Mangiare pesce in gravidanza può ridurre il rischio di autismo del nascituro fino al 20%
Mangiare pesce durante la gravidanza potrebbe abbassare significativamente il rischio di autismo per il nascituro, riducendolo fino al 20%. Questa è la conclusione di un recente studio finanziato dal programma ECHO dei National Institutes of Health e pubblicato sull’American Journal of Clinical Nutrition. Lo studio suggerisce che il pesce, già noto per i suoi benefici sulla salute grazie agli acidi grassi omega-3, giochi un ruolo fondamentale anche nello sviluppo neurocognitivo del feto, riducendo i rischi di disturbi dello spettro autistico.
I dettagli della ricerca
Lo studio ha coinvolto circa 4.000 donne in gravidanza e ha analizzato il consumo di pesce e l’uso di integratori di omega-3. Il campione è stato suddiviso in quattro gruppi a seconda della frequenza di consumo di pesce: meno di una volta al mese, più di una volta al mese ma meno di una volta a settimana, una volta a settimana, e due o più volte a settimana. Circa il 20% delle partecipanti ha dichiarato di non consumare pesce durante la gravidanza e una percentuale tra il 65% e l’85% non faceva uso di integratori di omega-3 o olio di pesce.
I ricercatori hanno quindi analizzato i risultati sulla salute dei bambini, misurando i tratti comportamentali legati all’autismo attraverso la Social Responsiveness Scale (SRS), un questionario compilato dai genitori che valuta i comportamenti associati all’autismo. I punteggi più alti nella scala SRS indicano una maggiore presenza di comportamenti correlati all’autismo.
I risultati
Dai risultati è emerso che mangiare pesce durante la gravidanza era effettivamente associato a una riduzione delle probabilità di ricevere una diagnosi di autismo nei bambini. Inoltre, vi era una lieve diminuzione dei punteggi SRS nei figli di coloro che consumavano pesce rispetto a chi non lo faceva. Il dato interessante è che questo effetto benefico si osservava indipendentemente dalla quantità di pesce consumata: sia che fosse una porzione a settimana, sia che fossero due o più porzioni, il rischio di autismo risultava comunque inferiore rispetto a chi non ne consumava affatto.
Al contrario, l’assunzione di integratori di omega-3 non ha mostrato una correlazione significativa con la riduzione del rischio di autismo. I ricercatori hanno dunque concluso che solo il pesce nella sua forma naturale sembra portare benefici diretti, piuttosto che i supplementi.
Benefici aggiuntivi e considerazioni
Emily Oken, coautrice dello studio e docente alla Harvard Medical School, ha sottolineato come il pesce non solo riduca i rischi legati all’autismo, ma sia anche associato a una serie di benefici ben documentati per la salute materna e fetale. “Altri vantaggi includono un minor rischio di parto pretermine e un migliore sviluppo cognitivo per il feto”, ha affermato Oken, aggiungendo che è fondamentale migliorare la comunicazione sulle linee guida riguardanti il consumo di pesce in gravidanza.
Per anni, infatti, molte donne sono state erroneamente dissuase dal mangiare pesce durante la gravidanza, a causa del timore di contaminazione da mercurio e di un presunto rischio di autismo, un’idea che è stata più volte smentita dalla scienza. La dottoressa Oken ha quindi ribadito l’importanza di superare queste false credenze e promuovere una corretta informazione su cosa fare durante la gravidanza.
Mangiare pesce in gravidanza è sicuro?
Nonostante i numerosi benefici, è comunque essenziale che le future mamme scelgano con attenzione il tipo di pesce da consumare. Alcuni pesci possono contenere elevate quantità di mercurio, una sostanza che può essere dannosa per il feto. Tra le specie consigliate vi sono salmone, sardine, sgombro e trota, mentre è meglio evitare pesci predatori di grandi dimensioni come squalo e pesce spada. La cottura del pesce è un altro fattore fondamentale: il pesce crudo o poco cotto può comportare rischi per la salute, come infezioni batteriche o parassitarie.
L’importanza dell’alimentazione in gravidanza
Lo studio pubblicato sull’American Journal of Clinical Nutrition sottolinea ancora una volta quanto sia importante seguire una dieta equilibrata e ricca di nutrienti durante la gravidanza, non solo per il benessere della madre, ma anche per garantire un corretto sviluppo del feto. Il pesce si conferma dunque un alimento chiave in questo contesto, grazie al suo apporto di acidi grassi omega-3 e altri nutrienti essenziali.
Le future mamme possono quindi trarre benefici significativi dal consumo regolare di pesce, non solo per ridurre il rischio di autismo, ma anche per migliorare complessivamente la salute e lo sviluppo del bambino.
Demografica
Addio a Claudia Baccarini, la donna più anziana d’Italia....
È morta alla soglia del 2025 Claudia Baccarini, che con i suoi 114 anni era la donna più anziana d’Italia e tra le 10 persone più longeve al mondo. Nata a Faenza il 13 ottobre 1910, la donna si è spenta la sera della Vigilia di Natale nella sua casa di Faenza, dove aveva vissuto molti anni assieme al marito Pietro Baldi, già sindaco del Comune di Faenza negli anni Cinquanta (lui è scomparso nel 1998), e ai loro dieci figli. Come riportato dalla stampa locale, i funerali sono in programma sabato alle ore 10 nella chiesa parrocchiale di San Francesco a Faenza.
“La sua longevità l’ha resa un simbolo di resilienza e memoria storica per Faenza”, ha commentato sui social network il sindaco della cittadina, Massimo Isola, che ha raccontato come “fino a pochi anni fa partecipava attivamente alla vita religiosa, frequentando la messa pomeridiana, e manteneva una mente lucida, nonostante qualche piccolo acciacco tipico dell’età. Il suo stile di vita sobrio, caratterizzato da pasti leggeri accompagnati da moderate quantità di vino e l’assenza di fumo, rifletteva una filosofia di vita equilibrata”.
In Italia 22.552 centenari
L’Italia, come noto, è uno dei Paesi più longevi al mondo, come dimostra anche il recente rapporto dell’Ocse – Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico – ‘Health at a Glance: Europe 2024’. Dopo l’impatto devastante del Covid-19, che aveva fatto arretrare l’aspettativa di vita nel nostro Paese, questa si è pienamente ripresa tornando ai livelli pre-pandemia: nel 2023, un neonato italiano poteva aspettarsi di vivere in media 83,8 anni, 2,5 anni in più rispetto alla media comunitaria.
Non solo, ma secondo l’Istat in Italia, al 1° gennaio 2024, c’erano 22.552 centenari, l’81% dei quali donne. Dieci anni fa erano poco più di 17mila, ma da allora il loro numero è cresciuto del 30%. Tanto che ormai si parla di una nuova categoria di ultra-longevi: i semi-supercentenari, che sono quelli che hanno passato i 105 anni, e i supercentenari, che vivono oltre i 110, come la signora Baccarini.
C’è un evidente un divario di genere: le donne italiane, nel 2022, avevano un’aspettativa di vita di 84,8 anni, oltre quattro anni in più rispetto agli uomini (80,7 anni). Anche se, va precisato, questa longevità non sempre si traduce in anni passati in buona salute: il 20% delle donne vive con limitazioni o problemi cronici, una percentuale più alta rispetto agli uomini (17%), colmando quasi completamente il divario negli anni di vita sani tra i generi.
E se la signora Baccarini si poteva vantare di non essere mai stata in ospedale, il segreto degli ultracentenari è ancora sotto studio.
“Se mettiamo in fila le comunità che hanno un gran numero di over 100 – ha detto all’Adnkronos Salute Nicola Ferrara, già presidente della Società italiana di geriatria e gerontologia (Sigg) e docente all’università Federico II di Napoli– emerge che spesso vivono in ambienti non stressanti, hanno una dieta che privilegia i vegetali rispetto alle proteine animali e sono circondati da legami sociali molto stabili. C’è un filone di studi su queste comunità che cerca dei marcatori o degli elementi che selezionano queste persone”.
Vivere 100 anni sarà la normalità?
Dall’alimentazione al fumo, dall’attività fisica all’inquinamento, fino allo stress e alla solitudine, sono molti i fattori che oltre alla genetica possono decretare quanto vivremo. E tra questi, va detto, c’è anche la fortuna.
Eppure, secondo alcuni esperti, vivere 100 anni non è la normalità, né oggi né in futuro. Che la longevità abbia un limite ben preciso è il dato emerso ad esempio dal recente studio condotto da S. Jay Olshansky, un esperto in aspettativa di vita e docente della School of Public Health dell’Università dell’Illinois a Chicago.
Sebbene sia probabile che sempre più persone raggiungano i 100 anni, spiega lo scienziato, queste saranno un’eccezione, contrariamente a quanto si pensa in molti ambiti. Lo studio sottolinea che la scienza e la medicina potranno ancora portare benefici, ma che in definitiva potrebbe avere più senso investire nel miglioramento della qualità della vita piuttosto che nella sua semplice estensione.
Fortunatamente i fattori su cui possiamo investire per una vecchiaia il più possibile in salute sono anche quelli che aumentano le probabilità di una vita molto molto lunga; quindi, probabilmente in ogni caso vale la pena provarci.
D’altronde una delle sfide, e suggestioni, della ricerca in medicina è proprio quella di arrivare a portare l’uomo a vivere 120 anni, tenendo anche in conto l’imprevedibilità della longevità.
In aiuto, come ricorda lo studio di Chicago, viene la geroscienza, la biologia dell’invecchiamento, che potrebbe essere la chiave per una prossima ondata di salute e longevità: “Questa è una sorta di soffitto di vetro, non un muro di mattoni,” ha notato Olshansky. Ridurre i fattori di rischio, lavorare per eliminare le disuguaglianze e incoraggiare stili di vita più sani può consentire alle persone di vivere più a lungo e in salute.
“Possiamo superare questo soffitto di salute e longevità con la geroscienza e sforzi per rallentare gli effetti dell’invecchiamento”, ma quello non lo possiamo eliminare, ha concluso.
Poi c’è anche chi spende due milioni di dollari all’anno per ritornare giovani, ma questa è un’altra storia.
Demografica
Dai ‘voti’ ai presidi alle gite scolastiche, le novità per...
Il 2025 si preannuncia come un anno cruciale per la scuola italiana, con una serie di misure destinate a riscrivere il futuro del sistema educativo, un ambito che si trova da troppo tempo a fare i conti con una serie di sfide strutturali. Quest’anno sarà segnato non solo dal recupero delle competenze, ma anche dall’avvio di una valutazione che toccherà da vicino presidi, insegnanti e studenti. Il Ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, ha anticipato una serie di provvedimenti che promettono di rafforzare l’efficacia del sistema, in particolare nelle regioni del Mezzogiorno, dove la dispersione scolastica ha raggiunto livelli allarmanti. La tanto attesa “Agenda Sud” sembra finalmente decollare, con risultati tangibili in discipline chiave come italiano, matematica e inglese, in un recupero che, per alcune aree del Paese, è doppio rispetto a quello registrato in altre regioni.
Una nuova era per i concorsi scolastici
Ma non è tutto: un’altra importante novità riguarda i concorsi, che finalmente sembrano decollare dopo anni di stallo. Il Governo ha avviato una serie di selezioni mai viste prima in questo settore: concorsi per docenti, ispettori, presidi, ma anche per personale amministrativo e addirittura nuovi funzionari per gli uffici scolastici regionali. Un intervento tanto necessario quanto atteso, considerando che alcune di queste selezioni non venivano indette da oltre venti anni.
La volontà di dare nuova linfa al sistema educativo, con un rafforzamento concreto delle risorse umane, è chiara. Ma non è solo una questione di numeri: questi concorsi sono il segno di una rinnovata attenzione alle necessità di modernizzazione del settore, in cui l’organico, sempre più carente, necessita di un ricambio generazionale che porti con sé nuove idee e modalità operative.
Lotta alla dispersione e maggiore attenzione agli insegnanti
Uno degli obiettivi più ambiziosi è la lotta alla dispersione scolastica. Il dato rivelato dal ministro, che per la prima volta la dispersione esplicita è scesa sotto la soglia del 10%, è un segnale positivo che indica un trend in miglioramento rispetto agli obiettivi stabiliti a livello europeo e quelli del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. La scuola sta cercando di recuperare un gap che sembra, finalmente, meno drammatico.
Parallelamente, si segnala una forte attenzione agli stipendi degli insegnanti, con la chiusura del contratto 2019-2021 e l’approvazione dei finanziamenti per i trienni successivi. Un incremento di circa 300 euro lordi al mese, oltre al taglio del cuneo fiscale, è il primo passo verso il recupero del potere d’acquisto perso dai lavoratori della scuola dal 2009 al 2020. Una misura che fa ben sperare per il futuro, sia per la qualità dell’insegnamento che per il benessere dei professionisti del settore.
Il supporto ai disabili e la digitalizzazione della scuola
Non meno importante è l’attenzione verso il sostegno agli studenti con disabilità. L’aumento delle cattedre per i docenti di sostegno, con un incremento significativo di 256 unità, è un passo concreto verso una scuola davvero inclusiva. Valditara ha sottolineato come l’emendamento alla legge di bilancio, che ha portato a un ulteriore stanziamento di 25 milioni di euro, consenta un incremento significativo degli organici a tempo indeterminato. Non solo numeri, ma anche politiche inclusive che si traducono in un miglioramento delle opportunità per tutti gli studenti, senza distinzione.
In questo quadro, emerge un’ulteriore novità che riguarda le gite scolastiche: l’affidamento della gestione degli appalti agli uffici scolastici regionali, un passo fondamentale per snellire le procedure e alleggerire il carico burocratico delle scuole. Un altro tassello della riforma PNRR, che si inserisce in un progetto più ampio di riorganizzazione del sistema scolastico e amministrativo, al fine di permettere a tutti gli attori coinvolti di concentrarsi meglio sulle proprie competenze e responsabilità.
Il legame tra scuola e impresa
Non meno interessante è la crescita degli investimenti nella filiera tecnologico-professionale, uno degli elementi cardine della riforma “4 + 2”. Con un incremento di 15 milioni di euro destinato alla realizzazione di campus tecnologici, l’intento è chiaro: integrare sempre più la scuola con il mondo dell’impresa, favorendo una formazione che risponda alle reali esigenze del mercato del lavoro. Questo approccio, che pone la scuola al centro di una visione pragmatica e proiettata verso il futuro, potrà offrire agli studenti nuove opportunità di specializzazione e di inserimento nel mondo del lavoro, con una particolare attenzione alle vocazioni tecnologiche e professionali.
Demografica
In Cina arrivano i “corsi d’amore” per rilanciare la...
Dalla politica del figlio unico, ai “corsi d’amore” per spingere le coppie a fare più figli. Quello cinese è un caso demografico emblematico: dopo aver abbandonato la politica anti-natalità durata oltre trent’anni e iniziata negli anni Ottanta, Pechino cerca di creare “una società favorevole alle nascite”. Il programma si dipana dal governo centrale e arriva nelle case dei cinesi, passando dalle amministrazioni locali che chiamano al telefono le donne fidanzate e sposate tra i venti e i trent’anni. per comunicare loro l’esistenza di incentivi economici e dei programmi pro natalità.
Le famiglie cinesi fanno sempre meno figli e i giovani non vogliono avere una famiglia numerosa. Il programma di Pechino si concentra su incentivare le famiglie a fare un secondo figlio per avvicinare il tasso di natalità a quello di sostituzione, pari a 2,1 figli per donna in età fertile. Il Financial Times parla persino di un premio corrispondente a 14 mila dollari nel caso di una seconda maternità.
Tra le varie iniziative, quella dei “corsi d’amore” è senz’altro la più originale.
I “corsi d’amore” in Cina
Il Consiglio di Stato cinese sta ancora perfezionando il piano pro-natalità, ma alcune misure sono già trapelate tramite il Financial Times. Gli incentivi economici di cui sopra sono una parte del piano, ma non l’unica. Tra le altre iniziative, alle università è stato chiesto di introdurre i “corsi d’amore” per gli studenti single al fine di promuovere una “conoscenza sistematica del matrimonio”, ovvero le gioie dello stare insieme, dello sposarsi ma soprattutto dell’avere figli (al plurale).
La crisi demografica in Cina
Se c’è qualcosa che accomuna l’Occidente alla Cina, quella è senz’altro la crisi demografica. Se il risultato è accumulabile, quanto successo prima è molto diverso: il Dragone risente di un passato culturale e politico controverso, caratterizzato dalla politica del figlio unico e dalla pianificazione familiare, che significa compressione delle libertà individuali e di coppia. Ai problemi di natura etica e sociale si sono aggiunti quelli economici, e ora il Dragone prova a correre ai rimedi.
Il tasso di fertilità in Cina ha subito un drastico calo negli ultimi anni. Attualmente, la media dei figli per donna è scesa a circa 1 figlio, ben al di sotto del tasso di sostituzione necessario (2,1 figli per donna) per mantenere stabile la popolazione. Per cogliere l’entità del calo, basti pensare che nel 2023, sono nati in Cina circa 9 milioni di bambini, circa la metà delle nascite registrate nel 2013. Nonostante gli sforzi di Xi, la demografia cinese stenta a decollare. Anche il Dragone, ormai, conta ogni anno più decessi che nascite.
I motivi sono diversi. Il primo: è impossibile cancellare con un colpo di spugna oltre trent’anni di politica anti-natalità. Poi, come in Occidente, molte giovani donne cinesi oggi lavorano e coltivano aspirazioni di carriera che le portano lontano dalla famiglia e dalle case. La politica del figlio unico, inoltre, ha portato anche alla pratica del cosiddetto “aborto selettivo” per cui le coppie hanno privilegiato la nascita di un uomo, anche a costo di abortire la primogenita femmina. Per questo, oggi in Cina ci sono più uomini che donne.
Il piano di Pechino per rilanciare la natalità
Mentre le donne fidanzate o sposate, in età fertile, vengono contattate dalle amministrazioni locali, gli esperti sono scettici sulla possibilità di rilanciare la natalità tramite misure decise dall’alto.
Secondo Wang Feng, esperto di demografia cinese presso l’Università della California, sentito dal Ft, i funzionari stanno ricorrendo allo stesso “manuale di utilizzo del potere amministrativo per raggiungere gli obiettivi demografici” con cui le famiglie sono state obbligate ad avere massimo un figlio dal 1980 al 2015. Impedire di avere figli, spiega il prof. Weng, è più facile che spingere ad averne di più. Inoltre, anche per le donne cinesi avere un figlio rappresenta spesso una grave penalizzazione per la carriera.