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L’1% della popolazione controlla più ricchezza del 95% del mondo

In un contesto mondiale sempre più polarizzato, l’ineguaglianza economica si sta ampliando a un ritmo allarmante. Un recente rapporto di Oxfam Intermón, presentato durante le sessioni dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, ha messo in evidenza una verità inquietante: l’1% più ricco della popolazione mondiale possiede una ricchezza superiore a quella del 95% della popolazione globale. Questo dato, frutto di un’analisi basata su dati di UBS, sottolinea non solo la disparità economica, ma anche l’impatto significativo che questa ha sulla nostra società e sull’economia globale.

La concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi non è solo un problema economico, ma una questione di giustizia sociale. L’influenza crescente dei miliardari sulle decisioni economiche e politiche sta portando a una “iperconcentrazione di potere”, che mina gli sforzi collettivi per affrontare sfide globali come la crisi climatica, la povertà e la disuguaglianza.

Il ruolo dei miliardari nell’economia globale

Oxfam ha evidenziato come più di un terzo delle 50 maggiori aziende al mondo abbia un miliardario come amministratore delegato o azionista di maggioranza. La capitalizzazione di mercato di queste aziende ammonta a circa 13.300 miliardi di dollari, un segno tangibile di quanto il potere economico sia concentrato in poche mani. Questa situazione non solo mette in discussione il concetto di meritocrazia, ma pone interrogativi critici sulla sostenibilità del nostro sistema economico.

Questa “oligarchia globale” sta plasmando le regole del gioco a proprio favore, a discapito del resto della popolazione. L’ombra dell’oligarchia si allunga sulle istituzioni internazionali, come le Nazioni Unite, le quali stanno perdendo la loro capacità di affrontare efficacemente le disuguaglianze e le ingiustizie a livello mondiale. Secondo Franc Cortada, direttore di Oxfam Intermón, gli ultra-ricchi e le mega-corporazioni stanno ostacolando i progressi verso un futuro più equo.

La disuguaglianza tra il nord e il sud globale

Uno degli aspetti più critici di questa situazione è l’impatto sui tentativi di affrontare le sfide globali, come la crisi climatica e le disuguaglianze persistenti. Oxfam osserva che gli sforzi per combattere l’evasione fiscale, garantire l’accesso ai vaccini e gestire il debito dei Paesi in via di sviluppo vengono ostacolati dai poteri oligarchici. In effetti, l’1% più ricco possiede il 43% degli asset finanziari globali, un dato che pone seri interrogativi sulla possibilità di attuare politiche che possano garantire un futuro sostenibile per tutti. La presenza di pochi attori dominanti, come i grandi gestori di fondi, che controllano una porzione così significativa degli investimenti globali, rappresenta una barriera significativa per l’implementazione di politiche equitative.

In questo contesto, la risposta di Oxfam si concentra sulla necessità di un’azione multilaterale che promuova un nuovo modello di fiscalità internazionale, la cancellazione dei debiti pubblici insostenibili e un quadro normativo per la proprietà intellettuale che garantisca l’accesso alle tecnologie essenziali, specialmente in tempo di crisi sanitaria. Questi temi non sono solo tecnicismi economici, ma rappresentano la chiave per un futuro più giusto e equo. Tuttavia, la strada da percorrere è in salita. Le recenti pressioni delle grandi aziende nei negoziati internazionali hanno dimostrato come la lobby economica possa ostacolare progressi significativi. L’incapacità di affrontare la tassazione internazionale e le problematiche legate ai diritti di proprietà intellettuale sono esempi lampanti di come gli interessi oligarchici stiano minando gli sforzi per un ordine mondiale più equo.

In particolare, la crisi della pandemia ha messo in evidenza l’urgenza di riforme strutturali. Le grandi aziende farmaceutiche, ad esempio, hanno accumulato profitti enormi durante la pandemia, mentre si opponevano agli sforzi per rendere le tecnologie vaccinali accessibili a tutti. Questo monopolio ha causato un’enorme disparità nella distribuzione dei vaccini, contribuendo a una crisi globale della salute pubblica. Nonostante le resistenze, ci sono segnali di speranza: le discussioni su un nuovo trattato internazionale per le pandemie stanno guadagnando slancio, miranti a garantire che le lezioni apprese dalla pandemia non vengano dimenticate.

Un altro aspetto cruciale è rappresentato dalla crisi del debito globale, che ha colpito in modo sproporzionato i Paesi a basso reddito. Questi Paesi spendono quasi il 40% dei loro bilanci annuali per il servizio del debito, una cifra che supera di gran lunga gli investimenti in sanità, istruzione e protezione sociale. La predominanza dei prestatori privati, che spesso operano come “fondi avvoltoio”, complica ulteriormente la situazione. Questi investitori acquistano debito in difficoltà e fanno pressioni per ottenere pagamenti completi, a spese dello sviluppo socio-economico dei Paesi indebitati.

In sintesi, la relazione di Oxfam Intermón mette in luce una realtà preoccupante: l’iperconcentrazione della ricchezza e del potere minaccia i progressi verso una società più giusta. Mentre alcuni leader globali stanno iniziando a riconoscere l’importanza di affrontare le disuguaglianze, è chiaro che sono necessari sforzi concertati per invertire la tendenza verso l’oligarchia globale. Solo attraverso un impegno collettivo e un approccio equo è possibile sperare in un futuro in cui tutti possano beneficiare dei frutti dello sviluppo economico.

Un team di giornalisti altamente specializzati che eleva il nostro quotidiano a nuovi livelli di eccellenza, fornendo analisi penetranti e notizie d’urgenza da ogni angolo del globo. Con una vasta gamma di competenze che spaziano dalla politica internazionale all’innovazione tecnologica, il loro contributo è fondamentale per mantenere i nostri lettori informati, impegnati e sempre un passo avanti.

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Primo suicidio in Svizzera con capsula Sarco ma scattano...

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La capsula Sarco per il suicidio assistito è stata utilizzata per la prima volta ieri, 24 settembre, in Svizzera. Un’americana di 64 anni ha scelto di ricorrere alla capsula suicida per porre fine alle proprie sofferenze in una foresta del canton Sciaffusa. La donna soffriva da anni di gravi problemi legati ad una grave deficienza immunitaria. Sentiva il desiderio di morire da almeno due anni e i suoi due figli “erano completamente d’accordo” con la sua decisione, ha spiegato la co-presidente dell’organizzazione The Last Resort, Fiona Stewart, al media elvetico Blick.

Eppure, anche nel Paese elvetico, da sempre molto aperto sul ‘fine vita’, la vicenda fa discutere. La polizia ha subito annunciato di aver arrestato diverse persone contro le quali è stato avviato un procedimento penale per istigazione al suicidio. Ma il suicidio assistito è legale o no in Svizzera? Facciamo il punto.

La capsula Sarco in Svizzera: come funziona

La capsula Sarco è stata promossa a luglio da The Last Resort, un piccolo collettivo internazionale di sostenitori dei diritti umani. L’idea alla base del progetto è nata 12 anni fa dalla società Exit International, con l’obiettivo di “realizzare una capsula in grado di produrre una rapida diminuzione del livello di ossigeno, mantenendo al contempo un basso livello di CO2 (le condizioni per una morte pacifica, persino euforica)”, come spiega la società sul suo sito.

Il metodo consiste in una capsula sigillata in cui chi decide di togliersi la vita si stende e preme un pulsante che provoca la morte in pochi minuti. L’azoto liquido presente in un contenitore viene istantaneamente evaporato, così il livello di ossigeno scende sotto il 5% in meno di un minuto (nell’aria che respiriamo è al 21%). Il decesso interviene dunque per asfissia da azoto: dopo pochi respiri, la persona perde i sensi e la morte sopraggiunge nel giro di circa cinque minuti.

La capsula Sarco (da ‘sarcofago’) è mobile e permette al ‘paziente’ di scegliere dove morire. Per motivi logistici e di opportunità, è verosimile che il suo utilizzo (se confermato) avverrà sempre in Svizzera, come fatto dalla donna americana, giunta nel Paese proprio per utilizzare la capsula.

L’ideatore di Sarco, il dottor Philip Nitschke, ha seguito la procedura dalla Germania, utilizzando un cardiofrequenzimetro e una telecamera piazzata dentro la capsula: “Quando la donna è entrata nel Sarco, ha premuto quasi subito il pulsante. Non ha detto nulla, voleva davvero morire. Stimo che abbia perso conoscenza nel giro di due minuti e sia morta dopo cinque minuti. Esattamente come ci aspettavamo”, ha commentato al quotidiano olandese Volkskrant.

Per richiedere un suicidio assistito presso The Last Resort bisogna avere (almeno) una di queste condizioni: vecchiaia avanzata e che non consenta l’autosufficienza; polipatologie relative all’invecchiamento; malattie gravi, croniche o terminali; demenza precoce e assenza di lucidità mentale.

La capsula per il suicidio è legale?

Per molti la presentazione della capsula suicida, avvenuta lo scorso luglio, era una prova della sua legittimità. Ma non è così: anche se i suoi promotori affermano il contrario, la capsula Sarco non è legale neppure in Svizzera.

Lo ha chiarito la ministra della Sanità elvetica Elisabeth Baume-Schneider rispondendo alle interrogazioni in parlamento. La capsula suicida non è legale perché non soddisfa i requisiti sulla sicurezza dei prodotti. Per questo non dovrebbe quindi essere immessa sul mercato. Dalle parole della ministra Baume-Schneider risulta che eventuali responsabilità andrebbero chiarite caso per caso.
C’è poi il discorso sull’azoto utilizzato dalla capsula Sarco. Se questo gas non venisse utilizzato in rispetto alle norme, la questione sarebbe di competenza cantonale, ha precisato la ministra. Le procure di diversi Cantoni hanno annunciato un procedimento penale in caso di impiego nella loro giurisdizione. L’utilizzo di questa capsula ha riacceso il dibattito etico sul fine vita persino in uno Stato rinominato per la sua apertura sul tema. Tanti italiani decidono di ricorrere al suicidio assistito in Svizzera.

Qualche mese fa, intervistato da Teleticino, il presidente della Commissione Etica dell’EOC Mattia Lepori si era espresso sulla capsula Sarco parlando di “un dispositivo tecnico che permette di accedere a un’assistenza al suicidio con una modalità diversa da quella che viene applicata attualmente, ovvero quella farmacologica”. Un’alternativa che Lepori trova futile: “Francamente, non mi sembra che questo prodotto risponda a un bisogno impellente. Il protocollo farmacologico, utilizzato da persone competenti, permette già di ottenere il risultato che si ricerca senza problemi”.

Sullo sfondo il timore di un ‘turismo del suicidio’ perché la capsula Sarco è stata lanciata come “un qualsiasi prodotto commerciale”, aveva già denunciato Lepori. Il fatto che il fondatore la abbia rinominata “la Tesla dell’eutanasia” non ha aiutato.

“Se queste persone intendono agire facendosi forti del fatto che la nostra legislazione è molto liberale e quindi non rispettando quelle che sono le direttive dell’accademia svizzera delle scienze mediche e della federazione dei medici svizzeri, è possibile che ci sia un fenomeno di risucchio, persone che vengono dall’estero per beneficiare di questa assistenza che negli altri Paesi non è permessa”, come già avviene per il suicidio farmacologico.

Suicidio assistito, cosa prevede la legge svizzera

Ma allora perché si può ricorrere al suicidio farmacologico, mentre la capsula Sarco è illegale?

La risposta è in bilico tra legge e prassi.

L’art. 115 del Codice penale svizzero prevede che “chiunque, per motivi egoistici, istiga alcuno al suicidio o gli presta aiuto è punito, se il suicidio è stato consumato o tentato, con una pena detentiva sino a cinque anni o con una pena pecuniaria”.

L’eutanasia attiva diretta (il medico o un terzo somministra intenzionalmente al paziente un’iniezione che conduce direttamente alla morte, per ridurne le sofferenze) è punita ai sensi degli articoli 111 (omicidio intenzionale), 114 (omicidio su richiesta) o 113 (omicidio passionale) del Codice penale svizzero.

L’eutanasia attiva indiretta (l’impiego di mezzi per alleviare le sofferenze di qualcuno, i quali possono tuttavia come effetto secondario abbreviarne la vita) non è regolata esplicitamente dal Codice penale vigente, ma è consentita in linea di massima. Anche le direttive sull’eutanasia dell’Accademia svizzera delle scienze mediche considerano ammissibile questo genere di eutanasia. In pratica, cambia la ratio: il farmaco (ad esempio la morfina) non viene somministrato per provocare la morte del paziente, ma per alleviarne il dolore. Se, però, il farmaco ha come effetto ‘indiretto’ la morte della persona, la pratica non costituisce reato.


L’eutanasia passiva (la rinuncia ad avviare o la sospensione di terapie di sostentamento vitale), infine, non è regolata esplicitamente dalla legge, ma è considerata ammissibile.

Capsula Sarco, perché ci sono stati degli arresti?

Alla luce di queste considerazioni, si vede come l’utilizzo della capsula Sarco rientri in una zona grigia che, allo stato attuale, ha portato agli arresti di diverse persone: “La Procura del canton Sciaffusa è stata informata da uno studio legale, alle 16.40 di lunedì 23 settembre 2024, che nel pomeriggio si era verificato un suicidio assistito con la capsula Sarco in un rifugio forestale a Merishausen. Di conseguenza, la polizia di Sciaffusa, compreso il servizio forense e la Procura, sono stati inviati sul posto. Sono stati chiamati anche gli specialisti dell’Istituto forense di Zurigo e dell’Istituto di medicina legale di Zurigo”, si legge nel comunicato della polizia.

“La capsula suicida Sarco – aggiungono le forze dell’ordine – è stata recuperata e il deceduto è stato portato all’Istituto di medicina legale per l’autopsia. Inoltre, diverse persone nella zona di Merishausen sono state prese in custodia dalla polizia. La Procura sta indagando anche sulla violazione di altri reati penali”. A causa del segreto d’ufficio e delle indagini, al momento non sono state rilasciate ulteriori informazioni.

De Volkskrant riporta che tra le persone fermate c’è il fotografo del giornale, “che aveva seguito da vicino il caso e voleva scattare delle foto. Il giornale non è riuscito a contattare il suo collaboratore per ore. Nella tarda serata di lunedì, la polizia di Sciaffusa ha confermato che l’uomo era trattenuto alla stazione di polizia, ma non ha voluto fornire ulteriori spiegazioni”.

Secondo il giornale olandese, la polizia sciaffusana “potrebbe aver trattenuto anche il direttore di The Last Resort, Florian Willet, che era presente al suicidio”.

Le prossime settimane, con la condanna o l’assoluzione delle persone arrestate, saranno fondamentali per capire se l’utilizzo della capsula suicida verrà considerato ammissibile o meno.

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Dal voto in condotta ai giudizi “Ottimo” o “insufficiente”:...

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La Camera dei deputati ha dato il via libera definitivo alla riforma della condotta e del sistema di valutazione nelle scuole, con un’importante novità per la scuola primaria: il ritorno ai giudizi sintetici, da “ottimo” a “insufficiente“.

Si tratta di un cambiamento rilevante volto a rendere più chiara e comprensibile la valutazione degli alunni, sia per le famiglie sia per gli stessi studenti. E secondo il ministro dell’Istruzione, è una questione di “responsabilità”.

“Sistema scolastico più responsabile”

Il ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, ha commentato con soddisfazione l’approvazione della legge, sottolineando il valore educativo di questa riforma: “La legge approvata dal Parlamento rappresenta un passaggio fondamentale per la costruzione di un sistema scolastico che responsabilizzi i ragazzi e restituisca autorevolezza ai docenti”, ha dichiarato il ministro. “Ringrazio i gruppi parlamentari di maggioranza per questo importante risultato”.

La condotta come elemento di valutazione?

Uno degli aspetti centrali della riforma riguarda il comportamento degli studenti, che ora influirà in maniera significativa sulla valutazione complessiva e più in generale sull’ammissione agli esami di Stato. La condotta non sarà più una semplice formalità, ma avrà un peso determinante nel percorso scolastico degli alunni.

Secondo Valditara, questa misura punta a “sostenere il lavoro quotidiano dei docenti” e a far sì che i giovani comprendano “non solo i diritti, ma anche i doveri che derivano dall’appartenere a una comunità“, con particolare riferimento al rispetto per gli altri e per i beni pubblici.

Cambiamenti per le sospensioni

La riforma introduce anche una revisione delle sanzioni disciplinari. In caso di violazioni delle regole, gli studenti non verranno più sospesi con semplici giorni di assenza dalla scuola. Al contrario, l’obiettivo è far trascorrere “più scuola, non meno scuola” agli alunni, con percorsi di cittadinanza solidale per i comportamenti più gravi.

Ritorno ai giudizi sintetici

Un’altra grande misura attesa per l’inizio della scuola riguardava la primaria e il ritornano dei giudizi sintetici, un sistema di valutazione che sostituisce i precedenti livelli e che si basa su quattro gradi: da “ottimo” a “insufficiente”.

Questa soluzione, come spiegato dal Ministro, mira a semplificare la comunicazione con le famiglie, rendendo più immediata la comprensione dei risultati scolastici dei bambini. “Miglioriamo così l’efficacia della valutazione e la trasparenza nei confronti dei genitori”, ha dichiarato Valditara, ribadendo l’importanza di una scuola che funga da “perno per la costruzione di una società migliore”.

“Ridare autorevolezza ai docenti”

Concludendo, il ministro Valditara ha evidenziato come anche questa riforma abbia l’obiettivo di restituire importanza alla responsabilità individuale degli studenti, dando centralità ai concetti di rispetto e di convivenza civile, senza dimenticare il ruolo fondamentale degli insegnanti. “Si ripristina l’importanza della responsabilità individuale e si ridà autorevolezza ai docenti”, ha affermato.

La riforma segna così un nuovo capitolo per la scuola italiana, con l’obiettivo di formare studenti più consapevoli e responsabili, in un ambiente scolastico dove la condotta diventa un elemento cruciale del percorso educativo.

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Perché la fertilità spagnola non decolla (nonostante la PMA)

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La natalità in Spagna, e più in generale nel mondo sviluppato, è un tema di crescente interesse, tanto per le implicazioni socioeconomiche quanto per le sfide legate alla sostenibilità demografica. Uno studio dei trend di fertilità in Spagna evidenziato nell’indagine sulla fertilità del 2018 offre spunti intriganti su come i desideri di avere figli si scontrino spesso con ostacoli strutturali e personali, riflettendo una dissonanza tra l’intenzionalità riproduttiva e la realtà.

Il declino della fertilità

Nel 1991, Spagna e Italia sono stati i primi paesi al mondo a registrare un tasso di fertilità totale inferiore a 1,3 figli per donna. A distanza di oltre tre decenni, la situazione è rimasta pressoché invariata, con la Spagna che si conferma una delle nazioni con i tassi di fertilità più bassi al mondo. Secondo i dati del 2022, il tasso si attesta a 1,16 figli per donna. Tuttavia, ciò che desta particolare interesse è il divario significativo tra il numero di figli desiderati (che si avvicina ai due) e quello effettivamente avuto. Questo squilibrio tra desiderio e realtà indica che esistono ostacoli sistemici e personali che impediscono agli spagnoli di realizzare i propri progetti familiari.

I fattori determinanti

L’indagine del 2018 evidenzia che la presenza di un partner stabile e la disponibilità di risorse economiche sufficienti sono precondizioni fondamentali per l’avvio di un percorso genitoriale. Questo vale soprattutto tra i 25 e i 35 anni, quando si osserva la maggiore probabilità di transizione alla genitorialità. Non sorprende che l’instabilità lavorativa e i conflitti tra vita lavorativa e familiare emergano come i principali motivi per cui molte persone non riescono a raggiungere il numero di figli desiderato.

Un altro elemento di rilievo riguarda la differenza di genere nelle esperienze di fertilità. Gli uomini e le donne sperimentano percorsi riproduttivi leggermente diversi, anche se la probabilità di avere figli è significativamente legata, per entrambi, alla stabilità delle relazioni e all’occupazione. Tuttavia, per le donne, la condizione lavorativa sembra influenzare meno direttamente la decisione di avere figli, a differenza degli uomini, per i quali la stabilità lavorativa rappresenta un fattore chiave.

La questione del primo figlio

Analizzando in dettaglio il momento in cui gli spagnoli decidono di avere il primo figlio, emerge una tendenza chiara: la probabilità di diventare genitori cresce notevolmente tra i 30 e i 35 anni, ma dopo questa fascia d’età cala drasticamente. Per gli uomini, il possesso di un contratto di lavoro stabile aumenta la probabilità di avere figli, mentre per le donne, questa associazione appare meno forte. Tuttavia, l’avere un partner stabile si rivela un fattore determinante in entrambi i sessi per l’inizio del percorso genitoriale.

In questo contesto, la precarietà lavorativa assume un ruolo cruciale: i lavoratori con contratti temporanei o privi di occupazione stabile tendono a ritardare la formazione di una famiglia. Questo suggerisce che la sicurezza economica non solo facilita l’avvio della vita di coppia, ma rende anche più probabile la transizione verso la genitorialità.

Quanti figli si vogliono davvero?

Uno degli aspetti più interessanti emersi dall’indagine riguarda le intenzioni di fertilità, ovvero il numero di figli che le persone desiderano avere rispetto a quelli che effettivamente riescono ad avere. Tra i 45 e i 55 anni, circa il 30% degli intervistati ha meno figli di quanti ne avrebbe voluti, mentre solo l’1-2% ha superato le proprie aspettative riproduttive. Prima dei 32 anni, le donne mostrano una maggiore propensione a voler avere figli nei successivi tre anni rispetto agli uomini; tuttavia, dopo questa età, le intenzioni maschili superano quelle femminili. Questo cambiamento potrebbe riflettere una percezione diversa del tempo riproduttivo disponibile, dato che per le donne la finestra biologica per avere figli tende a essere più limitata.

Anche la parità gioca un ruolo chiave: la maggior parte di coloro che intendono avere figli sono o senza figli o con un solo figlio, e si concentrano tra i 28 e i 40 anni. Questo suggerisce che, mentre la società continua a percepire i 30 anni come il periodo ideale per iniziare a formare una famiglia, molti riescono a soddisfare solo parzialmente le proprie aspirazioni genitoriali.

Perché non si hanno più figli?

L’indagine ha indagato anche i motivi per cui le persone non hanno avuto il numero di figli che desideravano. Tra i principali ostacoli si segnalano la mancanza di risorse economiche adeguate e i conflitti tra vita lavorativa e familiare, seguiti dalla mancanza di un partner stabile e da problemi di salute, come l’infertilità. È interessante notare che le ragioni economiche diventano meno rilevanti con l’aumentare dell’età per il primo figlio, ma acquistano maggiore importanza per la decisione di avere un secondo figlio.

Inoltre, problemi di salute legati alla difficoltà di concepire emergono in modo significativo dopo i 40 anni. Questi fattori rappresentano ostacoli reali per molti spagnoli, che si trovano così a dover rinunciare al numero di figli desiderato.

Spagna all’avanguardia per la PMA

La Spagna è riconosciuta come uno dei paesi leader nell’ambito della procreazione medicalmente assistita (PMA), attirando pazienti da tutto il mondo grazie alla sua legislazione avanzata e alla qualità delle strutture mediche. Tuttavia, questo ruolo preminente nel settore della PMA non è sufficiente a compensare il declino generale della fertilità, che dipende da una serie di fattori socioeconomici, culturali e personali che vanno oltre le possibilità offerte dalla scienza medica.

Il contrasto tra la leadership spagnola nella PMA e il basso tasso di natalità si spiega guardando a una serie di elementi che influiscono direttamente sulla decisione di avere figli. Ma se la Spagna è leader nella riproduzione assistita, come si spiega il continuo declino della natalità?

Mentre la PMA offre soluzioni per i problemi di infertilità, essa non riesce a risolvere i problemi strutturali che impediscono a molti spagnoli di avere figli. Le principali ragioni del declino della natalità sono legate a dinamiche economiche, sociali e di vita quotidiana che la PMA non può affrontare da sola.

Nonostante la Spagna sia all’avanguardia nella PMA, l’accesso a queste tecniche non è universale. La PMA è un’opzione soprattutto per coppie con problemi di infertilità o per single e coppie dello stesso sesso che desiderano avere figli, ma non rappresenta una soluzione per la maggioranza della popolazione. Inoltre, i costi della PMA, non sempre coperti interamente dal sistema sanitario pubblico, e i limiti biologici imposti dall’età delle donne sono ulteriori fattori che limitano l’efficacia di questa tecnologia nel contrastare il declino della natalità.

Il quadro che emerge dall’indagine è quello di una popolazione che vorrebbe avere più figli, ma che non riesce a farlo per una serie di motivi legati all’incertezza economica, all’instabilità delle relazioni di coppia e ai problemi di salute. In futuro, sarà cruciale esplorare nuove politiche che possano sostenere le famiglie, favorire la conciliazione tra lavoro e vita privata, e migliorare la sicurezza economica, se si vuole invertire la tendenza verso un’ulteriore diminuzione della natalità.

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