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Israele, Iran minaccia nuovo attacco: Tel Aviv pronta ad ‘alto livello’

L'eventuale attacco di Teheran non coglierebbe impreparato lo Stato ebraico: "Alto livello di preparazione". Idf tornano a colpire la capitale del Libano, almeno 10 raid all'alba

Macerie a Beirut, Libano, dopo la nuova ondata di raid israeliani all'alba - Afp

Israele ha "un alto livello di preparazione" per un eventuale nuovo attacco iraniano in risposta al raid condotto dallo Stato ebraico sabato scorso sulla Repubblica islamica. Lo ha dichiarato una fonte militare alla Cnn, mentre ieri - secondo tre funzionari iraniani citati dal New York Times - la Guida Suprema, l'ayatollah Ali Khamenei, avrebbe dato ordine al Supremo consiglio per la sicurezza nazionale di prepararsi ad attaccare Israele. Secondo la fonte militare, i raid dello Stato ebraico "hanno creato un dilemma per Teheran" dal momento che hanno ridotto la sua capacità di attaccare e difendersi da una controrisposta israeliana.

Khamenei, scrive il giornale americano, avrebbe preso la decisione sull'attacco dopo aver esaminato un rapporto dettagliato di comandanti militari sull'entità dei danni provocati dal raid israeliano della scorsa settimana alla capacità di produzione missilistica del Paese, ai sistemi di difesa aerea intorno a Teheran, alle infrastrutture energetiche critiche e a un porto situato nel sud. La portata dell'attacco di Israele e i quattro soldati iraniani uccisi negli attacchi aerei sono "troppo grandi per essere ignorati" e secondo i funzionari citati, "non rispondere significherebbe ammettere la sconfitta".

Ieri il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, durante un discorso pronunciato alla cerimonia di chiusura del corso per ufficiali delle Idf ha intanto avvertito Teheran: "Oggi Israele ha più libertà di azione in Iran di quanta ne abbia mai avuta" e "può raggiungere qualsiasi luogo in Iran se necessario", ha dichiarato.

"L'obiettivo principale che ho fissato è impedire (che l'Iran si doti di, ndr) armi nucleari", ha osservato Netanyahu, citato dal sito di Haaretz. Il primo ministro ha anche parlato del rapporto tra il suo governo e la Casa Bianca, sostenendo di "apprezzare la politica degli Stati Uniti, ma quando è necessario, dico di no".

Nuova ondata di raid su Beirut

Intanto, dopo quasi una settimana, l'esercito israeliano è tornato a colpire Beirut. All'alba almeno 10 raid hanno preso di mira diversi sobborghi meridionali della capitale libanese, secondo quanto riferito dall'agenzia di stampa Nna dopo che le Idf avevano emesso ordini di evacuazione per diversi edifici.

"I raid hanno provocato una distruzione massiccia nelle aree prese di mira, con decine di edifici rasi al suolo, oltre allo scoppio di incendi", ha riportato la Nna, precisando che i raid hanno preso di mira le aree di Ghobeiry e Al-Kafaat, l'autostrada Sayyed Hadi, le vicinanze del complesso Al-Mujtaba e la vecchia strada dell'aeroporto.

Intanto nella notte le Idf hanno abbattuto sui cieli della Siria un altro drone lanciato contro Israele dall'Iraq. In precedenza due droni erano stati abbattuti sul Mar Rosso e ad altri due vicino al Mar Morto. Le Idf hanno anche comunicato che una salva di 10 razzi è stata sparata dal Libano contro il nord di Israele: alcuni sono stati intercettati e i restanti hanno colpito aree senza fare danni.

Questo articolo è stato originariamente pubblicato dall’agenzia Adnkronos. Sbircia la Notizia Magazine non è responsabile per i contenuti, le dichiarazioni o le opinioni espresse nell’articolo. Per qualsiasi richiesta o chiarimento, si prega di contattare direttamente Adnkronos.

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Esteri

Trump: “Non sono amico della Russia”. E...

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Il candidato repubblicano: "Dicono che sono una spia, questa gente è malata"

Trump e Zelensky

"Ma quale amico della Russia...". Donald Trump taglia i ponti con Mosca nell'intervista a Tucker Carlson, anchorman conservatore che quest'anno ha intervistato anche Vladimir Putin. "Dicono che sono un amico della Russia, dicono che ho lavorato per la Russia e che sono una spia russa. Questa gente è malata. Io ho bloccato il gasdotto Nord Stream 2", dice Trump a pochi giorni dalle elezioni per la Casa Bianca: il 5 novembre gli Stati Uniti devono scegliere tra l'ex presidente e la vicepresidente Kamala Harris.

Trump, negli ultimi mesi, si è proposto come mediatore per porre fine alla guerra tra Ucraina e Russia. "La farò finire prima ancora di insediarmi", ha detto e ripetuto, assicurando il raggiungimento di un'intesa tra Putin e il presidente ucraino Volodymyr Zelensky. Secondo le indiscrezioni che trapelano, il piano del candidato repubblicano prevede un regime speciale per i territori occupati dalla Russia e lo stop all'iter che dovrebbe portare l'Ucraina nella Nato.

Zelensky ha incontrato Trump a luglio, quando si è recato negli Stati Uniti in corrispondenza del vertice Nato. Il faccia a faccia, andato in scena a New York su richiesta del leader ucraino, è stato caratterizzato anche da momenti 'sui generis': "Ho un ottimo rapporto con Putin", ha detto Trump provocando la reazione dell'ospite. "Spero ci sarà una relazione migliore con me...", la replica di Zelensky, che parte da un punto fondamentale: l'Ucraina non è disposta ad accettare nessuna mutilazione territoriale e, pertanto, il piano che viene attribuito a Trump è destinato a naufragare.

L'imminente voto americano condizionerà inevitabilmente il rapporto tra Washington e Kiev. "Il prossimo presidente degli Stati Uniti può rafforzare o ridurre il sostegno all'Ucraina. Se tale sostegno si ridurrà, la Russia si impossesserà di altro territorio, impedendoci di vincere questa guerra", dice Zelensky inviando elle ultime ore un messaggio destinato palesemente a Trump. "Questa è la realtà. La nostra posizione non riguarda compromessi territoriali, ma l'esplorazione di potenziali percorsi diplomatici che si basano sul mantenimento dell'impegno da parte degli Stati Uniti. Un desiderio genuino da parte degli Stati Uniti di mettere fine rapidamente a questa guerra è fondamentale", aggiunge.

Questo articolo è stato originariamente pubblicato dall’agenzia Adnkronos. Sbircia la Notizia Magazine non è responsabile per i contenuti, le dichiarazioni o le opinioni espresse nell’articolo. Per qualsiasi richiesta o chiarimento, si prega di contattare direttamente Adnkronos.
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Esteri

Ue, da lunedì commissari sulla graticola: la parola al...

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Settimana memorabile per l'Ue: dall'Eurogruppo al summit di Budapest passando per le elezioni Usa e le audizioni dei 26 candidati commissari per il von der Leyen bis

Ursula von der Leyen al Parlamento Ue - Afp

La prossima sarà una settimana memorabile per l'Ue. Oltre all’Eurogruppo/Ecofin, lunedì e martedì, si terranno la riunione della Comunità Politica Europea (Epc) e del Consiglio Europeo informale a Budapest, giovedì e venerdì. A metà settimana ci saranno anche le elezioni presidenziali americane, l’evento più importante della settimana, che anche a Bruxelles verrà vissuto con il fiato sospeso. E' talmente rilevante, per l'Ue, che la sera di giovedì i leader terranno una cena dedicata proprio al risultato del voto Usa, dopo la riunione della Epc e prima del summit informale sulla competitività, dove è atteso anche Mario Draghi. Come se non bastasse, da lunedì fino a giovedì 7 e poi ancora martedì 12 novembre, si terranno le audizioni parlamentari dei 26 candidati commissari per la von der Leyen bis.

E’ un passaggio politico importante, perché il Parlamento, l’unica istituzione Ue eletta direttamente dal popolo, tende tradizionalmente a sfruttarlo per affermare la sua autorità nei confronti delle altre istituzioni. Si ricorda bene, a Bruxelles, il trattamento che gli eurodeputati riservarono nel 2019 a Sylvie Goulard, candidata macroniana che venne silurata dopo due audizioni non perché fosse poco qualificata, ma sostanzialmente per vendetta nei confronti del presidente francese, che con la complicità di Angela Merkel aveva infilzato uno dopo l’altro gli Spitzenkandidaten, a partire dal bavarese Manfred Weber, oggi dominus del Ppe.

Il processo per mettere sulla graticola i commissari prevede una prima audizione della durata di tre ore. I commissari designati pronunciano una dichiarazione introduttiva della durata di 15 minuti, cui seguono le domande dei deputati. I commissari designati hanno a disposizione un tempo di risposta doppio rispetto a quello previsto per la domanda. Prima della fine dell’audizione, i commissari designati possono pronunciare una breve dichiarazione conclusiva. In funzione del portafoglio assegnato, i commissari designati vengono valutati da una sola commissione o da più commissioni insieme. All'audizione possono essere invitate anche altre commissioni, che possono intervenire con domande. Tuttavia, la valutazione definitiva dei candidati spetta solamente ai coordinatori dei gruppi politici della commissione o delle commissioni competenti.

Palla nelle mani dei coordinatori gruppi nelle commissioni

Subito dopo l’audizione, il presidente e i rappresentanti dei gruppi delle varie commissioni si riuniscono, per valutare se i commissari designati sono qualificati sia per far parte del collegio che per svolgere i compiti che vengono loro assegnati. Una volta completata la valutazione, entro 24 ore i coordinatori inviano una lettera di raccomandazione riservata, che viene presa in esame dalla Conferenza dei presidenti di commissione e poi trasmessa alla Conferenza dei presidenti dei gruppi (CoP nel gergo comunitario).

Il pallino è saldamente nelle mani dei coordinatori dei gruppi. Sono loro che possono approvare o respingere i commissari designati, per consenso. Se i pareri sono discordanti, è necessario il sostegno di coordinatori di gruppi politici che rappresentino almeno i due terzi dei membri della commissione. Se i coordinatori non raggiungono la maggioranza di due terzi per approvare (o respingere) i candidati, hanno la possibilità di chiedere ulteriori informazioni ai candidati, con altre domande scritte. Possono anche riprendere l'audizione di conferma per chiarire le questioni in sospeso, per un'ora e mezza, previo ok della Conferenza dei Presidenti.

In seguito, i coordinatori possono nuovamente approvare o respingere i commissari designati, a maggioranza di almeno due terzi. Se neppure a questo punto riescono a raggiungere questa maggioranza, allora il presidente della commissione competente convoca una riunione di commissione, a porte chiuse, durante la quale si procede a una votazione a scrutinio segreto, a maggioranza semplice, per raccomandare l'approvazione o meno dei candidati. Una volta terminate tutte le audizioni, la Conferenza dei presidenti di commissione ne valuta l'esito e trasmette le sue conclusioni alla CoP. Quest'ultima procede alla valutazione definitiva e dichiarerà chiuse le audizioni il 21 novembre. Una volta che la CoP avrà dichiarato chiusa la procedura, le lettere di valutazione saranno rese pubbliche.

Audizioni, si parte con Sefcovic

Dopo la fine delle audizioni, la presidente eletta della Commissione, Ursula von der Leyen, presenterà l'intero collegio dei commissari e il suo programma in Aula. Seguirà poi una discussione con i deputati. Qualsiasi gruppo politico o almeno un ventesimo dei deputati (una soglia bassa) può presentare una proposta di risoluzione. La composizione della Commissione nel suo insieme deve essere approvata dal Parlamento, a maggioranza dei voti espressi e per appello nominale (voto palese). La votazione è prevista per la plenaria del 25-28 novembre a Strasburgo. Una volta approvata dal Parlamento, la Commissione è nominata formalmente dal Consiglio Europeo, che delibera a maggioranza qualificata.

Le audizioni si terranno dal 4 al 7 novembre per i commissari e il 12 novembre per i vicepresidenti. Si inizia lunedì 4, nel pomeriggio (14.30-17.30), con lo slovacco Maros Sefcovic (Sicurezza economica) nelle commissioni Inta e Afco, e con il maltese Glenn Micallef nella Cult, seguiti nella fascia serale (18.30-21.30) dal lussemburghese Christophe Hansen (Agricoltura) nella Agri e dal greco Apostolos Tzitzikostas (Trasporti e turismo) nella Tran. Martedì, la mattina (9-12) l’irlandese Michael McGrath (Giustizia) sarà sentito dalle commissioni Libe, Imco e Juri in seduta congiunta; la bulgara Ekaterina Zaharieva (Ricerca e innovazione) dalla Itre. Nel pomeriggio, il danese Dan Joergensen (Energia e politiche abitative) sarà ascoltato in Itre ed Empl, la croata Dubravka Suica (Mediterraneo) dalla Afet. La sera sarà il turno della svedese Jessika Roswall (Ambiente) nella Envi e dell’austriaco Magnus Brunner (Affari Interni e Migrazioni) nella Libe.

Mercoledì 6, la mattina la belga Hadja Lahbib (Gestione crisi e Uguaglianza) sarà audita dalle commissioni Deve, Femm, Libe ed Envi, la portoghese Maria Luis Albuquerque (Servizi Finanziari) nella Econ. Nel pomeriggio, il cipriota Kostas Kadis (Pesca) sarà nella Pech, mentre il ceco Jozef Sikela (Partenariati internazionali) sarà sentito dalla Deve. La sera, sarà il turno del lituano Andrius Kubilius (Difesa e Spazio) in Afet e Itre e dell’ungherese Oliver Varhelyi (Salute) in Envi e Agri. Giovedì 7, la mattina l’olandese Wopke Hoekstra (Clima) sarà sentito nelle commissioni Envi, Itre ed Econ, mentre la slovena Marta Kos (Allargamento) verrà audita nella Afet. Nel pomeriggio, il polacco Piotr Serafin (Bilancio) sarà in Budg e Cont, mentre il lettone Valdis Dombrovskis (Economia e Semplificazione) sarà sentito in Econ e Juri.

Calendario favorevole per Fitto

Martedì 12 novembre sarà infine il turno dei vicepresidenti esecutivi. La mattina Raffaele Fitto (Coesione e Riforme) sarà audito nella commissione Regi, mentre l’estone Kaja Kallas (Alta Rappresentante) sarà nella Afet. Nel pomeriggio la rumena Roxana Minzatu (Lavoro) sarà in Empl e Cult, mentre il francese Stéphane Séjourné sarà ‘grigliato’ da Itre, Imco, Envi ed Econ insieme. La sera sarà il turno della spagnola Teresa Ribera (Transizione pulita, Concorrenza) in Envi, Econ ed Itre e della finlandese Henna Virkkunen (Sovranità tecnologica) in Itre e Imco. L’ordine delle audizioni dei vicepresidenti è stato oggetto di uno scontro politico, risolto dal Ppe alleandosi con i tre gruppi della destra, contro Socialisti e Verdi, che avrebbero preferito un ordine diverso.

I Verdi, e non solo loro, vorrebbero mettere in difficoltà Fitto, unico candidato dell’Ecr, costringendolo perlomeno ad una seconda audizione. Il fatto però che Fitto venga audito per primo e la spagnola Teresa Ribera per ultima, nella giornata del 12, mette i Socialisti in una posizione difficile. Infatti, se dovessero fare la guerra a Fitto, allora scatterebbe la rappresaglia, la sera stessa, su Ribera. La socialista spagnola ha ottenuto deleghe pesantissime e per il governo di Pedro Sanchez si tratta di un indubbio successo. Nicola Zingaretti, capodelegazione del Pd a Strasburgo, ha già chiaramente fatto capire che per gli eurodeputati Dem conta anche l’interesse nazionale, non solo quello di partito. Quindi Fitto, anche se è di Fratelli d’Italia, è pur sempre il commissario italiano.

Se il coordinatore socialista in Regi, che è uno spagnolo, darà via libera a Fitto, la promozione alla prima audizione per il commissario sarà assicurata, poiché, assumendo che tutti i gruppi alla destra del Ppe si schierino a favore del commissario conservatore, Popolari, Socialisti più i tre gruppi della destra contano 29 membri della Regi, più di 28, i due terzi dei 41 eurodeputati che la compongono. I Socialisti italiani e spagnoli, hanno interessi convergenti, per ragioni diverse, alla promozione di Fitto. I primi, perché hanno ben presente l’importanza dell’interesse nazionale (se non tutti, molti). I secondi, per evitare che un tiro mancino all’italiano possa provocare una rappresaglia su Ribera. Se andrà così, è da vedere, perché le audizioni possono sempre prendere pieghe inaspettate, ma le condizioni politiche perché Fitto possa essere promosso alla prima audizione ci sono tutte.

Questo articolo è stato originariamente pubblicato dall’agenzia Adnkronos. Sbircia la Notizia Magazine non è responsabile per i contenuti, le dichiarazioni o le opinioni espresse nell’articolo. Per qualsiasi richiesta o chiarimento, si prega di contattare direttamente Adnkronos.

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Esteri

Ucraina-Russia, Kim con Putin e si muove Seul: aiuti a Kiev?

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L'entrata in scena della Corea del Nord scuote la Corea del Sud: arrivano armi all'Ucraina?

Kim Jong un e Vladimir Putin - Afp

La presenza dei soldati della Corea del Nord in Russia, con la prospettiva di partecipare alla guerra contro l'Ucraina, pare destinata a scatenare una reazione a catena. Se il presidente ucraino lamenta la reazione letargica di molti alleati alla mossa di Kim Jong-un, ormai in campo al fianco di Vladimir Putin, c'è un paese che si è attivato in maniera decisa.

La Corea del Sud, nelle ultime settimane, è entrata nell''agone diplomatico' con decisione. Per Seul, ovviamente, l'attivismo di Kim e le operazioni della Corea del Nord - che ha appena lanciato un missile balistico - hanno un peso specifico particolare. Pyongyang ha rafforzato l'asse con Mosca per uscire dall'isolamento e prova a sfruttare l'apparente immobilismo della Cina, che nonostante il pressing degli Stati Uniti al momento si limita ad assistere.

La svolta di Seul

In questo quadro, la Corea del Sud valuta una svolta epocale. Seul negli ultimi anni ha scalato la classifica tra gli esportatori di armi, arrivando nella top ten e puntando ad un'ulteriore crescita entro il 2027. Finora, la Corea del Sud non ha fornito armi all'Ucraina, limitandosi ad inviare elmetti e a garantire aiuti umanitari a Kiev.

Ora, la situazione potrebbe cambiare: il paese potrebbe decidere di inviare armi all'Ucraina. Il dibattito si è acceso a giugno, quando Kim e Putin hanno firmato un patto di assistenza reciproca in caso di aggressione. La Corea del Nord dall'autunno 2023 fornisce armi e munizioni alla Russia: si calcola che sinora siano stati inviati 8 milioni di proiettili. Adesso, sono arrivati alla corte di Putin anche i soldati di Kim.

La linea rossa

La linea rossa è stata superata e la Corea del Sud valuta se abbandonare lo stato di 'quasi neutralità'. Si sta considerando, in particolare, la possibilità di inviare missili Hawk e altri equipaggiamenti militari all'Ucraina, ha anticipato il deputato Yoo Yong-won del partito di Potere popolare al governo.

I missili Hawk, di produzione americana, hanno una gittata di 40 chilometri e sono stati dismessi in Corea del Sud nel 2022, dopo l'acquisizione dei Cheongung prodotti localmente. Nelle mani di Kiev, i missili avrebbero un ruolo fondamentale. Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha chiesto, apparentemente invano, i missili Tomahawk agli Stati Uniti. Washington, d'altra parte, non autorizza le forze armate ucraine a utilizzare missili a lungo raggio contro obiettivi militari in territorio russo. Le armi sudcoreane offrirebbero agli ucraini altre opzioni.

La decisione potrebbe arrivare a breve. Il presidente sudcoreano Yoon Suk-yeol, d'altra parte, ha dichiarato che i militari nordcoreani potrebbero essere inviati al fronte prima del previsto, uno scenario considerato "grave" da Seul e che richiederebbe "una risposta decisa e unita" della comunità internazionale. Fonti della presidenza sudcoreana precisano che il primo step sarebbe eventualmente l'invio di armi difensive.

Questo articolo è stato originariamente pubblicato dall’agenzia Adnkronos. Sbircia la Notizia Magazine non è responsabile per i contenuti, le dichiarazioni o le opinioni espresse nell’articolo. Per qualsiasi richiesta o chiarimento, si prega di contattare direttamente Adnkronos.

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