Italia-Francia-Germania-Gb: “Stop immediato ad attacchi Idf contro Unifil”
Caschi blu italiani individuano ordigni esplosivi su strada per base Unifil
I ministri degli Esteri di Francia, Germania, Italia e Regno Unito "esprimono profonda preoccupazione per i recenti attacchi delle Idf contro le basi di Unifil, nei quali sono rimasti feriti diversi peacekeeper. Questi attacchi devono cessare immediatamente". E' quanto si legge in una dichiarazione congiunta proposta dal ministro Antonio Tajani.
"Condanniamo tutte le minacce alla sicurezza di Unifil - prosegue la nota dei 4 Paesi - Ogni attacco deliberato contro Unifil è contrario al diritto umanitario internazionale e alla risoluzione 1701 del Consiglio di sicurezza dell'Onu. La protezione dei peacekeeper spetta a tutte le parti in conflitto".
"Chiediamo a tutte le parti di attenersi ai propri obblighi per garantire la sicurezza del personale Unifil e per permettere a Unifil di continuare a condurre il suo mandato", si legge nella dichiarazione congiunta. "Ribadiamo che l'Unifil ha un ruolo di stabilizzatore nel Libano meridionale - viene evidenziato - e sottolineiamo l'importanza delle Nazioni Unite nella risoluzione dei conflitti armati e nella mitigazione degli impatti umanitari".
Caschi blu italiani individuano ordigni esplosivi su strada per base Unifil
Una serie di ordigni esplosivi incendiari posizionati lungo la strada che conduce alla base operativa avanzata UNP 1-32A, nel sud del Libano, è stata individuata questa mattina da una pattuglia del contingente italiano di Unifil durante un movimento logistico. Un team di artificieri del contingente nazionale, intervenuto sul posto, ha messo in sicurezza l'area ma non ha potuto completare le operazioni di bonifica poiché, per cause in via di accertamento, uno degli ordigni si è innescato provocando un rogo nell'area circostante. Non si registrano danni a persone o mezzi.
Sono in corso le indagini da parte di Unifil e delle autorità libanesi per far luce sulla dinamica dei fatti e risalire a esecutori e mandanti della potenziale minaccia.
Idf: "Raid non contro Unifil ma personale Onu è in zona di combattimento"
Le Forze di difesa israeliane in una nota hanno chiarito che ''i raid mirati dell'Idf sono diretti solo contro Hezbollah e le attività delle truppe non sono dirette alle postazioni, alle forze o alle infrastrutture Unifil''. L'Idf spiega che ''giovedì 30 settembre, prima dell'inizio dell'operazione, i rappresentanti dell'Idf hanno presentato una richiesta all'organizzazione di spostare il suo personale lontano dalle postazioni situate entro cinque chilometri dalla Blue Line, poiché questa zona sarebbe diventata una zona di combattimento attiva''.
Inoltre ''le Idf mantengono una comunicazione continua con l'Unifil per evitare, per quanto possibile, qualsiasi danno al personale dell'Unifil nella zona e continueranno a farlo, nonostante la complessità della presenza dell'Unifil all'interno della zona di combattimento''.
Borrell: "Unifil non si ritira"
"L'esercito israeliano ha detto che gli attacchi all'Unifil sono accidentali e non voluti", ma che "il modo migliore per evitare incidenti di questo tipo è il ritiro dell'Unifil. L'Unifil non si ritira, è dove essere, almeno finché il Consiglio di Sicurezza dell'Onu non prenderà una decisione diversa", ha sottolineato, in conferenza stampa a Lussemburgo, l'Alto Rappresentante dell'Ue Josep Borrell.
I ministri degli Esteri dell'Ue "hanno reiterato il loro pieno sostegno per l'Unifil. Nessuno chiede che vengano ritirate" le forze di interposizione dal sud del Libano, ha scandito. I ministri hanno anche espresso sostegno "per l'Unrwa. Non possiamo abbandonare il Libano, un Paese che è sull'orlo del precipizio. Il Libano viene bombardato, Beirut viene bombardata ed è minacciata di diventare una seconda Gaza", ha concluso.
Esteri
New York Times, la denuncia: “Israeliani hanno usato...
"Costretti a cercare esplosivi di Hamas tra macerie, nei tunnel, generatori": cosa dice l'inchiesta basata su interviste a palestinesi e militari israeliani
Militari ed agenti dell'intelligence israeliana dall'inizio della guerra a Gaza avrebbero usato palestinesi catturati, anche minorenni, come scudi umani, costringendoli a cercare esplosivi di Hamas tra macerie, nei tunnel, generatori e serbatoi di acqua, per evitare di mettere a rischio vite di soldati israeliani. E' la denuncia di una lunga inchiesta del New York Times, sulla base di interviste a 16 militari e ufficiali israeliani e 3 palestinesi. Come Mohammed Shubeir che lo scorso marzo, quando aveva 17 anni, è stato detenuto dagli israeliani per 10 giorni.
Prima di essere rilasciato, senza accuse, il ragazzo sarebbe stato costretto a camminare ammanettato tra le macerie della sua città, Khan Younis, per cercare esplosivi di Hamas. "I soldati mi hanno mandato come se fossi un cane in un appartamento minato", ha detto al Times lo studente di scuola superiore, raccontando che in un edificio semi diroccato ha visto sui muri una serie di fili di innesco di esplosivi. "Ho pensato che quelli fossero gli ultimi momenti della mia vita", ha aggiunto.
Il giornale americano, che ammette di non conoscere la portata del ricorso a queste operazioni che sono illegali sia per la legge israeliana che internazionale, afferma che le hanno utilizzate almeno 11 squadroni in cinque città a Gaza. In un caso un'unità israeliana avrebbe costretto un gruppo di sfollati a marciare di fronte a loro verso un covo di Hamas nel centro di Gaza City, secondo quanto denunciato da Jehad Siam, 31enne grafico palestinese che faceva parte di quel gruppo. "I soldati ci hanno detto di andare avanti così dall'altra parte non avrebbero sparato", ha raccontato.
Il Times ha intervistato sette militari israeliani che hanno partecipato, o assistito, a queste operazioni presentate come una routine organizzata, condotta con un considerevole supporto logistico e con l'avallo degli ufficiali superiori. In molti casi i detenuti erano gestiti da ufficiali dell'intelligence, cosa che richiede che i battaglioni siano coordinati e i comandanti siano informati.
Il general maggiore Tamir Hayman, ex capo dell'intelligence militare che viene periodicamente informato sulla condotta della guerra, ha confermato in parte la pratica, dicendo che alcuni detenuti sono stati costretti, altri si sono offerti volontariamente di fare da guida nei tunnel, nella speranza di ottenere trattamenti di favore. Ma con una dichiarazione, l'Idf ha ricordato che "le direttive e le linee guida proibiscono l'uso di civili detenuti a Gaza per operazioni militari", aggiungendo che le testimonianze riportate dal Times saranno "revisionate dalle autorità competenti".
Alcuni dei soldati che, rimasti sconvolti da questi episodi, hanno deciso di assumersi il rischio di riferire segreti militari alla stampa sono stati messi in contatto con il Times da Breaking the Silence, associazione indipendente che raccoglie le testimonianze dei militari israeliani. Due di questi soldati hanno raccontato di essersi opposti a questa pratica, e che in risposta alle loro obiezioni ufficiali l'hanno giustificata sostenendo, senza prove, che i detenuti erano terroristi, invece che civili fermati senza accuse.
Il diritto internazionale vieta l'uso di civili come scudi umani e definisce illegale anche inviare combattenti catturati in luoghi dove potrebbero essere esposti al fuoco. Nel 2005 la Corte Suprema israeliana ha vietato una procedura usata dai militari israeliana a Gaza e Cisgiordania, con cui venivano costretti civili palestinesi ad avvicinarsi alle case dei militanti per convincerli ad arrendersi.
Dall'inizio del conflitto dopo gli attacchi del 7 ottobre, Israele si difende dalle accuse sulle vittime civili, affermando che Hamas ha posizionato combattenti e armi nelle aree residenziali, usando intere comunità come scudi umani. Dopo aver invaso Gaza a fine ottobre, i militari israeliani hanno trovato che era troppo rischioso entrare in case e tunnel che Hamas aveva trasformato in trappole esplosive. Hanno iniziato a fare ricorso a cani anti-esplosivo o droni, ma - ed è questa la denuncia del Times - in alcuni casi a palestinesi catturati.
La terza testimonianza che cita il Times è quella di Basheer Al-Dalou, farmacista di Gaza City, catturato nella sua casa lo scorso 13 novembre. Dopo essere stato rilasciato, senza accuse, al Dalou ha raccontato che i militari l'hanno fatto spogliare, l'hanno ammanettato e bendato e, dopo averlo interrogato, gli hanno ordinato di entrare nel cortile di un edificio a cinque piani, pieno di detriti. "Dietro di me, tre soldati mi spingevano con violenza, avevano paura che ci fossero tunnel o esplosivi nascosti", ha ricordato, spiegando che uno l'ha colpito alla schiena con il calcio del fucile perché esitava ad avvicinarsi ad un grande generatore. Prima di essere trasferito ad un centro di detenzione, anche lui fu usato come scudo umano, facendolo camminare davanti ad un carro armato israeliano che avanzava verso una moschea.
Esteri
Intelligence Germania: “Rischiato disastro aereo per...
L'episodio risalente a luglio, quando un bagaglio ha preso fuoco all'interno del centro logistico della Dhl a Lipsia incendiando un container
Un atto di sabotaggio riconducibile probabilmente alla Russia ha rischiato di provocare un disastro aereo in Germania. Ad annunciarlo sono stati oggi i servizi di intelligence tedeschi, riferendosi ad un episodio risalente a luglio, quando un bagaglio ha preso fuoco all'interno del centro logistico della Dhl a Lipsia incendiando un container.
Thomas Haldenwang, presidente dell'Ufficio federale per la protezione della costituzione, l'agenzia di intelligence per l'interno, ha reso noto durante un'apposita sessione parlamentare che solo una fortunata coincidenza ha evitato che il bagaglio prendesse fuoco durante un volo.
Il pacco, arrivato in Germania dai Baltici, è rimasto infatti chiuso all'interno del centro probabilmente perché il volo sul quale sarebbe stato imbarcato è partito con un ritardo non previsto, rende noto la Dpa. Le emittenti Ard e Srw avevano annunciato il mese scorso che due persone sono state arrestate in Lituana e Polonia in relazione all'episodio.