Organizzavano barconi dalla Libia, 10 fermi a Milano: prendevano 6mila euro a migrante
Sono almeno 8 le traversate via mare ricondotte agli indagati, una approdata a Lampedusa, una a Civitavecchia e 5 sulle coste greche
Sgominata un'organizzazione internazionale dedita al traffico di migranti dalla Libia all'Italia ed altri Paesi. La Polizia di Stato di Milano nelle prime ore di oggi ha dato esecuzione a un decreto di fermo emesso dalla Dda di Milano a carico di 10 soggetti di origine egiziana, indagati a vario titolo per i reati di associazione per delinquere, favoreggiamento dell’immigrazione clandestina nonché esercizio abusivo dell’attività creditizia.
In particolare, l’attività d’indagine condotta da personale della Squadra Mobile di Milano e del Servizio Centrale Operativo, con il supporto di analisti Europol nell’ambito dell’Operational Task Force Mediterraneo, a guida italiana, ha consentito di raccogliere indizi di reato in ordine alla presenza nel capoluogo lombardo di un sodalizio, avente carattere della transnazionalità e composto da più soggetti di origine egiziana, dedito al trasferimento illegale di migranti, sempre di nazionalità egiziana, sul territorio nazionale e su quello di altri Paesi europei, tramite imbarcazioni salpate dalle coste libiche.
Le indagini
Le indagini, avviate nel mese di luglio 2023, hanno evidenziato la presenza di una cellula milanese inserita in un più ampio network criminale internazionale, con ramificazioni in Egitto, Libia e altri Paesi europei, operante su due fronti: il favoreggiamento dell'immigrazione clandestina di cittadini di nazionalità egiziana e il connesso esercizio abusivo di attività di prestazione di servizi di pagamento.
In tale ambito sono emersi soggetti che, vantando specifica esperienza e collegamenti internazionali, hanno dato vita a una consolidata rete di contatti tra referenti operanti in Nord Africa e in Europa. È stata documentata, infatti, l’operatività di persone dedite alla gestione di c.d. safe house presenti in Libia, al reperimento di beni necessari alla gestione dei migranti durante i mesi di permanenza in territorio libico (cibo, acqua, telefoni, satellitari, schede telefoniche), alla raccolta del denaro per il pagamento delle varie tratte e alla individuazione delle imbarcazioni utilizzate per attraversare il Mediterraneo.
Preciso schema operativo
Il consolidato modus operandi adottato dal sodalizio criminale ha seguito un preciso schema operativo: i migranti, dopo aver concordato, dall’Egitto, la partenza, hanno versato gli importi imposti ai facilitatori presenti a Milano; successivamente sono stati spostati in Libia attraverso il confine egiziano da altri correi presenti all’estero; giunti in territorio libico, i migranti sono stati raccolti dai facilitatori libici e collocati nelle c.d. safe house dislocate in varie località in attesa di partire. Durante tale attesa, che è spesso durata anche diversi mesi, talvolta anche in condizioni degradanti, alcuni migranti sono stati anche costretti a improvvisi trasferimenti, per sottrarsi ai crescenti controlli delle Autorità libiche, finalizzati a contrastare le partenze illegali da quel territorio. Dopo aver raggiunto l’Europa, in particolare la Grecia o l’Italia, su imbarcazioni non sempre in grado di sostenere la traversata, gli indagati si sono talvolta adoperati per far ottenere ai migranti irregolari permessi di soggiorno o per garantire il trasferimento da Milano ad altre città.
Per quanto concerne, invece, i facilitatori presenti in Nord Africa, soprattutto Egitto e Libia, è stato accertato che costoro hanno agito come vere e proprie agenzie di viaggio, procacciando i migranti, concordando il prezzo e organizzando il trasferimento fino alla destinazione finale in Europa.
Almeno 8 le traversate via mare
Sono almeno 8 le traversate via mare ricondotte agli indagati, una approdata a Lampedusa, una a Civitavecchia e 5 sulle coste greche; un ulteriore viaggio, con destinazione le coste italiane, si è concluso con una attività di soccorso, dopo che l’imbarcazione è risultata non più governabile e quindi essere finita alla deriva.
Le proiezioni del sodalizio in Grecia hanno permesso allo stesso di avviare anche la gestione di alcuni trasferimenti attraverso la c.d. rotta balcanica, per far fronte al crescente contrasto a quella marittima.
I guadagni
Il traffico di ogni singolo migrante diretto verso l’Italia ha portato all’organizzazione un introito oscillante tra i 4000 e i 6000 euro, perlopiù versati da parenti o amici. La rotta attraverso la Grecia ha comportato per i migranti, invece, il pagamento di una cifra compresa tra i 3000 e i 5000 euro.
Per il pagamento della somma pattuita è stato ancora una volta utilizzato il consolidato metodo "fiduciario" conosciuto come “hawala”, grazie alla presenza, sempre nella zona di Milano, di un nucleo familiare specializzato nel citato trasferimento di denaro.
L'hawala, com’è noto, è un sistema di trasferimento di denaro informale, basato sulla fiducia, in cui privati si accordano con altri privati e in cui il sovrapprezzo alla transazione, cioè la provvista che viene trattenuta dagli hawaladar, è in genere più alto di quello richiesto dalle società che legalmente si occupano di tali attività di trasferimento di denaro contante.
Nel corso delle indagini, infine, è emerso che taluni degli indagati nell’ultimo periodo hanno provato a eludere le normative che, attraverso il c.d. decreto flussi, disciplinano l’ingresso regolare di lavoratori stranieri in Italia e altri Paesi europei.
L’operazione odierna ha interessato non solo il territorio milanese, ma anche altre province italiane (Firenze, Asti, La spezia e Pavia) ove sono stati rintracciati alcuni degli indagati destinatari del provvedimento di fermo. L’indagine si trova nella fase delle indagini preliminari e sono fatte salve ulteriori e diverse valutazioni nelle fasi successive del procedimento.
Esteri
Ucraina-Russia, chi vince guerra a Kursk? Le due verità di...
Le forze armate ucraine hanno invaso la regione russa il 6 agosto: dopo 2 mesi e mezzo, chi sta vincendo?
Il 6 agosto scorso le forze ucraine sono entrate in Russia, nella regione russa di Kursk, arrivando a occupare in poche ore, secondo la versione di Kiev, 1.250 chilometri quadrati di territorio e il controllo di 92 insediamenti. Da allora, sono in corso combattimenti fra russi e ucraini anche su questo fronte, in territorio russo.
Le versioni sull'esito dei combattimenti sono contrastanti. E difficile da verificare in modo indipendente dopo che Mosca ha lanciato una campagna aggressiva contro i giornalisti stranieri che passano il confine senza autorizzazione, contro cui sono state formalizzate accuse e, nel caso dei due italiani Stefania Battistini e Simone Traini, e del britannico inviato di Cnn, Nick Peyton Walsh, anche un mandato di arresto.
Cosa dicono i russi
Lunedì il portavoce delle forze russe dispiegate a Kursk per respingere gli ucraini, il comandante delle forze cecene Akhmat, Apti Alaudinov, ha annunciato che le forze russe hanno riconquistato il 50 per cento del territorio che era stato preso dagli ucraini. Fra gli ultimi insediamenti di cui Mosca ha ripreso il controllo ci sono Novaya Sorochina e Pokrovsky, ha riferito invece il ministero della Difesa.
Ma secondo le informazioni elaborate dall'Institute for the Study of War (Isw) basato a Washington, dopo poco più di due mesi di combattimenti nel Kursk, l'Ucraina continua a controllare la maggior parte del territorio che aveva preso ad agosto.
Cosa dicono gli ucraini
Sabato Volodymir Zelensky ha affermato che Kiev "mantiene le posizioni". Le forze ucraine continuano a controllare la città di Sudzha, snodo cruciale del trasporto del gas fra Russia ed Europa attraverso l'Ucraina (flusso che comunque cesserà a fine anno) in cui prima dell'inizio dell'incursione vivevano 5mila persone.
Gli sfollati dalla regione intera sono 112mila civili dall'inizio di agosto. Almeno 308 civili, fra cui 11 bambini, sono rimasti feriti. La Russia accusa l'Ucraina di aver deportato mille residenti della regione, sulla base di informazioni, non verificate in modo indipendente, pervenute alla Alta Commissaria per i diritti umani, Tatiana Moskalova, da parte dei familiari.
Cosa dice la popolazione
I residenti locali lamentano la mancanza di azione da parte delle autorità. "Prima di tutto hanno lasciato che le forze ucraine entrassero, e che fossero uccise così tante persone. E ora vanno in giro dicendo che stanno 'liberando' le nostre città e villaggi", ha scritto una residente della regione Natalia Kartseva, in un commento su VKontakte. "La nostra regione è stata già liberata? I responsabili per l'incursione delle forze ucraine non sono stati ancora puniti. C'è qualcuno che intende rendere pubblici i nomi dei responsabili? O sono già stati trasferiti?", ha commentato un altro, Nikolai Pakhomov.
La centrale nucleare senza difese
La centrale nucleare della regione di Kursk con quattro reattori Rbmk, due dei quali ancora operativi, è il terzo impianto nucleare più grande in Russia, accanto alla cittadina di Kurchatov: a poche decine di chilometri dalla zona di combattimenti, non avrebbe sufficiente protezione.
Fonti della Rosatom, l'agenzia per l'energia nucleare russa, spiegano al sito di notizie russo Verstka che le misure di protezione dell'impianto non includono quelle per raid militari, dopo che fonti russe, smentite dagli ucraini, avevano denunciato raid di droni ucraini in corrispondenza del sito.
La sezione più vulnerabile sono i bacini di raffreddamento del combustibile usato rimosso dai reattori. Se colpito, può diffondere radioattività, come una 'bomba sporca'. La nuova centrale Kursk II, non ancora operativa, è progettata per sostenere l'impatto anche di un aereo, uno standard introdotto dopo gli attacchi dell'11/9 negli Usa.
Esteri
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