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Furto banche dati, l’intercettazione: “Partiti Ikea, diventiamo una boutique”

La conversazione del 5 settembre scorso intercettata nell'inchiesta sul presunto dossieraggio illecito. Nell'auto di Pazzali la paletta 'Prefettura di Milano', foto negli atti

La paletta della Prefettura di Milano nell'auto di Pazzali

"Stiamo facendo la trasformazione da Ikea a boutique...stiamo diventando boutique". In una conversazione del 5 settembre scorso, intercettata nell'inchiesta sul presunto dossieraggio illecito Samuele Nunzio Calamucci, l'esperto informatico tra gli arrestati, parla con i vertici di Equalize, l'ex super poliziotto Carmine Gallo (domiciliari) ed Enrico Pazzali (indagati), presidente auto sospeso della fondazione Milano Fiera.

Parole che lasciano intuire come la presunta associazione a delinquere sia convinta di potersi ancora evolvere e raggiungere clienti più facoltosi. Pazzali si finge offeso, mentre l'amico Gallo ride e chiarisce il significato - "noi siamo a un livello alto già adesso figurati..." - prima di iniziare a parlare di possibili altri dossier.

In auto Pazzali la paletta 'Prefettura di Milano', foto negli atti

In alcune foto scattate lo scorso 13 settembre e allegate in un documento dei carabinieri che fa parte della corposa inchiesta della Dda di Milano viene immortalata l'auto riconducibile a Enrico Pazzali, socio di maggioranza della Equilize e presidente (auto sospeso) della fondazione Fiera Milano, parcheggiata davanti agli uffici della società di investigazioni private che "pone sul cruscotto una paletta con stemma della Repubblica e la dicitura Prefettura di Milano".

Per gli investigatori "L'istituzionalizzazione delle attività di Equalize passa anche dall'accostamento tra il suo presidente e gli enti e le organizzazioni dello Stato. Pazzali - si legge in un'informativa - non è solo vicino alle istituzioni, un'evidente vicinanza di comodo, ma si accosta anche alle medesime", come emerge anche dalle foto scattate la mattina del 13 settembre scorso. Non solo: il giorno successivo, la presunta associazione a delinquere che ruota intorno alla Equalize, con sede alle spalle del Duomo di Milano, svela di essere pronta ad allargarsi e che mira a un ufficio all'interno dell'arcivescovado.

Il 14 settembre del 2024, il socio di minoranza della società di investigazioni private ed ex poliziotto Carmine Gallo (domiciliari) contatta l'esperto informatico Samuele Nunzio Calamucci (domiciliari). Gallo sostiene che Pazzali, indagato nell'inchiesta, vuole ottenere un ufficio all'interno dell'arcivescovado di Milano. "Lui m'ha chiesto, vorrebbe...gli piace molto l'arcivescovado, qualche cosa dentro l'arcivescovado, lì dove metto la macchina io. Un ufficio da utilizzare come sala riunioni", dice l'ex poliziotto. Calamucci è consapevole dei desideri di Pazzali: "E lo so, si è innamorato da quando abbiamo pensato di mettere i server là", ma Gallo replica "Stanno bene dove stanno i server" e sul materiale "scottante" in essi contenuti aggiunge: "Anzi se li mettiamo in Russia è meglio!".

Il progetto 'porto sicuro' per allontanare i sospetti

C'è anche l'operazione 'Safe harbor', ossia "porto sicuro" tra gli atti dell'inchiesta della Dda di Milano sulla presunta associazione a delinquere che aveva come fine la realizzazione di dossier illeciti realizzati attraverso l'accesso a banche date riservate. Per usare le parole di Samuele Nunzio Calamucci, si tratta di un progetto "segreto nel cuore".

I progetti del 'gruppo di via Pattari' (sede di Equalize, ndr) si sono lentamente realizzati: "uno dei 'contenitori' societari che Calamucci desiderava realizzare per agevolare le attività criminose era 'Safe Harbor' che ha visto la luce il 10 maggio del 2024 con la costituzione della srl" con sede legate a Reggio Emilia e capitale sociale "modesto", pari a 500 euro. La compagine societaria è composta dagli indagati Giulio Cornelli e Angelo Abbadessa, che detengono anche il 50% l'uno della proprietà, e sono rispettivamente vice presidente e presidente del cda.

Il "porto sicuro", si legge in un'informativa dei carabinieri, "permette al gruppo non solo di drenare risorse movimentandole dalle società capofila ma anche di 'allontanare' da via Pattari la catena di formazione, realizzazione e distribuzione dei report e di gestione della piattaforma Beyond, questa necessità è dovuta a ragioni di sicurezza del gruppo legate all'utilizzo di dati abusivamente esfiltrati dalle banche dati strategiche nazionali".

Un team di giornalisti altamente specializzati che eleva il nostro quotidiano a nuovi livelli di eccellenza, fornendo analisi penetranti e notizie d’urgenza da ogni angolo del globo. Con una vasta gamma di competenze che spaziano dalla politica internazionale all’innovazione tecnologica, il loro contributo è fondamentale per mantenere i nostri lettori informati, impegnati e sempre un passo avanti.

Cronaca

Turetta, oggi parla il pm: chiederà ergastolo per omicidio...

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Accusato di omicidio volontario aggravato, sequestro di persona e occultamento di cadavere

Filippo Turetta

Filippo Turetta ha pianificato l'omicidio Giulia Cecchettin: si è appuntato su un foglio gli oggetti da comprare per immobilizzare l'ex fidanzata, ha studiato le mappe per potersi disfare del corpo e ha organizzato la sua fuga da Vigonovo (Padova). Non ha mai considerato l'idea di poter lasciare in vita chi aveva deciso di lasciarlo, tanto meno ha pensato di fare del male a se stesso. Ne è convinto il pm Andrea Petroni che lo ha incalzato durante l'interrogatorio e che oggi, davanti alla corte d'Assise di Venezia, è pronto a chiedere l'ergastolo per il ventiduenne, imputato per omicidio volontario pluriaggravato, sequestro di persona e occultamento di cadavere.

In aula, il pubblico ministero - nella Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne - ricostruirà la relazione altalenate di circa un anno e mezzo fra i due studenti di Ingegneria biomedica, la crescente ossessione dell'imputato, la scelta della vittima di allontanarsi e l'insistenza di Turetta che si trasforma in persecuzione soffocante - fino a spiarla con un'app sul cellulare - che gli costa l'aggravante dello stalking. Impossibile, per l'accusa, non sostenere la crudeltà: sono 75 le coltellate inflitte contro la vittima che lo rifiutava.

Cosa ha detto Turetta

"Ho ucciso Giulia perché non voleva tornare con me, soffrivo di questa cosa. Volevo tornare insieme e lei non voleva…mi faceva rabbia che non volesse" le parole di Turetta. E' nel patriarcato che il femminicidio di Giulia Cecchettin affonda le sue radici.

Dopo una serata insieme e l'ultimo 'no', Turetta realizza il suo piano appuntato nella lista, un elenco di oggetti da comprare e idee, che è la prima parziale confessione. "Ho ipotizzato di rapirla in macchina, di allontanarci insieme verso una località isolata per stare più tempo insieme…poi aggredirla, togliere la vita a lei e poi a me" dice interrogato. Bugie, il piano è sempre stato uno.

La ricostruzione

L'11 novembre 2023 nel parcheggio di Vigonovo, a pochi passi da casa Cecchettin, Turetta sa cosa vuole. Quando uno dei coltelli si rompe lui non si ferma: costringe l'ex a salire in macchina, la blocca con dello scotch e quando prova a scappare la finisce con un'altra lama, nella zona industriale di Fossò. Dopo cento chilometri abbandona il corpo, avvolto in sacchi neri, vicino al lago di Barcis e prosegue la fuga in solitaria tra stradine studiate in anticipo, usando solo contanti e spegnendo il telefono per non farsi trovare. Fino alla resa in Germania, una settimana dopo l'omicidio di Giulia Cecchettin.

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Cronaca

La storia di Diego il clochard, ‘cacciato di casa per...

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La storia di Diego il clochard, 'cacciato di casa per la droga e ora in strada a Roma'

"Sto in strada da sei mesi. I miei mi hanno cacciato di casa perché mi drogavo". Lui è Diego, ha 28 anni, nato e cresciuto in quelle che lui stesso chiama "borgate romane", e da cui i genitori lo hanno mandato via: "Dovevo fare un percorso di riabilitazione dalla tossicodipendenza, ma i centri diurni erano pieni. Sono andato a Bracciano al Sert ma ho visto che comunque non c'erano cambiamenti: stando in borgata e tornando a casa tutti i giorni, andavo a sbattere sempre contro le stesse persone, che volevano darmi qualcosa da prendere. Mia madre, in extremis, ha preso e mi ha cacciato di casa: "Mi ha detto 'vai per la strada tua'", racconta Diego, mentre si scalda tenendo fra le mani un bicchiere di tè caldo, portatogli da alcuni volontari.

La sua strada è via della Conciliazione, ora, sotto il colonnato di San Pietro, dove sono decine quelli che non hanno una casa e trovano rifugio fra le colonne marmoree e possono contare sull'assistenza fornita loro dal Vaticano e dalle organizzazioni di volontariato: "Io mica lo sapevo che c'erano questi rifugi e queste associazioni, prima di arrivare qui sono stato un mese al parco sotto la Basilica di San Paolo. Sono arrivato qui per un colpo di fortuna: un giorno mi sono addormentato sull'autobus e sono arrivato al capolinea, fermandomi proprio a San Pietro". Fra i sampietrini, la vita non è facile, soprattutto per chi non ha un soldo per sopravvivere: "Per mangiare, i primi tempi, lo devo ammettere, andavo a rubare un panino a pranzo e uno a cena. Niente di più di quello che mi serviva per sopravvivere, perché avevo fame, null'altro", giura Diego. Per difendersi dal freddo poi, una vera lotta: "Avevo un sacco a pelo, ma me l'hanno rubato. Purtroppo qui si gioca a rubarsi le cose fra di loro, anche quando si dorme. Per questo alcuni evitano di andare nelle strutture, perché non possono portare la loro roba e rischiano di perderla". Ma c'è anche tanta solidarietà in strada: "Grazie a un ragazzo ho avuto una tenda, un altro mi ha regalato una delle sue stecche per montarla. Una stecca per uno - sorride Diego - ma almeno dormiamo bene entrambi".

Prima di finire per la strada Diego ha lavorato per 12 anni nei cantieri: "Ogni giorno, quando i poliziotti ci vanno sgomberare per le 5 e mezza o le 6 del mattino, io cerco un lavoro, non demordo. Ho imparato un mestiere grazie a mio papà. Qualcosa si trova, magari in nero... Ma la mia speranza è quella di rimboccarmi le maniche. So che tutto questo è transitorio, molti stanno anche peggio di me e hanno storie che fanno venire i brividi. E l'ho detto anche a mia madre: quando le ho detto di questo percorso - conclude Diego - mi ha detto 'non me l'aspettavo' anche perché un percorso migliore di questo per disintossicarmi non c'è".

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Cronaca

Violenza su donne, il presidente del Tribunale di Milano:...

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Roia: "L'intermittenza o il giustificazionismo non fa bene, non fa bene un linguaggio improprio, non fanno bene interventi scomposti o inappropriati perché il tema maggiore è fare capire agli uomini che agiscono violenza che quello è un crimine"

Fabio Roia, presidente del Tribunale di Milano - Fotogramma

"Non sono gli immigrati che creano il problema della violenza sulle donne, il problema della violenza di genere è storico, strutturale e sociale". Il presidente del Tribunale di Milano Fabio Roia, intervistato dall’Adnkronos alla vigilia della Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne, non fa giri di parole e d'altronde ha i numeri dalla sua parte.

Gli italiani condannati in tribunale a Milano per reati legati al genere sono 440 negli ultimi 12 mesi, con un incremento del 15%. Se si guarda alla nazionalità, gli italiani rappresentano il 62% delle 714 condanne totali, in crescita del 3% rispetto all'anno precedente. Nel 2024 il Tribunale di Milano, dove si registra un aumento delle misure cautelari (1.246 a fronte delle 758 precedenti, +64% in un anno) ha inflitto pene per 798 anni di carcere. Inutile negare che in alcuni paesi la donna gode di meno diritti rispetto agli standard medi europei, ma se "questo può incrementare il numero delle violenze, non incrementa un fenomeno che ha solide radici nel patriarcato".

E' l'identità della donna che chi compie violenza vuole cancellare. "Deve cambiare il linguaggio, a maggior ragione quello degli atti giudiziari", per non incorrere in "una cattiva informazione e nella vittimizzazione secondaria" spiega Roia. "Ad esempio, abbiamo ancora una categoria giuridica, che applichiamo dal diritto romano, che è la 'diligenza del buon padre di famiglia' che è espressione di un linguaggio antico che necessiterebbe di un cambiamento". Occorre insomma una rivoluzione culturale per un fenomeno che anche quest'anno tocca le tre cifre: sono quasi cento i femminicidi in Italia. Secondo i dati diffusi a inizio novembre dal Tribunale di Milano, le vittime più numerose - il totale è di 1.132 (circa il 70% italiane) - ha tra 26-35 anni (187, pari al 16,5%) seguita dalla fascia 36-45 anni (180).

E' tra le "mure domestiche" che si annida maggiormente la violenza, conferma il presidente Roia che definisce "Allarmante" i dato sui minorenni coinvolti come vittime: sono 325 con un aumento pari al 46% rispetto al 2023. "Quando i figli sono esposti a situazioni di violenza subiscono un trauma e da adulti possono sviluppare un trauma mediato, come autori o come vittime. Quando ci sono minori che assistono a fatti di violenza è importante parlarne, andare ai centri antiviolenza, trovare dei riferimenti per uscire da un legame tossico che fa più vittime".

Gli strumenti offerti dal legislatore sono "ottimi per intervenire sotto tutti i punti di vista: nel settore penale, nel campo della prevenzione dove possiamo usare per la violenza domestica il codice antimafia, o nel civile con gli ordini di protezione in caso di violenza familiare in presenza di un bambino. Le leggi ci sono, vanno applicate bene, con competenza, efficacia e specializzazione". Eppure la violenza di genere sembra un problema che non riguarda tutti.

L'emergenza "viene vista a intermittenza, con troppo giustificazionismo, forse con troppa ideologia, non capendo che questo è un tema di civiltà trasversale che deve andare da destra a sinistra, da sinistra a destra passando per il centro, che deve interessare e impegnare tutti i punti cardinali della politica perché è una spia del grado di civiltà di un paese". L'intermittenza o il giustificazionismo "non fa bene, come non fa bene un linguaggio improprio, come non fanno bene certi interventi scomposti o inappropriati perché il tema maggiore è fare capire agli uomini che agiscono violenza che quello è un crimine al pari di commettere una rapina in un officio postale o spacciare droga" conclude il presidente del Tribunale di Milano, Fabio Roia. (di Antonietta Ferrante)

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