“Cristoforo Colombo non era italiano”, il verdetto della tv spagnola
Un documentario fa luce sulle origini del navigatore
Cristoforo Colombo non era di Genova. Il navigatore che approdò nel Nuovo Mondo nel 1492 era spagnolo e ebreo sefardita. E' la conclusione a cui approda il documentario 'Colombo Dna: la sua vera origine' trasmesso dalla tv spagnola Rtve nella serata del 12 ottobre, nell'anniversario dell'impresa dell'esploratore, e basato su una ricerca dell'Università di Granada, iniziata più di 20 anni. La nascita di Colombo sarebbe da collocare nell'arco del Mediterraneo spagnolo o nelle Isole Baleari, territori che appartenevano alla Corona d'Aragona.
Un team di ricercatori guidato dall'esperto forense Miguel Lorente ha analizzato le reliquie di Colombo conservate nella Cattedrale di Siviglia e ha confrontato il dna con quello di parenti e discendenti. Le origini di Colombo sono state al centro di contenziosi che hanno coinvolto diversi paesi. Molti storici hanno messo in discussione la tesi iniziale secondo cui Colombo sarebbe stato originario di Genova. Nel corso degli anni, le teorie sono aumentate: Colombo è diventato un ebreo spagnolo, un greco, un basco o un portoghese.
Lorente ha proposto la sua versione. "Oggi è stato possibile verificare tutto con nuove tecnologie. Le reliquie di Siviglia appartengono a Cristoforo Colombo, è stato confermato definitivamente", ha detto lo studioso, aggiungendo che il 'verdetto' sulla nazionalità, seppur complicato dalla quantità di dati da valutare, "è quasi assolutamente affidabile".
A Colombo sono state attribuite ben 25 nazionalità diverse, ma solo otto hanno "convinto" gli scienziati per la loro "coerenza storica". Infine, tra le otto teorie, gli studi dell'Università di Granada suggeriscono che l'origine più certa di Colombo sarebbe quella ebraica, da una famiglia stabilitasi nell'arco mediterraneo spagnolo. "Abbiamo un Dna di Cristoforo Colombo molto parziale, ma sufficiente; abbiamo il Dna di Hernando Colombo, suo figlio, e sia nel cromosoma Y (maschile) che nel mitocondriale (trasmesso dalla madre) di Hernando ci sono tratti compatibili con un'origine ebraica", ha spiegato Lorente.
Colombo è morto all'età di 55 anni a Valladolid, nella Spagna nordoccidentale. Avrebbe voluto essere sepolto nell'isola di Hispaniola, che oggi fa parte della Repubblica Dominicana e di Haiti. I resti dell'esploratore sono stati portati a Hispaniola nel 1542, quindi trasferiti a Cuba nel 1795 e infine riportati in Spagna, a Siviglia, nel 1898. Secondo la ricostruzione dei ricercatori, nel 1877 un feretro è stato rinvenuto dietro l'altare della cattedrale di Santo Domingo, capitale della Repubblica Dominicana: secondo il paese, si tratterebbe di resti di Colombo. Lorente non considera l'ipotesi infondata, i resti del navigatore potrebbero essere divisi tra due continenti e entrambi i reperti - tra Siviglia e Santo Domingo - sarebbero autentici ma incompleti.
La teoria dell'origine ebraica di Colombo è l'ultima a essere svelata. Francesc Albardaner i Llorens, ex presidente del Centro di studi colombiani di Barcellona, ha sempre sostenuto che Colombo fosse un "ebreo purosangue". Secondo lo studioso, i suoi scritti "trasudano ebraismo". "Il Dna indica che è molto probabile che la sua origine sia nell'arco mediterraneo spagnolo o nelle Isole Baleari, che all'epoca appartenevano alla Corona d'Aragona. Il documentario dà una maggiore probabilità che sia nato a Valencia", ha affermato Albardaner.
In relazione alla sua origine genovese, sebbene sia stata la teoria più diffusa e accettata, è stata quella che i ricercatori dell'Università di Genova hanno respinto "con veemenza". Il motivo principale è che Colombo non scrisse mai in italiano. "Non c'è una sola lettera in cui il navigatore abbia introdotto anche una sola parola o costruzione italiana. Scrisse sempre in spagnolo, anche nelle sue lettere alla banca di Genova", ricorda Rtve in un comunicato stampa dopo la trasmissione del documentario.
Lo studio, a cui hanno collaborato esperti di storia, genetica e genealogia, colloca il profilo genetico di Colombo nel Mediterraneo occidentale, in particolare nella "Sepharad", il termine ebraico che indica la penisola iberica. Secondo i dati forniti dal regista del documentario, Regis Francisco, nel Medioevo in Spagna vivevano circa 200.000 ebrei, mentre si stima che solo 10.000-15.000 vivessero nella penisola italica. Dove la popolazione ebraica era molto più numerosa era la Sicilia, dove vivevano circa 40.000 ebrei, ma che, all'epoca di Colombo, apparteneva alla Corona d'Aragona. Furono espulsi da entrambi i luoghi nel XII secolo e dalla Spagna nel 1492.
"L'intera teoria secondo cui Colombo era un genovese entra in crisi se si accetta che Colombo è ebreo", ha detto Albardaner. E perché? Come spiega Albardaner, Genova aveva espulso gli ebrei nel XII secolo: "Non c'erano persone, né comunità, né sinagoga, niente di niente. Gli ebrei potevano rimanere a Genova solo per tre giorni per fare affari e poi dovevano andarsene". Anche se il luogo esatto della sua nascita non è stato determinato, la tesi più probabile di Lorente è che Colombo fosse originario della penisola di Levante. "Se non c'erano ebrei a Genova nel XV secolo, le probabilità che fosse lì sono minime", afferma."Né c'era una grande presenza ebraica nel resto della penisola italica, il che renderebbe la cosa molto tenue. Non ci sono teorie solide o indicazioni chiare che Cristoforo Colombo potesse essere francese. Anche la Sicilia sarebbe strana, altrimenti Cristoforo Colombo avrebbe scritto con qualche tratto italiano o siciliano".
Esteri
Balcani, Tajani oggi a vertice Berlino: “Integrazione...
Al summit partecipano sei Paesi dei Balcani occidentali. Il ministro degli Esteri: "Italia pronta a fare la sua parte"
"L’integrazione dei Balcani occidentali nella Ue è una priorità del Governo - ha indicato Tajani - L’impegno italiano per rafforzare la cooperazione con i partner balcanici è concreto e costante. Il nostro obiettivo è la “riunificazione” dei Balcani occidentali con l’Europa". Con questa linea il vice premier e ministro degli Esteri Antonio Tajani parteciperà oggi, 14 ottobre, a Berlino su delega del presidente del Consiglio Giorgia Meloni, al decimo Vertice del 'Processo di Berlino' sui Balcani occidentali.
Il “Processo” è una iniziativa dei governi della Uw nata nel 2014 su iniziativa dell’allora Cancelliera tedesca Angela Merkel per accelerare il processo di ingresso dei Paesi dei Balcani occidentali nella Ue. “Il nostro Paese, anche come Presidenza G7, è in prima linea nel rilancio di una dinamica positiva nella regione”, ha sottolineato il ministro degli Esteri, ricordando la visita a settembre in Montenegro e Macedonia del Nord e la riunione presieduta a New York, in occasione dell’assemblea Onu, con i ministri dei Balcani occidentali assieme al Gruppo “Amici dei Paesi dei Balcani Occidentali”.
I partecipanti
Il vertice, presieduto dal cancelliere Olaf Scholz, vedrà la partecipazione dei sei Paesi dei Balcani Occidentali (Albania, Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia), assieme ad Austria, Croazia, Francia, Slovenia, Polonia, Grecia e Bulgaria - oltre al Regno Unito e alle istituzioni europee, inclusa la Presidenza di turno ungherese.
L'agenda del summit
Il vertice vedrà una prima sessione di lavoro incentrata sulla cooperazione regionale e il mercato regionale comune (Mrc) e una seconda dedicata all’agenda verde, connettività ed energia, seguite da una discussione informale con rappresentanti della società civile e giovani della regione. I lavori saranno conclusi da un pranzo dedicato al futuro del Processo di Berlino. In occasione del summit sarà firmato un accordo regionale di mobilità per l’accesso agli studi e sarà adottato il nuovo Piano d’Azione per il Mercato Regionale Comune 2025-2028, con l’obiettivo di dare nuovo impulso alla cooperazione regionale.
"Italia pronta a fare la sua parte"
“La riunione di Berlino conferma la centralità dell’integrazione dei partner dei Balcani con l’Unione europea nel nuovo ciclo istituzionale europeo - ha concluso Tajani - Dobbiamo proseguire per arrivare a risultati concreti nel favorire la cooperazione regionale, tanto nell’ambito economico quanto in quello del dialogo politico e delle riforme dei Paesi Partner. L’Italia è pronta a fare la sua parte, soprattutto nello sviluppo delle infrastrutture strategiche e della transizione energetica della regione”.
Esteri
Libano, Netanyahu: “Via i caschi blu”. Idf...
Il premier israeliano sollecita Guterres a ordinare lo spostamento delle truppe Onu: "Sono scudi umani per Hezbollah". Ma dal Palazzo di Vetro confermano: "I caschi blu restano". La premier chiama 'Bibi' e ribadisce il sostegno alla missione. Crosetto sull'irruzione dei tank: "Grave violazione"
Israele non arretra in Libano e "farà tutto il necessario per vincere la guerra". Il premier Benjamin Netanyahu lo ribadisce chiaro e tondo. E davanti alle truppe Unifil che si frappongono tra le forze militari israeliane ed Hezbollah non esita a sollecitare ancora una volta l'Onu a spostare i 'caschi blu' che per il premier israeliano si sono trasformati in "scudi umani" per le milizie del Partito di Dio. Per questo - ha detto rivolgendosi al Segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, il loro ritiro deve essere ordinato "adesso, immediatamente". Ma dal Palazzo di Vetro fanno sapere che la missione non si ritira e Guterres attraverso il suo portavoce ricorda che "gli attacchi contro i peacekeeper violano il diritto internazionale, compreso il diritto umanitario internazionale e possono costituire un crimine di guerra".
La telefonata Meloni-Netanyahu
Linea della fermezza confermata a Netanyahu anche dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni che ieri lo ha chiamato al telefono, mentre al confine tra il sud del Libano e il nord di Israele si registrava il quarto 'incidente' in quattro giorni tra l'Unifil e le Idf. La premier, a quanto apprende l'Adnkronos, ha trasmesso "in maniera chiara e netta" al primo ministro israeliano "tre messaggi": gli attacchi all'Unifil sono "inaccettabili", la missione dell'Onu "non si ritira", va garantita la sicurezza di tutto il personale.
Messaggi dinanzi ai quali Netanyahu ha dato ancora una volta prova di totale 'inflessibilità', come dimostra quanto scritto dal suo ufficio: dopo "le atrocità del 7 ottobre, Israele non permetterà mai più a un'organizzazione terroristica genocida di avvicinarsi ai nostri confini. Né a Gaza né in Libano". Il primo ministro ha espresso "rammarico" per i danni di questi giorni e ha sssicurato che "Israele farà tutto il possibile per impedire che l'Unifil subisca vittime", ma ha riaffermato che "farà tutto il necessario per vincere la guerra". E attacca in quello che sembra un riferimento a Emmanuel Macron ed alla sua proposta di fermare l'invio di armi a Israele: "Purtroppo diversi leader europei stanno esercitando pressioni nella direzione sbagliata".
Nel corso della telefonata, Netanyahu ha riferito a Meloni anche dell'appello rivolto al segretario generale dell'Onu Guterres: "E' arrivato il momento che le forze dell'Unifil si ritirino dalle roccaforti di Hezbollah e dalle zone dei combattimenti". Le Idf, ha ricordato, "lo hanno chiesto ripetutamente e si sono scontrate con ripetuti rifiuti", cosa che ha permesso "ai terroristi di Hezbollah di usare l'Unifil come copertura e scudo umano".
Ma Meloni ha rinnovato l'impegno dell'Italia per Unifil, dicendosi convinta che attraverso la piena applicazione della risoluzione 1701 si possa contribuire alla stabilizzazione del confine israelo-libanese e garantire il ritorno a casa di tutti gli sfollati, ha fatto sapere Palazzo Chigi.
Braccio di ferro Israele-Onu
"Il problema - hanno detto fonti informate all'Adnkronos - non è tra Italia e Israele, ma tra l'Onu e Israele", un rapporto fatto di tensioni e reciproche accuse culminato nei giorni scorsi con la definizione di Antonio Guterres 'persona non grata'. Gli israeliani "non vogliono fare la guerra" a Unifil, vogliono solo creare "una fascia di sicurezza di 5-6 chilometri" per evitare che Hezbollah che, stando a quanto sostiene Israele, si nasconde dietro gli avamposti della missione Onu, continui ad attaccare le Idf.
Il nuovo "errore" delle Idf: tank nella base Unifil
E sarebbe colpa di Hezbollah anche l'irruzione di due tank israeliani in una delle basi Unifil denunciata ieri dall'Onu e che ha causato il ferimento di 15 caschi blu. "Intorno alle 4.30 del mattino, mentre i peacekeeper erano nei rifugi - ha ricostruito Unifil in una nota - due carri armati Merkava dell'esercito israeliano hanno distrutto il cancello principale e si sono introdotti con la forza nella postazione", rimanendovi per "circa 45 minuti". Due ore dopo, fa sapere ancora Unifil, "sono stati sparati colpi di arma da fuoco che hanno provocato fumo" e hanno provocato “irritazioni cutanee e reazioni gastrointestinali in 15 peacekeeper che stanno ricevendo cure”.
Episodio giustificato dalle Idf come un "errore": un tank è finito contro una postazione dell'Unifil mentre era sotto attacco da parte dei militanti sciiti del Partito di Dio, non c'è stata alcuna "irruzione" e comunque, ha assicurato il portavoce dell'Idf Daniel Hagari al Tg1, "c'è un'inchiesta in corso al più alto livello possibile su quanto accaduto. L'Italia è un amico molto importante di Israele".
Crosetto: "Grave violazione"
Ma la tensione resta altissima: il ministro della Difesa Guido Crosetto è intervenuto di nuovo, denunciando la "grave violazione”, chiedendo "al capo di Stato maggiore, generale Luciano Portolano, di mettersi in contatto con il suo omologo, il generale Herzi Halevi, per ribadire la necessità di evitare ulteriori azioni ostili". Azioni che certamente continueranno fino a quando Netanyahu "non avrà vinto la guerra".
Esteri
Israele, Usa inviano sistema antimissile Thaad: cos’è...
Pentagono: "Impegno ferreo degli Stati Uniti nella difesa di Israele"
Gli Stati Uniti hanno annunciato l'invio in Israele del sistema di difesa antimissile Thaad, che potrebbe risultare utile in caso di nuovo attacco dell'Iran dopo quello sferrato da Teheran 2 settimane fa con il lancio di quasi 200 missili.
"Su indicazione del Presidente - si legge in una nota del portavoce del Pentagono - il segretario alla Difesa Lloyd Austin ha autorizzato il dispiegamento di una batteria Thaad e del relativo equipaggio di personale militare statunitense in Israele per contribuire a rafforzare le difese aeree israeliane dopo gli attacchi senza precedenti dell'Iran contro Israele il 13 aprile e di nuovo il primo ottobre".
"La batteria Thaad aumenterà il sistema integrato di difesa aerea di Israele", afferma Pat Ryder, secondo cui "questa azione sottolinea l'impegno ferreo degli Stati Uniti nella difesa di Israele e degli americani in Israele da eventuali ulteriori attacchi con missili balistici da parte dell'Iran".
Il Pentagono ricorda che non è la prima volta che gli Stati Uniti dispiegano una batteria Thaad nella regione: era già avvenuto lo scorso anno, dopo gli attacchi del 7 ottobre, per difendere le truppe e gli interessi americani nella regione.
Cos'è e come funziona Thaad
Il Terminal High Altitude Area Defens (Thaad) è un sistema di difesa aerea progettato per colpire missili balistici a corto, medio e intermedio raggio prima che impattino su aree abitate o obiettivi sensibili. Il Thaad - si legge sul sito della casa produttrice Lockheed Martin - è l'unico sistema statunitense progettato per intercettare bersagli all'esterno e all'interno dell'atmosfera. Il sistema non ha funzionalità offensive e non ha la capacità di colpire edifici.