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Sondaggio, declino cognitivo e demenza preoccupano 9 italiani su 10

Oltre 1 mln con demenza e 600mila con Alzheimer

Sondaggio, declino cognitivo e demenza preoccupano 9 italiani su 10

In un'Italia che invecchia, i disturbi cognitivi e le demenze sono un'emergenza sociosanitaria crescente e sempre più temuta: 9 italiani su 10 sono preoccupati per se stessi o che un proprio caro possa soffrirne in futuro, temendo soprattutto la perdita di autonomia, l'isolamento e il carico emotivo ed economico sul nucleo familiare, anche a causa della carenza di servizi socio-assistenziali, paventata da oltre il 70% di cittadini. Sono alcuni dei dati emersi da un'indagine realizzata dall’istituto di ricerche 'Emg Different' su un campione di mille italiani tra i 24 e i 75 anni, che ha indagato il livello di conoscenza su declino cognitivo e demenza, portando all'attenzione percezioni e bisogni informativi dei cittadini. La ricerca è stata presentata oggi a Milano nel corso dell'evento 'Declino cognitivo e demenza: quanto ne sappiamo, cosa stiamo facendo e quale impatto sulla società e sul Servizio sanitario nazionale', promosso da Neopharmed Gentili nel mese dedicato all'Alzheimer, la forma più diffusa di demenza, di cui ricorre la Giornata mondiale il 21 settembre.

Nel nostro Paese - si legge in una nota - il declino cognitivo e la demenza interessano 2 milioni di pazienti e, di riflesso, 4 milioni di caregiver. Si stima che oltre 1 milione di persone soffrano di demenza (di cui 600mila con malattia di Alzheimer) e altre 900mila siano affette da declino cognitivo live, conosciuto anche con l'acronimo inglese Mci (Mild Cognitive Impairment). Si tratta di una condizione clinica caratterizzata dal peggioramento in uno o più domini cognitivi (memoria, attenzione, linguaggio) che non compromette le normali attività quotidiane, ma su cui è necessario agire tempestivamente perché in circa il 50% dei casi progredisce in demenza nell'arco di 3 anni.

Una sfida, dunque, da affrontare con diagnosi precoci e interventi mirati, ma anche promuovendo la conoscenza e la lotta allo stigma sociale. Gli italiani sono concordi (93%) sulla necessità di una maggiore informazione sull'argomento: nonostante la crescente sensibilità sui disturbi cognitivi, che per il 97% della popolazione costituiscono un grave problema per le famiglie e per la società, quasi 1 italiano su 2 (46%) dichiara di non sapere che la prevenzione è un'alleata per contrastare il declino cognitivo, e solo il 29% è consapevole della possibilità di intervenire sul decorso della malattia con trattamenti adeguati. Da non sottovalutare anche l'impatto della demenza sulla spesa sanitaria, che per il 63% è totalmente a carico delle famiglie. "Con l'aumento dell'aspettativa di vita, la demenza è destinata ad acquisire sempre più rilevanza - afferma Camillo Marra, presidente Sinfem, associazione autonoma aderente alla Società italiana di neurologia per le demenze - Oggi ne soffre il 7% della popolazione over 60 e la percentuale sale al 30% negli over 85. Intervenire preventivamente nelle forme di precliniche di demenza è cruciale per contrastare la progressione della malattia".

E' stato evidenziato che "un intervento su tutti i fattori di rischio modificabili, tra i 40 e i 60 anni - continua Marra - potrebbe ridurre del 40% l'evoluzione del declino cognitivo lieve in demenza. Ciò vuol dire agire su fumo, alcol, sedentarietà, diabete, ipertensione, dislipidemie, ma anche sugli aspetti legati alla socialità. L'ipovisione e la perdita di udito non riconosciute in età adulta sono altri fattori di rischio da non sottovalutare. Ma la 'vera' prevenzione inizia sui banchi di scuola, riducendo il tasso di abbandono scolastico per agire su un fattore chiave di protezione rappresentato dal livello culturale: più siamo istruiti, infatti, più siamo in grado di alimentare la riserva cognitiva per quando saremo anziani. Anche sul fronte terapeutico, più si interviene in fase precoce, anche limitatamente ai trattamenti oggi disponibili, meglio si riesce a modificare il decorso della malattia".

All'esordio del disturbo cognitivo la persona è autonoma, può continuare a lavorare, guidare e svolgere le attività abituali, anche se inizia a mostrare segnali che dovrebbero rappresentare dei campanelli d'allarme. Tuttavia, a fronte di un'ampia consapevolezza dei sintomi, riscontrata in oltre il 90% degli intervistati, non sempre risulta facile percepirli su se stesso o su un proprio caro. "Il declino cognitivo lieve è un quadro clinico da attenzionare al massimo - spiega Alessandro Pirani, rappresentante della Simg (Società italiana si medicina generale) al tavolo permanente Demenze del ministero della Salute - perché rappresenta la fase della diagnosi precoce e coinvolge in prima persona il medico di medicina generale. Il disturbo delle capacità di memoria è il segnale più eclatante, ma spesso viene ignorato o sminuito a causa dello stigma che lo 'relega' a un normale aspetto dell'invecchiamento. Altri campanelli d'allarme sono la comparsa di depressione, cambiamenti del carattere, la tendenza a perdere il filo del discorso. Inoltre, nella progressione della malattia, compaiono i disturbi del comportamento: insonnia, oppositività (il paziente non mangia, non si lascia lavare), aggressività fisica e verbale. La stabilizzazione di questi sintomi, che causano forte stress emotivo nei familiari, è un obiettivo assistenziale prioritario e decisivo ai fini della gestione del paziente al domicilio".

Le ripercussioni sul nucleo familiare sono tra le principali preoccupazioni degli italiani: per oltre il 90% degli intervistati, prendersi cura di un paziente affetto da disturbo cognitivo è fonte di stress e influisce sull'economia e sulla socialità di tutta la famiglia. "La demenza non è una condizione da accettare con rassegnazione - avverte Piero Secreto, componente Comitato tecnico-scientifico per le linee guida 'Diagnosi e trattamento di demenza e Mild Cognitive Impairment' - Serve un impegno condiviso, anche sul piano dell'informazione all'opinione pubblica, per superare i pregiudizi verso le persone anziane e combattere lo stigma sociale che ancora accompagna la malattia".

La linea guida "riempie un vuoto culturale rispetto alla possibilità di attuare una serie di interventi che riguardano la diagnosi, il trattamento, l'assistenza e il supporto ai pazienti, per metterli nelle condizioni di conservare una buona qualità di vita. Una novità rispetto alle linee guida internazionali - precisa Secreto - ha riguardato l'inserimento del declino cognitivo lieve accanto alla demenza, a conferma del valore di un intervento precoce sull'evoluzione della malattia e sul benessere complessivo del paziente". Assistere una persona con demenza "è un impegno gravoso che ricade quasi per intero sul nucleo familiare, sul piano psicofisico, sociale ed economico - sottolinea Donatella Oliosi, presidente associazione Diana onlus, associazione diritti non autosufficienti - ed è comprensibile che questo sia uno degli aspetti che più preoccupa gli italiani rispetto all'eventualità che la malattia possa colpire un proprio caro. Questo perché, pur rientrando nella competenza del Servizio sanitario nazionale, in quanto malati cronici, le famiglie non ricevono sufficienti prestazioni e adeguati sostegni dai servizi sanitari territoriali: in molti casi i centri diurni rappresentano un sollievo per le famiglie, ma andrebbero dimensionati sul reale fabbisogno, così come dovrebbe essere garantito in maniera uniforme l'accesso in struttura per quei pazienti che non possono più essere assistiti al domicilio. I malati e le famiglie devono essere accolti e accompagnati nella presa in carico di competenza del Servizio sanitario nazionale".

Attualmente "il 64% dei pazienti con demenza non risulta in carico presso strutture sociosanitarie - puntualizza Paolo Sciattella, farmacoeconomista dell'Università degli Studi Tor Vergata di Roma - Un dato che dà la misura dell'onere della malattia sulle famiglie dei pazienti, non solo sul piano assistenziale, ma anche economico. Circa il 63% dei costi per la gestione e il trattamento dei pazienti è completamente a carico del paziente (spesa out-of-pocket), pari a 14,8 miliardi di euro su una spesa totale annua complessiva di 23,6 miliardi di euro. A ciò si aggiungano i costi indiretti legati alla perdita di produttività dei caregiver, quantificati in 4,9 miliardi di euro, che interessano prevalentemente i pazienti non istituzionalizzati".

Il mese dedicato all'Alzheimer costituisce "un'importante occasione - dichiara Daniela Rossi, condirettore generale di Neopharmed Gentili - per accendere i riflettori sul declino cognitivo e la demenza, patologie che meritano un'attenzione particolare per l'impatto che hanno sulle famiglie e per l'alto livello di complessità assistenziale. L'impegno di Neopharmed Gentili è volto a migliorare la qualità di vita delle persone, anche e soprattutto durante l'invecchiamento. Per questo crediamo sia essenziale promuovere la consapevolezza dei cittadini, informarli sull'importanza della prevenzione e della diagnosi precoce e scardinare i pregiudizi che allontano i pazienti dal loro percorso di cura, trasferendo un messaggio di vicinanza, inclusione e fiducia per una migliore qualità della vita".

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Salute e Benessere

Influenza, verso boom casi: ecco...

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Farnetani: "Impennata contagi spinta da ripresa scuole che mette in contatto ogni giorno 20 milioni di persone e da calo temperature"

Una bambina con l'influenza - (123RF)

"È facile prevedere che dalla fine di questa settimana ci sarà un forte incremento di casi delle tipiche infezioni invernali, soprattutto a carico dell'apparato respiratorio, influenza compresa. Il motivo è duplice". Da un lato "il freddo", dall'altro "la ripresa delle scuole", avvenuta il 7 gennaio dopo la pausa natalizia. E' lo scenario prospettato dal pediatra Italo Farnetani, che in vista del boom di infezioni e dell'avvicinarsi del picco delle sindromi simil-influenzali, propone uno strumento battezzato 'influenzometro' per orientarsi fra i virus in azione in questo periodo. Una sorta di test per capire se si tratta di influenza oppure no. Fermo restando, puntualizza, che "si deve sempre consultare il medico".

Cosa ci attende nei prossimi giorni?

Solo considerando il capitolo scuole, spiega l'esperto all'Adnkronos Salute, va considerato che "ogni mattina entrano in contatto 20 milioni di persone: 10 milioni all'interno delle aule e degli edifici scolastici", numero che include "alunni, insegnanti, personale ausiliario", e "altri 10 milioni di persone", fra genitori, nonni e babysitter, "coinvolte per accompagnare gli alunni a scuola. Questi 10 milioni di persone si incontreranno nuovamente all'uscita. Perciò è ben comprensibile quanto sia elevata in questo contesto la possibilità di trasmissione degli agenti infettivi, soprattutto virus come questi che si diffondono facilmente negli ambienti".

E poi c'è il fattore freddo, continua Farnetani: "Proprio in questi giorni, e nei prossimi, c'è un brusco abbassamento delle temperature, che è uno degli elementi che determina la maggior diffusione delle infezioni durante il periodo invernale. Non è il freddo che fa ammalare - precisa - ma quando le temperature sono basse si sta maggiormente negli ambienti chiusi, con aria riciclata, elemento che facilita la trasmissione, soprattutto quando i riscaldamenti accesi rendono l'aria secca, e ciò impedisce che le particelle di polvere cariche di agenti infettanti vengano abbattute al suolo. In questo modo, invece, si spostano leggere perché sono ben asciutte e facilmente fanno breccia nell'apparato respiratorio dei presenti. Il consiglio è innanzitutto di aprire le finestre almeno 45 minuti al giorno, anche quando fuori è molto freddo, e non tenere mai i riscaldamenti eccessivamente alti. La temperatura di 19 gradi è ottimale, e si può mettere sopra le sorgenti di calore, in primis sui radiatori, un asciugamano di spugna bagnato, che serve a umidificare l'ambiente. Importante non rinunciare a stare all'aria aperta anche quando è freddo".

La combinazione di tutti questi fattori, prosegue Farnetani, che è professore ordinario di pediatria all'università Ludes-United Campus of Malta, "facilita dunque la trasmissione degli agenti infettivi, fra cui il virus dell'influenza", ma quest'ultimo gruppo di patogeni stagionali "non è il solo" a circolare in questo periodo. Non sempre a metterci a letto, in altre parole, è l'influenza vera e propria, ma potrebbe essere qualche virus 'cugino'. "Ecco allora l'influenzometro che ho elaborato per aiutare a distinguere le varie infezioni", argomenta Farnetani.

Cos'è e come funziona l'influenzometro

Si tratta nel dettaglio di un percorso scandito da una serie di domande o affermazioni: a seconda della risposta che più corrisponde alla situazione di chi sta usando lo strumento viene assegnato un punteggio. Sommando quelli ottenuti a ogni step, si potrà leggere il risultato: con un punteggio uguale o superiore a 210 "è influenza"; con un totale da 190 a 205 l'esito è "dubbio", ma se rifacendo il questionario il punteggio rientra sempre in questo range "non si tratta di influenza"; con un totale uguale o inferiore a 185 "non è influenza, ma probabilmente si tratta di una malattia dovuta ad altri agenti infettivi". L'influenzometro valuta prima di tutto il periodo in cui si presenta la malattia (da dicembre ad aprile o da maggio a novembre), e se i media hanno già riportato dei primi isolamento di virus influenzale.

E poi passa in rassegna i sintomi: dolore e sua localizzazione (alla schiena e alle articolazioni, mal di testa, mal d'orecchie, mal di pancia), febbre (superiore a 38,5° C e per quanti giorni); fastidi agli occhi (arrossati, con dolore quando si guarda lateralmente, con bruciore, con lacrimazione abbondante, appiccicati con secrezione gialla). Nel percorso si valutano anche le condizioni di volto (arrossato o pallido) e pelle (calda e umida, normale), e la presenza di tosse (secca o catarrosa). Si passa poi alla gola (fa male, brucia, è secca), alla voce (rauca o normale), al naso (chiuso, con secrezione chiara e liquida), all'apparato digerente (per capire se sono presenti sintomi come vomito, diarrea o stipsi) e infine si approfondiscono le condizioni generali (malessere, svogliatezza, ci si stanca con facilità, mancanza di appetito).

Il test, insomma, aiuta a farsi una cultura personale su come distinguere fra influenza e virus parainfluenzali. "Sarà però il medico a indicare la strada" terapeutica da seguire per lasciarseli alle spalle.

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Salute e Benessere

Psicologa Giannini: “Con caos treni a rischio i...

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"Nei pazienti, già sotto stress per la propria salute, ritardi e guasti ai trasporti aumentano ansia e tensione perché costretti a spostarsi nell'incertezza"

Anna Maria Giannini, professore ordinario di Psicologia generale alla Sapienza Università di Roma

"Il caos trasporti non solo mette a rischio i viaggi per chi è costretto a curarsi lontano dalla propria città o regione ma influisce pesantemente e negativamente sui pazienti stessi, già preoccupati per le loro condizioni di salute". Così all'Adnkronos Salute Anna Maria Giannini, professore ordinario di Psicologia generale alla Sapienza Università di Roma sugli effetti legati ai trasporti in tilt che, tra guasti e maltempo, da giorni stanno paralizzando l'Italia.

"Chi deve affrontare un viaggio per curarsi non sta investendo in una vacanza in allegria e relax - spiega Giannini - Anzi. Se poi le sue condizioni di salute sono molto critiche perché ha una patologia cronica o una malattia terminale, lo stress di base non può che peggiorare".

La psicologa distingue tra 3 livelli di stress. "Nel primo livello c'è il paziente preoccupato per la sua salute - spiega Giannini -. Nel secondo c'è tutta l'ansia di doversi spostare per affrontare cure. Prendiamo l'esempio di un cittadino di Catanzaro che per un esame o una visita di controllo programmata da tempo deve andare a Roma. Ha l'ansia di dover organizzare il viaggio, e magari anche trovare un alloggio". Arriviamo poi al "terzo livello di stress, con il paziente che si chiede 'perché non posso curarmi nella mia città o nella mia regione, visto che è un mio diritto?' E' costretto a spostarsi perché non ha alternative. Se poi i servizi non funzionano - tra cui i treni, fermi per uno sciopero o per un guasto dovuto o no al maltempo, ecco che lo stress diventa elevatissimo". "Attenuare la tensione è possibile - conclude Giannini - Basta trovare un modo per distrarsi, magari affrontando il viaggio in compagnia di un amico o familiare per parlare d'altro, leggere un libro, o ascoltare musica. Fermo restando che i servizi dovrebbero sempre funzionare".

 

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La previsione, casi demenza negli Usa rischiano di...

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La previsione, casi demenza negli Usa rischiano di raddoppiare entro 2060

Come previsto per altre aree del mondo, anche negli Usa i casi di demenza sono destinati a impennarsi nei prossimi anni. In un nuovo studio, pubblicato su 'Nature Medicine', si stima che raddoppieranno entro il 2060. Secondo la previsione degli autori, infatti, il rischio di sviluppare una forma di demenza dopo i 55 anni tra gli americani è ora del 42%, più del doppio del rischio calcolato da studi precedenti. Questo dato, chiariscono gli autori, si traduce in una stima di mezzo milione di casi quest'anno, che salirà a 1 milione di nuovi casi l'anno entro il 2060. Lo scenario tracciato nel nuovo lavoro - frutto di una collaborazione finanziata dai National Institutes of Health (Nih) con la NYU Langone Health, che include anche autori della Johns Hopkins University e di altre istituzioni statunitensi - deve far riflettere, dicono gli esperti.

La demenza - spiegano - comporta un declino progressivo della memoria, della concentrazione e del giudizio. Il numero crescente di casi è direttamente legato all'invecchiamento della popolazione statunitense. Oltre al fattore età, un alto rischio di demenza è legato a fattori genetici, così come a tassi elevati di ipertensione e diabete, obesità, diete non sane, mancanza di esercizio fisico e cattiva salute mentale. Il nuovo studio si basa sulle informazioni raccolte dall'attuale studio Atherosclerosis Risk in Communities Neurocognitive Study, che dal 1987 ha monitorato da vicino la salute vascolare e la funzione cognitiva di circa 16mila partecipanti man mano che invecchiano. Risultato: dal 1987 al 2020, 3.252 partecipanti allo studio sono stati documentati come affetti da demenza. Gli autori hanno utilizzato i dati dello studio e hanno modellato le loro proiezioni del rischio nel corso della vita utilizzando le informazioni dell'US Census Bureau.

I numeri analizzati si traducono in un rischio complessivo nel corso della vita tra gli americani di mezza età del 42% (cioè una media tra il 35% calcolato negli uomini e il 48% nelle donne). Il rischio in eccesso nelle donne è dovuto in gran parte ai loro tassi di mortalità più bassi. I risultati dell'analisi hanno anche mostrato un rischio più elevato tra gli adulti neri e nei portatori di una variante del gene APOE4 (tra il 45% e il 60%). "I risultati del nostro studio prevedono un aumento drammatico del peso della demenza negli Stati Uniti nei prossimi decenni", evidenzia il ricercatore senior dello studio, l'epidemiologo Josef Coresh, direttore fondatore dell'Optimal Aging Institute alla NYU Langone. Fra i dati che fanno capire l'impatto potenziale, gli autori segnalano che già adesso circa 58 milioni di americani hanno ormai più di 65 anni. E tra le scoperte chiave dello studio c'è anche il fatto che il rischio di demenza nel corso della vita risulta aumentare a oltre il 50% tra coloro che raggiungono i 75 anni.

Come si può intervenire? Gli autori fanno notare che, come dimostrato anche da lavori precedenti, le misure volte a prevenire le malattie cardiache, come il controllo della pressione sanguigna e la prevenzione del diabete, dovrebbero riuscire a rallentare anche il declino cognitivo e prevenire la demenza. "L'imminente boom demografico nei casi di demenza pone sfide significative in particolare per i responsabili delle politiche sanitarie, che devono riconcentrare i propri sforzi su strategie per ridurre al minimo la gravità dei casi di demenza, nonché piani per fornire più servizi sanitari per le persone colpite", conclude Coresh.

Fra i fattori collegati a un rischio aumentato di demenza c'è per esempio anche la perdita dell'udito tra gli anziani, ma solo un terzo degli americani con questo problema usa apparecchi acustici. Coresh raccomanda di incrementare monitoraggio e test, e possibilmente anche programmi per rendere gli apparecchi acustici più ampiamente accessibili. Per l'esperto sono inoltre necessarie più risorse per affrontare le disuguaglianze nell'assistenza sanitaria, osservando che si prevede che i numeri di demenza tra i bianchi raddoppieranno nei prossimi 4 decenni, ma tra i neri triplicheranno. Le politiche sanitarie dovrebbero intensificare dunque gli sforzi per migliorare istruzione e alimentazione infantile in queste comunità più a rischio, fattori che hanno dimostrato essere utili per scongiurare il declino cognitivo in età avanzata.

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