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Nascite in caduta libera, il calo demografico in Italia non si arresta

L’Italia si trova di fronte a una crisi demografica senza precedenti, con le nascite che continuano a calare anno dopo anno. Secondo i dati diffusi dall’Istat, nel 2023 sono nati 379.890 bambini, segnando una riduzione del 3,4% rispetto all’anno precedente e una diminuzione complessiva del 34,1% rispetto al 2008, quando si registrarono oltre 576mila nascite. Questo nuovo minimo storico rappresenta l’ennesima conferma di una tendenza ormai decennale, che sembra inarrestabile. I dati provvisori relativi ai primi sette mesi del 2024 indicano che la discesa non si fermerà, con 4.600 nascite in meno rispetto allo stesso periodo del 2023, un calo del 2,1%. Il tasso di fecondità continua a scendere, con una media di 1,20 figli per donna nel 2023, un livello ben al di sotto del tasso di sostituzione generazionale di 2,1 figli per donna. Per comprendere la portata di questo fenomeno, basta confrontare i numeri: per ogni 1.000 residenti, nel 2023 sono nati solo sei bambini, un dato che riflette un’inversione di tendenza che sembra ormai cronica.

La natalità è un indicatore demografico che parla della salute di un Paese, non solo dal punto di vista sociale ma anche economico. La diminuzione dei nati vivi è sintomatica di una serie di cambiamenti strutturali nella popolazione italiana, in cui convergono fattori economici, culturali e sociali. Tra i più significativi, spicca il cambiamento nella composizione della popolazione femminile in età fertile, che si riduce progressivamente. Le donne nate durante il baby-boom, ossia tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta, hanno ormai superato i 49 anni, soglia convenzionale della fine dell’età fertile. Chi oggi è ancora in età riproduttiva appartiene perlopiù al baby-bust, il periodo che ha visto la fecondità scendere al minimo storico di 1,19 figli per donna.

Ma ciò che colpisce maggiormente è la quasi totale responsabilità del calo attribuibile alle nascite da coppie italiane, che costituiscono oltre i tre quarti del totale. Nel 2023, i nati da genitori italiani sono stati 298.948, in calo del 3,9% rispetto al 2022 e del 37,7% rispetto al 2008. Un dato impressionante che evidenzia un fenomeno ormai strutturale: il tasso di natalità tra gli italiani è in caduta libera e non accenna a riprendersi. Se nel 2012 le nascite da coppie con almeno un genitore straniero rappresentavano un pilastro di stabilità per la natalità complessiva, oggi anche queste registrano un calo significativo (-25,1% dal 2012).

Le ragioni dietro il calo demografico

L’Italia si trova di fronte a una complessa rete di motivi che spiegano questa spirale discendente. In primo luogo, il contesto socioeconomico influisce profondamente sulle scelte riproduttive. La precarietà lavorativa, le difficoltà ad accedere al mercato abitativo e la crescente incertezza legata al futuro spingono molte coppie a rinviare, o addirittura a rinunciare, al progetto di avere figli. Nel 2023, il numero medio di figli per donna è sceso a 1,20, in flessione rispetto al 2022 e vicino al record negativo del 1995. A pesare, inoltre, sono i mutamenti nei modelli di formazione familiare: l’età media al primo figlio si è progressivamente alzata, con sempre più donne che posticipano la maternità, e le famiglie con più di un figlio sono diventate una rarità.

Un altro aspetto da considerare è l’evoluzione dei ruoli familiari e l’emancipazione delle donne. Se da un lato il tasso di occupazione femminile è cresciuto, dall’altro si assiste a una riduzione della propensione ad avere figli, spesso percepiti come un ostacolo alla carriera professionale. Le misure di conciliazione tra lavoro e vita privata risultano ancora insufficienti per sostenere le madri lavoratrici, soprattutto in un Paese in cui i servizi per l’infanzia, come asili nido, sono carenti o inaccessibili per molte famiglie.

Il calo delle nascite ha profonde conseguenze sul tessuto sociale ed economico italiano. Da un lato, la popolazione si invecchia progressivamente, mettendo a dura prova il sistema pensionistico e i servizi sanitari. Un Paese che invecchia più rapidamente di quanto nasca rischia di trovarsi senza sufficienti risorse umane per sostenere la sua economia, con un rapporto tra popolazione attiva e pensionati che si fa sempre più sbilanciato. Le previsioni demografiche indicano che, se non si invertirà la rotta, nel 2050 l’Italia potrebbe avere una delle popolazioni più anziane del mondo.

Il fenomeno della denatalità è distribuito in modo disomogeneo sul territorio nazionale. Nel Mezzogiorno, nonostante una lieve ripresa negli ultimi anni, il tasso di natalità rimane più basso rispetto al Nord e al Centro, dove l’emergenza è ormai consolidata. Al contrario, la Provincia autonoma di Bolzano continua a registrare il primato di fecondità in Italia, con un tasso di 1,56 figli per donna, pur in calo rispetto agli anni precedenti. La Sardegna, invece, segna il record negativo, con un tasso di fecondità sceso ulteriormente allo 0,91, un dato che evidenzia l’estremo disincanto dei giovani sardi rispetto alla prospettiva di formare una famiglia.

Come cambia la natalità

L’analisi dei dati Istat rivela anche una marcata differenza tra le nascite da genitori italiani e stranieri. Le coppie italiane rappresentano oltre i tre quarti delle nascite totali, ma sono anche quelle che hanno subito il maggior calo. Nel 2023, i nati da genitori entrambi italiani sono stati 298.948, circa 12mila in meno rispetto all’anno precedente e ben 181mila in meno rispetto al 2008. Anche le nascite da coppie miste e da genitori entrambi stranieri sono in calo, ma in misura più contenuta.

Questo fenomeno segnala un cambiamento rispetto agli anni precedenti, quando l’aumento delle nascite da donne straniere aveva contribuito a mantenere stabili i numeri della natalità. Oggi, anche queste famiglie sembrano risentire delle stesse difficoltà economiche e sociali che colpiscono le coppie italiane, con una fecondità che si è ridotta progressivamente dal 2,31 figli per donna nel 2010 a 1,79 nel 2023.

Uno degli aspetti più critici del calo demografico riguarda la difficoltà, per molte coppie, di avere un secondo figlio. Il tasso di fecondità di 1,20 figli per donna evidenzia come molte famiglie si fermino al primo figlio, e questo fenomeno non accenna a diminuire. Nel 2023, i secondi figli sono diminuiti del 4,5%, e quelli di ordine successivo sono scesi dell’1,7%. Tra le ragioni di questo stallo c’è l’allungarsi dei tempi per raggiungere una stabilità economica, un lavoro sicuro e un’abitazione adeguata, fattori che spesso portano le coppie a rinviare o addirittura a rinunciare a un ulteriore figlio.

Non è solo una questione di economia, però. Vi sono anche fattori culturali e psicologici che incidono profondamente sul comportamento riproduttivo. Le giovani generazioni sono più inclini a privilegiare percorsi di realizzazione personale e professionale, mettendo in secondo piano il progetto familiare. Il matrimonio, ad esempio, non è più percepito come una condizione necessaria per avere figli: il 42,4% delle nascite nel 2023 è avvenuto al di fuori del matrimonio, un dato che continua a crescere di anno in anno. Tale tendenza è particolarmente evidente tra i giovani, con il 61,8% delle madri under 24 che ha figli fuori dal matrimonio. Questo fenomeno è più marcato nel Centro Italia, dove la percentuale di nascite more uxorio raggiunge il 49,4%, con picchi significativi in regioni come Umbria e Lazio.

La distribuzione territoriale del fenomeno è comunque ampia. Mentre al Nord la tendenza si attesta intorno al 42,7%, il Mezzogiorno, tradizionalmente più legato ai valori del matrimonio, sta lentamente riducendo il divario con le altre aree del Paese. Sardegna e Basilicata rappresentano gli estremi opposti del fenomeno, con il record del 55% di nascite fuori dal matrimonio nella prima e appena il 29,6% nella seconda.

Il quadro che emerge dai dati Istat è quello di un Paese che sembra incapace di invertire la rotta della denatalità. La riduzione delle nascite è ormai strutturale e coinvolge tutte le componenti della società, dalle coppie italiane a quelle straniere, dal Nord al Sud. La fecondità continua a scendere, e le previsioni per il 2024 non sembrano offrire segnali di ripresa.

Quali soluzioni possono essere messe in campo per arrestare questo declino demografico? Gli esperti suggeriscono che servano politiche di lungo respiro che incentivino la natalità attraverso un sostegno concreto alle famiglie, investimenti in servizi per l’infanzia, flessibilità lavorativa e accesso alla casa. Ma non è solo una questione economica: è necessario anche un cambiamento culturale, che riporti al centro della società il valore della genitorialità e della famiglia.

ATTENZIONE - Questo articolo è stato originariamente pubblicato dall’agenzia Adnkronos. Sbircia la Notizia Magazine non è responsabile per i contenuti, le dichiarazioni o le opinioni espresse nell’articolo. Per qualsiasi richiesta o chiarimento, si prega di contattare direttamente Adnkronos.

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Demografica

Chiama il figlio Lecco, ma in Italia potrebbe essere...

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Di nomi strani ce ne sono tanti al Mondo, ma alcuni colpiscono per rarità e particolarità. È il caso di Lecco Lee Sice, il neonato di Marlee Sice, venuto al mondo nelle scorse settimane e che, portando il nome della città lombarda, è già divenuto un caso di cronaca rosa internazionale.

La giovane mamma di Geraldton, in Australia, ha dato alla luce il suo secondogenito chiamandolo Lecco, scelta condivisa dalla compagna Phoebe Wale: “Prende il nome dal bellissimo borgo d’Italia in cui ho vissuto, e dal mio meraviglioso papà”, ha scritto sul proprio profilo Instagram sotto il post che ritrae in foto il neonato. Lecco Lee Sice è nato alle 10.13 del 13 ottobre, pesa poco meno di quattro chili ed è già la mascotte dei lecchesi, che si sono congratulati in massa sui social.

Ma in Italia, siamo sicuri si possa chiamare il figlio proprio come si desidera? Scopriamolo insieme.

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Nomi vietati in Italia

Scegliere il nome per un neonato è spesso una fonte di grande gioia. Altre volte crea discussioni che portano a compromessi tra i genitori o le famiglie. La legge italiana, però, è chiara e offre ampia libertà ai genitori nella scelta del “prenome”. Il nostro ordinamento riconosce infatti un particolare valore al nome proprio di ciascuno, configurando un vero e proprio “diritto al nome” (composto da nome e cognome), dedicandogli ben quattro articoli del Codice Civile (artt. 6, 7, 8 e 9 c.c.). In particolare, il D.P.R. n. 396 del 2000, nel suo art. 34, stabilisce alcune limitazioni (o meglio, divieti) nella scelta del nome. Scopriamoli insieme.

Il caso di omonimia

L’articolo 34 vieta di imporre al bambino lo stesso nome del padre vivente, di un fratello o di una sorella viventi. La questione riguarda l’omonimia, di cui di casi al mondo ce ne sono già troppi, ed evitarli nella propria famiglia contribuisce ad una facilitazione legale e ad una maggiore identificazione personale.

Cognome-nome?

Se avessi intenzione di chiamare tuo figlio Berlusconi o Maradona, ad esempio, sarebbe vietato. Si parla di divieto di imporre il cognome ad un neonato.

Nomi ridicoli o vergognosi

Sei un appassionato di cartoni o manga e pensi di chiamare tuo figlio Pikachu? Potresti avere qualche problema, perché la definizione di “ridicolo” o “vergognoso” non ha limiti specifici e un nome non propriamente “normale” rischia di rientrare entro quelle sfumature di “ridicolo” o “vergognoso” vietate dalla legge: come potrebbe intendersi il nome di una città, presumibilmente.

Nomi stranieri

Anche sui nomi stranieri ci sono dei limiti. Quelli imposti dai genitori ai bambini aventi la cittadinanza italiana devono essere espressi in lettere dell’alfabeto italiano, con la estensione alle lettere: J, K, X, Y, W e, dove possibile, anche con i segni diacritici propri dell’alfabeto della lingua di origine del nome.

Genitori sconosciuti?

Infine, in caso in cui i genitori siano sconosciuti al bambino, non possono essere imposti nomi o cognomi che facciano intendere l’origine naturale, o cognomi di importanza storica o appartenenti a famiglie particolarmente conosciute nel luogo in cui l’atto di nascita è formato. E qui diciamo che “Esposito”, ad esempio, non sarebbe proprio indicato.

Sanzioni e modifiche alla legge

E ora ti starai chiedendo “Cosa succede se do a mio figlio un nome vietato dalla legge italiana?”. Se il dichiarante intende dare al bambino un nome in violazione del divieto stabilito nel comma 1 o in violazione delle indicazioni del comma 2, “l’ufficiale dello stato civile lo avverte del divieto, e, se il dichiarante persiste nella sua determinazione, riceve la dichiarazione, forma l’atto di nascita e, informandone il dichiarante, ne dà immediatamente notizia al procuratore della Repubblica ai fini del promovimento del giudizio di rettificazione”.

L’art. 35 del D.P.R. è stato modificato dall’art. 5 della L. n. 219/2012. La versione originale dell’art. 35 recitava: “Art. 35. – (Nome). – 1. Il nome imposto al bambino deve corrispondere al sesso e può essere costituito da uno o più elementi onomastici, anche separati, non superiori a tre. 2. In quest’ultimo caso, tutti gli elementi del prenome dovranno essere riportati negli estratti e nei certificati rilasciati dall’ufficiale dello stato civile e dall’ufficiale di anagrafe”.

La versione aggiornata ora prescrive: “Art. 35. – (Nome). – 1. Il nome imposto al bambino deve corrispondere al sesso e può essere costituito da un solo nome o da più nomi, anche separati, non superiori a tre. 2. Nel caso siano imposti due o più nomi separati da virgola, negli estratti e nei certificati rilasciati dall’ufficiale dello stato civile e dall’ufficiale di anagrafe deve essere riportato solo il primo dei nomi”.

Questo caso ha aperto la diatriba sui cosiddetti “nomi neutri” come Andrea, Sole o Celeste. La giurisprudenza prima ha rifiutato l’uso di nomi tradizionalmente maschili per bambine e viceversa, poi ha aperto alla possibilità di assegnarli insieme a un altro nome di chiara corrispondenza al sesso del nato, e ora sta iniziando ad accettare anche la nozione di “neutro”.

Altri limiti

In passato, ci sono state difficoltà interpretative sul numero di nomi da poter attribuire a un neonato, poiché il D.P.R. n. 396 utilizzava l’espressione tecnica “elementi onomastici”. La legge del 2012 ha chiarito che i genitori possono assegnare fino a tre nomi, separati da virgole, che compariranno solo negli estratti integrali di nascita e non nei documenti ufficiali come il codice fiscale o la carta d’identità.Ora è possibile dare più di un nome al proprio bambino senza complicazioni burocratiche: l’obbligo di utilizzare sempre tutti i propri nomi (massimo due) ricordava ai genitori la funzione sociale del nome come “carattere distintivo dell’identità personale”.

ATTENZIONE - Questo articolo è stato originariamente pubblicato dall’agenzia Adnkronos. Sbircia la Notizia Magazine non è responsabile per i contenuti, le dichiarazioni o le opinioni espresse nell’articolo. Per qualsiasi richiesta o chiarimento, si prega di contattare direttamente Adnkronos.
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Demografica

StatisticAll, Billari (Bocconi): “La politica sposta le...

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La demografia si muove come un orologio. Può essere veloce come la lancetta dei secondi e provocare ansia. Ma può muoversi anche come la lancetta delle ore. Resta pericoloso vederla solo come lenta. Lo ha chiarito con fermezza il rettore della Bocconi Francesco Billari, intervistato dal vicedirettore Adnkronos Fabio Insenga nell’ambito di StatistiAll, l’evento che affronta i temi sociali con gli occhi dei dati e della statistica.

StatisticAll 2024, tenutosi a Treviso, ha offerto un programma ricco di eventi, dibattiti e spettacoli, con un approccio innovativo e accessibile. La decima edizione del festival, organizzata dalla Sis, Istat e Società Statistica Corrado Gini, ha esplorato il futuro della popolazione sotto tutti i punti di vista: migrazioni europee, coesione, uguaglianze e cybersecurity. Ma anche disparità economiche e sociali, inclusione e diritti, economia e industria e il grande tema dell’intelligenza artificiale.

Dal Baby boom ad oggi: così si muovono le lancette

Le stime sul futuro della popolazione vedono la denatalità pesare su welfare, economia e ricambio generazionale. “Sessant’anni fa abbiamo avuto il picco del baby boom. È un aspetto che emerge oggi ed è una conseguenza del passato. Ad oggi, infatti, se i nati sono 379mila, i diciottenni tra alcuni anni non potranno essere un milione. Nell’orologio c’è un meccanismo che si chiama ‘corona’, che sposta la lancetta delle ore ed è il ruolo della politica e dell’economia. Se è importante il lungo periodo dobbiamo sederci e ragionare in modo bipartisan: è necessario che il consenso vada al di là del dibattito annuale e della semplificazione destra/sinistra. I cambiamenti nella popolazione possono avere tempi lenti. Per ragionare sui prossimi cinque anni, la natalità non è il parametro da valutare”.

Lo ha sottolineato Francesco Billari, durante il talk ‘Guardare al futuro dell’Europa attraverso la lente della demografia’, nel terzo giorno di lavori del StatisticAll. Un confronto che ha avuto come obiettivo il considerare le trasformazioni profonde che stanno plasmando il continente in termini di popolazione, struttura per età, flussi migratori e dinamiche familiari e che avranno impatti significativi sull’Europa dei prossimi decenni.

Demografia e innovazione

Il rettore della Bocconi ha più volte evidenziato quanto l’innovazione sia stata il frutto dell’ingegno dei giovani: “Ora per la prima volta nella nostra storia siamo in presenza di più generazioni – ha spiegato -. In Italia siamo il terzo paese al mondo con over65. Pertanto, a causa dell’invecchiamento e dello spopolamento, la demografia è parte della mancanza di innovazione. Se l’Italia è leader mondiale dell’invecchiamento della popolazione, deve essere anche leader mondiale nel dare risposte a questo segmento di popolazione”.

Un modo, questo, per approcciare alle problematiche demografiche tenendo conto che non riguardano solo il “fare figli”, ma impegnarsi per consentire un futuro migliore a quelle generazioni sempre più ridotte.

Demografia e sostenibilità

Un altro aspetto toccato da Billari nel corso del talk è il rapporto tra demografia e sostenibilità: “Il concetto di sostenibilità nasce dalla demografia, per garantire un pianeta e delle società che servano le generazioni future. In qualche modo la demografia è madre della sostenibilità, ma il concetto odierno, discusso anche in ambito europeo, a volte è troppo restrittivo – ha continuato -. Ad oggi si parla di ambiente, ambienti sociali e configurazione di norme, ma quando si parla di sostenibilità è necessario capire cosa succede nelle aree che si stanno spopolando. La governance ha bisogno che le imprese riescano ad aggredire questi temi e che la società sia pronta a queste sfide senza precedenti”.

Il futuro dell’Europa

Infine, Billari ha concluso illustrando la sua visione dell’Europa con le lenti della demografia: “È un continente in decrescita, forse lenta o forse no. Sulle politiche migratorie, che è una parte cruciale, l’Europa non ha ancora deciso. Abbiamo un continente anagraficamente anziano e una posizione geografica che ci ha assicurato, però, millenni di cultura, all’incrocio del mediterraneo, tra nord e sud, tra est e ovest, poi dobbiamo decidere noi se guardare solo la lancetta dei secondi – dell’orologio demografico – e farci prendere dall’ansia. La società deve lavorare per più generazioni e gli anziani non vanno demonizzati: il sistema deve funzionare tanto per gli anziani quanto per i bambini. Se si pensa che l’Europa funzioni per più generazioni, forse la gente tornerà a fare più figli. È necessario avere una politica migratoria più adeguata”.

ATTENZIONE - Questo articolo è stato originariamente pubblicato dall’agenzia Adnkronos. Sbircia la Notizia Magazine non è responsabile per i contenuti, le dichiarazioni o le opinioni espresse nell’articolo. Per qualsiasi richiesta o chiarimento, si prega di contattare direttamente Adnkronos.
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Demografica

La solitudine aumenta del 31% la probabilità di sviluppare...

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La solitudine ha un impatto negativo sull’invecchiamento del cervello e aumenta significativamente le probabilità di una persona di sviluppare la demenza. A confermarlo è una ricerca finanziata dal National Institute on Aging degli Stati Uniti che ha monitorato le segnalazioni di solitudine e salute neurologica di oltre 600.000 persone in tutto il mondo.

Ecco cos’è emerso.

Solitudine e demenza

Lo studio, pubblicato su Nature Mental Health, ha rilevato che la solitudine percepita dalle persone che hanno preso parte al campione era collegata a un aumento del 31% della probabilità che una di esse sviluppasse una qualsiasi forma di demenza.

La solitudine aumentava anche le possibilità di deterioramento cognitivo nelle persone del 15%.

Secondo il coautore dello studio, il dottor Páraic Ó Súilleabháin dell’Università di Limerick, in Irlanda, “si tratta di risultati molto impattanti perché indicano che la solitudine è un fattore di rischio di fondamentale importanza per lo sviluppo futuro della demenza“.

Nel 2023, il chirurgo generale degli Stati Uniti, il dottor Vivek Murthy, ha pubblicato un rapporto sulla solitudine e l’isolamento tra gli americani, definendolo un’”epidemia”. Gli effetti della solitudine sulla salute fisica e mentale sono già ben noti: questo studio ne ha stimato l’impatto portando alla luce una significativa crisi.

Quale impatto sulla longevità

Milioni di persone vivono una condizione di solitudine, spesso associata ad una longevità vissuta non in salute e che comporta rischi a lungo termine sulla mente e sul corpo dei soggetti che vivono questa condizione.

“Il nostro laboratorio ha scoperto che la solitudine è fondamentale per la salute futura in vari modi diversi, tra cui la longevità, ovvero per quanto tempo viviamo”, ha osservato Ó Súilleabháin che è anche direttore del Personality, Individual Differences and Biobehavioral Health Laboratory presso l’università irlandese.

“La solitudine è di fondamentale importanza per la salute cognitiva, in quanto porta allo sviluppo futuro di demenza, demenza vascolare, morbo di Alzheimer e, più in generale, deterioramento cognitivo“, ha spiegato.

Ha definito il nuovo studio “un pezzo di ricerca molto importante che avrà conseguenze di vasta portata“.

Lo studio è stato condotto dalla dottoressa Martina Luchetti, della Facoltà di Medicina della Florida State University di Tallahassee. Nel suo intervento all’Università di Limerick, ha affermato che c’è un aspetto positivo nello studio: la solitudine è un fattore di rischio che può essere modificato. C’è cura, in sintesi.

“Ci sono diversi tipi e fonti di solitudine che possono influenzare i sintomi cognitivi lungo il continuum della demenza – ha affermato Luchetti -. Affrontare la solitudine promuovendo un senso di connessione potrebbe essere protettivo per la salute cognitiva in età avanzata”.

I benefici di un’assistenza domestica

In tal senso, si sono mosse diverse reti di supporto sociale con progetti di co-housing o di vere e proprie attività di supporto psicofisico per le persone sole e non autosufficienti. Fare compagnia a queste persone o aggregarle in luoghi in cui poter condividere questo stato di solitudine ha effetti benefici. Eccone alcuni:

Sicurezza: Gli anziani affrontano diverse sfide in termini di sicurezza domestica. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), le cadute sono la seconda causa di morte accidentale nel mondo, con gli anziani particolarmente a rischio. La presenza di un caregiver può ridurre significativamente questo rischio, fornendo supervisione costante e assistenza nelle attività quotidiane.
Assistenza nelle attività quotidiane: La compagnia domestica aiuta gli anziani a mantenere uno stile di vita indipendente. Uno studio del National Institute on Aging ha evidenziato che l’assistenza nelle attività quotidiane, come la preparazione dei pasti e la pulizia della casa, migliora la qualità della vita degli anziani e riduce il rischio di depressione.
Combattere l’isolamento sociale: L’isolamento sociale è un problema comune tra gli anziani. La ricerca pubblicata nel 2023 su “The Gerontologist” mostra che la solitudine può aumentare il rischio di demenza del 50%. La compagnia domestica offre un’importante interazione sociale, riducendo i sentimenti di solitudine e migliorando il benessere emotivo.
Monitoraggio della salute: Il monitoraggio della salute è cruciale per gli anziani. Secondo uno studio pubblicato su The Journal of Primary Prevention, il monitoraggio regolare della salute e l’assunzione corretta dei farmaci possono ridurre le ospedalizzazioni non necessarie del 30%. La presenza di un caregiver qualificato garantisce che gli anziani ricevano le cure necessarie tempestivamente.
Supporto emotivo: Il supporto emotivo è fondamentale per il benessere degli anziani. La stessa ricerca ha dimostrato che il supporto emotivo può migliorare la qualità della vita e ridurre i sintomi di ansia e depressione. La compagnia domestica offre un ascolto attento e un conforto costante, contribuendo a mantenere un atteggiamento positivo.

La solitudine rappresenta un grave rischio per la salute cognitiva degli anziani, aumentando significativamente le probabilità di sviluppare demenza e deterioramento cognitivo. Tuttavia, questo fattore di rischio può essere modificato attraverso interventi mirati che promuovono la connessione sociale e il supporto emotivo.

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