Avetrana, la serie tv sul caso Sarah Scazzi: “Siamo entrati nel profondo della vicenda”
Il regista e il cast presentano alla Festa del cinema di Roma la serie di Disney+ in quattro episodi
Il cuore pulsante della serie "è stato quello di avvicinarci il più possibile all’umanità di questa storia. Abbiamo cercato tutti quanti sin dall’inizio di entrare nel profondo di questa vicenda, con grazia, rimanendo nei confini del verosimile e di sviscerarla rispettando le persone". Racconta così Pippo Mezzapesa il modo in cui si è approcciato alla direzione di ‘Avetrana - Qui non è Hollywood’, la serie originale Disney+ che affronta uno dei delitti che più hanno colpito l’immaginario collettivo italiano, ovvero quello di Sarah Scazzi avvenuto il 26 agosto del 2010 ad Avetrana in provincia di Taranto. "Ci interessava - spiega il regista alla Festa del Cinema di Roma, dove la serie è presentata nella sezione Freestyle - sviluppare la normalità del contesto e la enormità che questo delitto ha poi suscitato”. E cita Marracash, che ha composto il brano di coda: "Il male è banale, è comprenderlo che è complesso. Abbiamo esplorato la difficoltà della comprensione del male".
La costruzione narrativa è divisa in quattro episodi, in onda su Disney+ dal 25 di ottobre, incentrati ciascuno su un personaggio e che non tornano sulle vicende precedenti ma proseguono la narrazione, in modo che ogni episodio faccia avanzare la storia. "Il rischio era quello di approcciarsi in un modo morboso e voyeristico alla storia, invece ho voluto andare oltre i personaggi che si sono creati per esplorarne le fragilità - spiega il regista -. Il pericolo era quello di avere un coinvolgimento emotivo troppo forte che minasse la libertà di noi narratori, ma abbiamo raccontato dei fatti emersi dalle tre sentenze e ci siamo limitati a quello, senza in alcun modo spalancare o aprire altre strade. Non siamo giudici, avvocati né giornalisti di inchiesta”.
Il racconto si snoda attraverso le vicende di una famiglia allargata, Misseri-Serrano-Scazzi, che si disgrega in un conflitto alla fine insanabile. Il progetto è stato sviluppato a stretto contatto con la famiglia. "Abbiamo comunicato continuamente con la famiglia Scazzi - spiega uno degli autori, Davide Serino -. Ci sono sensibilità diverse all’interno della famiglia, ciascuno con noi si è posto in modo diverso". A colpire è non solo l’interpretazione ma anche la clamorosa trasformazione fisica di tutti i personaggi coinvolti, da Michele Misseri (Paolo De Vita) alla moglie Cosima (Vanessa Scalera) fino alla cugina di Sarah, Sabrina Misseri (Giulia Perulli, alla sua prima esperienza sullo schermo).
"C’è stata da subito responsabilità, rispetto, senso della tragedia - spiega Paolo De Vita- Volevamo essere onesti sul dolore di questa famiglia travolta da una tragedia pazzesca. Trattare un materiale doloroso, scottante, essendo onesti". "Ho lavorato molto per avere quella fisicità - spiega ‘Cosima’ Vanessa Scalera - Il mio approccio è stato proprio quello: avere addosso quasi venti chili in più, avere movenze diverse. Sono partita da quello per interpretare il personaggio forse più scuro. Cosima è un dado che ha sempre avuto solo una faccia in luce, abbiamo cercato di illuminare gli altri lati che non ha mai mostrato". La lingua l’ha aiutata: "Vengo da quei posti, per la prima volta mi sono liberata e ho parlato il mio dialetto". Anche per Giulia Perulli nel ruolo di Sabrina "è stata necessaria e inevitabile la trasformazione fisica per interpretarlo. Mi è stata affiancata una nutrizionista, ho raggiunto 22 chili in più, ho cambiato i capelli, una trasformazione radicale. Il convivere con questo corpo che poi ti porti a casa perché non puoi spogliartene quando vai a dormire ti dà modo di sperimentare un’emotività diversa".
Anna Ferzetti interpreta una giornalista, la parte mediatica, il cui ruolo nella fiction è messo in evidenza per testimoniare il cinismo e la morbosità dei media. "Ho cercato di capire il linguaggio del giornalista in quel momento - spiega l’attrice - . Abbiamo cercato di far uscire il lato della giornalista ambiziosa e arrivista, ma che poi è la prima a fare un passo indietro perché si ritrova una donna come lei davanti. Rappresenta l’occhio esterno, che porta tutte le domande che ci siamo fatti tutti quindici anni fa".
Spettacolo
Festa del Cinema di Roma, Luca Severi: “Torno al...
Il regista e produttore presenta ‘I racconti del mare’, 'il movimento delle imbarcazioni ci ha aiutato a raccontare la precarietà e la paura dei migranti'
Due mondi, un’amicizia e un mare di possibilità ne ‘I racconti del mare’ diretto e prodotto da Luca Severi. Presentato ad 'Alice nella Città', la sezione autonoma e parallela della Festa del Cinema di Roma, il film racconta la storia di due ragazzi adolescenti, con culture, personalità e storie totalmente differenti che si ritrovano insieme, soli, a condividere una piccola barca da pesca in mezzo al Mar Mediterraneo. “È un film sui migranti, un tema di cui non si parla abbastanza e non è più ignorabile”, dice Severi in un’intervista all’Adnkronos. Girarlo è stata un’avventura. “Le riprese si sono svolte in mezzo al mare e il meteo non è stato sempre clemente con noi. Senza dimenticare l’instabilità delle barche e gli spazi stretti”, ricorda il regista. “Il movimento delle imbarcazioni è stato funzionale a raccontare la dimensione di precarietà che vivono i protagonisti, oltre ad una chiara dimensione di paura perché il mare aperto è spaventoso, soprattutto se ti trovi su una bagnarola che fatica a galleggiare”.
Tonino (Luka Zunic), pugliese, vuole guadagnare il rispetto della sua famiglia, soprattutto di suo padre, mentre Ima (Khadim Faye), africano, cerca di arrivare sano e salvo in Italia. Tra diffidenza, paura, fatica, fame, sogni, calcio, lacrime e allucinazioni presto capiranno che l'unico modo per sopravvivere è mettere da parte le loro differenze e unirsi per quello che sono: due ragazzi che vogliono arrivare a casa. “Racconto il tema dei migranti con un occhio meno inflazionato, quello della commedia all’italiana”, spiega il regista, per raccontare due mondi. “La diversità fa paura da sempre”, dice il regista. “Ed è un problema riconoscerla come un nemico”. Ne ‘I racconti del mare’ “mostriamo questo incontro e scontro tra due culture e caratteri che sopravvivono a questa avventura stando insieme”, dice Luca Severi.
Produttore e regista, dopo numerose esperienze in Italia con Rai, Sky, Mediaset, a soli 22 anni si trasferisce a Los Angeles per andare nel luogo culto del cinema per imparare e acquisire competenze e modelli produttivi di sistema, e scoprendo il mondo del nuovo cinema indie, che in Italia fatica ad emergere. “L’industria cinematografica italiana non è aperta alle nuove voci e alla diversità”, fa notare il regista, che ricorda come sia stato difficile cercare un attore italiano di seconda generazione: “non ho trovato un’agenzia che avesse una corposa selezione”.
Oltre agli incentivi, “mi piacerebbe che l’apertura del settore passasse attraverso voci, facce e storie nuove perché il pubblico non è più uno solo”, dice Severi che con la sua casa di produzione Lspg (Luca Severi Production Group) “cerco di invertire la tendenza evitando le grandi produzioni per proporre un cinema fatto di storie, di attori con delle facce che lasciano il segno e che hanno un impatto positivo in tutto il mondo”. Per Severi “quando il cinema italiano vuole sa essere attuale riuscendo a fare le scarpe alle produzioni americane, per fare un esempio”, conclude.
Spettacolo
Dalla morte del fratello alla dipendenza da sesso, Rocco...
Il racconto del pornodivo nella nuova puntata del podcast 'One More Time'
Dalla morte dello zio a cui deve il nome di battesimo a quella del fratello Claudio fino alla dipendenza dal sesso: Rocco Siffredi si racconta a Luca Casadei nella nuova puntata del podcast 'One More Time' (OnePodcast), disponibile da oggi, venerdì 18 ottobre, su tutte le principali piattaforme di streaming audio. Un'intensa intervista in cui l’attore svela le mille sfaccettature nascoste dietro al personaggio pubblico che tutti conoscono, accompagnando gli ascoltatori in un viaggio all’interno di un percorso professionale e di vita segnato da contraddizioni e dolore, ma vissuto sempre all’insegna dell’amore, che il pornodivo racconterà anche nello spettacolo 'Siffredi racconta Rocco' in scena il 29 ottobre sul palco del TAM Teatro Arcimboldi di Milano e nelle principali città italiane. "A teatro - ha spiegato - vado a raccontare la mia vita in maniera sincera, come ho sempre fatto. Racconterò veramente la mia intimità, fatta anche però di momenti leggeri. Poi c’è una ciliegina sulla torta che è mia moglie che verrà fuori a spiegare chi è Rosa e come è finita nelle mani di Siffredi. Ma soprattutto spiegherà che significa essere la moglie di Siffredi. Quando mi ha conosciuto non sapeva neanche chi fosse Rocco Siffredi. Però la storia d’amore era, ed è, autentica".
Le origini del suo nome
Sulle origini del suo nome e sui bambini che da piccolo lo prendevano in giro: "Questa cosa non la sa nessuno, ma in realtà io mi chiamavo Tano Antonio però lo zio Rocco qualche giorno dopo che ero nato si è suicidato. Mia madre è tornata al Comune e ha fatto cambiare il mio nome: ha fatto mettere Rocco davanti ad Antonio. Da bambino tutti mi chiamavano 'Rocc la marrocc' che vuol dire 'la pannocchia'. Mi arrabbiavo tanto e mia madre una volta mi disse: 'Al prossimo bambino che ti chiama Rocc la Marrocc tu digli: tengo una bella marrocc in miezz alle cosce per te, per tua mamma e per tua sorella'. (…) A sapere che poi invece è diventato molto alla moda. Mi hanno anche detto che qualcuno ha dedicato il nome Rocco al proprio figlio pensando a me".
La morte del fratello Claudio e il rapporto con la madre
Siffredi ha parlato anche della perdita del fratello Claudio. "Mio fratello - ha spiegato a Casadei - è morto da bambino con attacchi epilettici mentre dormiva. Nelle case popolari dei bambini gli hanno dato una botta in testa con una mazza di ferro. Non era curabile per quel periodo. (…) Se mi chiedi quali sono miei ricordi infanzia io dirò: "Il giorno in cui sono tornato a casa dall’asilo e ho visto mia madre che strillava alla finestra del balcone, mio padre che si metteva la mano sugli occhi, mio fratello sdraiato sul letto e tutta la gente che piangeva. C’era un compleanno avvenuto qualche giorno prima, quindi c’erano dei palloncini, io sentivo le grida di mia madre e io, allo stesso tempo, esplodevo per la rabbia i palloncini”. Per me l’infanzia parte da lì".
"A coccole ero messo malissimo - ha raccontato poi della sua infanzia - perché avevo una mamma che stava troppo male dopo la morte mio fratello. Per il primo anno dopo che è morto lei metteva il piatto di pasta sul tavolo per lui dicendo: 'Tra un po’ arriva'. Aveva un atteggiamento di rabbia con la vita, non verso di me ma verso sé stessa quasi a dire 'perché devo soffrire così tanto?'. Quando mi voleva punire mi mordeva, mi rompeva i piatti in testa. Non l’ho mai vista come una persona sbagliata, ma come una persona estremamente sofferente e il mio sogno da bambino è sempre stato quello di cercare di alleviare le sofferenze di mia madre".
Gli inizi della carriera e l'incontro con Tarantino
"Avevo questo pensiero fisso - ha raccontato - di voler diventare una porno star. Dai miei 12 anni, quando la sessualità mi ha completamente preso, con il giornalino 'Supersex', ho sempre voluto farlo. A Parigi chiedevo alle coppie o alle persone che mi sembravano più alla mano: 'Ma dove si fanno i film porno?'. A 20 anni uscivo con una signora di 46 e sono andato con lei in un locale per scambisti. Per me era il paradiso. Dopo sei mesi che frequentavo quel locale, è arrivato il tipo del giornalino, mi ha fatto un test e ho iniziato. Piano piano ho deciso di andare dove nessun europeo era mai andato: negli Stati Uniti".
Nel corso del podcast Siffredi ha ricordato anche un incontro con Quentin Tarantino a Cannes. "Gli Oscar del porno - ha detto - erano in concomitanza con il Festival di Cannes. Mi sono sentito davvero figo quando ho vinto per il primo anno il premio 'miglior attore'. In giro per strada tutta la Francia sapeva chi ero. Tarantino, che era a Cannes per presentare il suo primo film 'Cani da rapina', è venuto sul set dove giravo con mia moglie 'Bodyguard' e mi ha detto: 'You are the italian in Chamelons' e io gli ho risposto: 'vedi pure i film porno?' e lui: 'Ehy.. come on'".
La dipendenza da sesso
"Durante la dipendenza io giocavo con i miei figli nell’età più bella e poi facevo il giro delle sette chiese. Non è che andavo a delle prostituite specifiche ma a quello che beccavo. Poi era complicato tornare a casa, dove c’erano questi angeli con la mamma che dormivano. Mi ricordo solo il dolore dentro. Mi sentivo sporco e disastrato in maniera terrificante".
Sul momento in cui ha deciso di smettere di recitare: "Ho deciso di smettere perché un giorno mio figlio piccolo a sette anni mi ha detto: 'Papà ma tu ora 'sexy' lo fai solo con mamma, vero?' e io: 'Certo'. Dentro di me ho pensato: 'Ma come gli viene in mente di chiedermi sta roba?'. (…) Quindi ho smesso, ma il corpo e la testa mi chiedevano altro".
Poi ha raccontato di una grande delusione data alla moglie: "Mi è partita la telefonata mentre stavo per fare sesso con una tipa. Avevo appena salutato mia moglie: 'Buonanotte amore, da un bacione ai bambini'. Ma è partita inavvertitamente la chiamata e ho sentito la voce di mia moglie che diceva: 'Per fortuna che andavi a dormire'. L'ho delusa: è stata la prima volta in cui Rosa si è trovata davanti a suo marito che le ha mentito. Sono tornato due giorni dopo, convinto di avere bagagli fuori e invece lei era lì, era delusa. Mi dava i bacini a stampo, ma solo se la cercavo io. Le ho detto 'Vuoi divorziare?' e lei 'sì'. In un anno sarò uscito con mille prostitute e in quel momento mia moglie è cascata per terra. Mi ha detto: 'Tu hai bisogno di aiuto'".
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Spettacolo
Gabriele Muccino e le elezioni Usa: “Vince Trump,...
“La mia profezia? Temo che vincerà Trump”. A dirlo è Gabriele Muccino sul red carpet del suo film ‘Fino alla fine’, in anteprima alla Festa del Cinema di Roma. Regista apprezzato non solo in Italia ma anche negli Stati Uniti da cui "sono scappato quando Trump fu eletto”, racconta Muccino, che ha lavorato con grandi attori del calibro di Will Smith e Russell Crowe. (di Lucrezia Leombruni"
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