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Staminali, trapianto in 25enne ‘azzera’ diabete tipo 1

E' la prima volta al mondo. La donna cinese: "Ora posso mangiare lo zucchero"

Laboratorio di ricerca su staminali (Fotogramma)

Per la prima volta al mondo un trapianto di cellule staminali riprogrammate ha 'azzerato' il diabete di tipo 1 in una donna di 25 anni di Tianjing che ha iniziato a produrre autonomamente l'insulina meno di 3 mesi dopo l'intervento. Sono i risultati dello studio cinese del Research Institute of Transplant Medicine, Organ Transplant Center del Tianjin First Central Hospital pubblicato su 'Cell'. Finalmente "ora posso mangiare lo zucchero", ha raccontato la donna in una intervista a 'Nature'. Lo studio clinico ha riportato i risultati preliminari a un anno dal trapianto autologo di staminali, prelevate dall'addome. Le cellule sono state riprogrammate chimicamente e sono state fatte crescere come delle cellule 'Beta' del pancreas. Una volta mature sono state inserite nel fegato della ragazza e hanno iniziato a rispondere ai segnali fisiologici, come la glicemia.

James Shapiro, chirurgo specializzato in trapianti e ricercatore all'Università di Alberta a Edmonton, ha spiegato a 'Nature' che i "risultati dell'intervento sono sorprendenti" e i ricercatori "hanno completamente invertito il diabete nel paziente, che prima necessitava di notevoli quantità di insulina". Lo studio, pubblicato oggi su 'Cell', segue i risultati di un altro gruppo di ricercatori, che a Shanghai - in aprile - ha riferito di aver trapiantato con successo isole produttrici di insulina nel fegato di un uomo di 59 anni con diabete di tipo 2. Grande fermento quindi su questa frontiera delle cellule staminali.

"Nel diabete di tipo 1, il sistema immunitario attacca le cellule delle isole pancreatiche - evidenzia lo studio -. I trapianti di isole pancreatiche possono curare la malattia, ma non ci sono abbastanza donatori per soddisfare la crescente domanda e i riceventi devono usare farmaci immunosoppressori per impedire al corpo di rigettare il tessuto del donatore. Come noto, invece, le cellule staminali possono essere utilizzate per far crescere qualsiasi tessuto nel corpo e possono essere coltivate indefinitamente in laboratorio, il che significa che potenzialmente offrono una fonte illimitata di tessuto pancreatico. Utilizzando tessuto ricavato dalle cellule di una persona, i ricercatori sperano anche di evitare la necessità di immunosoppressori".

Nello studio pubblicato su 'Cell', "la paziente ha raggiunto un'indipendenza prolungata dall'insulina a partire da 75 giorni dopo il trapianto", evidenziano i ricercatori del Tianjin First Central Hospital. L'intervallo glicemico target del paziente "è aumentato da un valore basale del 43,18% al 96,21% entro il quarto mese dal trapianto, accompagnato da una diminuzione dell'emoglobina glicata".

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Salute e Benessere

Tumore seno, l’oncologo: “Con terapie innovative...

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Su 'è tempo di vita': "Farmaci a bersaglio molecolare meno tossici allungano tempi per recidive cambiando storia della malattia"

Tumore seno, l’oncologo:

“Tornare al lavoro, per le donne con tumore al seno metastatico, è possibile e notevolmente auspicato. L'obiettivo delle cure infatti è migliorare la sopravvivenza e la qualità di vita delle pazienti rendendola il più possibile normale anche dal punto di vista relazionale. Il rientro al lavoro, ha un impatto psicologico estremamente forte e importante, e oggi è possibile grazie a terapie innovative, spesso orali, da assumere a casa, e che permettono di cronicizzare la malattia tumorale con un prolungamento significativo della sopravvivenza e quindi, con evidenti effetti positivi anche sulla qualità di vita e sul benessere della paziente”. Così Carmelo Bengala, direttore Uoc Oncologia medica 1, Azienda ospedaliera universitaria Pisana, descrive la prospettiva di un ritorno completo alla normalità, per una malattia che è diventata curabile con meno effetti collaterali e tempi di efficacia più rapidi e prolungati.

“La storia naturale della malattia è cambiata in questi anni - continua Bengala - Dai dati della letteratura sappiamo che, in Italia, il 66% delle donne con tumore mammario può guarire: sono quasi 2 donne su 3. Il carcinoma mammario metastatico è una patologia complessa, con caratteristiche biologiche differenti in termini di aggressività e di curabilità. Ci sono inoltre delle forme con un interessamento diffuso degli organi e forme, invece, molto più frequenti, che si limitano a livello di singoli organi e tessuti. L'innovazione diagnostica e successivamente terapeutica, ha portato allo sviluppo di farmaci specifici per i tumori ormonosensibili, per quelli cosiddetti triplo negativi e per i tumori che iperesprimono una proteina, la Her2, inclusi i tumori a bassa espressione di Her2”.

Questi trattamenti innovativi “permettono una terapia a bersaglio molecolare - precisa l’oncologo - con farmaci che si legano a molecole e recettori specifici delle cellule del tumore mammario, incrementando notevolmente l'indice terapeutico, quindi incrementando l’efficacia e riducendo la tossicità e con riduzione del rischio di progressione di malattia”. A tale proposito, “un altro aspetto di particolare impatto è la capacità dei nuovi trattamenti di ridurre il rischio di recidiva anche nelle donne a cui è stata diagnosticata la malattia in una fase iniziale”. All’ultimo congresso della Società americana di oncologia (Asco), “sono stati presentati i risultati di farmaci veicolati attraverso anticorpi monoclonali che riconoscono il recettore della cellula tumorale, si legano al recettore cellulare e rilasciano il farmaco. Questo meccanismo d’azione - chiarisce - ha aumentato notevolmente l'efficacia riducendone appunto la tossicità, cambiando di fatto la storia della malattia. Tutti questo è a vantaggio della qualità di vita delle pazienti: poter cronicizzare la malattia, con il mantenimento prolungato di una risposta al trattamento, per anni, le donne, spesso giovani, quindi molto attive, possono mantenere una vita il più possibile normale”, compreso il ritorno al lavoro.

Le nuove terapie pongono una nuova sfida per l’oncologo: “riuscire a trasmettere alla paziente questa consapevolezza perché diventi anche sua”. Serve un cambio di mentalità. A a volte si fa fatica a prospettare il “ritorno al lavoro”, ma “anche il ritorno a un'alimentazione normale, senza particolari restrizioni” anche grazie agli “effetti collaterali ridotti dei farmaci. Si tratta di cercare di far sentire la paziente meno ammalata di quanto lei sostanzialmente percepisca - sottolinea l’esperto - e questo passa attraverso la comunicazione. Al di là delle nozioni scientifiche sull'efficacia dei farmaci, è importante parlare alle pazienti anche di questo aspetto relativo al benessere, al ritorno alla vita, alla normalità relazionale, affettiva e lavorativa. Tutto questo deve entrare nella nostra pratica clinica”.

La stessa recidiva di un carcinoma della mammario metastatico, “che può presentarsi dopo alcuni anni dall'intervento chirurgico in una singola sede, molto limitata, o in più sedi - spiega Bengala - con le nuove terapie può essere affrontata, in entrambe i casi, con risposte rapide, e quindi una regressione della malattia. Nel caso di interessamento dello scheletro potrebbe essere necessaria una terapia del dolore di supporto, ma sin dai primi mesi di trattamento, la donna può riprendere una vita normale, anche lavorativa. Certo non si evitano possibili evoluzioni successive della malattia, ma la sopravvivenza in assenza di progressione della malattia è estremamente prolungata, con tempi più che raddoppiati con i nuovi trattamenti, rispetto ai vecchi. Questo tempo di vita in più è particolarmente prezioso perché, grazie alla velocità della ricerca, apre alla prospettiva dell’arrivo di nuove opportunità terapeutiche”.

La ricerca, inoltre, “è importante perché dà la possibilità alle pazienti, in caso di tumore resistente alle terapie, di entrare negli studi clinici e accedere così già a terapie che sono in sperimentazione - evidenzia l’esperto - Chiaramente questa opportunità si ha solo nei centri di alto livello specialistico, nelle Breast unit dove c’è una presa in carico del percorso terapeutico multidisciplinare, sia per gli aspetti prettamente oncologici che psicologici - sembra un paradosso, ma le donne a volte hanno paura di rientrare al lavoro - che nell’essere coinvolte in studi clinici e anticipare l’accesso a nuovi trattamenti. Non vogliamo dare false speranze, ci sono comunque degli effetti collaterali, degli esami a cui sottoporsi - conclude Bengala - ma è possibile il recupero di una certa normalità, specie se le pazienti sono motivate. In questo, un ruolo importante è riservato all’oncologo, lo psiconcologo, ma anche ai familiari: sostenere la donna nella motivazione a curarsi è fondamentale”. Approfondimenti sul tema sono disponibili nel sito ‘E’ tempo di Vita’, etempodivita.it

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Salute e Benessere

Giornata del cuore, a Roma ‘Liberiamo la circolazione...

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Domenica screening cardiologici gratuiti e un flash mob in piazza

Giornata del cuore, a Roma 'Liberiamo la circolazione dal colesterolo'

In occasione della Giornata mondiale del cuore, il 29 settembre, a largo dei Longobardi nel cuore di Roma, dalle 11 alle 15 si potranno effettuare screening cardiologici gratuiti messi a disposizione da Federlazio con controllo pressorio, frequenza cardiaca, ecocardiogramma a una derivazione, misurazione della frequenza respiratoria. L'iniziativa 'Liberiamo la circolazione dal colesterolo', che si aprirà con un simpatico flash-mob, è organizzata da Daiichi Sankyo Italia, con il patrocinio dell'Associazione per la lotta all'ictus cerebrale (Alice Italia Odv), Coordinamento nazionale Associazioni del cuore (Conacuore Odv), Fondazione italiana per il cuore (Fipc), Società italiana per lo studio dell'aterosclerosi (Sisa), e il sostegno di Roma Capitale.

Nello stand dedicato alle associazioni patrocinanti - informa una nota - sarà distribuito anche il 'Diario della salute cardiovascolare' e dell'utile materiale informativo per aiutare a riconoscere i primi sintomi dell'ictus, per capire quali sono i livelli ottimali di colesterolo Ldl, a seconda del rischio cardiovascolare, utili consigli per la correzione dello stile di vita, primo fra i fattori modificabili del rischio cerebro-cardiovascolare.

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Salute e Benessere

Farmaci, approvazione in Ue di 2 nuove terapie per...

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Autorizzazione per ‘first in Class’ elafibranor in Pbc e di odevixiba per prurito colestatico in bimbi con Sindrome di Alagille

Farmaci, approvazione in Ue di 2 nuove terapie per patologie colestatiche rare

La Commissione europea ha concesso l’autorizzazione all’immissione in commercio condizionata per elafibranor nel trattamento della Colangite biliare primitiva (Pbc) in combinazione con acido ursodesossicolico (Udca) negli adulti con una risposta inadeguata all’Udca o come monoterapia nei pazienti che non tollerano il trattamento. Elafibranor è ‘first in class’, il primo di una nuova classe di farmaci gli agonisti del recettore attivato dal proliferatore del perossisoma (Ppar, peroxisome proliferator-activated receptor), che esercita un effetto sui recettori PPARα and PPARδ, che si ritiene siano regolatori chiave dell’omeostasi degli acidi biliari, dell’infiammazione e della fibrosi. È stato inoltre approvato in circostanze eccezionali - spiega una nota diffusa da Ipsen - anche odevixibat per il trattamento del prurito colestatico nei bambini con Sindrome di Alagille (Algs) a partire dai 6 mesi di età. Si tratta di un inibitore non sistemico del trasportatore degli acidi biliari ileali (Ibat) con somministrazione orale una volta al giorno. Odevixibat blocca l’Ibat, con conseguente diminuzione degli acidi biliari sierici che possono accumularsi nel fegato.

“Siamo lieti - ha affermato Sandra Silvestri, Chief Medical Officer di Ipsen – che elafibranor e odevixibat siano stati approvati nell’Unione europea come nuove opzioni per il trattamento di due malattie colestatiche rare con sintomi invalidanti che impattano in modo significativo sulla qualità di vita dei pazienti e delle loro famiglie. Le persone che vivono con la Pbc non vedono l’introduzione di alcuna innovazione terapeutica da quasi un decennio, nonostante fino alla metà dei pazienti non tolleri o non risponda alle terapie ad oggi disponibili, e i pazienti con Sindrome di Alagille devono affrontare ogni giorno un intollerabile prurito. Siamo orgogliosi di poter offrire a queste persone due nuove opzioni terapeutiche efficaci”.

L’approvazione di elafibranor si basa sui dati dello studio clinico Elative di fase III che ha dimostrato un beneficio terapeutico statisticamente significativo, in termini di risposta biochimica dopo il trattamento con elafibranor 80 mg (51%) rispetto ai pazienti trattati con placebo (4%), con una differenza aggiustata per il placebo del 47% (p<0,001). Nei pazienti trattati è stata osservata anche una riduzione maggiore dal basale del punteggio Pbc Worst Itch-Nrs rispetto al placebo, ma tale riduzione non è risultata statisticamente significativa. Tuttavia, il trattamento con elafibranor è stato associato ad un miglioramento del prurito, come evidenziato da una maggiore riduzione dei punteggi totali del Pbc-40 Itch e del 5-D Itch rispetto al placebo. Percentuali simili di pazienti nel braccio Trattato e nel placebo hanno manifestato eventi avversi, eventi avversi correlati al trattamento, seri o gravi o che hanno portato all’interruzione del trattamento.

“Per chi vive con la Pbc - ha illustrato Marco Carbone, professore di Gastroenterologia all’università di Milano-Bicocca e consulente epatologo presso il Centro trapianti dell’ospedale Niguarda di Milano - poter disporre di una soluzione innovativa, efficace e ben tollerata rappresenta un significativo passo avanti nel trattamento e nella gestione di questa malattia. La Pbc è una malattia colestatica progressiva che può portare a insufficienza epatica e, in alcune persone, anche alla necessità di trapianto di fegato. Questa nuova terapia non solo permette di gestire efficacemente la progressione della malattia, ma anche il prurito debilitante che compromette la qualità di vita dei pazienti."

L’approvazione di odevixibat è basata sui dati della sperimentazione clinica Assert, il primo e unico studio di fase III al mondo a essere stato completato in pazienti affetti da Algs. Questi dati hanno dimostrato miglioramenti statisticamente e clinicamente significativi nella tendenza a grattarsi dal basale al mese 6 per i pazienti trattati con odevixibat rispetto al placebo. Tali miglioramenti sono stati osservati rapidamente e si sono mantenuti per tutto il periodo dello studio. Nei pazienti trattati, rispetto al placebo, è stata dimostrata anche una riduzione statisticamente significativa della concentrazione sierica degli acidi biliari alla fine del trattamento, con miglioramenti in parametri del sonno riportati da diversi osservatori. L’incidenza complessiva degli eventi avversi emersi dal trattamento è stata simile a quella del placebo, con un basso tasso di diarrea correlata al farmaco nei pazienti affetti da Algs.

Si tratta di “una malattia dolorosa e stressante, che spesso si presenta già nei primi mesi di vita - ha sottolineato Henkjan Verkade, Gastroenterologo ed epatologo pediatrico presso il dipartimento di Pediatria dell’Università di Groningen, Ospedale pediatrico Beatrix e Centro medico universitario di Groningen, Paesi Bassi - Uno dei sintomi più comuni è un grave prurito che causa disturbi del sonno sia nel bambino sia in chi si prende cura di lui. Avere a disposizione una nuova opzione terapeutica che ha dimostrato di ridurre il prurito e migliorare la qualità del sonno, rappresenta uno sviluppo particolarmente positivo per la comunità Algs”.

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