Harris-Trump, ultimi sondaggi: tycoon in testa nei 7 Stati chiave, ma la dem recupera
L'analisi condotta dalla società brasiliana Atlas Intel: a livello nazionale l'ex presidente avrebbe il 49,6% dei voti, contro il 48,2% della vice di Biden
Donald Trump sarebbe in testa in tutti e sette gli Stati chiave di queste elezioni per la Casa Bianca. E' quanto emerge dagli ultimi sondaggi condotti dalla società brasiliana Atlas Intel, che nelle tornate elettorali americane del 2020 e del 2022 è stata accreditata come una delle società che ha diffuso i dati più accurati. Secondo la rilevazione condotta il 30 e 31 ottobre scorso, a livello nazionale l'ex presidente avrebbe il 49,6% dei voti, contro il 48,2% di Kamala Harris.
E Trump sarebbe in testa anche nei sette Stati che decideranno la corsa: in Arizona avrebbe il 51% contro il 46,8% della vice presidente democratica, in Georgia sarebbe 50,1% a 47,8%, in Michigan 49,3% contro 48,7%, in Nevada 50,6% contro il 47%, in North Carolina 50,7% contro il 47%, in Pennsylvania l'ex presidente sarebbe in testa con il 49,4% contro il 47,9% della Harris, mentre in Wisconsin sarebbero quasi in parità: 49-48,8%.
Rispetto al precedente sondaggio, però, condotto tra il 25 ed il 29 ottobre, la candidata dem ha rosicchiato qualche punto percentuale in tutti gli Stati, con Trump che ha perso qualcosa, tranne che in North Carolina, dove prima era in testa e negli ultimi giorni ha ceduto il passo all'ex presidente.
Gli Stati chiave e gli ultimi sondaggi, quanto pesano?
Sono 240 milioni gli elettori americani, ma le sorti del duello della Casa Bianca tra Kamala Harris e Donald Trump sarà deciso al fotofinish nei sette Stati chiave. Il sistema del Collegio elettorale - che prevede che vengano eletti in ogni stato i grandi elettori, in numero proporzionale alla popolazione, che poi voteranno per il presidente - impone quindi che ciascuno candidato disegni un 'path', un cammino attraverso gli Stati, quelli in cui sono favoriti e quelli in cui non c'e' un chiaro vantaggio, definiti appunto "battleground", terreno di battaglia, per raggiungere il 'magic number' di 270 voti elettorali che fa vincere la presidenza. Ecco la lista degli Stati chiave, con i sondaggi più recenti che descrivono un testa a testa.
ARIZONA (11 voti elettorali)
Quattro anni fa è stato conquistato da Joe Biden, che è stato dichiarato vincitore per appena 10mila voti di scarto, pari allo 0,3%, dopo una lunga fase di contestazioni e ricorsi legali da parte di Trump. Secondo un sondaggio pubblicato qualche giorno fa da Cnn, Harris ha un vantaggio di appena un punto su Trump, con il 48% contro il 47%, che statisticamente significa una situazione di parità.
Le sue centinaia di chilometri di confine con il Messico hanno reso la questione dell'immigrazione centrale nella campagna elettorale di Trump, con le sue promesse draconiane di deportazioni di massa di migranti. Per contro, i dem sperano di mobilitare la propria base elettorale con un referendum per la difesa dell'aborto.
GEORGIA (16 voti elettorali)
Quattro anni fa Biden si è aggiudicato lo stato con 150mila voti di vantaggio, diventando il primo democratico a vincere le presidenziali in Georgia dal 1992, soprattutto grazie al sostegno degli afroamericani che sono un terzo della popolazione dello Stato. Anche qui l'ultimo sondaggio Ssrs, pubblicato dalla Cnn, dà un testa a testa, con Trump al 48% e Harris al 47%. Da ricordare che Trump, insieme ad una lunga lista di suoi collaboratori, è stato incriminato nella contea di Fulton per interferenze elettorali per aver cercato di rovesciare i risultati elettorali del 2020.
MICHIGAN (15 voti elettorali)
Anche qui Biden vinse per 150mila voti, dopo che Trump nel 2016 conquistò, a sorpresa, e per meno di 11mila voti, lo stato del Mid West fino ad allora considerato parte della "Blue Wall", cioè il gruppo di Stati che dal 1992 al 2012 hanno votato sempre democratico alle presidenziali. Secondo il recente sondaggio Cnn, Harris sarebbe in vantaggio in Michigan, con il 48% contro il 43%, un vantaggio che viene registrato, anche se in misura minore, di tre punti, dall'ultimo rilevamento Marist.
Un problema per Harris e i democratici in questo stato, dove vivono 200mila arabo americani, potrebbe essere il voto di protesta contro il sostegno di Israele alla guerra a Gaza, che durante le primarie ha spinto 100mila elettori dem a votare per delegati "uncommitted' e non per quelli di Biden. Numeri contenuti, ma che potrebbero essere cruciali considerati gli scarti minimi tra i due candidati nelle ultime elezioni.
NEVADA (6 voti elettorali)
Biden ha vinto quattro anni fa con uno scarto di 34mila voti. L'ultimo sondaggio Cnn dà Trump in testa con il 48% contro il 47% della democratica. Negli ultimi cicli elettorali lo Stato, dove c'è una consistente comunità ispanica, si è spostato sempre più verso i dem, l'ultimo repubblicano a vincere le presidenziali è stato, due volte, George W. Bush. Ad agosto la democratica ha incassato l'endorsement dell'influente Culinary Workers Union Local 226, che rappresenta i lavoratori del settore alberghiero di Las Vegas e Reno ai quali entrambi i candidati hanno promesso misure per detassare le mance.
NORTH CAROLINA (16 voti elettorali)
Trump ha vinto nello stato sia nel 2016 che nel 2020 (per appena 20mila voti), e anche i precedenti storici lo favoriscono: Barack Obama è stato l'unico democratico a vincere nello stato dal 1976. E ci è riuscito nel 2008 ma non nel 2012. Ma in favore di Harris può giocare il fatto che il 22% della popolazione è afroamericana ed una sua affluenza massiccia alle urne potrebbe essere in suo favore. Il recente sondaggio Cnn le dà un vantaggio, statisticamente irrilevante, del 48% contro il 47%. Potrebbe giocare in favore dei democratici anche il fatto che la North Carolina - che è governata dal democratico Roy Cooper - è tra gli stati chiave quello con il maggior numero di laureati, gruppo che negli anni recente tende a votare dem.
PENNSYLVANIA (19 voti elettorali)
E' stato vinto da Biden per 82mila voti, dopo che Trump nel 2016 aveva strappato ad Hillary Clinton anche questo stato del "Blue Wall" per un pugno di voti. E' da tutti considerato lo stato dove non si può perdere per poter arrivare alla Casa Bianca, grazie al fatto che è quello tra tutti gli Stati chiave con il bottino maggiore di voti elettorali, e non solo. Per questo da settimane i due candidati - che da metà luglio hanno partecipato ad oltre 50 eventi in Pennsylvania - e i loro alleati stanno puntando il tutto per tutto per vincere.
E questo si rispecchia nel recente sondaggio Cnn che dà Harris e Trump in perfetta parità, al 48%, nel Keystone State. Mentre il sondaggio Marist dà Harris lievemente in testa, di due punti. Bisogna ricordare che Trump il 13 luglio scorso è sopravvissuto ad un attentato alla sua vita durante un comizio nello Stato, a Butler. E che si sta concentrando nella Pennsylvania l'enorme mobilitazione finanziaria e logistica di Elon Musk, che ha investito 118 milioni di dollari in un super Pac per far vincere Trump.
WISCONSIN (10 voti elettorali)
Nelle ultime elezioni in questo stato, che anche faceva parte del Blue Wall, i sondaggi si sono dimostrati clamorosamente errati: nel 2016 davano Clinton in testa per 6 punti, invece Trump vinse di misura. E anche quattro anni fa Biden era dato avanti di 7 punti, invece alla fine ha vinto per il rotto della cuffia, con appena 21mila voti. Ora il sondaggio della Cnn dà ad Harris un vantaggio di sei punti, il 51% contro il 45%. Anche Marist dà la democratica in testa, ma di due punti.
Esteri
Israele-Libano, è tregua: le tre ragioni di Netanyahu e i...
Il premier israeliano indica tre motivi per il via libera al cessate il fuoco. Biden spiega i dettagli nel discorso alla Casa Bianca
Con il via libera del gabinetto di Sicurezza di Tel Aviv, è ufficiale la tregua tra Israele e Libano, che hanno accettato la proposta Usa. Un cessate il fuoco che è arrivato mentre ancora erano in corso i raid israeliani sul Paese dei Cedri e sulla capitale Beirut e con i razzi di Hezbollah diretti sul nord e il centro di Israele, dove sono suonate le sirene di allarme.
Le tre ragioni di Netanyahu, il via libera di Israele
L'annuncio ufficiale, prima del sì del governo, era giunto da Benjamin Netanyahu con un messaggio tv. Il premier israeliano aveva così spiegato le "tre ragioni" della tregua in Libano, prima tra tutte quella di potersi "concentrare contro la minaccia iraniana". Nel suo discorso, Netanyahu ha poi parlato della necessità di permettere a Israele di "rinnovare" e "riarmare" le proprie truppe, ammettendo che - "non è un segreto", ha detto - vi sono stati "grandi ritardi" nelle forniture di armi.
"Presto - ha quindi aggiunto - ci armeremo con armi sofisticate che ci aiuteranno a proteggere le nostre truppe e ci daranno ancora maggiore forza per completare la nostra missione". Terza ragione, quella di isolare Hamas: "Hamas contava su Hezbollah per combattere insieme ed una volta che Hezbollah è eliminato, Hamas è lasciato da solo - ha detto -, la nostra pressione su Hamas crescerà e questo ci aiuterà a portare a casa gli ostaggi".
Nel suo discorso, che è suonato come un appello ai suoi stessi ministri ad approvare il cessate il fuoco, il premier israeliano ha sottolineato che anche con la tregua Israele "manterrà la completa libertà di azione militare", "in pieno coordinamento con gli Stati Uniti". Israele controllerà il rispetto del cessate il fuoco e "risponderà con forza ad ogni violazione" di Hezbollah.
Il gabinetto politico di sicurezza ha poi approvato nella serata di ieri la proposta di pace avanzata dagli Stati Uniti "con la maggioranza di 10 ministri e l'opposizione di uno. Israele apprezza il contributo degli Stati Uniti nel processo e mantiene il diritto di agire contro ogni minaccia alla sua sicurezza", quanto dichiarato dall'ufficio del premier, rendendo noto che il Netanyahu ha parlato con Joe Biden per "ringraziarlo del coinvolgimento degli Usa per ottenere i cessate il fuoco in Libano e per il fatto di aver capito che Israele manterrà la sua libertà di azione". Il voto contrario all'accordo di tregua è stato quello di Itmar Ben-Gvir, l'estremista di destra che è ministro della Sicurezza Nazionale.
I punti della tregua nel discorso di Biden
Se Netanyahu non ha fornito nessun dettaglio sull'accordo nel suo discorso, né ha chiarito l'entrata in vigore del cessate il fuoco, a farlo ci ha pensato il presidente Biden nel suo intervento alla Casa Bianca dopo il via libera.
Biden ha spiegato che, sulla base dell'accordo raggiunto, i combattimenti tra Hezbollah e Israele lungo il confine "avranno fine domani (oggi, ndr.) dalle 4 del mattino ora locale". "Questo è stato designato per essere una permanente cessazione delle ostilità", ha aggiunto il presidente americano, spiegando che "nei seguenti 60 giorni l'esercito libanese riprenderà il controllo del proprio territorio. Non sarà permesso che vengano ricostruite le infrastrutture terroristiche di Hezbollah".
Nel corso di questi 60 giorni, ha aggiunto ancora Biden, "Israele ritirerà gradualmente le sue forze e i civili di entrambe le parti potranno essere presto in grado di tornare in sicurezza alle loro comunità e iniziare a ricostruire le loro case".
"Fatemi essere chiaro - ha poi sottolineato il presidente Usa -, se Hezbollah o chiunque altro romperà l'accordo ponendo una minaccia diretta ad Israele, allora Israele avrà il diritto di difendersi, in accordo con la legge internazionale". L'accordo di cessate il fuoco "costituisce un nuovo inizio per il Libano", consentendogli di riprendersi la sua sovranità. Il presidente americano ha inoltre ribadito che non saranno dispiegate truppe americane nel sud del Paese dei Cedri.
La speranza per Gaza
"Così come il popolo libanese si merita un futuro di pace e prosperità, così lo merita il popolo di Gaza", ha poi aggiunto Biden, affermando che i palestinesi di Gaza stanno vivendo "l'inferno, il loro mondo è stato fatto a pezzi". Il presidente americano ha puntato il dito contro Hamas che per mesi si è rifiutato di negoziare un cessate il fuoco, ed ha detto che "ha una scelta da fare", sottolineando che "l'unica via di uscita" è il rilascio degli ostaggi, compresi i cittadini americani, per arrivare alla fine delle ostilità.
Biden ha ribadito l'impegno della sua amministrazione, che ha meno di due mesi di vita prima dell'insediamento di Donald Trump il 20 gennaio, per una tregua da Gaza: "nei prossimi giorni, gli Stati Uniti faranno un altro tentativo con Turchia, Egitto Qatar, Israele e altri per ottenere il cessate il fuoco a Gaza". E il presidente americano, plaudendo alla decisione dei leader di Libano e Israele di mettere fine alle violenze, ha sottolineato che "questo accordo ci ricorda che la pace è possibile".
Infine, Biden ha ribadito l'impegno per creare "un cammino credibile" per la realizzazione di uno Stato palestinese, affermando che l'accordo tra Israele e Libano porta il mondo più vicino ad una visione di un futuro del Medio Oriente in cui palestinesi ed israeliani abbiano "in pari misura sicurezza, prosperità e dignità" con i "palestinesi che hanno un loro Stato".
La nota congiunta Usa-Francia
Intanto, gli Stati Uniti e la Francia - che ha contribuito con una partnership all'accordo - "lavoreranno con Israele e Libano per assicurare che l'accordo sia pienamente applicato e rimaniamo determinati ad impedire che questo conflitto diventi un altro ciclo di violenza", quanto si legge in una dichiarazione congiunta di Biden e Emmanuel Macron in cui si afferma che "dopo settimane di instancabile diplomazia, Israele e Libano hanno accettato una cessazione delle ostilità".
La tregua, aggiungono i due presidenti, "assicura Israele dalla minaccia di Hezbollah e di altre organizzazioni terroristiche che operano dal Libano". "Questo annuncio creerà le condizioni per ristabilire la calma e permettere ai residenti di entrambi i Paesi di tornare alle loro case", conclude la nota.
Esteri
Ucraina, la rivelazione del disertore russo: “Armi...
La rivelazione alla Bbc di un ex ufficiale: "Stato di allerta durato tre settimane, eravamo pronti per un attacco nucleare"
Vladimir Putin ha pensato alle armi nucleari sin dall'inizio della guerra in Ucraina. Il giorno dell'invasione dell'Ucraina da parte della Russia, a febbraiio 2022, sono state messe in stato di piena allerta le basi delle forze strategiche con le armi nucleari russe, per la prima volta al di fuori di una esercitazione. A svelarlo è un disertore russo che, prima di riuscire a lasciare il Paese, prestava servizio presso una di queste installazioni. Questo stato di allerta è durato due o tre settimane, ha precisato.
"Eravamo pronti per un attacco nucleare"
"Prima di quel giorno, questa situazione si era verificata solo durante le esercitazioni. Ma nel momento in cui è iniziata la guerra, le armi erano pienamente operative. Eravamo pronti a far partire i vettori in mare e cielo, con le forze pronte sulla carta per un attacco nucleare", ha dichiarato Anton, come viene identificato l'ex o presunto ex ufficiale delle forze strategiche russe, in una intervista alla Bbc in un sito segreto fuori dalla Russia.
Tre giorni dopo l'inizio dell'invasione, Vladimir Putin aveva dichiarato che le forze di deterrenza nucleare erano state messe in "modalità speciale di combattimento", modalità effettivamente attivata il 24 febbraio, secondo le parole dell'ex militare. In quei giorni ad Anton era stato impartito "l'ordine criminale" di tenere lezioni per i militari ai suoi ordini sulla base di linee guida scritte in cui si descrivevano i civili ucraini come combattenti da "distruggere".
"Questa per me era una linea rossa. E' un crimine di guerra. Ho detto che non avrei partecipato a questa propaganda". Per questo era stato trasferito a una brigata di assalto regolare in un'altra zona del Paese, da cui sarebbe in seguito stato dispiegato al fronte. A queste unità di "carne da cannone" vengono usualmente assegnati coloro che si oppongono alla guerra. Anton ha quindi firmato per terminare il suo servizio nelle forze armate ed è riuscito a lasciare il Paese con l'organizzazione che aiuta i disertori "Idite Lesom" (imboscatevi) che al momento viene contattata da circa 350 soldati al mese.
L'unità di Anton al sito strategico, una forza di reazione rapida responsabile della sicurezza della base nei primi giorni dell'operazione militare speciale era "confinata all'interno del sito". "Tutto quello a cui avevamo accesso era la televisione russa. Ho automaticamente eseguito gli ordini, anche se non capivo di cosa si trattasse. Non stavamo combattendo in guerra, stavamo solo facendo la guardia alle armi nucleari".
Sono assegnate alle forze nucleari solo militari in carriera, non di leva. "Ci sono controlli continui e macchine della verità per tutti. Il compito è quello di respingere o lanciare un attacco nucleare", spiega. "Fra le mie responsabilità, c'era quella di assicurarmi che i soldati sotto di me non portassero telefoni all'interno della base".
"E' una società chiusa, non ci sono stranieri. Se vuoi che i tuoi genitori vengano a trovarti devi presentare una richiesta all'Fsb con tre mesi di anticipo". "Eravamo costantemente impegnati in esercizi di addestramento. Il nostro tempo di reazione era due minuti".
Le testate nucleari russe
La Russia mantiene operative 4.380 testate nucleari, secondo i dati della Federazione degli scienziati americani. Ma solo 1.700 sono dispiegate o pronte a essere usate. Putin potrebbe anche usare testate nucleari "non strategiche", anche definite tattiche, con una carica radioattiva più bassa.
"Possono esserci alcuni tipi di armi datate in alcune zone, ma il Paese ha un arsenale nucleare enorme, una immensa quantità di testate, incluse pattuglie da combattimento costantemente dispiegate a terra, mare e cielo", sottolinea il militare. "L'opera di mantenimento delle armi nucleari viene svolta in modo costante, non si ferma neanche per un minuto", aggiunge, respingendo l'idea che l'arsenale russo sia arrugginito.
Esteri
Biden dovrà decidere se graziare il figlio prima di...
Nelle prossime settimane le sentenze per il 54enne Hunter Biden in due diversi processi, con la probabilità che gli siano inflitte pene detentive
Tra le ultime decisioni che Joe Biden dovrà prendere prima di lasciare la Casa Bianca, una sarà particolarmente difficile, quella se graziare il figlio Hunter, o almeno commutare un'eventuale pena detentiva. Sono attese infatti nelle prossime settimane - ricorda oggi Politico - le sentenze per il 54enne figlio del presidente in due diversi processi, con la probabilità che gli siano inflitte pene detentive. il 12 dicembre un giudice federale del Delaware deciderà la pena dopo la condanna, emessa nei mesi scorsi, per aver illegalmente acquistato un'arma nel 2018 mentendo sulla sua condizione di tossicodipendente. E alcuni giorni dopo sarà un giudice federale di Los Angeles a decidere la pena in un patteggiamento per reati fiscali.
Da mesi circolano voci a Washington sulla possibilità che il presidente intervenga, anche solo con la commutazione della sentenza in favore del figlio. Voci che si sono rafforzate dopo la vittoria di Donald Trump, che ha avviato durante il suo primo mandato l'inchiesta su presunte accuse di corruzione internazionale a carico di Hunter Biden, che poi si sono concluse che questi due procedimenti, in effetti minori, a suo carico.
Un'azione in favore del figlio costituirebbe un cambio netto di posizione di Biden che, va ricordato, una volta arrivato alla Casa Bianca non ha sospeso l'inchiesta avviata dall'amministrazione Trump, con l'attorney generale Merrick Garland che ha dato lo status di procuratore speciale a David Weiss, il procuratore repubblicano del Delaware a cui originariamente era stata affidata l'inchiesta. Quando era ancora candidato alla rielezione, Biden ha più volte detto che non avrebbe graziato Hunter o commutato una sua sentenza.