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Buchmesse, nel gran finale incontro con Alessandra Necci e Stefania Auci

Si chiude oggi la kermesse di Francoforte, 88 gli autori italiani presenti

Alessandra Necci - Fotogramma

Buchmesse, gran finale a Francoforte. Tra gli ottantotto autori italiani anche Alessandra Necci e Stefania Auci, oggi protagoniste dell'incontro sul 'Potere delle Regine e dei Leoni', moderato da Anna Vollmer del Frankfurter Allgemeine Zeitung presso l'Arena del Padiglione italiano. Le due autrici esplorano il complesso intreccio tra potere, famiglia e storia.

D'altra parte la storia è spesso una questione di potere e dinastie. Lo sanno bene Auci e Necci, che nei loro romanzi hanno affrontato spesso questo tema da molteplici punti di vista: da quello imprenditoriale e industriale (la saga dei Florio, i “Leoni di Sicilia”, di Stefania Auci) a quello aristocratico e monarchico (le biografie dedicate da Alessandra Necci a figure come Caterina de' Medici, il “Re Sole” Luigi XIV di Borbone, le asburgiche Maria Teresa e Maria Antonietta). Tra realtà e finzione, ritratto storico e analisi sociale, dinamiche di comando e di famiglia.

Scrittrice e direttrice delle Gallerie Estensi, Alessandra Necci sottolinea al Messaggero che "la cultura e i libri devono essere aggreganti, appartengono a tutti, confliggono con l'idea di un monopolio". Inoltre, riguardo all'odierno evento in programma e in relazione diretta con la narrazione e la percezione delle donne nel tempo, Necci afferma: "La storia è sempre una questione di potere, lo dimostrano la storia di regine epocali come Caterina de' Medici, Maria Teresa e Maria Antonietta, donne capaci di cambiare la storia mon-diale. Ai loro tempi non c'era certamente alcun ascensore sociale", continua Necci, alla quale è stato recentemente assegnato il Premio Pio Alferano 2024.

Un team di giornalisti altamente specializzati che eleva il nostro quotidiano a nuovi livelli di eccellenza, fornendo analisi penetranti e notizie d’urgenza da ogni angolo del globo. Con una vasta gamma di competenze che spaziano dalla politica internazionale all’innovazione tecnologica, il loro contributo è fondamentale per mantenere i nostri lettori informati, impegnati e sempre un passo avanti.

Cronaca

Addio a un gigante della neurologia: il professor Giancarlo...

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C’è un vuoto enorme, immenso e non si riesce proprio a descriverlo. E sapete una cosa? Cercare di trovare le parole giuste è dura, anzi, quasi impossibile. Come fai a spiegare una perdita così grande? Come? Il professor Giancarlo Comi – uno di quelli che non dimentichi, che ti rimangono dentro per sempre, una di quelle menti luminose che nascono una volta ogni tanto, una di quelle anime che metteva il cuore in tutto quello che faceva, soprattutto nella battaglia contro la sclerosi multipla – se n’è andato. Il 26 novembre 2024. Così, senza preavviso. Un colpo secco, che ci ha tolto il fiato. Nessuno se lo aspettava, nessuno era pronto. E adesso? Adesso siamo qui: giornalisti, colleghi, pazienti, amici, tutti col cuore in frantumi, pieni di domande che, chissà, forse non troveranno mai risposta.

Perché Comi non era solo un medico, no. Era molto di più. Era uno che ci credeva davvero, uno che aveva il fuoco dentro. Un pioniere, un visionario, uno che ci metteva tutto, anima e corpo, senza mai, mai tirarsi indietro. Uno di quelli che, quando tutto va a rotoli, ti prendono per mano e non ti mollano. Per chi vive ogni giorno con la sclerosi multipla, quella malattia che è come un’ombra che non ti lascia mai, Comi era una luce accesa in mezzo al buio. Era un punto fermo, qualcosa a cui aggrapparsi quando tutto sembra scivolare via. Qualcuno che, anche nei giorni più neri, riusciva a farti credere che c’era una speranza. E ora, senza di lui? Sì, tutto sembra più buio. Ma sapete una cosa? Il suo spirito è ancora qui. Rimane. Resta in ogni piccola battaglia quotidiana, nelle storie di chi non si arrende mai, nelle mani che non smettono di lottare. Perché quello che ci ha lasciato non è solo un ricordo: è una fiamma viva, che continuerà a bruciare. Dentro ognuno di noi che ha avuto la fortuna di conoscerlo, di vedere da vicino quanto era grande, quanto era straordinariamente umano.

Una vita al servizio della ricerca e dei pazienti

Comi non passava mai inosservato, mai. Era uno di quei nomi che, appena lo senti, ti fa fermare. Cioè, davvero, uno di quei nomi che ti fa dire: “Wow, questo qui fa la differenza“. Professore Onorario di Neurologia, Direttore Scientifico… certo, tutti quei titoli altisonanti, roba grossa, roba importante. Ma sapete cosa? Non erano i titoli a farlo chi era, per niente. Non erano quelle targhe lucide, quelle pergamene incorniciate. No. Comi era quello che ogni mattina si alzava, magari con il sonno ancora addosso, ma con un solo pensiero fisso in testa: come posso fare la differenza per chi oggi conta su di me? Come posso migliorare la vita di chi mi affida tutto? E ci metteva tutto. Non solo il cervello, ma il cuore, l’anima, ogni piccolo pezzo di se stesso. Ogni singolo giorno. E ce l’ha fatta. Alla grande. Non è facile dire questo, ma ce l’ha fatta davvero. Ha scritto più di mille articoli scientifici, roba che ti fa girare la testa solo a pensarci. Un h-index sopra il 100, numeri che sembrano quasi irreali. Ma alla fine, cosa contano quei numeri, veramente? Anche se non avete la minima idea di cosa sia un h-index, lasciate che vi dica una cosa: quei numeri parlano di uno che non si è mai fermato, che ha lasciato un segno indelebile. Uno che non si è mai girato dall’altra parte, mai, nemmeno una volta.

Ma, sapete, quello che lo rendeva davvero speciale non erano i numeri, non erano i titoli. Era la sua dedizione, così semplice, così pura. Era l’umanità che ci metteva, il modo in cui riusciva a farti sentire ascoltato, capito, come se fossi l’unico al mondo. Ogni paziente, ogni collega che gli è stato vicino, tutti hanno visto oltre lo scienziato. Hanno visto l’uomo. Quello vero. Quello che non si fermava alla malattia ma vedeva la persona dietro. E forse è proprio questo il più grande regalo che ci ha lasciato: far sentire ognuno di noi importante, nonostante tutto.

Riconoscimenti che raccontano una storia

Comi, nel corso della sua carriera, ha raccolto premi e onorificenze come pochi altri. E non parliamo di premi qualunque. C’era l’Ambrogino d’Oro che ha ricevuto dal Comune di Milano nel 2016 e poi il titolo di Ufficiale della Repubblica Italiana nel 2018, per i suoi meriti scientifici. Ma non è tanto per vantarsi. Non è di quei riconoscimenti che si mettono in vetrina per far bella figura. Sono la prova di quanto fosse grande il suo lavoro. Di quanto fosse cruciale. Perché Comi è stato davvero un leader. Uno di quelli che, quando ci sono, senti che tutto è possibile. Una guida vera, una luce che brillava per tutta la comunità scientifica. Non è un’esagerazione dire che quello che ha fatto lui ha cambiato tutto. Ha segnato un’epoca. Ha aperto strade nuove. E questo, alla fine, è quello che conta di più.

Il vuoto e l’eredità di un grande uomo

Con la sua scomparsa, la comunità scientifica ha perso un un punto di riferimento che ora non c’è più e fa male. Il Centro Studi Sclerosi Multipla di Gallarate, che ha avuto l’onore di averlo come guida, ha espresso tutto il suo dolore, ricordando quanto lui fosse una fonte di ispirazione inesauribile. Non solo per i medici ma per tutti, pazienti compresi. Accettare che una persona così fondamentale se ne sia andata non è per niente facile. Però c’è una cosa che possiamo dirci per consolarci un po’: il suo lavoro, la sua eredità, continueranno a vivere. Nei suoi studi, certo, ma anche nelle vite di tutte quelle persone che ha toccato, nei ricercatori che seguiranno le sue orme.

La lotta contro la sclerosi multipla e altre malattie neurodegenerative non finisce qui. Non può fermarsi qui. Le prossime generazioni raccoglieranno il testimone. L’impegno di Comi, la sua passione, quella forza indomabile… tutto questo resterà vivo. E così, il professor Comi sarà per sempre parte di questa battaglia, un esempio da seguire, una presenza che, anche se invisibile, continuerà a fare la differenza. Non è facile dire addio ma è confortante sapere che, grazie a persone come Giancarlo Comi, il mondo è un po’ migliore. Grazie, professore.

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Cultura

Osho: “A Report su di me molta ‘fuffa’...

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Sul mio ruolo alla mostra sul Futurismo equivoco creato col taglia e cuci delle mail, il giorno dopo ero quello che faceva consulenze pagate al ministero'

Federico Palmaroli in arte 'Osho' - Agenzia Fotogramma

"Colgo l'occasione per spiegare il mio ruolo alla mostra sul futurismo, dato che quello che ha mandato in onda 'Report' è un equivoco creato ad arte". Federico Palmaroli in arte 'Osho' sceglie la vetrina prestigiosa della sua presentazione romana di 'Nun fate caso ar disordine', la sua ultima opera edita da Rizzoli in cui racchiude un anno di satira senza sconti, per togliersi qualche sassolino dalla scarpa. E comincia con 'Report', che recentemente l'ha tirato in ballo sul suo ruolo nella mostra sul futurismo che inaugura il prossimo 3 dicembre, mostrando una serie di messaggi e mail in cui il vignettista scambia qualche considerazione con vari interlocutori. "Tutta fuffa, se non fosse che il giorno dopo, sui social che io frequento molto per lavoro, io ero quello che faceva le consulenze al ministero", affonda Palmaroli.

Palmaroli spiega: "Mi è stato chiesto, essendo io un conoscitore e un appassionato del futurismo, qualche suggerimento per dare un taglio innovativo. Nulla di particolare se non qualche guizzo che vivacizzasse la mostra. Ciò che è stato mostrato è stato costruito ad arte, ma questo è giornalismo d'accatto. Peraltro non ho preso un euro, per adesso investito solo fatica, non ho nessun incarico e a muovermi è veramente solo la passione". Alla Mondadori della Galleria Alberto Sordi, davanti ad una platea gremita (presenti tra gli altri la deputata Maria Elena Boschi, la ministra Eugenia Roccella, il sottosegretario Wanda Ferro, Luciano Nobili, l'ex sindaco di Roma Gianni Alemanno, la giornalista Greta Mauro e altri), in dialogo con il direttore del 'Tempo' Tommaso Cerno e la giornalista Sara Manfuso, 'Osho' ha divertito con alcune delle vignette più iconiche.

Spiegando cosa significhi fare satira essendo 'di destra': "Ammetto candidamente che c’è sempre un condizionamento, anche nell’opera satirica - dice - . Ma vale per tutti, da Vauro a Makkox a Natangelo, il fatto di essere di area può condizionare. Il problema è che la satira per diritto divino è di sinistra. Quando la destra stava all’opposizione era tollerata, poi ha cominciato a essere un problema da quando è al governo. A me si richiede di essere super partes, ai vignettisti di sinistra no". Un esempio? "Quando è accaduta la vicenda dell'ex ministro Sangiuliano, alcuni colleghi sui social facevano battute e vignette su di me sul fatto che io non facessi battute su Sangiuliano. Si è mai visto un comico che fa battute su un altro comico?", ironizza. Del resto "anche a cercare sul web non ho trovato satira a sinistra su Schlein, e nemmeno su Sumahoro. Come si fa a non fare satira su quello?".

E giù una pioggia di battute a far sorridere la platea, dalla politica italiana a quella internazionale, dallo sport al Vaticano. C'è Sinner invitato da Amadeus a Sanremo, e Djokovic, appena battuto dall'altoatesino, gli chiede: "Lo sai sì che mo' te tocca annà a Sanremo?". "A saperlo te facevo vince", risponde Sinner. Sergio Mattarella incontra il velocista Marc Jacobs: "Come va?". "Eh, sempre tutto di corsa...". Immancabile il Papa, a cui è dedicata anche la copertina del libro, che "apre ai gay e ai trans". Francesco, davanti alla Porta Santa, chiede: "Chi è?". "I trans", rispondono da dietro la porta.

A sintetizzare la figura di Osho ci pensa - a modo suo- il direttore del Tempo, Tommaso Cerno: "Osho è un intellettuale e un grande satirico che sfortunatamente per loro non è di sinistra quindi per loro non esiste o va contestato - dice - Oggi Palmaroli è il brutto, cattivo e fascista. Invece la satira oggi è libera proprio perché c’è Osho che si è permesso di dire che in Italia non c’è solo la sinistra".

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Cultura

Andrea Pau racconta Enrico Fermi: “Esempio di...

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In occasione dei settant'anni dalla morte dello scienziato, Gallucci manda sugli scaffali 'Enrico Fermi, il genio atomico'

Andrea Pau racconta Enrico Fermi:

Enrico Fermi raccontato ai ragazzi del nostro tempo attraverso gli occhi di quattro personaggi di fantasia che lo hanno visto da vicino. Un modo per presentare un gigante della scienza ai giovani in un volume che può insegnare tanto anche ai lettori più maturi. Il padre del primo reattore nucleare, protagonista del progetto Manhattan, il programma di ricerca che portò alla realizzazione delle prime bombe atomiche, rivive nelle pagine di 'Enrico Fermi. Il genio atomico'. Il libro scritto da Andrea Pau - con la consulenza scientifica di Vincenzo Barone, docente di Fisica teoretica all'Università del Piemonte Occidentale - viene pubblicato da Gallucci Editore in occasione dei settant'anni dalla morte del premio Nobel avvenuta il 28 novembre 1954.

Chi era Enrico Fermi e come raccontarlo ai giovani che si accostano alla sua figura? "E' stato uno scienziato e una persona coerente - dice Pau all'Adnkronos -. La sua figura ci insegna che nessuno di noi, anche una persona dotata di un intelletto più alto come lui, è destinato a non commettere errori. Tutti abbiamo la possibilità di commetterli. Dobbiamo essere guidati, però, da una certa rettitudine etica e da un modo di intendere il nostro ruolo nel mondo. In questo, Fermi può essere un esempio: ha cercato di comportarsi nel miglior modo possibile. Sapeva che siamo solo degli uomini e spesso diamo vita a degli atti più grandi di noi, senza che possiamo farci granché. Ma l'importante è farci guidare da un'etica profonda. F ermi è stato profondamente etico".

Quella dello scienziato è stata una figura complessa e sfaccettata che va considerata nella sua interezza studiandola a fondo. "E' vero - riflette Pau, scrittore per ragazzi fin dal 2010 - che, per descrivere Fermi, non si può prescindere dal momento in cui viene testata la bomba atomica che sarà lanciata in Giappone. Questo è una delle fasi più forti della sua biografia. In realtà, però, c'è tantissimo altro: c'è una persona che a volte ha cambiato idea, ma è stata sempre coerente nella ricerca di una spiegazione alle domande più profonde in cui si imbatteva".

Premio Nobel per la Fisica nel 1938, Fermi è stato uno degli scienziati più significativi del suo tempo. Un 'gigante' che, dopo aver guidato il gruppo dei 'ragazzi di via Panisperna', si trasferì negli Stati Uniti dove proseguì il suo lavoro. Raccontare a una platea di giovani lettori uno dei più importanti ricercatori della storia moderna "non è così banale: ci sono tantissime biografie destinate alle persone più mature. Alcune bellissime, come il libro della moglie di Fermi, Laura Capon, sono da tempo fuori catalogo. E' veramente un romanzo pieno di informazioni utilissime e tra l'altro scritto benissimo. Nella mia narrazione ho cercato di amalgamare le vicende storiche di Fermi con una parte di fiction. Per questo la sua vita viene narrata da quattro personaggi immaginari, ma credibili. Volevo che ci fosse uno sguardo esterno - che mi ha permesso di avvicinarmi ai lettori - e non solo quello dello scienziato. Fermi ha vinto il Nobel nel 1938", ribadisce Pau ricordando che "lo ottenero almeno una decina di suoi allievi. E' stata una figura preminente anche nel campo dell'insegnamento. Aveva un grandissimo talento nel trasmettere la sua conoscenza. Non aveva alcuna gelosia nel trasmettere ciò che aveva scoperto negli anni dei suoi esperimenti, e in quelli in cui cercava di affiancare alla fisica sperimentale quella teorica".

Ricordando anche Guglielmo Marconi, di cui quest'anno si celebrano i 150 anni dalla nascita, lo scrittore sottolinea infine che "c'è stato un momento in cui la scienza italiana ha avuto la preeminenza. I nostri scienziati, grazie al miglioramento dei finanziamenti, hanno avuto una crescita esponenziale. Tutto si è interrotto nel momento in cui l'Italia fascista si è avviata verso la disgrazia della guerra. I fisici tedeschi avevano avuto delle 'perdite' a causa del nazismo: moltissimi di loro, che erano ebrei, se ne andarono. La stessa cosa successe in Italia. Fermi non era ebreo, ma lo era sua moglie. All'indomani delle leggi razziali, proprio quando vinse il Nobel, decise di lasciare l'Italia stabilendosi negli Stati Uniti d'America. Questo ci insegna che è molto probabile che, nel momento in cui la libertà dello scienziato viene legata ai destini di un regime, viene boicottata, tagliata e bruciata la sua voglia di dedicare alla scienza la vita. Cosa che, invece, ha fatto sempre Fermi. C'è un stretto legame tra libertà e capacità di avanzare negli studi", conclude Pau.

(di Carlo Roma)

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