gli adolescenti (15,7% tra gli 11-17enni) e gli ultra-sessantenni (18,1% tra gli over-64). L’Italia, inoltre, evidenzia una maggiore prevalenza di consumo eccessivo nel Nord, dove il 18,9% della popolazione supera le soglie raccomandate, mentre tra i giovani il binge drinking rappresenta una vera e propria criticità crescente.

Secondo un report dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, il consumo di alcol è problematico soprattutto tra gli adolescenti. Il 18% degli undicenni ha già sperimentato l’alcol, e la percentuale cresce vertiginosamente con l’età, raggiungendo il 57% dei quindicenni. In questo scenario, Dry January si presenta come un’opportunità di sensibilizzazione per combattere gli effetti negativi di queste abitudini pericolose e promuovere un comportamento più consapevole.

Concludere il mese di gennaio

Arrivati a fine gennaio, molti partecipanti al Dry January si rendono conto che i benefici fisici, mentali ed emotivi che hanno sperimentato non sono solo temporanei. Un mese senza alcol può sembrare lungo, ma i risultati si estendono ben oltre la fine del mese. La maggiore lucidità, l’energia e la sensazione di benessere possono durare molto più a lungo. Non è raro che, una volta giunti a febbraio, qualcuno decida di prolungare questa pausa o addirittura di ridurre permanentemente il proprio consumo di alcol. In effetti, molti scelgono di continuare su questa strada, avendo riscoperto un nuovo equilibrio con il proprio corpo e la propria vita.

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Cristina Chiabotto e Mario, quando la legge anti-suicidi...

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Cristina Chiabotto Sorride

Apparentemente Cristina Chiabotto, celebrità del mondo dello spettacolo, e Mario (nome di fantasia), ex operaio metalmeccanico della provincia di Bergamo, non hanno nulla in comune. Appartengono a mondi che, almeno in teoria, non si incroceranno mai.

La prima, Miss Italia 2004, conduttrice televisiva e volto di svariate pubblicità, è stata travolta da scelte sbagliate che l’hanno portata a dichiarare un debito di oltre 2,5 milioni di euro. Mario, invece, rappresenta quella “Italia normale” spesso dimenticata: un uomo costretto a dormire in auto e pressato dai creditori dopo aver perso il lavoro, la casa e la compagna. Entrambi si sono trovati a un passo dal baratro per una situazione debitoria diventata più grande di loro.

Una legge ha unito queste due storie di difficoltà e riscatto: la legge 3 del 2012, conosciuta come “legge salva suicidi”. Strumento tecnico ma umanamente rivoluzionario, questa normativa è diventata una sorta di “Livella” – proprio come quella resa famosa dalla poesia di Totò – che mette tutti sullo stesso piano, indipendentemente dal loro passato o dallo status sociale.

Cristina Chiabotto, la caduta e la rinascita

La celebrità 38enne ha rivelato di aver utilizzato la legge anti-suicidi nel 2019 per affrontare un debito da oltre 2,5 milioni di euro con il Fisco, legato a cattivi consigli finanziari ricevuti a inizio carriera e spese che si sono rivelate insostenibili. Con l’aiuto di un team legale, la showgirl ha presentato un piano basato sulla legge 3/2012 al Tribunale di Ivrea. Il piano di liquidazione controllata le ha permesso di ridurre significativamente i debiti, rinunciando a parte del suo patrimonio.

Questo sacrificio le ha restituito una vita serena e le ha offerto la possibilità di ripartire. “Ho la coscienza a posto e voglio pagare tutto ciò che devo”, disse all’epoca Cristina Chiabotto, che è riuscita a soddisfare almeno parzialmente i creditori.

Il caso di Mario: il sovraindebitamento e la crisi personale

La storia di Mario, 50 anni, ex operaio metalmeccanico parte da un lavoro stabile e un sogno semplice: costruire una famiglia con la compagna e vivere nella casa comprata con il mutuo. La sua vita è stata però stravolta da eventi concatenati che lo hanno portato sull’orlo del baratro. Il licenziamento dalla fabbrica dove era assunto a tempo indeterminato, un grave incidente stradale, la fine della relazione sentimentale e il mutuo da 100.000 euro impossibile da ripagare senza un lavoro lo hanno condannato a una spirale di debiti.

Costretto a dormire in macchina per mesi, pressato dai call center dei creditori, Mario è stato salvato dal supporto delle istituzioni locali e da Protezione Sociale Italiana, che lo ha aiutato ad accedere alla legge salva suicidi. Grazie a questa normativa, è riuscito a intraprendere un percorso di ristrutturazione del debito, recuperando dignità e speranza.

A novembre, il tribunale di Treviso aveva concesso l’esdebitazione totale a una coppia di settantenni di Casale sul Sile, cha rischiavano di vedere la propria vita crollare a picco dopo un grave indebitamento, in realtà dovuto alla cattiva gestione imprenditoriale del figlio.

Come funziona la legge anti-suicidi

La norma entrata in vigore nel 2012, eloquentemente conosciuta come “legge anti-suicidi”, è uno strumento fondamentale per privati e piccoli imprenditori che si trovano in gravi difficoltà economiche. Questo meccanismo consente di ottenere una cancellazione parziale o totale dei debiti, in base alla valutazione del tribunale, purché il debitore dimostri di non avere i mezzi per adempiere agli obblighi finanziari e di non aver agito in malafede o con colpa grave.

La Legge 3/2012 consente la cancellazione di diversi tipi di debiti all’interno delle procedure di sovraindebitamento, tra cui quelli con:

  • Banche e istituti finanziari, come mutui e prestiti personali;
  • Fornitori e privati, come quelli relativi al condominio o il caso dell’anziana coppia di Casale sul Sile;
  • Debiti con le Pubbliche Amministrazioni, inclusi quelli con l’Agenzia delle Entrate e Equitalia.

Non possono essere eliminati tramite questa legge i debiti di mantenimento, come gli “alimenti” non pagati al coniuge separato o divorziato.

Il processo di esdebitazione inizia con la presentazione della domanda a un Organismo di Composizione della Crisi (Occ), che analizza la situazione del richiedente e formula un piano di risanamento o un accordo con i creditori. Se il tribunale approva la richiesta, il debitore non è più soggetto alle azioni di recupero crediti, e in alcuni casi il debito viene cancellato definitivamente. Questa procedura è stata ideata per offrire un’opportunità concreta a chi rischia di essere travolto dai debiti, spesso causa di gravi disagi personali e sociali. Durante la procedura di risoluzione della crisi, è fondamentale elencare tutti i debiti detenuti e dichiarare tutti i beni posseduti.

‘A Livella senza passare miglior vita

In Italia, i suicidi legati a situazioni di sovraindebitamento e crisi economica sono una questione allarmante e poco discussa. I dati dell’Istituto Superiore di Sanità (Iss) indicano un tasso di suicidi di 7,2 casi ogni 100.000 abitanti, con una forte variabilità tra Nord e Sud e un’incidenza maggiore tra gli uomini nella fascia d’età 25-69 anni. Secondo l’Iss, nel 2020 si sono registrati 3.879 suicidi in Italia, con una percentuale significativa di questi legati alla crisi economica e ai problemi finanziari, aggravati dalla pandemia di Covid e dall’aumento dell’inflazione​ a cui non è corrisposto l’aumento dei salari.

Le vicende di Mario, Cristina Chiabotto e dell’anziana coppia trevigiana mostrano come nessuno sia immune dalle difficoltà economiche, a prescindere dalla ricchezza. Una verità semplice, spesso sottovalutata.

In questo, la legge anti-suicidi assomiglia alla “Livella” di Antonio De Curtis (se preferite, “Totò”) con una enorme differenza: dà una seconda chance a persone molto diverse tra loro senza che passino a miglior vita. Anzi, evitando che i debiti li portino a compiere l’estremo gesto.

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