Vincent Cassel papà per la quarta volta: ma quali sono i padri vip più proliferi?
Vincent Cassel, 57 anni, diventa papà per la quarta volta. A dare il dolce annuncio è la fidanzata Narah Baptista, 27 anni, che con una foto sui social ha fatto sapere della gravidanza.
La modella brasiliana ha condiviso su Instagram le prime foto col pancione scrivendo: “Mamma ti aspetta. Fotografie scattate dalla nonna”. L’attore ha risposto con un dolce “Sono fortunato ad averti nella mia vita”. I due sono legati da poco più di un anno. E se per la modella è la prima gravidanza, per Cassel è la quarta volta.
L’attore è già padre di tre figlie, Deva e Leonie, rispettivamente 20 e 14 anni, nate dal matrimonio con Monica Bellucci. Poi cinque anni fa, con la seconda moglie Tina Kunakey, altrettanto 27enne, è venuta al mondo Amazonie.
E mentre l’attore diventerà papà per la quarta volta, c’è qualche collega che ha ampiamente superato questo record. Scopriamo alcuni dei papà vip “più proliferi”.
I papà vip più proliferi: ieri e oggi
Se prendessimo esempio da questi papà famosi, il problema della denatalità sarebbe estinto. Quantomeno non si può dire che non abbiano contribuito alla messa al mondo di un numero di figli tale sufficiente a mantenere alto il ricambio generazionale (almeno quello delle proprie famiglie). Perché mentre il tasso di natalità crolla a picco, alcune personalità dello showbiz hanno fatto la differenza e sono passate alla storia per essere dei papà proliferi, maternità surrogate incluse.
Di un’altra epoca, ma un evergreen della genitorialità rinomata per la quantità, c’è Marlon Brando. L’attore, noto per la sua tumultuosa vita privata, sia con partner maschili che con quelli femminili, ha messo al mondo e riconosciuto 12 figli, avuti da tre mogli diverse e donne sconosciute al grande pubblico e ne ha adottati altri tre, per un totale di 15.
Elon Musk, il miliardario fondatore di Tesla e SpaceX, ha 12 figli da diverse relazioni. L’imprenditore, di quasi 53 anni, ha accolto il terzo figlio con la compagna attuale Shivon Zilis, di 38 anni, lo scorso giugno.
A seguire, Eddie Murphy, con i suoi dieci figli: i primi due, li avuti da due donne diverse, sono nati prima di sposare la modella Nicole Mitchell, dalla quale ne ha poi avuto altri cinque. Dopo il divorzio nasce Angel Iris, riconosciuta grazie al test del Dna, dalla relazione con la Spice Girl Mel B. Infine, ha avuto gli ultimi due figli dalla modella Paige Butcher.
Ma c’è anche, Mel Gibson con i sette figli, tutti nati dalla stessa madre, l’infermiera Robyn Moore, con cui il matrimonio è durato ben 26 anni e poi altri due figli, una avuta dalla musicista russa Oksana Grigorieva, e l’ultimo con la sceneggiatrice televisiva Rosalind Ros.
Rimanendo in tema non si possono non considerare altrettanto “proliferi” anche gli attori Robert De Niro, Brad Pitt e Jude Law. Tutti e tre hanno in comune le carriere costellate di successi e sei figli, nel caso di Pitt, tre adottati insieme alla moglie e collega Angelina Jolie.
Papà-vip italiani
Spostandoci in Italia, invece, celebri sono diventate le parole dell’attore Christian De Sica che sul padre Vittorio ha dichiarato: “Mio padre ci ha lasciato in eredità anche la scoperta di numerosi fratelli e sorelle nascoste. La mia non era una famiglia, ma una cooperativa. Gli uomini erano maschilisti e lui era innamorato di tutte quelle donne”. Dalla stessa mamma è nato il fratello Manuel De Sica, mentre da altre donne, Vittorio De Sica ha avuto Emiliana De Sica e Vicky Lagos. Gli altri figli ai quali ha alluso Christian non sono noti al grande pubblico.
Non è un attore, ma è famoso in tutta Italia per la sua musica: Gigi D’Alessio, negli scorsi giorni sul palco dell’Arena di Verona, al Tim Music Awards, ha risposto in modo ironico al conduttore Carlo Conti sul numero di figli messi al mondo fino ad oggi. Napoletano, 57 anni, il cantante ha in totale sei: ha avuto Claudio, Ilaria e Luca dal matrimonio con Carmela Barbato, poi Andrea dalla relazione con Anna Tatangelo e Francesco e Ginevra, nati dall’amore con la fidanzata Denise Esposito.
E sempre in tema musica, c’è Roby Facchinetti dei Pooh con i suoi cinque figli e Al Bano Carrisi con i suoi sei figli. Mentre, nel mondo dello sport c’è Antonio Cassano che ne ha avuti cinque.
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Tumori, sempre più guarigioni ma disuguaglianze e stili di...
Tassi di guarigione in aumento, diminuzione della mortalità e un numero crescente di persone che convivono con un tumore. Ma anche persistenti disuguaglianze sociali nell’accesso alla diagnosi precoce e la permanenza di stili di vita che favoriscono lo sviluppo della malattia. È la fotografia che emerge dalla 14esima edizione del censimento ‘I numeri del cancro in Italia 2024‘ dell’Associazione italiana oncologia medica Aiom, presentata oggi a Roma a Palazzo Baldassini.
Cominciamo dai nuovi casi: in Italia nel 2024 sono stimate 390.100 nuove diagnosi di tumore, di cui 214.500 negli uomini e 175.600 nelle donne. Cifre sostanzialmente stabili rispetto al 2023, quando sono state 395.900, e al 2022, quando furono 391.700. Il tumore più frequentemente diagnosticato quest’anno è il carcinoma della mammella (53.686 casi), seguito dai tumori a colon-retto (48.706), polmone (44.831), prostata (40.192) e vescica (31.016).
La buona notizia è che la metà di questi malati guarirà e avrà la stessa attesa di vita di chi non ha sviluppato il cancro, grazie soprattutto alla diagnosi precoce. Nello specifico, la probabilità di guarigione per le donne colpite, nello scorso decennio, da tumore dell’utero è stata del 69%, per il collo dell’utero del 58%, per l’ovaio del 32%. Nel carcinoma della mammella la sopravvivenza è pari complessivamente al 73%, ma passa dal 99% nello stadio I all’81% nello stadio II, per scendere al 36% negli stadi III e IV. Per il tumore del colon-retto, considerando tutti gli stadi, la probabilità di guarire è del 56%, oscillando tra il 92% se la malattia è diagnosticata in stadio precoce e il 71% in stadio II.
Un altro elemento positivo, determinato soprattutto dai progressi nelle terapie, è costituito dal costante incremento del numero di persone che vivono dopo la diagnosi di tumore: nel 2024 sono circa 3,7 milioni, il 6,2% dell’intera popolazione, spiega Diego Serraino, direttore Soc Epidemiologia oncologica e Registro tumori del Friuli Venezia Giulia, Centro di riferimento oncologico Irccs Aviano.
Mortalità in calo
Quanto a chi non ce la fa, nel 2022 in Italia sono stati stimati 35.700 decessi per cancro del polmone, 24.200 per il colon-retto, 15.500 per la mammella, 14.900 per il pancreas e 9.900 per lo stomaco. Dei quasi 10 milioni di morti oncologiche ogni anno in tutto il mondo, il 10,5% avviene in giovani adulti, cioè persone di età compresa tra 20 e 49 anni. In Europa, dove le popolazioni sono più vecchie, le morti per cancro in giovani adulti rappresentano il 4,3% di tutti i decessi oncologici registrati nel 2022.
Inoltre, sempre secondo il censimento, la mortalità per cancro nei giovani adulti in 15 anni (2006-2021), è diminuita del 21,4% nelle donne e del 28% negli uomini. Una riduzione particolarmente accentuata per il carcinoma polmonare: -46,4% di decessi nelle donne e -35,5% nei maschi. Un dato particolarmente importante, se si considera che questa neoplasia rappresenta la prima causa di morte oncologica negli uomini giovani adulti e la seconda nelle donne dopo il tumore della mammella, come ha sottolineato Massimo Di Maio, presidente eletto Aiom.
Fabrizio Stracci, presidente Airtum, ha anche evidenziato come “un ruolo, seppure parziale, nel potenziale calo delle nuove diagnosi di cancro vada anche attribuito alla riduzione di circa il 2,5% della popolazione italiana tra il 2017 e il 2024, da 60.484.000 abitanti a 58.990.000″.
C’è ancora molto da fare, a partire dagli screening
Rimangono comunque alcune aree su cui intervenire, a partire dalla prevenzione che passa dagli stili di vita e dai tre programmi di screening. Nel 2023, rispetto agli anni precedenti – evidenzia il report – si registra una maggiore copertura della popolazione, che raggiunge il 49% per lo screening mammografico, il 47% per quello cervicale e il 32% per quello colorettale. Tuttavia, restano notevoli differenze territoriali, con le regioni meridionali che fanno registrare livelli di adesione inferiori rispetto alle altre aree in tutti e tre i programmi.
Basta vedere i dati: per la mammografia la copertura ha raggiunto il 62% al Nord, il 51% al Centro e il 31% al Sud, mentre lo screening cervicale mostra un livello di copertura pari al 57% al Nord, al 45% al Centro e al 35% al Sud. Inferiori le percentuali di adesione allo screening colorettale: 45% al Nord, 32% al Centro e 15% al Sud, snocciola Paola Mantellini, direttrice Osservatorio nazionale screening, organismo coordinato dall’Istituto per lo studio, la prevenzione e la rete oncologica della Regione Toscana.
Eppure, “individuare un tumore o i suoi precursori in fase iniziale permette di intervenire tempestivamente, con trattamenti più efficaci, meno invasivi e con minori rischi di complicanze, garantendo maggiore sopravvivenza e qualità della vita”, rimarca l’esperta.
La prevenzione passa dagli stili di vita
Altro grosso capitolo, gli stili di vita, un aspetto sottolineato anche dal ministro della Salute Orazio Schillaci nella prefazione del volume del censimento, frutto della collaborazione tra Aiom, Airtum (Associazione italiana registri tumori), Fondazione Aiom, Osservatorio nazionale screening (Ons), Passi (Progressi delle aziende sanitarie per la salute in Italia), Passi d’Argento e Società italiana di anatomia patologica e di citologia diagnostica (Siapec-Iap): “Oggi sappiamo che l’errata alimentazione incide per circa il 35% sull’insorgenza dei tumori e che la dieta mediterranea riduce del 10% la mortalità complessiva, prevenendo lo sviluppo di numerosi tipi di cancro”.
“La prevenzione è un pilastro fondamentale della nostra strategia. Promuovere stili di vita sani e incrementare l’adesione ai programmi di screening organizzati sono obiettivi strategici per ridurre il rischio di sviluppare molte tipologie di tumore, consentire una diagnosi precoce e intercettare tempestivamente la malattia. In questo contesto, il ruolo della ricerca è fondamentale”, ha sottolineato ancora Schillaci nel messaggio inviato al presidente Aiom Francesco Perrone in occasione della presentazione del censimento.
Sullo stile di vita è intervenuto anche lo stesso Perrone, il quale ha evidenziato come a fronte di una lieve riduzione dei nuovi casi di cancro il quadro rimanga ancora preoccupante proprio per la permanenza di alti fattori di rischio, comportamentali e ambientali.
Italiani rimandati sugli stili di vita
Gli italiani, infatti, non fanno benissimo quanto a stile di vita: il 24% degli adulti fuma, il 33% è in sovrappeso e il 10% è obeso, il 18% consuma alcol in quantità a rischio per la salute. E si registra un boom di sedentari, aumentati dal 23% nel 2008 al 28% nel 2023.
Più nel dettaglio, il fumo è più frequente fra gli uomini (28% vs 21%), fra i più giovani, fra i residenti nel Centro-Sud ed è fortemente associato allo svantaggio sociale, coinvolgendo molto di più le persone con difficoltà economiche (36% vs 21%) o bassa istruzione (26% fra chi ha al più la licenza elementare vs 18% fra i laureati), ha spiegato Maria Masocco, responsabile scientifico dei sistemi di sorveglianza Passi e Passi D’Argento, coordinati dall’Istituto superiore di sanità.
Quanto all’alcol, considerato sostanza tossica e cancerogena secondo le principali Agenzie internazionali di salute pubblica, non esiste rischio zero e qualsiasi modalità di consumo comporta un rischio, tanto più elevato quanto maggiore è la quantità di alcol consumata. Nel biennio 2022-2023, in Italia meno della metà degli adulti di età compresa tra i 18 e i 69 anni (42%) dichiara di non consumare bevande alcoliche, ma 1 persona su 6 (18%) ne fa un consumo definito a ‘maggior rischio’ per la salute, per quantità e/o modalità di assunzione.
Da notare che, diversamente dagli altri fattori di rischio comportamentali, il consumo di alcol è più frequente fra le classi sociali più abbienti, senza difficoltà economiche e/o con livelli di istruzione elevati.
Anche sull’attività fisica c’è molto margine di miglioramento: facendo riferimento ai livelli attualmente raccomandati dall’Oms, nel biennio 2022-2023 il 48% della popolazione adulta in Italia può essere classificata come ‘fisicamente attiva’, il 24% ‘parzialmente attiva’, e il 28% è completamente ‘sedentaria’.
La sedentarietà è più frequente fra le donne (32% vs 24% fra gli uomini), aumenta con l’età (24% fra 18-34enni vs 33% fra i 50-69enni), disegna un chiaro gradiente geografico a sfavore delle regioni del Meridione (40% vs 16% nel Nord) e un gradiente sociale a svantaggio delle persone con maggiori difficoltà economiche (42%) o basso livello di istruzione (48% fra chi ha al più la licenza elementare vs 25% fra i laureati). Non solo, ma negli anni la sedentarietà è aumentata significativamente e costantemente passando dal 23% del 2008 al 28% nel 2023, coinvolgendo allo stesso modo uomini e donne e tutte le classi di età, ma più velocemente i più giovani e soprattutto il Meridione e il Centro, ampliando il gradiente geografico fra Nord (dove resta costante) e Sud del Paese; infine è aumentata anche fra le persone abbienti e meno abbienti, ma più velocemente fra le persone con maggiori difficoltà economiche.
Infine sovrappeso e obesità, altro importante fattore di rischio oncologico: nel biennio 2022-2023 più di 4 adulti su 10 sono in eccesso ponderale, ovvero il 33% è in sovrappeso e il 10% è obeso. L’obesità è poco più frequente fra gli uomini (11% vs 10% fra le donne), aumenta significativamente con l’età (5% fra 18-34 anni, 10% fra 35-49 anni e 14% fra 50-69 anni) e coinvolge particolarmente le persone con svantaggio sociale (18% fra persone con molte difficoltà economiche vs 9% fra chi non ne riferisce). Storicamente più frequente nel Sud del Paese, oggi il gradiente geografico fra Nord e Sud del Paese si è annullato.
Insomma nella lotta ai tumori ci sono segnali incoraggianti e risultati visibili, ma c’è ancora molto da fare, e in questo contesto si inserisce a tutto tondo il Piano oncologico nazionale 2023-2027 che, ha sottolineato infine Schillaci nel suo messaggio, “è una risposta concreta a queste sfide: dall’integrazione dei percorsi assistenziali al potenziamento della prevenzione, fino allo sviluppo della ricerca”.
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Vaccinazioni, novità e obiettivi per il 2025
La prevenzione è un tema che tocca tutti, senza eccezioni. Non c’è età, non c’è fascia di popolazione che possa considerarsi immune dalla necessità di prendersi cura della propria salute, e il nuovo Calendario della vita 2025 lo conferma con una visione a 360 gradi. Questo documento non è solo un aggiornamento delle linee guida vaccinali ma è una vera e propria mappa per orientarsi nell’universo della prevenzione: un vademecum per tutti, dai neonati agli anziani, passando per gli adolescenti e gli adulti.
Il documento, che raccoglie le evidenze scientifiche più aggiornate, è il frutto di un lavoro sinergico tra esperti e società scientifiche di rilievo, con un obiettivo preciso: aggiornare il piano vaccinale per tutte le età, dando nuove indicazioni e rispondendo alle sfide che la medicina ci presenta.
Le novità del calendario vaccinale
Il nuovo Calendario della Vita non è solo un aggiornamento tecnico, ma un vero e proprio vademecum per la salute. Sono molte le novità e i miglioramenti rispetto alla versione precedente del 2019. Prima fra tutte, l’introduzione della vaccinazione contro il virus respiratorio sinciziale (RSV) per neonati e bambini. Questo virus, responsabile di malattie respiratorie gravi nei piccoli, ha visto un innovativo approccio grazie all’uso di anticorpi monoclonali da somministrare ai neonati ad alto rischio. Una vera e propria rivoluzione che promette di ridurre drasticamente i ricoveri ospedalieri per bronchiolite nei più piccoli.
Un altro aggiornamento importante riguarda il vaccino contro il meningococco B, che viene offerto gratuitamente agli adolescenti. Il meningococco B è una delle cause principali di meningite e sepsi nelle persone giovani, quindi garantirne la prevenzione in età adolescenziale è fondamentale. Un piccolo gesto, che potrebbe fare una grande differenza nella vita dei ragazzi, salvando vite e prevenendo complicazioni gravi.
E non finisce qui. Il vaccino contro lo pneumococco è ora disponibile in nuove formulazioni, in grado di coprire un numero maggiore di ceppi (15 e 20). Si tratta di un vaccino essenziale per anziani e adulti fragili, che previene polmoniti e infezioni gravi. Anche l’Herpes Zoster, che può causare dolorosi focolai di varicella nell’età adulta, è al centro di un nuovo vaccino che garantisce una protezione più lunga e
Il Calendario della Vita 2025 non dimentica gli adulti, anzi. Se la vaccinazione infantile è ormai una routine consolidata, quella per gli adulti e gli anziani ha bisogno di essere potenziata. Malattie come l’influenza, lo pneumococco e l’Herpes Zoster (che può causare il doloroso fuoco di Sant’Antonio) richiedono una protezione continua. La medicina generale e i medici di famiglia sono sempre più chiamati a svolgere un ruolo fondamentale in questo tipo di prevenzione, promuovendo la vaccinazione tra i pazienti più vulnerabili.
Il tema del vaccino contro l’HPV (Human Papillomavirus) è un altro punto importante. Sebbene questo vaccino abbia già mostrato la sua efficacia nel prevenire il cancro al collo dell’utero, le coperture in Italia sono ancora insufficienti, soprattutto tra gli adolescenti. L’obiettivo è aumentare sensibilmente il numero di persone vaccinate, per ridurre ulteriormente l’incidenza di malattie oncologiche correlate al papillomavirus.
Un capitolo del Calendario è dedicato al vaccino contro il Covid-19, che ha cambiato il volto della sanità mondiale negli ultimi anni. L’introduzione di questo vaccino ha avuto un impatto senza precedenti, con milioni di vite salvate e una protezione straordinaria che ha ridotto i decessi e le complicazioni. Eppure, nonostante il suo successo, il vaccino contro il Covid è anche simbolo di una certa stanchezza da parte della popolazione. Il messaggio che viene ribadito con forza nel Calendario è che vaccinarsi è un investimento per il futuro, non solo per la propria salute, ma anche per la salute degli altri.
Anagrafe vaccinale nazionale
Ma c’è un aspetto che fa da filo conduttore in tutto il documento: la necessità di creare un’anagrafe vaccinale nazionale. In altre parole, un sistema centralizzato che raccolga e gestisca i dati relativi alle vaccinazioni non solo per i bambini, ma anche per gli adulti e gli anziani. Questo non è solo un passo verso una maggiore efficienza nella gestione delle campagne vaccinali, ma è anche un modo per garantire che nessuno venga lasciato indietro.
Se da un lato ci sono bambini che non ricevono i vaccini di routine, dall’altro ci sono adulti che dimenticano di rinnovare le proprie vaccinazioni o di chiedere quelle raccomandate dalla propria fascia di età. Un database che tenga traccia delle vaccinazioni di tutti potrebbe essere la soluzione.
In generale, le raccomandazioni contenute nel documento sono il risultato del lavoro di cinque società scientifiche e di oltre 50mila professionisti sanitari, tra cui medici pediatri, medici di medicina generale e specialisti in igiene e sanità pubblica. Il documento si propone come base per l’aggiornamento delle politiche sanitarie nazionali e auspica una maggiore integrazione delle vaccinazioni nelle politiche di salute pubblica, coinvolgendo anche i medici di base e gli specialisti nella promozione della prevenzione tra gli adulti e gli anziani.
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Ssn al bivio, digitale e donne la combinazione vincente?
Cosa succede quando il cuore pulsante del Servizio Sanitario Nazionale si spezza? Una generazione di medici e infermieri stremati, che non cercano più solo una cura per i pazienti, ma una via di fuga. Il III Rapporto sulla Salute e il Sistema Sanitario presentato da Eurispes ed Enpam sembra quasi il referto di una malattia cronica: un sistema nato per servire il benessere collettivo, oggi arranca tra carenze di personale, contratti precari e un burnout che brucia come febbre alta.
Un Ssn in transizione
Tra il 2008 e il 2022, il personale medico e infermieristico del Ssn è passato dall’espansione alla decrescita. Se un tempo 100 dipendenti usciti venivano sostituiti da 80 nuove assunzioni (nel 2014), oggi il saldo è ben più magro, aggravato dall’aumento del lavoro precario (+44,6% di contratti a tempo determinato tra il 2019 e il 2022). Il risultato? Età media sempre più alta (50,5 anni per i medici, 46,9 per gli infermieri) e una produttività che soffre di invecchiamento precoce.
Ma non è solo questione di numeri. I turni infiniti, le aggressioni nei Pronto Soccorso e la burocrazia opprimente non fanno che spegnere la passione per una professione che dovrebbe essere sinonimo di vocazione. La conseguenza? Un Ssn che si svuota di significato e di talento, con un medico su due in burnout (52%) e poco meno per gli infermieri (45%). E ancora una volta, le donne pagano il prezzo più alto: non solo sono le più esposte alle difficoltà di conciliazione lavoro-famiglia, ma anche alle aggressioni, che colpiscono i due terzi delle professioniste.
Donne e tecnologia al timone del cambiamento
Eppure, nel cuore della crisi, c’è una rivoluzione che pulsa silenziosa: quella delle donne. Oggi, due terzi del personale sanitario è femminile, e più di un medico su due è donna (51,3%). Ma attenzione: non è tutto oro ciò che luccica. Le posizioni di potere restano in mano agli uomini, con solo il 10% delle donne alla guida degli Ordini professionali e meno del 20% dei primari al femminile. Una disparità che sembra paradossale in un settore dove la presenza femminile è tanto forte quanto invisibile nelle stanze dei bottoni.
La tecnologia potrebbe essere l’alleata inaspettata di questo cambiamento. Tra intelligenza artificiale e telemedicina, il Ssn potrebbe non solo risparmiare tempo e risorse, ma anche migliorare le condizioni di lavoro dei suoi operatori. Già oggi, la digitalizzazione delle cartelle cliniche e la refertazione a distanza stanno cambiando il volto della professione, mentre la robotica chirurgica promette interventi più rapidi e precisi. Tuttavia, l’Italia è al 18° posto per digitalizzazione tra i 27 Paesi dell’Ue: il gap è evidente e pericoloso, soprattutto se le disuguaglianze dell’era analogica rischiano di moltiplicarsi in quella digitale.
Infine, c’è una nuova leva che spinge dal basso: la Generazione Z. Flessibili, mobili, digitalmente nativi, i giovani che si affacciano oggi alla professione portano con sé un nuovo modo di concepire il lavoro. Vogliono conciliare vita e carriera, chiedono ambienti di lavoro più sani e turnazioni sostenibili. Ma per trattenere questi giovani talenti, il Ssn deve cambiare pelle: stipendi più competitivi, meno burocrazia, più supporto per la conciliazione lavoro-vita privata.
Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza è forse l’ultima occasione per rimettere il Servizio Sanitario Nazionale sui binari giusti. La digitalizzazione è una strada obbligata, ma non sufficiente: serve un’azione integrata che tocchi tutte le dimensioni del sistema, dalla formazione del personale alla riforma delle carriere. E soprattutto, serve una visione che riconosca il valore umano di chi, ogni giorno, tiene in piedi il Ssn, spesso con sforzi sovrumani.
Il futuro del Ssn non è scritto, ma una cosa è certa: sarà più femminile, più digitale e, si spera, più giusto. Riusciremo a trasformare la crisi in opportunità?