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Ucraina, armi nucleari per battere Russia? Zelensky: “Mai detto”

Kiev smentisce le affermazioni di un'anonima fonte citata dalla stampa tedesca

Volodymyr Zelensky

L'Ucraina, in guerra con la Russia da quasi 1000 giorni, pensa di tornare alle armi nucleari? Ad accendere i riflettori sul tema è un articolo della Bild, che riporta le parole di un'anonima fonte di alto livello di Kiev. Se le forze armate agli ordini di Vladimir Putin dovessero puntare nuovamente verso la capitale, l'Ucraina potrebbe riattivare il proprio arsenale nucleare abbandonato negli anni '90.

"Abbiamo i materiali, abbiamo le conoscenze. Se arrivasse un ordine, avremmo bisogno di poche settimane per ottenere la prima bomba. L'Occidente dovrebbe pensare meno alle linee rosse della Russia e più alle nostre linee rosse", il messaggio.

La Russia, periodicamente, minaccia l'uso di armi nucleari in un conflitto in corso da oltre 2 anni e mezzo. Mosca ha recentemente prospettato anche la modifica della propria dottrina, aprendo all'ipotesi di una risposta con armi atomiche ad attacchi portati da paesi sostenuti da potenze nucleari. In altre parole, se l'Ucraina colpisse obiettivi militari in territorio russo, la risposta potrebbe essere estrema.

Le parole di Zelensky a Trump

Nelle stesse ore, rimbalzano le dichiarazioni del presidente ucraino Volodymyr Zelensky che torna sul tema delle armi nucleari ripensando ad un colloquio con Donald Trump. Il leader di Kiev ha spiegato che l'Ucraina vuole entrare nella Nato, perché la considera l'unica garanzia di sicurezza credibile, fatto salvo il ritorno alla bomba atomica cui rinunciò con l'indipendenza su pressione dell'Occidente in cambio di garanzie di sicurezza che si sono rivelate inconsistenti davanti all'attacco sferrato dalla Russia.

Nel 1991, ha ricordato Zelensky, l'Ucraina negoziò con una serie di Paesi garanzie di sicurezza in cambio della rinuncia all'arsenale nucleare ex Urss presente sul suo territorio, ma la Russia, che era uno dei "garanti", ha "violato" il Memorandum di Budapest.

Il fatto è che con Mosca questi accordi "non funzionano", ha aggiunto. Tra tutti gli Stati che disponevano dell'atomica, ha detto ancora Zelensky, "quale Paese ha sacrificato le armi nucleari? Solo l'Ucraina. E chi sta combattendo oggi? Solo l'Ucraina. Nella mia conversazione con Donald Trump ho detto che questi sono i fatti. E qual è la via d'uscita? O riprendiamo ad avere armi nucleari, e sarebbero una certa protezione per noi, oppure dovremmo avere una certa alleanza. Oltre alla Nato non conosciamo alleanze più efficienti. I Paesi della Nato non sono impegnati in nessuna guerra. Le persone dei Paesi della Nato sono tutte vive, grazie a Dio. E' per questo che scegliamo la Nato. Non scegliamo le armi nucleari, scegliamo la Nato e penso che Donald Trump mi abbia ascoltato. Mi ha detto che ho dei buoni argomenti", ha concluso.

Il caso è innescato, serve la smentita

Sì alla Nato, quindi, no alle armi nucleari. Le parole di Zelensky nel dialogo con Trump appaiono chiare ma evidentemente non bastano per disinnescare il caso. Deve intervenire formalmente l'ufficio del presidente ucraino per bollare come "sciocchezze" le parole contenute nell'articolo della Bild. In serata, deve tornare a esprimersi ancora Zelensky, dopo il meeting con Mark Rutte, segretario generale della Nato: "Non abbiamo mai detto che abbiamo in programma di produrre armi nucleari".

ATTENZIONE - Questo articolo è stato originariamente pubblicato dall’agenzia Adnkronos. Sbircia la Notizia Magazine non è responsabile per i contenuti, le dichiarazioni o le opinioni espresse nell’articolo. Per qualsiasi richiesta o chiarimento, si prega di contattare direttamente Adnkronos.

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Esteri

Da Sinwar allo sceicco Yassin, tutti i leader di Hamas...

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Ecco la lunga lista

Yahya Sinwar - (Fotogramma)

Dallo sceicco Yassin a Yahya Sinwar. E' lunga la lista dei leader di Hamas uccisi da Israele nella guerra contro il movimento di resistenza islamico negli ultimi 20 anni. Sinwar, nominato capo dell'ufficio politico di Hamas il 6 agosto scorso, ritenuto la mente degli attacchi del 7 ottobre, è stato ucciso in un'operazione di routine dei militari israeliani a Rafah, dopo una caccia all'uomo durata mesi, nei quali è stato dato più volte per morto.

 Sinwar aveva perso il posto di Ismail Haniyeh, ucciso il 31 luglio scorso in un attentato a Teheran, dove si trovava per partecipare all'insediamento del nuovo presidente iraniano Masoud Pezeshkian. Haniyeh era il capo del Politburo di Hamas, che guidava da Doha, mentre colui che è diventato il suo successore era il leader di Hamas nella Striscia di Gaza.

Prima di lui, il 13 luglio, Mohammed Deif, capo militare di Hamas a Gaza dal 2002, sarebbe rimasto ucciso in un raid aereo a Mawasi nel sud della Striscia. Hamas non ha mai confermato, ma da allora non sono state fornite da parte palestinese prove sull'esistenza in vita di colui che veniva chiamato 'il fantasma'. Secondo i sauditi sarebbe rimasto gravemente ferito.

Insieme a Deif, nello stesso raid mirato, è stato invece ucciso il comandante del Battaglione Khan Yunis di Hamas, Rafa'a Salameh, suo stretto collaboratore. Si ritiene che i due fossero infatti nello stesso edificio colpito dai caccia israeliani.

L'8 marzo, un duro colpo a Hamas era stato inferto con l'uccisione di Marwan Issa, considerato il numero tre del gruppo e il terzo più ricercato dai militari israeliani. Vice comandante dell'ala militare di Hamas a Gaza e braccio destro di Deif, Issa era ritenuto una delle menti del massacro del 7 ottobre.

All'inizio dell'anno, il 2 gennaio, il primo leader di alto rango di Hamas ucciso da Israele era stato Saleh al-Arouri, numero due dell'ufficio politico di Hamas dal 2017, tra i fondatori delle Brigate Ezzedin al-Qassam, braccio armato del gruppo, e membro del politburo dell'organizzazione palestinese dal 2010. al-Arouri era morto in un raid israeliano alla periferia sud di Beirut.

Tornando indietro di 20 anni, al marzo del 2004, in un raid mirato con missili sparati da un elicottero israeliano a Gaza era stato ucciso uno dei fondatori nonché capo spirituale di Hamas, lo sceicco Ahmed Yassin, quasi cieco, tetraplegico e costretto su una sedia a rotelle da quando era un ragazzo.

ATTENZIONE - Questo articolo è stato originariamente pubblicato dall’agenzia Adnkronos. Sbircia la Notizia Magazine non è responsabile per i contenuti, le dichiarazioni o le opinioni espresse nell’articolo. Per qualsiasi richiesta o chiarimento, si prega di contattare direttamente Adnkronos.
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Esteri

Migranti, Unione europea vira a destra: l’Aja li vuole...

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E' l’effetto dell’avanzamento elettorale delle destre nazionaliste e della conseguente volontà del Ppe di non lasciare loro il monopolio di queste tematiche

Migranti - (Afp)

Il Consiglio europeo di ottobre, un summit “di transizione” con la Commissione von der Leyen bis non ancora in carica e le elezioni presidenziali Usa alle porte, sancisce lo spostamento a destra del ‘consensus’ Ue in materia di migrazioni. Il vertice, depennato l’Eurosummit, è stato concentrato in una sola giornata e si è chiuso con l’adozione delle conclusioni su almeno due dei temi che più hanno impegnato i leader (guerra in Ucraina e migrazioni), mentre quelle sul Medio Oriente sono al momento ancora in lavorazione. Il via libera alle conclusioni sulle migrazioni era in forse, per via delle divisioni che esistono tra i 27 su una materia che sin dalla crisi del 2015 è diventata politicamente esplosiva.

La ricerca di “soluzioni innovative” sui rimpatri di coloro che non hanno diritto di restare sul suolo Ue, che l’Olanda, un Paese fondatore, sta pensando di deportare in Uganda, conferma che il pendolo è andato decisamente a destra, su una materia che non molti anni fa veniva regolarmente evitata nei Consigli europei perché considerata troppo divisiva. Oggi le divisioni restano, ma il ‘consensus’ tra i leader è slittato a destra e difficilmente tornerà indietro, sicuramente non a breve: è l’effetto dell’avanzamento elettorale delle destre nazionaliste e della conseguente volontà del Ppe di non lasciare loro il monopolio di queste tematiche.

Come ha spiegato la presidente del Parlamento Roberta Metsola, “senza una politica di rimpatri non ci può essere una politica migratoria coerente. E allora le forze estremiste diranno che non abbiamo fatto nulla, per avanzare ancora a livello elettorale. Per me, che sono di centro, è essenziale avere tutti i pilastri” della politica migratoria.

Le soluzioni 'innovative'

Proprio sulle migrazioni si è svolta, prima del vertice, una riunione di 11 Paesi membri, organizzata da Italia, Danimarca e Olanda, cui ha partecipato anche la presidente Ursula von der Leyen. Nell’incontro, con un gruppo di Paesi ampio (la formula verrà ripetuta nel Consiglio di dicembre), si è parlato del bisogno di trovare “soluzioni innovative”, in particolare per quanto riguarda i rimpatri, da tempo tallone d’Achille delle politiche migratorie europee. Tra le soluzioni “innovative” c’è l’idea cui sta seriamente lavorando l’Olanda, quella di allestire in Uganda degli ‘hub’ per i richiedenti asilo, provenienti dalla regione, la cui domanda sia stata già respinta nell’Ue, in attesa di poterli rimpatriare. Il premier olandese Dick Schoof ha definito l’idea “seria”; Kampala non avrebbe chiuso la porta, secondo fonti diplomatiche europee.

All’Aja il Pvv di Geert Wilders, dei Patrioti, è in maggioranza, ma in materia di migrazioni lo slittamento a destra in Europa è bipartisan. La prima ministra danese, Mette Frederiksen, che è socialdemocratica ma sulle migrazioni tiene non da oggi una linea assai dura e guarda al Kosovo come destinazione per i suoi detenuti di nazionalità straniera, si è rallegrata del fatto che “finalmente” i Paesi Ue discutono seriamente di cambiare la politica di asilo. Dal punto di vista danese, ha osservato, è uno sviluppo “molto positivo”. Anche se “nessuno pensa che le persone scappino per diletto” dai propri Paesi di origine, “non possiamo continuare ad accogliere così tante persone” in Europa, ha detto.

L'accordo tra Italia e Albania

Nell’incontro che ha preceduto il Consiglio si è parlato anche dell’accordo tra Italia e Albania sulle migrazioni, che stamani ha ricevuto l’appoggio del Ppe, come ha sottolineato il ministro degli Esteri Antonio Tajani. Se il premier portoghese Luis Montenegro, del Ppe, riconosce che occorre “disincentivare” chi migra in modo illegale, il collega belga Alexander De Croo è scettico: la storia insegna che queste soluzioni, ha detto, sono “costose” e difficilmente raggiungono numeri significativi. Quello che “funziona”, per De Croo, sono gli accordi con i Paesi terzi, come quelli siglati con Egitto, Mauritania e Tunisia. Il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha escluso che gli hub esterni per i rimpatri possano essere una soluzione praticabile per un Paese grande come la Germania. Nella sala dei leader c’era “ampio sostegno” per le conclusioni su migration, ha spiegato una fonte Ue, ma il premier polacco Donald Tusk ha puntato i piedi, per inserire una frase che riconoscesse la situazione particolare in cui si trova la Polonia, che ha sospeso la concessione del diritto d’asilo per via degli arrivi dalla Bielorussia. L'ha ottenuta: nel testo si esprime "solidarietà alla Polonia e agli Stati membri" che devono affrontare queste sfide e si riconosce che "situazioni eccezionali" richiedono "misure appropriate". Alcuni Stati spingevano per anticipare l'attuazione di talune parti del patto Ue sulle migrazioni e l'asilo, ma "i Paesi che hanno votato contro" quel patto, come ad esempio l'Ungheria, "difficilmente" sarebbero a favore di anticiparne parzialmente l'attuazione.

La richiesta sui 'Dublinanti'

Resta inoltre molto “controversa” la richiesta dei Paesi nordici a Italia e Grecia di riprendersi i cosiddetti ‘Dublinanti’, i richiedenti asilo che si sono spostati verso nord, tema che non a caso “non è mai entrato” nelle conclusioni del Consiglio Europeo. Sulle migrazioni c’è stata una discussione “lunga e approfondita” tra i leader, che “raccomandano una “cooperazione maggiore” con i Paesi di origine e di transito, attraverso “partnership mutualmente benefiche”. Nelle conclusioni si esorta ad agire in modo “determinato” a “tutti i livelli” per “aumentare e velocizzare i rimpatri”, materia alla quale serve un “nuovo approccio”. Il Consiglio europeo, nelle conclusioni, ribadisce anche l’impegno ad “assicurare il controllo efficace dei confini esterni dell’Ue con tutti i mezzi disponibili” e suggerisce di “valutare nuovi modi per contrastare l’immigrazione irregolare, in linea con il diritto internazionale”.

Il presidente lituano Gitanas Nauseda ha spiegato che il suo Paese vive una situazione particolare, dato che dalla Bielorussia arrivano migranti spediti appositamente da Minsk. Vilnius ha chiesto alla Commissione di adeguare il quadro giuridico, per avere gli strumenti per contrastare queste aggressioni ‘ibride’. In ogni caso, ha riconosciuto Nauseda, “ci vorrà tempo” per avere nuove soluzioni.

ATTENZIONE - Questo articolo è stato originariamente pubblicato dall’agenzia Adnkronos. Sbircia la Notizia Magazine non è responsabile per i contenuti, le dichiarazioni o le opinioni espresse nell’articolo. Per qualsiasi richiesta o chiarimento, si prega di contattare direttamente Adnkronos.
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Esteri

Sinwar morto a Rafah, leader Hamas ucciso “per...

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Tel Aviv sapeva da mesi che Sinwar si trovava in quella città. Biden: "Nessun terrorista in nessuna parte del mondo può sfuggire a giustizia". Meloni: "Si inizi nuova fase, liberi ostaggi e cessate fuoco"

Yahya Sinwar - (Fotogramma)

Israele non sapeva che Yahya Sinwar fosse lì. Il raid in cui è stato ucciso il leader di Hamas risale a mercoledì. I combattimenti per entrare in quell'edificio di Rafah, nel sud della Striscia di Gaza, sono stati diversi e per questo è stato ordinato un bombardamento che ha fatto crollare la struttura. E' stato solo dopo che i soldati israeliani sono andati a ispezionare tra le macerie, si sono accorti che "uno dei terroristi uccisi assomigliava molto a Sinwar". Poi i test sul corpo, il Dna, e sull'identità della vittima nella serata di giovedì non ci sono stati più dubbi.

Israele sapeva da mesi che Sinwar era a Rafah

L'establishment di sicurezza israeliana sapeva in realtà da mesi che Yahya Sinwar si nascondeva nel sobborgo Tel Sultan di Rafah, hanno riferito media ebraici citati dal Times of Israel, secondo cui si riteneva che il leader di Hamas si nascondesse in un tunnel sotterraneo e che per gran parte del tempo fosse con i sei ostaggi, i cui corpi l'Idf ha recuperato a fine agosto dopo la loro esecuzione. Sulla base di tutte queste informazioni, l'Idf aveva annunciato allora un'operazione a Tel Sultan che, secondo i media ebraici, mirava a eliminare la brigata di Hamas, mentre il vero scopo era quello di eliminare Sinwar. Durante quell'operazione, le Forze di difesa avevano preso di mira una riunione di operativi di Hamas, credendo che il leader del gruppo fosse tra loro. Tuttavia, dopo aver identificato i corpi dei 26 terroristi uccisi nell'attacco, si era capito che tra loro non c'era Sinwar.

Dal 6 maggio scorso a Rafah è iniziata un'offensiva israeliana dopo l'esortazione dei militari israeliani alla popolazione di civile a spostarsi verso la 'zona umanitaria'. Un servizio di fine settembre della Nbc la descrive come una città ormai non più abitabile, con scene di "distruzione assoluta". Per i militari israeliani tutta Rafah era piena di tunnel. A sud di Rafah c'è il 'corridoio Philadelphi', la striscia di terra che corre lungo il confine con l'Egitto, diventata nei mesi scorsi uno dei 'nodi' nei difficili negoziati per un cessate il fuoco nella Striscia di Gaza.

Il silenzio di Hamas dopo la conferma della morte

Dopo la conferma da parte di Israele dell'uccisione del leader di Hamas, il gruppo è rimasto in silenzio. Non sono circolati messaggi ufficiali del gruppo che in precedenza, aveva riferito l'agenzia Shehab, aveva parlato della morte del leader. L'agenzia sosteneva che Sinwar "è morto in battaglia, senza fuggire", raggiunto da proiettili alla testa e al petto. "La sua ultima immagine è una dichiarazione, non è stato trascinato via dai tunnel o catturato in disgrazia", aveva affermato l'agenzia vicina ad Hamas.

Netanyahu: "La guerra non è finita"

"Il male ha subito un duro colpo oggi", ha detto il premier israeliano, Benjamin Netanyanu, sottolineando che "la guerra non è finita". "Hamas non resterà al potere", ha incalzato Netanyahu sottolineando: "Noi non volevamo insistere con la guerra", ma "la guerra non è finita" e "ci sta costando moltissimo". "Hamas non resterà al potere", ha incalzato il premier israeliano aggiungendo che "il conto è stato regolato" da parte degli "eroici soldati di Israele". "Questo è l'inizio del dopo Hamas, e questa è un'opportunità per voi, residenti di Gaza, di liberarvi finalmente dalla tirannia di Hamas”, ha affermato.

"Ai terroristi di Hamas dico: i vostri leader stanno scappando e saranno eliminati. Mi rivolgo a tutti coloro che tengono i nostri ostaggi: chiunque deponga le armi e restituisca i nostri ostaggi, gli permetteremo di andarsene e di vivere. Chiunque faccia del male ai nostri ostaggi, avrà la testa sporca di sangue e ne risponderà", ha dichiarato quindi il premier israeliano.

"La restituzione degli ostaggi è un'opportunità per raggiungere tutti i nostri obiettivi e avvicina la fine della guerra”, ha detto ancora Netanyahu parlando di "guerra di resurrezione" per Israele. Si tratta delle stesse parole che, secondo indiscrezioni dei giorni scorsi dei media israeliani, il premier israeliano aveva proposto durante una riunione di governo il 7 ottobre scorso, suggerendo di cambiare il nome dell'operazione da 'Spade di Ferro' a 'Guerra di resurrezione'.

Biden: "Nessun terrorista in nessuna parte del mondo può sfuggire a giustizia"

"Ai miei amici israeliani, non c'è dubbio che questo sia un giorno di sollievo e ricordi, come le scene viste negli Usa dopo che il presidente Barack Obama ordinò il raid per uccidere Osama bin Laden nel 2011", ha affermato il presidente americano, Joe Biden, nella dichiarazione sull'uccisione di Sinwar. La giornata di oggi "dimostra ancora una volta che nessun terrorista, in nessuna parte del mondo, può sfuggire alla giustizia, non importa quanto tempo ci voglia", ha quindi sottolineato Biden ricordando che "con l'aiuto della nostra intelligence, l'Idf ha perseguito senza sosta i leader di Hamas, stanandoli dai loro nascondigli e costringendoli alla fuga". "Raramente - ha affermato il presidente americano - si è assistito a una campagna militare di questo tipo, con i leader di Hamas che vivevano e si muovevano in centinaia di chilometri di tunnel, organizzati in più piani sotterranei, determinati a proteggersi senza curarsi dei civili che soffrivano in superficie".

"C'è ora l'occasione per un 'day after' a Gaza senza Hamas al potere e per un accordo politico che assicuri un futuro migliore per israeliani e palestinesi", ha detto quindi Biden. "Sinwar era un ostacolo insormontabile per raggiungere tutti quegli obiettivi. Questo ostacolo non esiste più. Ma resta molto lavoro da fare"", si legge ancora nella nota di Biden ribadendo "Israele ha tutto il diritto di eliminare la leadership e la struttura militare di Hamas. Hamas non è più in grado di sferrare un altro 7 ottobre".

Meloni: "Si inizi nuova fase, liberi ostaggi e cessate fuoco"

"Con la morte di Yahya Sinwar viene meno il principale responsabile del massacro del 7 ottobre 2023. La mia convinzione è che ora si debba iniziare una nuova fase: è tempo che tutti gli ostaggi siano rilasciati, che si proclami un immediato cessate il fuoco e che si avvii la ricostruzione a Gaza". Così la premier Giorgia Meloni, in viaggio verso la Giordania. "Continueremo a sostenere con determinazione ogni sforzo in questa direzione e per la ripresa di un processo politico serio e credibile, che conduca alla soluzione dei due Stati", ha concluso.

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