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In Italia, il fenomeno dei caregiver è una realtà complessa e in continua evoluzione, rappresentata da oltre 7 milioni di persone, per la maggior parte donne, che dedicano il proprio tempo e le proprie energie a supportare familiari anziani, malati o disabili. Il rapporto “Il valore sociale del caregiver”, realizzato dal Cnel in collaborazione con il Censis per la Regione Lazio, getta luce su un mondo spesso invisibile, che svolge un ruolo fondamentale per la tenuta del sistema socio-assistenziale del Paese, ma che opera senza adeguati riconoscimenti e tutele.

La fisionomia dei caregiver italiani

La fotografia tracciata dal rapporto evidenzia una marcata predominanza femminile, con il 58% dei caregiver costituito da donne di età compresa tra i 45 e i 64 anni. Questo dato non sorprende se si considera che l’assistenza familiare, storicamente, è stata un compito svolto principalmente dalle donne, spesso a costo di sacrifici personali e professionali. Tuttavia, si assiste a un progressivo invecchiamento della popolazione dei caregiver: un quinto di essi ha superato i 65 anni, mentre i giovani costituiscono solo il 4% del totale. Un dato che non solo riflette l’invecchiamento generale della popolazione italiana, ma che suggerisce anche una preoccupante mancanza di ricambio generazionale in un ambito dove il bisogno è destinato a crescere.

Per i caregiver, l’equilibrio tra vita professionale e privata è una sfida quotidiana: circa la metà dei caregiver in Italia lavora, ma il 37% è fuori dal mercato del lavoro, spesso proprio a causa degli impegni di cura che impediscono di mantenere un impiego stabile. Le difficoltà di conciliazione tra attività di cura e lavoro sono una realtà concreta per il 38% delle donne e il 34% degli uomini, e il tasso di occupazione tra le donne caregiver è di ben quattro punti percentuali inferiore rispetto a quello delle donne senza responsabilità di cura. Questi numeri riflettono una disparità di genere che si accentua ulteriormente quando il carico di cura aumenta: il 58,4% delle richieste di congedo straordinario proviene da donne e, quando il congedo deve essere prorogato, la percentuale sale al 78%.

Il rischio di impoverimento e di esclusione sociale

Essere caregiver in Italia significa spesso affrontare non solo un impegno fisico ed emotivo considerevole, ma anche il rischio di impoverimento economico. Il 20% dei percettori di reddito di cittadinanza, infatti, vive in nuclei familiari con disabili, e circa il 50% di questi nuclei ha un Isee inferiore a 9.000 euro. Questa realtà è evidente in particolare nella Regione Lazio, dove nel 2022 i permessi retribuiti ai sensi della legge 104/1992 sono stati richiesti da circa 95.000 lavoratori, quasi tutti con contratti a tempo indeterminato. Tuttavia, i permessi e i congedi spesso non bastano a compensare l’impatto economico del caregiving, e molti caregiver si trovano a dover scegliere tra il sostegno ai propri familiari e la sicurezza finanziaria.

Il rapporto mette in evidenza come la disabilità sia correlata a una condizione di forte precarietà economica per molte famiglie. Oltre il 53% delle dichiarazioni Isee di nuclei con disabili nella Regione Lazio ha un valore inferiore a 9.000 euro. L’assistenza ai disabili gravissimi, che richiede un’intensità di cura molto elevata, è un fattore di rischio per la povertà, e al contempo di forte stress fisico e psicologico per chi la fornisce. Per quanto riguarda le modalità di sostegno preferite, emerge una forte preferenza per il contributo diretto al caregiver, scelto nel 90,6% dei casi. L’assegno di cura e l’assistenza diretta costituiscono invece solo il 7,7% delle scelte, indicando un orientamento verso un’assistenza familiare più personalizzata e basata sulle necessità specifiche del nucleo familiare.

L’urgenza di riconoscere il valore sociale dei caregiver

Renato Brunetta, presidente del Cnel, ha sottolineato l’importanza del rapporto, che permette di mettere in luce le difficoltà affrontate dai caregiver e l’urgenza di dare voce alle loro esigenze. L’auspicio è che il rapporto diventi il punto di partenza per una regolamentazione legislativa che riconosca e valorizzi il ruolo del caregiver. Il supporto della Regione Lazio, che ha commissionato lo studio, rappresenta un passo importante verso una consapevolezza istituzionale del valore sociale di queste figure.

L’iniziativa della Regione Lazio rappresenta anche un riconoscimento della funzione consultiva del Cnel in ambito sociale e di welfare, e dimostra la volontà di favorire politiche sociali più inclusive e attente alle reali necessità dei cittadini. Tuttavia, una regolamentazione di ampio respiro a livello nazionale è essenziale per garantire che i diritti dei caregiver siano riconosciuti e protetti in tutta Italia. Gli esperti del Cnel e del Censis, infatti, sono concordi nel ritenere che solo attraverso una conoscenza approfondita dei bisogni e delle aspettative dei caregiver si possa dar vita a una normativa che risponda in modo efficace a un fenomeno di tale rilevanza sociale.

Il rapporto del Cnel e del Censis è solo un primo passo verso una maggiore comprensione del fenomeno del caregiving in Italia. Occorre ora trasformare questi dati e analisi in politiche concrete che possano dare supporto e dignità a chi, ogni giorno, si fa carico del benessere dei propri familiari più vulnerabili. Un percorso che passa attraverso l’istituzione di misure di sostegno economico più consistenti, incentivi per favorire la conciliazione tra lavoro e cura e un sistema di welfare che sappia realmente rispondere alle sfide del presente.

Tra le proposte in discussione, vi sono l’ampliamento dei congedi retribuiti, un riconoscimento pensionistico per le ore dedicate all’assistenza, e incentivi per le aziende che facilitano il reinserimento lavorativo dei caregiver. Inoltre, in alcuni Paesi europei, come la Francia e la Germania, si stanno sperimentando modelli innovativi di supporto ai caregiver, attraverso la creazione di reti di assistenza territoriale e di centri di sollievo, dove i caregiver possono lasciare temporaneamente i propri familiari per prendersi cura di sé stessi e delle proprie esigenze. Tali modelli potrebbero ispirare anche l’Italia nel promuovere soluzioni che, oltre al sostegno economico, offrano un vero supporto psicologico ed emotivo ai caregiver.

Il futuro dei caregiver in Italia è quindi legato a doppio filo alla capacità delle istituzioni di riconoscere il loro ruolo e il loro valore.

Un team di giornalisti altamente specializzati che eleva il nostro quotidiano a nuovi livelli di eccellenza, fornendo analisi penetranti e notizie d’urgenza da ogni angolo del globo. Con una vasta gamma di competenze che spaziano dalla politica internazionale all’innovazione tecnologica, il loro contributo è fondamentale per mantenere i nostri lettori informati, impegnati e sempre un passo avanti.

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Gravidanza e bellezza: i rischi nascosti di smalti e trucco

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allattamento al seno

Attenzione all’uso di smalti per le unghie, trucco, se siete in gravidanza. Potreste aumentare l’esposizione a sostanze chimiche tossiche, con tutte le conseguenze per la salute vostra e del vostro bambino. Una ricerca della Brown University School of Public Health, la scuola di salute pubblica della Brown University, un’università di ricerca privata nel Rhode Island (USA), ha infatti trovato una correlazione tra l’uso di prodotti per la cura della persona (PCP) e le concentrazioni di PFAS nelle donne in gravidanza o in allattamento.

In sostanza, più prodotti per l’igiene personale si usano, più si rischia di accumulare alti livelli di sostanze perfluoroalchiliche e polifluoroalchiliche, PFAS appunto, nel plasma sanguigno e nel latte materno.

Cosa sono i PFAS, onnipresenti e dannosi per la salute

I PFAS sono sostanze chimiche sintetiche utilizzate fin dagli anni ’50 nei prodotti di consumo e in contesti industriali, grazie alla loro capacità di resistere a olio, acqua e calore. Il lato negativo è che sono stati associati a una tutta una serie di effetti negativi sulla salute, tra cui malattie epatiche, problemi cardiometabolici e cardiovascolari e vari tipi di cancro. Inoltre, possono contribuire a esiti avversi alla nascita, come il calo del peso alla nascita, il parto pretermine, alcuni disturbi dello sviluppo neurologico e una ridotta risposta ai vaccini nei bambini. Effetti in parte dovuti al trasferimento dei PFAS attraverso la placenta e il latte materno, che facilita l’esposizione durante la gestazione e l’infanzia.

I PFAS sono persistenti nell’ambiente, onnipresenti e, sottolinea lo studio, rilevabili in quasi il 100% dei canadesi – la ricerca ha riguardato il Paese nordamericano, ma certamente il problema ci riguarda tutti. Ognuno di noi entra in contatto con i PFAS ingerendo cibo contaminato, bevendo anche semplice acqua, o attraverso gli imballaggi alimentari, le pentole, i mobili e PCP come trucco, prodotti per capelli e smalto per unghie.

Occorre sottolineare che i PFAS continuano a essere prodotti a livelli elevati a livello globale, con volumi annuali superiori a 230mila tonnellate di fluoropolimeri e 46mila tonnellate di acidi perfluoroalchilici. “Sebbene i PFAS siano onnipresenti nell’ambiente, il nostro studio indica che i prodotti per la cura della persona sono una fonte modificabile di PFAS“, ha affermato l’autrice dello studio Amber Hall, ricercatrice associata post-dottorato in epidemiologia presso la Brown University School of Public Health. Per modificabile si intende che si può ridurre l’esposizione limitando l’uso dei prodotti a rischio.

L’uso di trucco, smalti e tinture aumenta i livelli di PFAS nel corpo

L’analisi della Brown University School of Public Health, recentemente pubblicata su Environment International, ha utilizzato i dati del Maternal-Infant Research on Environmental Chemicals Study, che ha esaminato solo quattro tipi di PFAS tra i migliaia utilizzati nell’industria e nel commercio, e che dunque probabilmente sottostima l’entità del problema. La ricerca ha coinvolto 2001 donne incinte in 10 città del Canada tra il 2008 e il 2011.

L’effetto dei prodotti per la cura delle persone sui livelli di PFAS è stato analizzato nel plasma prenatale (da sei a 13 settimane di gestazione) e nel latte materno (da due a 10 settimane dopo il parto). Le partecipanti dovevano riferire la frequenza di utilizzo di otto categorie di prodotti in tre momenti: durante il primo e il terzo trimestre di gravidanza, da uno a due giorni dopo il parto e da due a dieci settimane dopo il parto.

I risultati dimostrano che nelle donne incinte al primo trimestre, un uso maggiore di prodotti per la cura delle unghie, profumi, trucco, tinture per capelli e lacche o gel per capelli era associato a concentrazioni plasmatiche di PFAS, PFOA, PFOS e PFHxS più elevate. Risultati simili sono stati osservati per l’uso di prodotti per la cura personale nel terzo trimestre e per le concentrazioni di PFAS nel latte materno da due a 10 settimane dopo il parto.

Ancora, le partecipanti che si truccavano ogni giorno nel primo e nel terzo trimestre avevano concentrazioni di PFAS nel plasma e nel latte materno rispettivamente del 14% e del 17% più elevate rispetto alle persone che non lo facevano ogni giorno.

Inoltre, i ricercatori hanno scoperto che chi usava tinture colorate permanenti uno o due giorni dopo il parto aveva livelli di PFAS più elevati (16%-18%) rispetto a chi non le utilizzava mai nelle concentrazioni del latte materno. In generale, un maggiore utilizzo di PCP è stato associato a livelli più elevati di PFOS, PFOA, PFNA e PFHxS nel post-partum.

Risultati allarmanti, che possono servire, si augurano i ricercatori, per stabilire una regolamentazione dei PFAS e, più nel piccolo, a guidare le scelte individuali in modo da ridurre l’esposizione a queste sostanze tossiche laddove possibile.

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Eduscopio 2024, quali sono le migliori scuole in Italia?...

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eduscopio 2024 Aula Scuola

È stata pubblicata la nuova edizione di Eduscopio 2024, il rapporto della Fondazione Agnelli che fornisce una guida completa per orientare studenti e famiglie nella scelta delle scuole superiori. Questo strumento di analisi si basa su un database che raccoglie i dati di oltre 1,3 milioni di diplomati provenienti da più di 7.000 scuole in tutta Italia, offrendo una panoramica dettagliata delle istituzioni scolastiche che preparano meglio gli studenti per l’università e il mondo del lavoro.

Le migliori scuole città per città: la classifica

Milano

  • Miglior Liceo Classico: Sacro Cuore
  • Miglior Liceo Scientifico: Alessandro Volta
  • Miglior Liceo Linguistico: Civico Manzoni
  • Miglior Istituto Tecnico Economico: Gino Zappa
  • Miglior Istituto Tecnico Tecnologico: Galvani

Roma

  • Miglior Liceo Classico: Ennio Quirino Visconti
  • Miglior Liceo Scientifico: Augusto Righi
  • Miglior Liceo Scientifico – Scienze Applicate: Antonio Labriola
  • Miglior Liceo Linguistico: Edoardo Amaldi
  • Miglior Liceo Scienze Umane: Margherita di Savoia
  • Miglior Istituto Tecnico Economico: Cristoforo Colombo
  • Miglior Istituto Tecnico Tecnologico: Boaga

Torino

  • Miglior Liceo Classico: Vincenzo Gioberti
  • Miglior Liceo Scientifico: Altiero Spinelli
  • Miglior Liceo Linguistico: Altiero Spinelli
  • Miglior Istituto Tecnico Economico: Bosso – Monti
  • Miglior Istituto Tecnico Tecnologico: Santorre di Santarosa

Bologna

  • Miglior Liceo Classico: Luigi Galvani
  • Miglior Liceo Scientifico: Niccolò Copernico
  • Miglior Liceo Scientifico – Scienze Applicate: Enrico Fermi
  • Miglior Liceo Linguistico: Niccolò Copernico
  • Miglior Istituto Tecnico Economico: Crescenzi-Pacinotti-Sirani
  • Miglior Istituto Tecnico Tecnologico: Arrigo Serpieri

Napoli

  • Miglior Liceo Classico: Convitto Vittorio Emanuele II
  • Miglior Liceo Scientifico: Convitto Vittorio Emanuele II
  • Miglior Liceo Scientifico – Scienze Applicate: Eleonora Pimentel Fonseca
  • Miglior Istituto Tecnico Economico: Francesco Saverio Nitti
  • Miglior Istituto Tecnico Tecnologico: Della Porta-Porzio

Firenze

  • Miglior Liceo Classico: Galileo Galilei
  • Miglior Liceo Scientifico: Niccolò Machiavelli
  • Miglior Istituto Tecnico Economico: Russell – Newton
  • Miglior Istituto Tecnico Tecnologico: Morante-Ginori Conti

Palermo

  • Miglior Liceo Classico: Umberto I
  • Miglior Liceo Scientifico: Galileo Galilei
  • Miglior Istituto Tecnico Economico: Giovanni Falcone
  • Miglior Istituto Tecnico Tecnologico: Giovanni Verga

Catania

  • Miglior Liceo Classico: Marco Polo
  • Miglior Liceo Scientifico: Galilei
  • Miglior Istituto Tecnico Economico: Ferraris

Bari

  • Miglior Liceo Classico: Aristotele
  • Miglior Liceo Scientifico: Fermi
  • Miglior Istituto Tecnico Economico: De Viti De Marco

Novità dell’edizione 2024

Quest’anno, per la prima volta, Eduscopio ha analizzato separatamente le prestazioni dei diplomati degli indirizzi scientifici sportivi. Questa scelta risponde all’aumento di popolarità di questi percorsi, che combinano l’approfondimento delle discipline scientifiche con la preparazione fisico-sportiva.

Dopo la scuola, tra università e lavoro

L’edizione 2024 riflette ancora le conseguenze della pandemia per i diplomati del 2020-2021. Secondo il rapporto, molti studenti hanno incontrato difficoltà nell’adattarsi alla didattica universitaria, con una lieve riduzione del numero di esami sostenuti e della media dei voti.

La buona notizia arriva dagli istituti tecnici e professionali: il tasso di occupazione per i diplomati di questi percorsi sta tornando ai livelli pre-pandemia. Questo dato conferma la crescente domanda di profili tecnici nel mercato del lavoro, soprattutto nei settori tecnologici e manifatturieri.

Come viene stilata la classifica Eduscopio

L’analisi di Eduscopio si basa su criteri rigorosi e oggettivi che tengono conto di due macro-aree:

  1. Prestazioni accademiche degli studenti universitari, valutate sulla base del numero di esami sostenuti e della media dei voti;
  2. Occupabilità dei diplomati negli istituti tecnici e professionali, calcolata in termini di percentuale di studenti occupati a due anni dal diploma.

Questo approccio permette di identificare le scuole non solo in base alla preparazione accademica ma anche in relazione alla capacità di inserirsi rapidamente nel mondo del lavoro.

Cosa significa Eduscopio per studenti e famiglie

Con l’avvicinarsi del periodo delle iscrizioni scolastiche, Eduscopio rappresenta una risorsa fondamentale per orientarsi tra le molteplici opzioni disponibili. Scegliere la scuola giusta non significa solo optare per il percorso formativo più adatto alle inclinazioni dello studente, ma anche garantire una preparazione che risponda alle esigenze future del mercato del lavoro.

L’analisi evidenzia forti disparità regionali. Le scuole delle città settentrionali, in particolare quelle di Milano e Bologna, continuano a distinguersi per eccellenza accademica e occupazionale, mentre nel Sud Italia permangono difficoltà strutturali legate alla carenza di risorse e infrastrutture scolastiche. Tuttavia, alcune città meridionali, come Napoli e Bari, stanno emergendo con scuole in grado di competere con quelle del Centro-Nord, dimostrando come l’impegno di studenti e docenti possa fare la differenza. Il Politecnico del capoluogo pugliese, inoltre, è il primo in Italia per assunzioni entro un anno dalla laurea.

Consigli per sfruttare al meglio Eduscopio

Per le famiglie che devono scegliere la scuola superiore, è importante:

  • Considerare i propri obiettivi: se l’intenzione è proseguire con l’università, privilegiare scuole con buoni risultati accademici. Per chi vuole entrare nel mondo del lavoro subito dopo il diploma, preferire istituti tecnici e professionali con alti tassi di occupazione;
  • Confrontare le opzioni locali: Eduscopio consente di filtrare i risultati per area geografica, permettendo di scegliere scuole vicine e accessibili;
  • Valutare i trend futuri: il mercato del lavoro evolve rapidamente, ed è utile considerare percorsi che offrono competenze richieste in settori emergenti, come la tecnologia e la sostenibilità.
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Femminicidio, uccise 96 donne nel 2023. Valditara: “Mai...

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Giuseppe Valditara

I femminicidi stimati in Italia sono pari a circa l’82% del totale delle donne uccise. È quanto emerso dal report Istat “Le vittime di omicidio anno 2023” che ha preso in considerazione, in base al framework delle Nazioni Unite al quale l’Italia ha aderito, la definizione di femminicidio come l’omicidio che riguarda l’uccisione di una donna in quanto donna.

Dalle informazioni al momento disponibili (relazione tra vittima e autore, movente, ambito dell’omicidio) è stata elaborata una stima del fenomeno che, per molti, smentirebbe le parole del ministro all’Istruzione Giuseppe Valditara.

All’inaugurazione della Fondazione Giulia Cecchettin alla Camera dei deputati, in un videomessaggio, il ministro aveva citato il fenomeno dell’immigrazione illegale tra le cause della violenza sessuale: “È legato anche a forme di marginalità e di devianza in qualche modo discendenti da una immigrazione illegale”. Parole che hanno creato polemica in quanto, sempre secondo il report Istat, il 94,3% delle donne italiane uccide per motivi sentimentali è vittima di italiani. Scopriamo, quindi, la dimensione del fenomeno in Italia e come il ministro ha chiarito il fraintendimento che si è generato in seguito alle sue parole.

Femminicidi e omicidi in Italia

Secondo quanto emerso dal report, “sono 63 le donne uccise nell’ambito della coppia, dal partner o ex partner; sono 31 le donne uccise da un altro parente; due le donne uccise da un conoscente con movente passionale. In totale si tratta di 96 femminicidi presunti su 117 omicidi con una vittima donna. Nel 2019, erano 101 su 111, nel 2020 erano 106 su 116, nel 2021 104 su 119, nel 2022 105 femminicidi presunti su 126 omicidi”.

“Tra le restanti 21 vittime donne: quattro sono state uccise per rapine, una per follia, tre per interessi economici o debiti, sei per futili motivi, liti o rancori da conoscenti e sconosciuti, una per motivi legati agli stupefacenti ed una per regolamento di conti nell’ambito mafioso, mentre per cinque non è stato stabilito il movente e di queste tre non hanno un autore identificato – si osserva nel report dell’Istat – Di questi 21 casi, 15 omicidi sono stati perpetrati da uomini, uno da una donna conoscente e per quattro non si conosce il sesso dell’autore, in quanto si tratta di casi di omicidio non risolti”.

“Sono i partner a compiere omicidi”

Per le donne si conferma un quadro stabile in cui le morti violente avvengono soprattutto nell’ambito della coppia. Nel 2023 è pari allo 0,21 per 100mila donne il tasso delle donne uccise da un partner o un ex partner – sia esso un coniuge, un convivente o un fidanzato o un amante – del tutto simile a quello del 2022 (0,20). Mentre per gli uomini, lo stesso tasso è pari a 0,02 per 100mila uomini”.

“In particolare – continua il report Istat – sono i partner con cui la donna ha una relazione al momento della morte (coniugi, conviventi, fidanzati) a compiere il maggior numero degli omicidi nella coppia (il 41%), mentre sono il 12,8% gli ex partner (ex coniugi, ex conviventi, ex fidanzati). Il rischio di essere uccise da un partner non si differenzia a seconda delle età (a partire dai 18 anni)”. “Sessantuno sono i partner maschi (96,8%) delle 63 donne uccise nell’ambito della coppia, mentre i sei uomini vittime di partner sono stati uccisi tutti da donne”, continua il report.

“Le donne italiane vengono uccise dai partner, attuali o precedenti, nel 51,5% dei casi, le straniere nel 68,7% – prosegue – Risulta lievemente in diminuzione il tasso delle donne uccise da parenti (0,10 nel 2023; 0,14 nel 2022). Le donne uccise da altri familiari (31) sono state uccise da uomini nell’83,8% (26 casi) e da donne in cinque casi. Sono 40 gli uomini uccisi dai parenti, 37 dei quali sono stati assassinati da altri uomini”.

La polemica

I dati Istat riportano anche la nazionalità d’origine degli assassini e arrivano in seguito alle polemiche nate dalle parole del ministro Valditara che – nel videomessaggio – ha dichiarato che tra le cause della violenza contro le donne ci sarebbe anche l’immigrazione illegale. Un’affermazione, questa, che ha destato qualche perplessità nell’opinione pubblica, anche alla luce di quel “94,3% delle donne italiane è vittima di italiani” riportato dall’Istituto di ricerca.

Il messaggio è stato espresso nel giorno dell’anniversario della morte di Giulia Cecchettin, studentessa 22enne uccisa dal fidanzato, alla presentazione da parte del padre Gino della fondazione inaugurata negli scorsi giorni e che si propone l’obiettivo di sensibilizzare e tutelare le donne vittime di violenza.

La ragazza, un anno fa, è stata assassinata dal compagno “bianco perbene”, come lo ha definito la sorella, secondo la quale, come Giulia, sono tante le donne uccise da partner o ex partner e non di nazionalità straniera. Inoltre, lo stesso padre della giovane vittima ha ribadito che la violenza è violenza indipendentemente dalla provenienza dell’assassino.

A creare la polemica che divampa sui social, però, sono stati due principali fattori:

  1. Il fatto che il ministro abbia detto che il concetto di “patriarcato” si è ormai estinto nonostante persistano fenomeni di maschilismo. Nel suo intervento, Valditara aveva dichiarato che “la visione ideologica vorrebbe risolvere la questione femminile lottando contro il patriarcato. Ma come fenomeno giuridico è finito con la riforma del diritto di famiglia del 1975, che ha sostituito alla famiglia fondata sulla gerarchia la famiglia fondata sulla eguaglianza”. Per alcuni “Cassare a ideologico il femminismo vs il patriarcato è stato un atto sminuente (si legge sui social)” che affievolirebbe le cause culturali che persistono dietro la violenza di genere.
  2. Il fatto che il ministro, dicendo che tra le cause della violenza contro le donne c’è anche l’immigrazione illegale, avrebbe spostato il focus dell’attenzione su uno dei temi maggiormente trattati in campagna elettorale dell’attuale governo: le politiche migratorie. Per molti, si è trattato di un atto di “propaganda politica non supportato dai dati”.

La risposta di Valditara

Il ministro si è difeso dalle accuse, oggi al Salone dello studente a Roma, sostenendo di non aver mai detto che il femminicidio è colpa degli immigrati: “Non ho mai detto che il femminicidio è colpa degli immigrati, ma che in Italia c’è un aumento preoccupante delle violenze sessuali a cui contribuisce anche, ed è importante l’anche, la marginalità e la devianza conseguenti a un’immigrazione irregolare”.

“Le violenze sessuali sono un altro fenomeno molto triste – ha aggiunto Valditara -. I dati Istat e del ministero dell’Interno sono purtroppo inequivocabili e mi dispiace che qualcuno li abbia alterati o non li abbia conosciuti. Non ho detto che l’immigrato è causa di questo”.

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