L’obesità in gravidanza ha effetti sulla salute del nascituro: lo studio
L’obesità durante la gravidanza può influire sulla salute del nascituro? Sì, secondo uno studio pubblicato su Cureus, che ha analizzato un campione di 42 coppie madre-figlio nei primi sei mesi di vita del bambino.
Metodologia e risultati dello studio
Lo studio ha monitorato due gruppi di gestanti suddivisi in base al loro indice di massa corporea (Imc). Da una parte, madri con un Imc nella norma (tra 19 e 25), dall’altra madri in sovrappeso, con un Imc superiore a 25.
L’obiettivo era valutare il peso per età gestazionale dei neonati, seguendo i criteri dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. I risultati sono stati evidenti: i bambini nati da madri in sovrappeso mostravano un peso significativamente superiore rispetto a quelli delle madri con un Imc tra 19 e 25. Questo dato è particolarmente rilevante perché lo studio ha preso in considerazione madri che praticavano l’allattamento esclusivo al seno, generalmente ritenuto un fattore protettivo contro l’obesità infantile.
Le conseguenze per il bambino
L’obesità materna rappresenta una forma di disregolazione metabolica che può avere effetti negativi sullo sviluppo del feto attraverso diversi meccanismi, tra cui alterazioni ormonali e uno stato infiammatorio cronico.
Gli ormoni materni, in particolare l’insulina, così come lo squilibrio di nutrienti essenziali, possono alterare il metabolismo del feto, esponendolo a un maggior rischio di sviluppare obesità e altre patologie croniche come diabete e ipertensione nella vita adulta. Le conseguenze immediate includono un maggiore peso alla nascita e difficoltà nell’allattamento al seno, che potrebbe essere influenzato dal sovrappeso materno.
I rischi per la madre
Non solo il bambino, ma anche la madre in sovrappeso corre rischi durante la gravidanza. Lo studio ha osservato che le donne con un Imc superiore a 25 presentavano livelli più elevati di glucosio nel terzo trimestre e una maggiore probabilità di aborto rispetto alle madri con un Indice di massa corporea nella norma. Inoltre, queste donne hanno più difficoltà a perdere peso dopo il parto, una condizione che può influenzare la loro salute a lungo termine. Un corollario di questi risultati è l’importanza di monitorare il peso materno prima e durante la gravidanza in modo da ridurre i rischi sia per la madre che per il bambino.
Il ruolo dell’allattamento al seno
Il risultato non va letto in chiave solo negativa: lo studio conferma e sottolinea il ruolo protettivo dell’allattamento al seno contro l’obesità infantile. Secondo l’Oms, l’allattamento esclusivo al seno per i primi sei mesi di vita favorisce una crescita equilibrata e regola l’appetito del bambino, promuovendo un corretto sviluppo metabolico. Il latte materno, infatti, è in grado di adattarsi alle esigenze nutrizionali del neonato e della madre, offrendo il giusto apporto di nutrienti nelle diverse fasi dell’allattamento. L’allattamento al seno aiuta a contrastare il sovrappeso e altre complicazioni legate all’alimentazione, ma, pur essendo un fattore protettivo, non è sufficiente a compensare completamente gli effetti dell’obesità materna.
Le conclusioni dello studio
Le conclusioni dello studio pubblicato su Cureus sono chiare: l’obesità materna ha un impatto sia sulla salute del bambino che su quella della madre, e l’allattamento al seno, pur essendo benefico, non può eliminare del tutto questi effetti negativi. Lo studio sottolinea l’importanza di monitorare il peso della madre già prima del concepimento, coinvolgendo un team multidisciplinare composto da nutrizionisti, ginecologi e pediatri, per garantire un’adeguata gestione del peso durante la gravidanza.
I dati sull’obesità infantile in Italia
In Italia, l’obesità infantile in Italia è un problema sempre più allarmante. Secondo l’analisi Coldiretti sui dati Oms, quasi la metà dei bambini italiani tra i 5 e i 9 anni (42%) è obeso o in sovrappeso, uno dei dati peggiori in Ue (la media è del 29,5%). La situazione non migliora particolarmente tra bambini e ragazzi di 10 – 19 anni (31,2%, la media Ue è il 24,9%), che in molti casi (6 su 10) non mangiano ogni giorno né frutta né verdura, non praticano abbastanza sport (95%) e utilizzano i dispositivi digitali almeno 2 ore al giorno (70%) esasperando le conseguenze della sedentarietà. In pratica, circa 1 bambino italiano su 3 è sovrappeso o obeso.
Questi dati sono particolarmente preoccupanti, soprattutto nelle regioni del Sud, dove prevalgono disuguaglianze socioeconomiche e minore accesso a programmi di prevenzione e educazione alimentare (clicca qui per approfondire “Quanti giovani italiani soffrono la povertà alimentare”).
Sebbene ci sia stato un lieve miglioramento negli ultimi anni, il problema rimane grave e richiede interventi mirati che coinvolgano famiglie, scuole e istituzioni sanitarie, anche perché potrebbe essere ancora più diffuso nei prossimi anni.
Secondo il World Obesity Atlas 2023, redatto dalla World Obesity Federation, a livello mondiale l’obesità infantile potrebbe più che raddoppiare entro il 2035 (rispetto al 2020) fino ad arrivare a 208 milioni tra i ragazzi (con un aumento del 100%) e 175 milioni tra le ragazze (con un aumento del 125%).
L’importanza di un approccio multidisciplinare
Lo studio pubblicato su Cureus conferma la necessità di un intervento tempestivo per prevenire l’obesità materna e infantile. In questo contesto, è fondamentale un approccio multidisciplinare che includa una corretta gestione del peso prima e durante la gravidanza, oltre a promuovere l’allattamento al seno come pratica centrale per garantire una crescita sana del neonato.
Le politiche sanitarie dovrebbero puntare a sensibilizzare le donne sull’importanza di mantenere un peso adeguato e aiutare le famiglie in difficoltà economica che non possono accedere al giusto fabbisogno proteico e ad una dieta equilibrata. È anche fondamentale favorire stili di vita sani per ridurre i rischi a lungo termine per la madre e per il bambino come fa il ddl Sbrollini che vuole inserire l’attività sportiva tra le spese sanitarie fiscalmente detraibili.
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Giulia Salemi, il messaggio al figlio contro la violenza...
Giulia Salemi ha condiviso un commovente messaggio rivolto al figlio nella giornata della violenza contro le donne: “Caro amore mio – dice sui social – ancora non ti conosco, ma ogni giorno che passa ti immagino. Sarai il mio piccolo uomo, il cuore che batte fuori dal mio corpo, e il motivo per cui spero in un mondo migliore”.
La nascita del figlio di Giulia Salemi e del compagno Pierpaolo Petrelli, conosciuto nella Casa del Grande Fratello, è prevista per gennaio, e la modella italo-persiana si prepara così a diventare mamma per la prima volta.
Il videomessaggio di Giulia Salemi
“Oggi, mentre ti scrivo, è la giornata mondiale contro la violenza sulle donne. È una giornata dolorosa, perché ci ricorda quante ferite restano ancora da guarire. Ma è anche una giornata importante, perché ci insegna una cosa che voglio trasmetterti con tutta me stessa: il rispetto. Il rispetto per le donne – ricorda Giulia Salemi nel messaggio condiviso il 25 novembre – non è solo una parola, è un modo di vivere. È imparare a vedere il valore in chi hai accanto, a parlare con gentilezza anche quando è difficile, a essere un uomo capace di amare senza mai far sentire nessuno inferiore o in pericolo”.
Le parole della modella classe ’93 si inseriscono in un contesto di cambiamento sociale, dove si moltiplicano le segnalazioni al numero anti violenza e stalking 1522. Come dimostrano i dati pubblicati dal Dipartimento Pari Opportunità, da gennaio a settembre 2024, le chiamate al 1522 sono aumentate del 57% rispetto allo stesso periodo del 2023 per un totale di 48.000 chiamate. Qualcosa sta cambiando, ma la mutazione più profonda richiede un cambiamento culturale, un nuovo modo di concepire i rapporti.
Lo ribadisce Giulia Salemi nella sua lettera al figlio nascituro: “Sarai piccolo, poi grande, e un giorno forse sarai tu ad amare… Voglio che tu sappia che l’amore non è mai possesso, che la forza non è mai violenza, e che la libertà dell’altro è il dono più prezioso che puoi custodire”.
L’analogia con le parole di Gino Cecchettin
Le parole della modella fanno da eco a quelle di Gino Cecchettin, che, in un’intervista a La Stampa, ricorda di essere cresciuto in un contesto fortemente patriarcale. “Quando penso alla mia infanzia mi chiedo se mio padre fosse patriarca, e la risposta è sì, tantissimo. Per esempio, chi aveva il compito dell’educazione era mia madre. Mio padre si sentiva esentato, salvo per le punizioni corporali. Invece l’educazione è un lavoro che devono portare avanti entrambi i genitori”, dice Gino Cecchettin che insiste sul concetto di educazione sentimentale: serve “un’educazione all’altruismo, dove non si tolleri nessuna forma di violenza dei confronti di qualsiasi altro tipo di persona”.
Il papà di Giulia sottolinea quanto ciascuno di noi sia il frutto di ciò che vive. Parlando del padre, dice di averlo perdonato quando è diventato genitore anche lui: “Ho capito che mi voleva bene ma che aveva a disposizione mezzi per educare diversi dai miei. È cresciuto in un contesto in cui mio nonno diceva a mia nonna: ‘Taci tu che sei una donna’”.
Prendere una strada diversa dall’educazione ricevuta è difficile ma non impossibile: “Io e mia moglie sicuramente abbiamo peccato nei primi tempi, siamo stati anche noi patriarcali. Ci abbiamo lavorato tanto. Per questo servono i seminari e soprattutto il dialogo con i giovani”.
Anche Gino Cecchettin, insomma, ha rischiato di incarnare la trappola del patriarcato, ma è riuscito a uscirne nonostante i modelli di “Stallone, Rambo, James Bond che paragonava le automobili alle donne. Alla fine – spiega – non mi sono ritrovato nel ruolo di maschio alpha, forse non ne avevo il carattere. Non puoi risolvere sempre tutto con la forza, alla lunga è estenuante e ti porta alla solitudine”. Il tenore delle sue parole ricorda il messaggio di Giulia Salemi quando dice al figlio che porta in grembo che “la forza non è mai violenza, e che la libertà dell’altro è il dono più prezioso che puoi custodire”.
Una speranza per il futuro
L’influencer conclude il suo toccante messaggio al nascituro con una promessa e una speranza: “Io sarò qui, a insegnarti con tutto l’amore che posso. E spero che quando crescerai, nel mondo che ti accoglierà, ci saranno meno giorni come questo. Ti aspetto, piccolo grande uomo. Con tutto il mio cuore, Mamma”.
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Come riconoscere la violenza di genere, il decalogo Lines e...
Un decalogo per riconoscere potenziali situazioni di violenza di genere, che sia psicologica, economica o sociale. Lo ha stilato Lines con WeWorld, organizzazione no profit italiana indipendente attiva in 26 Paesi compreso il nostro. Sostenuta dal 2020 da Lines, brand di Fater – joint venture paritetica tra Angelini Industries e Procter & Gamble – punta a promuovere lo sviluppo umano ed economico di chi si trova a vivere ai margini della società e in particolare che donne, bambine e bambini abbiano uguali opportunità e diritti, accesso alle risorse, alla salute, all’istruzione e a un lavoro degno.
In Italia, ricorda WeWorld, solo l’11% delle donne che subiscono violenza denuncia l’accaduto, di queste quasi il 40% addirittura non ne parla con nessuno, spesso per vergogna o perché le situazioni vissute sono ritenute la normalità. Si tratta di un problema ampio e molto sfaccettato, la cui soluzione passa intanto dalla consapevolezza da parte delle donne che certe situazioni non sono ‘normali’.
I ‘10 campanelli d’allarme’ della violenza di genere
Lines con WeWorld ha dunque stilato 10 ‘campanelli d’allarme’ che le donne non devono sottovalutare, ovvero quei segnali che indicano che ci si possa trovare di fronte a una forma di violenza:
1. Quando si rivolge a me è spesso aggressivo ed utilizza un tono di voce molto alto.
2. Quando siamo con gli altri, mi contraddice in continuazione e sminuisce quello che dico.
3. Di fronte ad impegni concordati, li nega e dice che sono io che ho capito male.
4. Quando esco con le mie amiche, mi dice che non sono una buona madre e/o una buona compagna.
5. Vuole accompagnarmi sempre e dappertutto, non mi permette di uscire da sola.
6. Quando non sono con lui, devo tenere il cellulare sempre a portata di mano per rispondere subito a messaggi e chiamate da parte sua.
7. Vuole conoscere tutte le mie password di accesso (pc, social media, cellulare).
8. Qualsiasi tipo di abbigliamento io indossi viene giudicato inadeguato, perché il mio partner ritiene che attiri l’attenzione.
9. Non vuole che esca con le mie amiche perché le giudica stupide e ha paura che possano avere una cattiva influenza su di me.
10. Quando gli dico che mi interessa un lavoro, mi dice che io non sono capace e che non mi serve perché tanto provvede lui a me.
Lines per gli ‘Spazio Donna WeWorld’
L’iniziativa si inserisce in un contesto più ampio di collaborazione tra Lines e WeWorld, di cui il sostegno del brand all’apertura degli ‘Spazio Donna WeWorld’ di Bologna nel 2021 e di Pescara nel 2022 è un altro esempio. In questo caso, l’idea alla base è che sostenere le donne a rischio di violenza e in situazioni di fragilità passi attraverso Spazi che offrano percorsi di supporto psicologico e per l’empowerment femminile.
I risultati ci sono: oltre 2500 donne, dall’apertura del primo degli otto spazi operativi presenti in Italia (Napoli, Roma, Bologna, Pescara, Cosenza e Brescia) hanno chiesto aiuto agli operatori dei diversi centri e di queste più di 700 lo hanno fatto in quelli sostenuti da Lines a Pescara e Bologna.
L’impegno di Lines con le scuole
L’impegno di Lines contro la violenza di genere non finisce qui, c’è tanto da fare anche sotto il profilo culturale, che è alla base del fenomeno. E proprio per diffondere una visione paritaria ed equa dei rapporti interpersonali Lines ha promosso il programma ‘Domande Scomode @School’, che ad oggi ha raggiunto oltre 200mila studenti. L’iniziativa mira a diffondere l’educazione all’affettività e ad aiutare i ragazzi, assieme ai docenti, a trovare risposte a quesiti importanti, dal ciclo mestruale e la sessualità alla gestione dei rapporti affettivi, fino ad altri temi delicati di cui spesso è difficile parlare.
Fater estende il congedo per le donne vittime di violenza
Anche Fater intende supportare la lotta alla violenza di genere, infatti ha appena annunciato l’estensione del congedo per le donne vittime di violenza dai 3 mesi previsti dal CCNL chimico-farmaceutico a 6 mesi, una misura che permetterà anche a chi si trova in questa drammatica situazione di far partire più velocemente il congedo. Un’azione tempestiva infatti, sottolinea l’azienda, in questi casi è fondamentale.
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Coppie, figli e genitori soli: così cambiano le famiglie...
Il tessuto sociale italiano, da sempre fortemente ancorato alla famiglia, si sta trasformando. I dati del Censimento permanente del 2021 dell’Istat tracciano un quadro di cambiamento che, pur mantenendo alcune radici nel passato, riflette le dinamiche di una società in evoluzione. In Italia si contano oggi 26.206.246 famiglie, con un aumento del 6,5% rispetto al 2011. Questo dato, però, non è sinonimo di una maggiore stabilità o espansione dei nuclei familiari: al contrario, i nuclei stessi risultano ridotti e più flessibili rispetto al passato.
Osservando le famiglie, possiamo distinguerle in tre grandi categorie: quelle composte da un solo nucleo (59,7%), da due o più nuclei (1,5%) e quelle senza alcun nucleo, come le famiglie unipersonali o formate da individui senza legami diretti di parentela (38,8%). Il numero totale di nuclei familiari è sceso a 16.438.655, in calo rispetto al 2011. Ma il dato davvero interessante è rappresentato dal tipo di nuclei: se da un lato calano le coppie con figli (di oltre un milione in dieci anni), dall’altro aumentano le famiglie monogenitoriali, spinte da trasformazioni demografiche e sociali come l’instabilità delle relazioni e l’allungamento della vita.
Le coppie con figli, pur rappresentando ancora il 45,8% del totale, continuano a diminuire: erano il 57,5% nel 2001 e il 52,7% nel 2011. È invece stabile il numero delle coppie senza figli, mentre crescono significativamente i nuclei composti da un solo genitore. Le madri sole con figli, che rappresentano il 18,1% dei nuclei familiari, sono cresciute del 35,5% dal 2011, mentre i padri soli sono quasi raddoppiati (+85%). Questo cambiamento racconta una società in cui le donne assumono sempre più spesso il ruolo di principali o uniche figure genitoriali, anche se non mancano i segnali di una maggiore partecipazione maschile.
Un’Italia a due velocità
Le differenze territoriali confermano l’esistenza di due Italie, anche sul fronte familiare. Nel Mezzogiorno, le coppie con figli sono ancora il modello prevalente, rappresentando il 50,5% dei nuclei, con picchi in Basilicata (51,8%), Campania (51,4%) e Puglia (50,7%). Al contrario, nel Nord, e in particolare nel Nord-Ovest, domina il modello delle coppie senza figli, che raggiungono il 34,5% nel Piemonte e nel Friuli-Venezia Giulia. Liguria e Valle d’Aosta presentano invece i numeri più bassi di coppie con figli, rispettivamente al 37,2% e 40,7%.
Il decennio 2011-2021 ha visto un calo significativo delle coppie con figli in tutto il territorio nazionale, ma con variazioni regionali marcate. La Sardegna, ad esempio, registra una diminuzione di 10 punti percentuali, seguita da Campania e Calabria (-8 punti). Al contempo, aumentano le famiglie monogenitoriali, con il Centro e il Sud Italia a guidare questa crescita. Fenomeni come i “pendolari della famiglia” – lavoratori che vivono lontano dal nucleo familiare e tornano periodicamente – contribuiscono a creare situazioni in cui madri (e meno frequentemente padri) gestiscono da sole la casa e i figli.
Un altro aspetto interessante riguarda la composizione interna dei nuclei. La presenza di figli maggiorenni è particolarmente rilevante nelle regioni del Sud, dove le difficoltà economiche e occupazionali spingono molti giovani a prolungare la permanenza nella casa di origine. In Molise e Basilicata, ad esempio, oltre il 66% delle coppie con un figlio ha figli maggiorenni, segno di una coabitazione spesso necessaria per affrontare sfide economiche o per garantire assistenza reciproca tra generazioni.
Il peso dell’età e dei modelli familiari non tradizionali
Un altro fattore chiave nella trasformazione delle famiglie italiane è l’invecchiamento della popolazione. Le coppie ultrasessantacinquenni rappresentano oggi il 27,1% del totale, in aumento rispetto al 20,8% del 2011. Al contrario, le coppie con entrambi i partner sotto i 45 anni si riducono drasticamente, dal 27,3% al 19,2%. Questo cambiamento è legato sia all’allungamento della vita, che permette alle coppie di rimanere unite più a lungo, sia alla crescente instabilità delle relazioni giovanili, che spesso non portano alla coabitazione stabile.
Un segnale dei cambiamenti sociali è dato anche dall’aumento delle coppie dello stesso sesso. Dal 2011 al 2021, queste sono passate da 7.513 a 9.795, con una maggiore concentrazione nel Nord Italia. La loro presenza, seppur ancora limitata, rappresenta un passo importante verso una società più inclusiva, che riconosce la diversità dei modelli di coppia e famiglia.
Le famiglie italiane di oggi, quindi, non sono più quelle di una volta: il modello “tradizionale” è affiancato e talvolta superato da nuove configurazioni, capaci di rispondere a bisogni e situazioni sempre più complessi.