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Nella giornata di sensibilizzazione sulla ricostruzione mammaria post-oncologica, le pazienti e, per la prima volta, i loro partner si raccontano. Salgarello: "La ripresa è un momento davvero difficile, un frullatore psicologico"

Bra Day, 'ricostruirsi' dopo un cancro al seno

Rinascere dopo un tumore al seno, un percorso di paura, incredulità e vergogna, ma anche di speranza, forza e ricostruzione, con il bisturi e non solo. Si celebra oggi il 'Bra Day', la giornata internazionale per la consapevolezza della ricostruzione mammaria post-oncologica. Per sensibilizzare sull'argomento, la Beautiful After Breast Cancer (Babc) Italia Onlus ha dato la parola alle pazienti e, per la prima volta, anche ai loro compagni, protagonisti di una serata speciale al Grand Hotel Plaza di Roma. Con loro la presidente dell'associazione, Marzia Salgarello, chirurgo plastico ricostruttivo della Fondazione Policlinico universitario Gemelli Irccs, e Liliana Barone Adesi, dirigente medico dell'Unità operativa di Chirurgia plastica del Gemelli e vicepresidente di Babc Italia Onlus, che hanno fatto da padrone di casa.

"Il Bra Day evidenzia l'importanza della ricostruzione immediata, fondamentale per la donna, per riappropriarsi di sé stessa, ma anche per ricevere meglio le terapie e poter riprendere la propria vita lavorativa e sociale - sottolinea Salgarello - Dopo due settimane trascorse in ospedale, ci si ritrova a casa con le proprie paure e tante domande che non riescono a trovare risposta. La ripresa è un momento davvero difficile, un frullatore psicologico in cui i chirurghi plastici hanno un ruolo fondamentale: fanno una cosa che la paziente porterà con sé per tutta la vita. Ecco perché è importante - rimarca - che siano loro ad accompagnare le donne nella ripresa in tutte le sfaccettature, fisiche, motorie, psicologiche, intime".

Il tema scelto quest'anno è, appunto, "Ricostruirsi: Dialogo con le donne e i loro compagni". Tre donne, molto diverse tra loro, ma tutte con il sorriso e una nuova luce negli occhi, hanno condiviso la loro storia, le difficoltà affrontate nel quotidiano, com'è cambiata la percezione del proprio corpo, quali sono stati gli ostacoli nel rapporto con i compagni e con i figli e come sono state riaccolte a lavoro. Hanno raccontato l'impatto psicologico del tumore al seno nella loro vita. Un impatto che investe l'intera famiglia. Per questo Babc Italia ha voluto dar voce anche a fidanzati, compagni e mariti delle pazienti, che hanno raccontato dal loro punto di vista la malattia e come ha cambiato la quotidianità, come hanno aiutato le partner, quali difficoltà hanno incontrato, cosa pensavano i figli. Si sono aperti, svelando anche le loro paure.

A tirare le somme la psicoterapeuta e sessuologa clinica Marinella Cozzolino. "Gli studi sul dolore hanno dimostrato che le donne lo sopportano più degli uomini - ricorda Cozzolino - Basterebbe pensare al parto per non avere dubbi. Eppure è stato scientificamente dimostrato che, ad esempio, nel post operatorio agli uomini serve il 60% in più di morfina rispetto alle donne per avere sollievo. Sarà per questo che quando stanno male le donne si scusano. Come se da loro non ci si potesse aspettare una lamentela da dolore o inefficienza. Si scusano con i genitori, con i figli, ma soprattutto con il partner che per qualche incombenza dovrà sostituirle. 'Scusami ma oggi non riesco a fare tutto' ed hanno 40 di febbre. 'Scusami oggi non ho tanta forza, mi dispiace'. Ed hanno un tumore", chiosa.

Anche per questo "giornate come il Bra Day sono davvero importanti per sensibilizzare le donne, e non solo, sull'importanza della ricostruzione immediata - ribadisce Barone - Oggi solo il 50% delle pazienti sceglie di ricostruirsi. Nelle Breast Unit la percentuale di coloro che ricevono una ricostruzione immediata è notevolmente più alta. Ecco perché dobbiamo spingere le pazienti a rivolgersi, ove possibile, alle Breast Unit, poiché le possibilità di cura sono di gran lunga migliori. Sono formate da équipe altamente qualificate, di cui i chirurghi plastici sono parte integrante. Ed è tutto programmato in funzione del fatto che la ricostruzione sia la fine del percorso di cura. Attualmente esistono numerose tecniche ricostruttive, tra cui la posizione della protesi mammaria pre-pettorale, cioè davanti al muscolo, che è la più naturale. Ma non c’è uno standard: ogni donna - sottolinea - ha la sua ricostruzione in base alle caratteristiche biologiche del tumore, alla tipologia della mastectomia e alle caratteristiche fisiche del corpo e del seno della paziente".

ATTENZIONE - Questo articolo è stato originariamente pubblicato dall’agenzia Adnkronos. Sbircia la Notizia Magazine non è responsabile per i contenuti, le dichiarazioni o le opinioni espresse nell’articolo. Per qualsiasi richiesta o chiarimento, si prega di contattare direttamente Adnkronos.

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Cronaca

Migranti, Comunità Sant’Egidio: “Modello...

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"In 8 anni sono arrivate in Europa 7.800 persone di cui oltre 6mila in Italia"

Migranti, Comunità Sant'Egidio:

"Dal febbraio 2016 sono 7.800 gli immigrati arrivati in Europa attraverso i corridoi umanitari e di questi oltre 6mila sono rimasti in Italia. Quello dei corridoi umanitari è un modello di cui come comunità di Sant'Egidio siamo fieri, soprattutto in questo momento in cui siamo purtroppo alle prese con tante guerre, perché si salvano vite che sono in pericolo e si dà alle persone un futuro". Lo afferma all'Adnkronos Roberto Zuccolini, portavoce della Comunità di Sant'Egidio spiegando che arrivi ci sono stati anche in Francia, in Belgio e anche ad Andorra.

Zuccolini spiega come funzionano questi corridoi, nati dopo accordi con il ministero degli Esteri e con quello dell'Interno, "per consentire a persone vulnerabili, fragili, famiglie con malati, con bambini, donne a rischio di tratta e così via di rifarsi una vita altrove. Vengono segnalate da associazioni o enti sul posto, come anche l'Unhcr, ci siamo anche noi di Sant'Egidio. Prima della partenza dei migranti è necessario preparare il terreno in Italia, abbiamo adottato per così dire l'accoglienza diffusa: parrocchie, famiglie, tutte le regioni italiane hanno abbracciato l'iniziativa e a si raccolgono fondi, anche con l'8 per mille come la chiesa cattolica o valdese o quella cattolica. "Dopo una serie di controlli, una volta stabilito che possono partire, ai migranti viene fornito un visto umanitario con il quale arrivano in Italia e già all'aeroporto avviano le pratiche per lo status di rifugiato. Sono tutte persone che fuggono da guerre, persecuzioni e violenze. - sottolinea Zuccolini - Una volta arrivati vengono accolti nelle parrocchie, nelle famiglie che si sono messe a disposizione e cominciano subito il percorso di integrazione: per i bambini l'iscrizione a scuola, per gli adulti l'insegnamento della lingua italiana gratuitamente, con dei volontari, e poi una volta avuto lo status di rifugiato anche il lavoro".

"Il modello dei corridoi umanitari, che sono contingentati, funziona. Ha come obiettivo l'integrazione delle persone e abbiamo visto che ha successo. Queste persone possono contribuire allo sviluppo del nostro Paese: servono ingressi regolari, anche per evitare che queste persone fragili e vulnerabili possano finire in 'brutte mani'. Rifugiati che una volta trovato lavoro, una volta integrati, sono in grado di avere una casa per conto loro e ospitare a loro volta connazionali in difficoltà attraverso gli stessi corridoi umanitari: è un circolo virtuoso che salva vite e può portare sviluppo nel Paese. Questo è un modello che non ha avuto alcuna opposizione politica, è stato accolto in maniera trasversale dai governi che si sono succeduti in questi otto anni".

ATTENZIONE - Questo articolo è stato originariamente pubblicato dall’agenzia Adnkronos. Sbircia la Notizia Magazine non è responsabile per i contenuti, le dichiarazioni o le opinioni espresse nell’articolo. Per qualsiasi richiesta o chiarimento, si prega di contattare direttamente Adnkronos.
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Cronaca

Sanità, Albini (Confindustria): “Demografia e...

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All’evento del Fondo Asim, ‘540 mld fra previdenza, sanità e assistenza’

Sanità, Albini (Confindustria):

“Abbiamo davanti un futuro che non siamo in grado di prevedere, quindi non possiamo guardare al passato pensando di imparare qualcosa per il futuro. Abbiamo davanti delle incognite, alcune delle quali hanno già però una loro precisa definizione, che cambiano lo scenario complessivo. Se guardiamo la demografia e lo scenario di competitività in cui si muove il paese, è chiaro che dobbiamo preoccuparci del nostro sistema di welfare pubblico che, nonostante venga spesso bistrattato, è tra i più generosi al mondo: spendiamo 540 miliardi di euro fra previdenza, sanità e assistenza, investiamo metà della spesa pubblica e un terzo del Pil”. Lo ha detto Pierangelo Albini, direttore Area Lavoro, welfare e capitale umano di Confindustria, l’incontro ‘Le nuove sfide dei fondi sanitari: dall’integrazione pubblico-privato alla tutela dei grandi rischi’, che si è svolto a Roma, nel decimo compleanno del Fondo Asim, Fondo di assistenza sanitaria integrativa del settore delle imprese esercenti servizi di pulizia, servizi integrati/multiservizi.

“È evidente che la capacità di sostenere questo sistema di welfare dipende dalla ricchezza che il paese produce - osserva Albini - L’Italia, con la sua spina dorsale manifatturiera, è invitata a pieno titolo in consessi internazionali come il G7, G8, G20, ma deve competere con aree del mondo che hanno diverse sensibilità sui diritti e un concetto di capitalismo completamente diverso dal nostro. Quando parlo di imprese, spesso cito San Bernardino da Siena che, nel Medioevo, scrisse un trattato sull’usura, distinguendo tra il prestito a usura e quello fatto per avviare attività artigianali che creano ricchezza per la comunità. Il sistema di welfare regge se la società produce ricchezza responsabilmente. La vera domanda oggi è se le imprese hanno coscienza di questa responsabilità. Spesso le scelte imprenditoriali sono dettate dalla convenienza, ma è la politica che deve rendere conveniente fare le cose giuste”.

L’Europa “è sempre più in difficoltà, e oggi si mette in discussione su molti fronti, ma non so fino a che punto lo faccia davvero - riflette Albini - In Italia, siamo in un contesto unico, dove cerchiamo di costruire benessere per la collettività. Tuttavia, è chiaro che dobbiamo cambiare il nostro modo di vedere le cose. Non è solo la dimensione negoziale o contrattuale a risolvere i problemi, ma è ecessaria una visione più ampia per sostenere il sistema. La domanda cruciale è come rendere equa la distribuzione dei costi. Il nostro sistema di welfare è ampiamente finanziato dalla fiscalità generale, e qui si apre il tema dell’equità nei sistemi di tassazione. Il lavoro autonomo e il lavoro subordinato dovrebbero essere tassati allo stesso modo e quando si costruiscono sistemi di protezione sociale bisogna farlo con equità complessiva. Abbiamo spesso creato compartimenti stagni nei settori, con silos verticali costruiti sulle relazioni sindacali, ma dobbiamo iniziare a ragionare con una logica diversa”.

A tale proposito, “c’è un evidente rapporto tra sanità pubblica e privata, che non dovrebbe essere una competizione, ma una collaborazione - sottolinea l’esperto - Serve un disegno politico chiaro. Ciò che oggi forse manca è proprio la capacità di avere una visione sul futuro del paese e del suo sistema di protezione sociale. Quando guardiamo ad altri paesi, come gli Stati Uniti, vediamo situazioni di estrema precarietà sociale. In Italia, quando qualcuno cade, siamo ancora in grado di prenderlo e curarlo. Questo è un problema politico, che richiede di decidere quale futuro vogliamo costruire e quali tutele sociali garantire. Abbiamo necessità di costruire qualcosa con un respiro più ampio, che favorisca l’omogeneità nelle tutele. Questo può avvenire anche attraverso strumenti che creino una cultura condivisa, educando le persone e le imprese - conclude - a operare in modo più responsabile”.

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Cronaca

Primo laureato al carcere Pagliarelli di Palermo,...

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"Grazie allo studio non mi sono mai sentito annientato tra queste mura e sono riuscito a ritrovare la mia identità"

Il carcere Pagliarelli di Palermo (Fotogramma)

Prima laurea di un detenuto al carcere Pagliarelli di Palermo. Oggi un giovane detenuto si è laureato in Architettura con la tesi su 'Greentrification'. A renderlo noto è il garante comunale dei detenuti Pino Apprendi. Si tratta della prima laurea dopo la firma dell'accordo quadro, il 25 febbraio 2021, fra il rettore di Palermo Massimo Midiri e l'emerito professore Giovanni Fiandaca, allora garante regionale per i diritti dei detenuti della Sicilia, per l'istituzione del polo universitario penitenziario. Alla proclamazione hanno assistito la moglie, i figli e alcuni familiari.

"Un sentito ringraziamento - sottolinea Apprendi - va ai professori che hanno accompagnato lo studente in questa stupenda storia e a tutto il personale dell'amministrazione penitenziaria che ha collaborato per arrivare all'obiettivo finale: un meritatissimo 110 e lode". Presenti anche il presidente della Magistratura di Sorveglianza Nicola Mazzamuto e il suo vicario Simone Alecci, oltre al garante regionale dei detenuti Santi Consolo e il componente dell'ufficio del garante nazionale Mario Serio.

La storia

"Grazie allo studio non mi sono mai sentito annientato tra queste mura e sono riuscito a ritrovare la mia identità. Oggi, ai miei figli, porto un esempio positivo e posso impartire un’importante lezione: lo studio è fondamentale per costruire il proprio futuro, realizzare i propri sogni ed essere liberi". Con queste parole N.C. ha espresso tutta la sua commozione dopo essere stato proclamato Dottore in 'Urbanistica e Scienze della città', corso di laurea triennale del Dipartimento di Architettura. La cerimonia si è svolta all’interno della casa circondariale e il neo laureato già pensa a iscriversi al percorso magistrale.

"Esprimo profonda gratitudine e soddisfazione - ha sottolineato Enrico Napoli, prorettore vicario dell’Università degli Studi di Palermo - per questo importante risultato. Oggi è una giornata altamente simbolica perché permette di esprimere, nel migliore modo possibile, il ruolo positivo che l’istituzione universitaria svolge all’interno della società attraverso la diffusione della cultura e il trasferimento della conoscenza".

"È il risultato - ha spiegato la direttrice del Pagliarelli, Maria Luisa Malato - di uno sforzo notevole che ha coinvolto due mondi, quello penitenziario e quello accademico, spesso distanti e caratterizzati da procedure difficili da conciliare. Oggi gioiamo perché dimostriamo che la collaborazione tra istituzioni non solo è possibile, ma necessaria per abbattere muri e steccati".

I Poli penitenziari universitari in Sicilia sono stati avviati a partire da marzo 2021. Il Polo universitario penitenziario di Unipa ha registrato una cinquantina di iscrizioni, tra immatricolazioni e passaggi ad anni successivi al primo. Nove i dipartimenti coinvolti assieme a una squadra di orientatori, tutor senior e studenti tutor coordinati dall’Area didattica e Servizi agli studenti con il supporto del Centro orientamento e Tutorato.

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