Masseroli (Nhood) lancia l’allarme: “Il piano Casa di Milano? Rischia di non essere sostenibile, ecco perché”
"Con 1600 euro a m² non si riescono a coprire neanche i costi di produzione"
Il piano Casa di Milano rischia di non essere sostenibile. Il Comune ha appena lanciato un nuovo progetto per rendere disponibili aree pubbliche su cui costruire alloggi a prezzi calmierati. L'obiettivo è ambizioso: affitti fissati a 80 euro per metro quadro all'anno. Una cifra che appare vantaggiosa, calcolata per rendere accessibili gli affitti, ma che, con una capitalizzazione al 5%, implicherebbe un prezzo di vendita di circa 1.600 euro al metro quadro. E qui si apre un problema sostanziale, che Carlo Masseroli, amministratore delegato di Nhood Services Italy, mette in evidenza all'Adnkronos: "Con 1.600 euro al metro quadro non si coprono nemmeno i costi di costruzione. Anche se l'area fosse ceduta gratuitamente, la sostenibilità economica non sarebbe garantita senza un forte sostegno finanziario".
Secondo Masseroli, il partenariato pubblico-privato è una soluzione cruciale e inevitabile: "Può e deve essere la strada giusta", afferma con fermezza. Tuttavia, avverte che il successo di questa collaborazione dipende dalla capacità di lavorare con numeri realistici e progetti economicamente sostenibili. "Deve esserci una remunerazione del capitale, anche minima, ma necessaria; senza di essa, nessun investitore privato vorrà partecipare." Per il privato, infatti, l'investimento deve avere almeno un margine di ritorno, anche se ridotto. Un partenariato ben progettato, soprattutto nel contesto della rigenerazione urbana, può moltiplicare il valore economico e sociale generato. La rigenerazione urbana mira a trasformare aree cittadine degradate o sottoutilizzate, portando nuove infrastrutture, abitazioni, spazi verdi e opportunità di lavoro, per migliorare la qualità della vita e l’attrattività dell'area. È un processo che richiede una sinergia efficace tra settore pubblico e privato per ottenere risultati tangibili, dal rilancio delle zone dismesse alla creazione di nuovi spazi abitativi. “Prendiamo, come esempio, i nostri due progetti di rigenerazione urbana a Milano e Bologna,” spiega Masseroli, “e misuriamo il Social Return on Investment”. In pratica, per ogni euro investito dal privato, quanti euro si trasformano in valore per il territorio? “Il caso di Loreto è chiaro. Ogni euro investito genera quasi quattro euro di valore: un impatto complessivo di circa 320 milioni su un investimento di 80. Più case, più lavoro, più valore immobiliare. A Bologna il moltiplicatore è inferiore, a 2,8, ma la logica è la stessa: con il privato a bordo, ogni euro investito moltiplica il valore pubblico".
Ma ecco il vero paradosso, che si intreccia con la politica economica nazionale: “Questa strada - dice Masseroli - è stata poco battuta, prenda il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr): i fondi sono stati distribuiti con il mantra ‘pubblico su pubblico’. E cosa succede? In molti casi, ogni euro speso dai Comuni per la rigenerazione urbana non crea alcun valore aggiunto. Mancano competenze, risorse e capacità gestionali. Dove avrebbe potuto esserci un impatto reale, troviamo un buco. Dove un euro investito potrebbe generarne venti, il contatore rimane fermo a zero.” Senza una vera collaborazione, i progetti di rigenerazione restano al palo. “Non esiste una rigenerazione che funzioni solo per il privato o solo per il pubblico,” insiste Masseroli, “Deve migliorare la qualità urbana, rispondere ai bisogni della gente e creare spazi vivibili. Non è un esercizio teorico, ma una necessità pratica.” Prendiamo ancora Bologna. "Ferrovie dello Stato - dice - ha messo all’asta un’area per 20 milioni di euro, con un tetto di 4 milioni per la bonifica, per un totale di 24 milioni. La domanda sorge spontanea: come possiamo realizzare alloggi accessibili su un’area che già costa 500 euro al metro quadro solo per essere acquistata? “Da un lato il Comune chiede alloggi a prezzi accessibili, dall’altro le Ferrovie vendono a cifre che rendono pressoché impossibile realizzarli. Sono enti pubblici che dovrebbero avere obiettivi comuni per coinvolgere efficacemente investimenti e competenze privati per raggiungerli” sottolinea Masseroli. E poi c’è il problema dei tempi. “Prendiamo Piazza Loreto a Milano. Abbiamo vinto la gara a maggio del 2021, sono passati tre anni e mezzo e ancora non abbiamo ottenuto il permesso di costruire. I processi vanno semplificati e i tempi ridotti se vogliamo continuare a sperare che gli investitori scelgano le nostre città. Un investitore non può attendere tre anni per far partire un cantiere. È insostenibile.”
Economia
Casa, indagine SoloAffitti: metà inquilini lascia...
Problemi insolvenza, 62% dei locatari in ritardo con il canone
Un inquilino su due lascia l’immobile senza aver pagato l’affitto e la percentuale di chi paga in ritardo, in Italia, è del 62%. Questa la fotografia scattata da un’indagine di SoloAffitti, gruppo che opera da oltre 25 anni nel mercato della protezione della rendita immobiliare, abbinando ai 30.000 contratti di locazione conclusi ogni anno, servizi di tutela che intervengono in caso di mancato pagamento del canone da parte dell’inquilino. Registrando ciascuna delle segnalazioni di morosità ricevute nel corso degli anni, il Gruppo ha costruito la banca dati di inquilini morosi più grande d’Italia, dall’analisi della quale emerge oggi il profilo dell’inquilino insolvente. La maggior parte degli inquilini che interrompono il pagamento del canone d’affitto è di genere maschile (68,8%) ed è concentrata nelle fasce d’età 40-49 anni (31,7%), 50-59 anni (25,4%) e 30-39 anni (22,8%); la morosità tende a scendere per inquilini più “anziani” (12,1% per la fascia d’età 60-69 e 6,3% per gli ultrasettantenni), ed è molto contenuta nella fascia d’età 18-29 anni (1,8%). A differenza di quanto si potrebbe pensare, dunque, la morosità è legata principalmente alla fascia d’età attiva e lavorativa, generalmente associata al raggiungimento della stabilità economica e all’aumento del reddito.
Altro dato inaspettato riguarda la distribuzione percentuale della morosità per fasce di canone di locazione previsto dal contratto d’affitto: la stragrande maggioranza delle segnalazioni di morosità (il 63,9%) è infatti concentrata nella fascia più bassa di canone, fino a 500 euro, mentre il 29,9% riguarda canoni compresi fra 501 e 750 euro e solo il 6,3% riguarda canoni superiori ai 750 euro mensili. Inferiore è il canone da pagare, dunque e maggiore sembra essere la probabilità di un mancato pagamento. Inoltre, il numero medio di inquilini che hanno abitato l’immobile in 10 anni è di 4,7. E 9,8 è il numero delle mensilità perse in 10 anni a causa della morosità degli inquilini. Infine, 1.800 euro l’importo medio di spese legali sostenute in 10 anni per solleciti e azioni di sfratto.
L’attuale situazione di mercato – sottolinea Silvia Spronelli, Ceo di SoloAffitti - vede un forte squilibrio fra una domanda di case in affitto in forte crescita (+229% solo nell’ultimo anno secondo l’Ufficio Studi SoloAffitti) e un’offerta inadeguata a soddisfare la richiesta. Le case in realtà ci sarebbero: sono oltre 6 milioni, infatti, gli immobili residenziali di proprietà di persone fisiche potenzialmente destinabili all’affitto, cioè non abitati dal proprietario e non concessi in uso gratuito a parenti. Uno dei motivi per i quali questi immobili vengono tenuti sfitti risiede proprio nel timore dei proprietari di incappare in inquilini morosi, paura che si è acuita negli ultimi anni come conseguenza del blocco degli sfratti attuato nel periodo Covid. Secondo l’Ufficio Studi SoloAffitti, la paura della morosità rappresenta oggi la causa del mancato affitto degli immobili nel 30% dei casi, insieme al timore di non poter rientrare in possesso dell’immobile in caso di necessità e alla volontà di tenere libero l’immobile per esigenze future.
Economia
Energia, così le tecnologie pulite batteranno gli...
Il valore del mercato dei prodotti a basse emissioni triplicherà fino a raggiungere quello del greggio, rileva l’ultimo rapporto dell’Agenzia internazionale per l’energia. Anche gli scambi commerciali cresceranno fino a 600 miliardi, 50% in più rispetto al gas naturale oggi. E i ricavi degli export cinesi di prodotti green supereranno quelli del petrolio di Arabia Saudita ed Emirati Arabi
Il mercato globale delle principali tecnologie pulite è destinato a triplicare, superando i 2 mila miliardi di dollari entro il 2035 – un valore comparabile a quello dell'attuale mercato del greggio. È quanto si apprende dal nuovo rapporto Energy Technology Perspectives 2024, presentato dall’Associazione internazionale per l’energia (Iea) nella figura del suo direttore esecutivo Fatih Birol.
Il rapporto si concentra su sei prodotti tecnologici (pannelli solari, pale eoliche, auto elettriche, batterie, elettrolizzatori e pompe di calore) cruciali per la transizione. Nel 2016 il valore di quel mercato era di circa 200 miliardi di dollari. Oggi supera i 700 miliardi, e secondo le proiezioni Iea, basate sulla velocità attuale e le politiche in atto, il valore triplicherà al 2035 raggiungendo i 2.100 miliardi di dollari.
Anche la competitività dei costi di queste tecnologie “migliora quasi di giorno in giorno”. Mentre in termini di flussi commerciali, “prevediamo che gli scambi cresceranno in modo sostanziale, triplicando tra oggi e il 2035 e arrivando a sfiorare i 600 miliardi di dollari: il 50% in più rispetto al commercio di gas naturale di oggi”, rileva Birol. “Questo dimostra in che direzione si sta muovendo il commercio globale: più tecnologia e meno materie prime”.
La sfida per governi e industrie è la competizione tra i Paesi, sempre più intensa: da vedere fino a che punto aumenteranno le barriere commerciali, le implicazioni per la transizione energetica pulita, e quanto le economie più piccole risentiranno della competizione tra i giganti economici, continua il direttore dell’Iea.
“Il rapporto testimonia che le politiche energetiche, industriali e commerciali sono sempre più intrecciate. I Paesi che saranno in grado di armonizzare questi tre elementi ne trarranno sicuramente beneficio in termini di performance economica”.
L’esempio lampate è la Cina. Secondo il rapporto Iea, nel 2035 i ricavi delle esportazioni cinesi di prodotti a energia pulita supererà i ricavi attuali dell’export di petrolio dei due maggiori produttori, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. Del resto, sottolinea Birol, oggi la Cina produce circa il 70% dei prodotti fondamentali per la transizione.
Guardando solo al fotovoltaico, il solo impianto in costruzione nella provincia cinese di Shanxi sarà sufficiente a produrre una quantità di moduli tale da coprire l'intera domanda dell'Unione europea. Uno degli indicatori del fatto che Pechino – la prima a muoversi con una politica industriale decisa – “dominerà il commercio [di prodotti a tecnologia pulita] per almeno i prossimi 10 anni”.
Il terreno di gioco è la competizione tra giganti economici. Oltre alla Cina, gli Stati Uniti “hanno fatto grandi passi avanti” con gli incentivi del pacchetto Ira e anche l’India fa progressi sul solare. “Sono certo che l'Ue presenterà presto un pacchetto simile per far progredire l'industria dell’energia pulita” – un riferimento al Clean Industrial Deal promesso da Ursula von der Leyen entro i primi cento giorni dall’insediamento della nuova Commissione.
Guardando ai progetti europei avviati o in fase di avviamento, sarebbe a portata l’obiettivo europeo delineato dal Net Zero Industry Act: arrivare al 2030 potendo coprire il 40% del fabbisogno interno di tecnologie a zero emissioni con la produzione locale. Il pronostico è di Araceli Fernandez Pales, co-autrice del rapporto, che evidenzia come la dimensione del mercato europeo delle sei tecnologie chiave è già pari a 120 miliardi di dollari, “non più lontane dai 270 miliardi del mercato relativo al motore a combustione interna”.
Nonostante la competizione globale feroce, l’Europa ha “punti di forza molto importanti” nel campo dell’energia pulita. L’eurozona è il secondo mercato unico più grande al mondo e c’è forte enfasi da parte dei legislatori che genera domanda di tecnologie e materiali puliti, rileva l’esperta alla presentazione del rapporto: c’è possibilità di sviluppare “sinergie” tra industrie, con vaste ricadute su settori laterali.
Economia
Inaugurata Foresta Levissima, progetto di riforestazione in...
L’iniziativa contribuisce non solo al recupero delle foreste, ma anche al ripristino della biodiversità e alla tutela del delicato equilibrio ambientale della zona
Tra il 28 e il 30 ottobre del 2018, la Tempesta Vaia ha colpito duramente il patrimonio forestale italiano, devastando aree boschive, 14 milioni di alberi totali nell’area Nord-Est italiana. Oggi, in occasione del sesto anniversario, Levissima rinnova il suo impegno nella rigenerazione ambientale dei territori colpiti.
Nel territorio d’origine della sua acqua, Levissima ha avviato insieme al Consorzio Forestale Alta Valtellina, il Comune di Valdisotto e l’Università degli Studi di Milano un importante progetto per la rigenerazione delle zone colpite, e da quest’anno ha allargato il suo impegno anche alla Val di Fiemme, in Trentino-Alto Adige. Un’iniziativa di bonifica e rimboschimento che porta avanti insieme ad un partner di rilievo come Vaia, giovane startup locale, nata proprio con la missione di restituire al territorio in cui risiede ciò che ha perduto dopo la tempesta.
Con Vaia, infatti, è stata inaugurata la 'Foresta Levissima' in Val di Fiemme: un progetto di riforestazione che copre 4 ettari di uno dei territori più colpiti dalla tempesta, con l’obiettivo di piantare 6.000 nuovi alberi. L’iniziativa contribuisce non solo al recupero delle foreste, ma anche al ripristino della biodiversità e alla tutela del delicato equilibrio ambientale della zona. Il progetto di riforestazione è reso possibile anche grazie alla partecipazione attiva dei cittadini attraverso la piattaforma di sostenibilità Rigeneriamo Insieme, creata per coinvolgere le persone nella salvaguardia dell’ambiente e permettere a chiunque di contribuire in modo concreto alla tutela degli ecosistemi montani e del pianeta.
In particolare, ogni acquisto, tramite piattaforma, del Vaia Cube, un amplificatore per smartphone realizzato artigianalmente con il legno degli alberi abbattuti dalla tempesta, consente la piantumazione di un nuovo albero. Un semplice gesto che rende ciascun cittadino parte attiva nel processo di rigenerazione del patrimonio naturale.
“L'anniversario della Tempesta Vaia è per noi un'occasione concreta per rinnovare il nostro impegno verso la riforestazione e la tutela ambientale - ha affermato Elena Limido, Senior Brand Manager di Levissima - Il progetto Rigeneriamo Insieme e la Foresta Levissima fanno parte del nostro impegno per ridurre l’impatto sul pianeta, attraverso azioni semplici ma concrete, tangibili, che possano fare la differenza sul lungo termine, a partire proprio dalla tutela delle foreste, polmoni verdi del nostro pianeta”.
L’iniziativa rappresenta un altro passo nel percorso di sostenibilità di Levissima, che da anni investe in progetti di sensibilizzazione e tutela dell'ambiente, a partire dall’ecosistema montano e dai territori in cui ha origine la sua acqua, in collaborazione con partner locali. Il progetto di piantumazione di quest’anno è solo l’inizio di un percorso che vedrà crescere, anno dopo anno, il numero di alberi piantati, con l’obiettivo di ripristinare integralmente le aree devastate dalla Tempesta Vaia.