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Diabete gestazionale, più di 40mila gravidanze a rischio ogni anno in Italia

In Italia, oltre 40.000 gravidanze ogni anno sono complicate dal diabete gestazionale, una condizione che riguarda il 6-7% delle donne in dolce attesa. Questo disturbo, spesso asintomatico, può avere conseguenze potenzialmente gravi per la madre e il bambino se non gestito correttamente. Il diabete gestazionale rappresenta un importante problema di salute pubblica, che richiede un’attenzione costante e interventi mirati, soprattutto in termini di prevenzione, diagnosi precoce e gestione terapeutica. Marco Grassi, ginecologo dell’ospedale “C. e G. Mazzoni” di Ascoli Piceno, sottolinea come “Se non gestito adeguatamente, il diabete gestazionale può aumentare il rischio di malformazioni fetali e morte intrauterina”.

Sintomi spesso silenziosi e difficoltà diagnostiche

Uno degli aspetti più insidiosi del diabete gestazionale è la sua presentazione clinica, spesso silente. Molte donne non mostrano sintomi evidenti e questo può ritardare la diagnosi. In alcuni casi, possono manifestarsi segnali come sete eccessiva, poliuria (bisogno frequente di urinare), infezioni urinarie ricorrenti e stanchezza. Tuttavia, come spiega Grassi, “Questi sintomi sono spesso confusi con i normali disturbi della gravidanza, il che rende ancora più difficile individuare precocemente la patologia. Ma la diagnosi tempestiva è cruciale per evitare complicanze”. La diagnosi di diabete gestazionale viene generalmente effettuata tramite il test da carico orale di glucosio (OGTT), raccomandato tra la 24ª e la 28ª settimana di gestazione.

Conseguenze per madre e bambino

Le complicanze legate al diabete gestazionale sono molteplici e possono colpire sia la madre che il nascituro. “Oltre a incrementare il rischio di parto prematuro e preeclampsia, una gestione inadeguata del diabete può causare macrosomia fetale, ossia un peso eccessivo del neonato, che può rendere difficoltoso il parto, aumentando il rischio di cesareo o di traumi durante il parto vaginale”, spiega Grassi. La macrosomia, oltre a essere pericolosa per il parto, può avere conseguenze a lungo termine sulla salute del bambino, predisponendolo all’obesità e al diabete di tipo 2.

Per quanto riguarda le donne, il diabete gestazionale aumenta il rischio di sviluppare diabete mellito di tipo 2 dopo il parto. Le ricerche indicano che circa il 50% delle donne che sviluppano diabete gestazionale svilupperanno il diabete di tipo 2 entro 5-10 anni dal parto, specialmente se non adottano misure preventive adeguate.

Fattori di rischio e prevenzione

Diversi fattori di rischio aumentano la probabilità di sviluppare diabete gestazionale. Tra questi, il sovrappeso o l’obesità prima della gravidanza giocano un ruolo determinante. Le donne che hanno già avuto gravidanze complicate da diabete mellito gestazionale o che hanno dato alla luce neonati con un peso superiore a 4,5 kg sono particolarmente vulnerabili. Anche una storia familiare di diabete o l’appartenenza a gruppi etnici con un’alta prevalenza della malattia (come asiatici, ispanici e afroamericani) rappresentano ulteriori fattori di rischio.

“La prevenzione del diabete gestazionale è strettamente legata all’adozione di uno stile di vita sano”, afferma Grassi. “Un’alimentazione equilibrata, povera di zuccheri e carboidrati raffinati, insieme a un’attività fisica regolare, può ridurre significativamente il rischio. Camminare per almeno 30 minuti al giorno e seguire una dieta bilanciata con un basso indice glicemico sono le prime raccomandazioni”.

Una volta diagnosticato il diabete gestazionale, il controllo della glicemia diventa la priorità. La gestione del disturbo inizia con la dieta e l’esercizio fisico, ma in alcuni casi potrebbe essere necessario ricorrere alla terapia farmacologica. In circa il 10-20% delle donne con diabete gestazionale, la sola dieta non basta per controllare i livelli di glucosio nel sangue, e si deve ricorrere all’insulina o ad altri farmaci ipoglicemizzanti.

Il diabete gestazionale rappresenta una sfida complessa per il sistema sanitario italiano, che deve far fronte non solo alla gestione clinica della malattia, ma anche a una campagna di sensibilizzazione e prevenzione efficace. La diagnosi precoce e l’educazione alla salute sono essenziali per ridurre l’incidenza del disturbo e delle sue conseguenze a lungo termine.

ATTENZIONE - Questo articolo è stato originariamente pubblicato dall’agenzia Adnkronos. Sbircia la Notizia Magazine non è responsabile per i contenuti, le dichiarazioni o le opinioni espresse nell’articolo. Per qualsiasi richiesta o chiarimento, si prega di contattare direttamente Adnkronos.

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Tradimenti o problemi sessuali? Una startup cura i cuori...

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Si attesta intorno ai due milioni, il numero di divorziati in Italia nel 2023. L’Istat ha segnalato che dal 2015 al 2023 le separazioni sono aumentate e il 2024 potrebbe confermare questo trend in crescita. Ma come si supera una rottura o un tradimento? Rivolgersi ad un medico specialista, un coach o uno psicologo, può essere una soluzione.

È per questo motivo che nasce Resilia, una coaching community online dedicata alla crescita personale dopo una crisi nella relazione di coppia. Scopriamo insieme come funziona.

Che cos’è Resilia

Resilia è una realtà italiana fondata nel 2024 che opera nel settore del benessere mentale, psicologico e della persona. Con base e uffici a Milano, consiste in una coaching community online dedicata alla crescita personale e relazionale.

La sua mission è quella di aiutare le persone a riconquistare loro stesse guidandole in un percorso di rinascita e supportandole nel riscoprire il potere delle connessioni autentiche. Al centro dell’approccio c’è l’utente, la community e il team di coach e psicologi esperti di relazioni, sempre pronti a offrire una consulenza personalizzata e quotidiana.

La startup si propone di offrire sostegno a tutti coloro che vivono una separazione, una rottura o stanno attraversando un momento di crisi con il proprio partner attraverso un percorso che prevede sessioni individuali e di gruppo e il confronto con una community di persone che stanno vivendo la medesima esperienza.

Gli esperti al suo interno propongono un percorso mirato e strutturato per chi vive un momento complicato nella propria relazione: dai problemi sessuali, ai tradimenti, dalle difficoltà comunicative, fino a chi soffre per la fine di un legame sentimentale e deve riconquistare sé stesso, imparando a riconoscere le varie sfaccettature dell’amore.

A differenza della classica terapia online, Resilia garantisce agli utenti un supporto giornaliero, attraverso una community composta da persone che si trovano a vivere le stesse emozioni e le stesse difficoltà. La condivisione di sensazioni e sentimenti aiuta infatti a metabolizzare meglio le situazioni e coincide con la mission di Resilia: non lasciare solo chi soffre nei momenti più difficili della propria vita di coppia.

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Come funziona Resilia

Il metodo di Resilia ruota attorno al concetto di “resilienza”, termine dal quale i due soci scelgono di trarre ispirazione per dare il nome della startup. “Andare oltre, imparare a mantenere un equilibrio per sé stessi e per i propri cari è ciò che ci ha portato a dar vita a un metodo di crescita relazionale composto da sessioni individuali con professionisti, webinar e video percorsi strutturati tra teorie ed esercizi pratici”, spiegano.

Ma a rendere davvero innovativo il metodo di Resilia sono le sessioni di gruppo, “utili a normalizzare il concetto di sofferenza e a facilitare l’apertura e la condivisione tra i membri della community: elementi fondamentali per alleggerire il peso delle emozioni negative e imparare a riconoscere e sbrogliare i sentimenti più contorti”.

Come nasce la startup

Resilia è nata a Milano dall’incontro tra Valeria Riccio e Michele Papagni. Valeria, nata nel 1991, è un’ingegnera che ha lavorato come product manager in due delle più importanti multinazionali italiane.

Nel 2022, ha deciso di lasciare il suo lavoro stabile per dedicarsi completamente al coaching e fondare Antsy, una startup per il supporto emotivo immediato. Michele, nato nel 1988, è un programmatore e co-fondatore di Boolean, una tech academy online parte del gruppo Dvento, dove ha ricoperto il ruolo di CTO per diversi anni.

I due hanno sperimentato per primi il metodo di Resilia, sedendosi a un tavolo e conversando senza barriere comunicative, timori di giudizio o filtri. Questo viaggio discorsivo nelle loro vite ha rivelato come percorsi di vita differenti possano essere sorprendentemente simili nelle emozioni e percezioni.

“Ci ha fatto incontrare un amico comune, che oggi è parte della nostra sfida imprenditoriale. Ci accomunano le nostre storie, la sofferenza provata e le difficoltà superate nelle nostre relazioni sentimentali. Grazie al lavoro su noi stessi, abbiamo superato i momenti più bui e deciso di unire le nostre esperienze professionali per aiutare altre persone ad affrontare la sofferenza di una rottura o le problematiche comuni nelle relazioni di coppia”, ha raccontato Michele Papagni, co-fondatore di Resilia.

“Ogni persona ha una definizione molto personale di amore. Noi lo vediamo come un work in progress, qualcosa su cui è sempre bene lavorare e che non potrà mai avere una singola dimensione o definizione. L’amore deve essere una competenza da imparare e allenare giorno dopo giorno“, ha concluso Valeria Riccio, co-fondatrice di Resilia.

ATTENZIONE - Questo articolo è stato originariamente pubblicato dall’agenzia Adnkronos. Sbircia la Notizia Magazine non è responsabile per i contenuti, le dichiarazioni o le opinioni espresse nell’articolo. Per qualsiasi richiesta o chiarimento, si prega di contattare direttamente Adnkronos.
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Economica, sociale ed educativa: quanto ‘costa’ la povertà...

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Ben 1,3 milioni di bambini e ragazzi vivono in condizioni di povertà assoluta, pari al 13,8% della popolazione sotto i 18 anni. Si tratta del valore più alto registrato dal 2014, evidenziando come la crisi economica stia colpendo in modo sempre più feroce le fasce più giovani della società. Allo stesso tempo, anche la situazione per i giovani adulti, tra i 18 e i 34 anni, non appare più rosea, con 1 milione e 145 mila di loro che vivono in povertà assoluta. È quanto emerge dall’ultimo report Istat sulla povertà in Italia del 2023 che presenta un quadro allarmante, soprattutto per quanto riguarda i giovani e i giovanissimi.

Ma cosa significa realmente vivere in povertà assoluta per un giovane? Quali sono le implicazioni per il futuro di una generazione che già oggi fatica ad affacciarsi al mondo del lavoro e a costruirsi un’indipendenza economica? E, soprattutto, come si è arrivati a questa situazione?

Una trappola generazionale

Il report dell’ISTAT non si limita a fornire numeri, ma dipinge uno scenario preoccupante. Dietro a quei 1,3 milioni di minori e giovani c’è una realtà fatta di famiglie che non riescono a coprire le spese minime necessarie per una vita dignitosa: affitto, spese mediche, istruzione, beni di prima necessità. Non si tratta più di singoli episodi o di famiglie in difficoltà temporanea, ma di un problema strutturale che rischia di creare una trappola generazionale.

La povertà, infatti, tende a perpetuarsi da una generazione all’altra. I giovani che crescono in famiglie povere hanno meno opportunità di accesso a un’istruzione di qualità, sono più esposti all’abbandono scolastico e faticano a trovare un lavoro stabile. Il mercato del lavoro italiano, pur mostrando segni di ripresa, resta uno dei meno dinamici d’Europa, con alti tassi di disoccupazione giovanile e una forte precarizzazione. Questo significa che molti giovani, anche una volta entrati nel mondo del lavoro, non riescono a sfuggire alla condizione di povertà.

Uno dei fattori che ha contribuito all’aumento della povertà giovanile è l’inflazione. Nel 2023, nonostante una ripresa del mercato del lavoro, l’aumento dei prezzi ha eroso il potere d’acquisto delle famiglie, rendendo ancora più difficile per molti far fronte alle spese quotidiane. Se per una famiglia media italiana la crescita dei costi dell’energia e dei beni di prima necessità ha comportato un sacrificio, per le famiglie già in difficoltà economiche questo ha significato precipitare nella povertà assoluta.

Il peso della crisi è stato avvertito maggiormente al Sud, dove il 15,5% dei minori vive in povertà assoluta, rispetto al 12,9% del Nord. Tuttavia, la crisi non risparmia nessuna area geografica: anche nelle regioni più ricche, come Lombardia e Veneto, la povertà giovanile è in crescita, testimoniando una diseguaglianza sempre più marcata tra chi riesce a mantenere uno stile di vita adeguato e chi è costretto a rinunce quotidiane.

Le famiglie più colpite: numerose e straniere

Non tutte le famiglie sono colpite allo stesso modo dalla povertà. Quelle più vulnerabili sono le famiglie numerose, soprattutto quelle con tre o più figli. Per queste famiglie, l’incidenza della povertà assoluta raggiunge il 18,8%, e sale al 25,6% per quelle dove convivono più nuclei familiari. Anche le famiglie monogenitoriali, spesso costituite da madri sole, sono particolarmente esposte, con un’incidenza della povertà del 14,8%.

Ma è tra le famiglie di origine straniera che la povertà assume proporzioni drammatiche: il 41,4% dei nuclei familiari composti esclusivamente da stranieri vive in povertà assoluta. Questo dato è particolarmente preoccupante perché evidenzia come l’integrazione economica degli immigrati, e dei loro figli, sia ancora lontana dall’essere una realtà in Italia. La povertà per queste famiglie non è solo una questione economica, ma si interseca con problematiche di inclusione sociale, accesso ai servizi e discriminazioni strutturali.

Giovani adulti senza prospettive e con poche opportunità

Se la situazione dei minori è grave, quella dei giovani adulti non è da meno. I giovani tra i 18 e i 34 anni rappresentano un’altra fascia della popolazione particolarmente colpita dalla povertà. Con oltre un milione di persone in povertà assoluta, questa generazione vive un paradosso: è la più istruita di sempre, ma anche quella con meno opportunità di impiego stabile e ben retribuito.

Il precariato è ormai la norma per molti giovani, costretti a lavori temporanei, part-time o mal retribuiti che non permettono loro di costruire una sicurezza economica. Questo si traduce in una difficoltà ad accedere al mercato immobiliare, a formare una famiglia e, in generale, a progettare il proprio futuro. La povertà, in questo contesto, non è solo una questione di reddito, ma di mancanza di prospettive e opportunità.

Il rischio di una “povertà educativa”

Accanto alla povertà economica, esiste un’altra forma di povertà che rischia di avere conseguenze ancora più profonde: la povertà educativa. I bambini e i ragazzi che crescono in famiglie povere hanno meno accesso a risorse educative, meno opportunità di partecipare ad attività extrascolastiche e meno sostegno per proseguire gli studi. Questo crea un divario che non si limita all’età scolare, ma che si ripercuote sull’intera vita lavorativa e sociale del giovane.

Secondo vari studi, i ragazzi che crescono in contesti di povertà hanno maggiori probabilità di abbandonare la scuola, di ottenere qualifiche scolastiche inferiori e, quindi, di accedere a lavori meno remunerativi. In questo modo, la povertà educativa diventa un circolo vizioso, che si perpetua di generazione in generazione.

ATTENZIONE - Questo articolo è stato originariamente pubblicato dall’agenzia Adnkronos. Sbircia la Notizia Magazine non è responsabile per i contenuti, le dichiarazioni o le opinioni espresse nell’articolo. Per qualsiasi richiesta o chiarimento, si prega di contattare direttamente Adnkronos.
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Genitori separati, quali conseguenze per i figli? Le...

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La separazione dei genitori è un evento che può avere un impatto significativo sui bambini, scatenando una vasta gamma di emozioni come rabbia, paura e confusione. Spesso i genitori, coinvolti nelle loro stesse difficoltà, non riescono a riconoscere e comprendere a fondo i sentimenti dei loro figli.

Proprio per aiutare le famiglie ad affrontare questo delicato momento è stato pubblicato il libro “Perché proprio a me? La separazione vista dai bambini”, promosso dall’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza. Questo volume raccoglie i disegni e i pensieri dei bambini che hanno partecipato ai Gruppi di Parola, un’iniziativa volta a far esprimere i piccoli le loro emozioni e riflessioni durante la separazione dei genitori.

Cosa significa la separazione dei genitori per i figli piccoli

Il libro offre un contributo unico: attraverso le voci e i disegni dei bambini, emerge come questi vivano la separazione dei genitori e quali siano le loro paure più profonde. Spesso i piccoli si sentono impotenti e incapaci di influire sulle decisioni che riguardano la loro vita, come si evince dalla frase emblematica riportata nel libro: “Non sono andato in gita scolastica con i miei compagni, perché mamma e papà non si sono messi d’accordo. Un esempio lampante di come questioni apparentemente semplici, come una gita, possano trasformarsi in momenti di sofferenza per i bambini, privati di esperienze normali a causa dei conflitti tra i genitori.

I disegni dei bambini

Di seguito alcune immagini commentate prese dal volume, che potete consultare integralmente qui

Le emozioni in gioco e il supporto dei Gruppi di Parola

I Gruppi di Parola sono uno strumento di grande utilità per aiutare i bambini a gestire e comprendere le loro emozioni. Questi gruppi permettono ai piccoli di condividere con altri bambini le loro esperienze e di esprimere i propri sentimenti in un ambiente sicuro e supportato da esperti. Nei Gruppi di Parola, i bambini imparano a porre domande, a nominare le loro paure e a trovare modi per dialogare con i genitori, fornendo loro strumenti per affrontare le sfide emotive legate ai cambiamenti familiari.

Come sottolineato da Carla Garlatti, Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza, l’importanza di questi gruppi non risiede soltanto nell’aiutare i bambini a superare il trauma della separazione, ma anche nel sensibilizzare i genitori su quanto sia essenziale separarsi bene. L’obiettivo non è quello di evitare la separazione, perché una relazione viziata può essere ancora avere conseguenze ancora più gravi per i figli. La strada promossa dall’iniziativa e dagli esperti consiste nel garantire che i bambini siano al centro delle preoccupazioni dei genitori, preservando il loro benessere emotivo.

Impatti psicologici della separazione e l’importanza dello psicologo scolastico

In un recente studio, l’Autorità Garante ha registrato che il 51,4% degli adolescenti italiani manifesti ansia o tristezza prolungata, mentre il 46,5% soffra di nervosismo. Questi dati evidenziano la crescente necessità di fornire supporto psicologico nelle scuole, per intercettare precocemente i disagi emotivi dei giovani. Garlatti ha infatti caldeggiato la reintroduzione dello psicologo nelle scuole, considerato fondamentale per garantire un sostegno rapido e accessibile agli studenti, soprattutto a quelli che vivono in contesti familiari fragili, come durante una separazione.

Le conclusioni del libro: verso un cambiamento positivo

Il libro “Perché proprio a me?”, frutto della collaborazione tra l’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza e il Consultorio familiare dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, mira a promuovere un cambiamento positivo nelle famiglie che affrontano la separazione. Come ribadito anche nel comunicato stampa relativo all’evento di presentazione del libro al MAXXI di Roma (mercoledì 16 ottobre) questo lavoro vuole aiutare i genitori a non colpevolizzarsi, ma a costruire una nuova forma di comunicazione che tenga conto delle esigenze emotive dei loro figli.

Attraverso i sei capitoli del libro, che coprono temi come la gestione dei conflitti, i cambiamenti familiari e le risorse per affrontare la separazione, si vuole creare un dialogo costruttivo tra genitori e figli. In questo modo, è possibile ridurre l’impatto negativo della separazione e aiutare i bambini a ritrovare fiducia e serenità.

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