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Artrite psoriasica, Caporali (UniMi): “Bimekizumab ottima risposta in remissione”

"Funziona estremamente bene sulla componente dermatologica e molto bene sulla componente scheletrica"

Artrite psoriasica, Caporali (UniMi):

Nel trattamento dell'artrite psoriasica attiva, 'il nuovo farmaco biotecnologico bimekizumab funziona estremamente bene sulla componente dermatologica, ma funziona anche molto bene sulla componente scheletrica inducendo una ottima risposta in termini di remissione nei pazienti che hanno una componente articolare particolarmente attiva". Lo ha detto Roberto Caporali, professore di Reumatologia all’università degli studi di Milano e direttore dipartimento di reumatologia e scienze mediche, ASST Gaetano Pini, a margine dell'evento - oggi a Milano - con cui è stato annunciato il via libera di Aifa all'estensione della rimborsabilità in Italia di bimekizumab per l'artrite psoriasica attiva, dopo quella ottenuta nel marzo 2023 per la psoriasi a placche da moderata a severa.

La malattia psoriasica "è una patologie fatta da moltissimi domini che possono essere coinvolti - spiega Caporali - Pensate soltanto al coinvolgimento della cute, delle articolazioni, dei tendini, delle unghie, della colonna. Tutto questo spesso insieme a delle comorbilità. È chiaro che dobbiamo considerare questa malattia come un unicum, come una storia che ogni paziente ha da raccontare e che noi medici dobbiamo assolutamente interpretare nel suo insieme".

L’approvazione da parte di Aifa all’estensione della rimborsabilità di bimekizumab per l’artrite psoriasica attiva "dà ai reumatologi e dermatologi nel nostro Paese la possibilità di offrire ai pazienti una opzione terapeutica che permette un livello elevato di controllo della malattia", negli esiti muscoloscheletrici e cutanei: "La novità sta nella capacità del farmaco di inibire due componenti della citochina stessa. Un miglioramento nella capacità di indurre una risposta più piena. Da un punto di vista dermatologico il risultato più interessante è legato alla percentuale molto elevata di pazienti che raggiungono il risultato Mda - minimal disease activity, una situazione molto vicina alla remissione completa. Un risultato che offre grandi speranze, nella vita reale, di raggiungere lo stesso risultato nei pazienti che vediamo in ambulatorio" conclude.

Questo articolo è stato originariamente pubblicato dall’agenzia Adnkronos. Sbircia la Notizia Magazine non è responsabile per i contenuti, le dichiarazioni o le opinioni espresse nell’articolo. Per qualsiasi richiesta o chiarimento, si prega di contattare direttamente Adnkronos.

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Salute e Benessere

Dengue, nel microbioma delle zanzare un batterio alleato...

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Programmi sanitari puntano su rilascio maschi 'programmati' per la lotta alle malattie, un microrganismo potrebbe accelerare l'allevamento di massa

Zanzara - Fotogramma

Anche le zanzare nel loro piccolo hanno un microbioma, e fra i 'batteri buoni' del loro intestino ce n'è uno che potrebbe involontariamente 'tradirle' giocando a favore della missione di controllare questi insetti portatori di malattie. Sotto la lente degli scienziati è finita in particolare la Aedes aegypti, sulle cui ali 'vola' la Dengue, ma anche la febbre gialla e il virus Zika. Un nuovo studio pubblicato sul 'Journal of Applied Microbiology' potrebbe lanciare un assist ai programmi sanitari globali che, per arginare la diffusione di queste infezioni, puntano sul rilascio di zanzare maschio che sono sterili o che prevengono la trasmissione delle malattie. L''infiltrato' che potrebbe dare una mano è il batterio Asaia: secondo gli esperti è in grado di accelerare i tempi di sviluppo delle larve di un giorno, il che potrebbe dare impulso ai progetti di allevamento di massa che devono produrre milioni di adulti. Questi programmi, osservano i ricercatori, possono essere notevolmente più efficaci dell'irrorazione diffusa di insetticidi, poiché le zanzare hanno sviluppato una resistenza a molte sostanze chimiche comunemente utilizzate.

Cosa c'è nello studio

Il nuovo studio, condotto dalle università di Exeter (Regno Unito) e Wageningen (Paesi Bassi), ha esaminato il modo in cui il batterio Asaia influenza lo sviluppo delle larve di zanzara. "Sappiamo che ogni specie, compresi gli esseri umani, dipende da un microbioma, un complesso mix di microrganismi che vivono all'interno del corpo", evidenzia Ben Raymond, professore del Centro per l'ecologia e la conservazione del Penryn Campus dell'università di Exeter in Cornovaglia. "Si pensa che i batteri Asaia siano parti benefiche del microbioma delle zanzare, ma questo non è mai stato rigorosamente testato sull'Aedes aegypti". Quello che è noto è che "le larve di zanzara Aedes aegypti non possono svilupparsi senza un microbioma - prosegue l'esperto - e lo studio dimostra che due specie di Asaia possono giocare un ruolo benefico". Il periodo larvale della zanzara Aedes aegypti dura solitamente circa 10 giorni, quindi accelerare di un giorno potrebbe rappresentare un prezioso impulso alla produzione di massa di zanzare maschio 'programmate' per la lotta alle malattie.

Gli scienziati hanno pensato di aggiungere i batteri Asaia all'acqua in cui si sviluppavano le larve di zanzara. E hanno osservato due specie hanno effettivamente avuto l'effetto di velocizzare lo sviluppo. Il meccanismo non è chiaro, ma non sembra che questi batteri abbiano apportato benefici nutrizionali diretti. Sembrano invece aver modificato la comunità batterica più ampia, riducendo l'abbondanza di alcuni microrganismi, tra cui alcune specie che potrebbero essere leggermente parassite. I batteri Asaia rimuovono anche l'ossigeno, creando condizioni che producono gli ormoni necessari a favorire lo sviluppo.

Questo articolo è stato originariamente pubblicato dall’agenzia Adnkronos. Sbircia la Notizia Magazine non è responsabile per i contenuti, le dichiarazioni o le opinioni espresse nell’articolo. Per qualsiasi richiesta o chiarimento, si prega di contattare direttamente Adnkronos.
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Salute e Benessere

Airc, tornano i cioccolatini della ricerca sabato in 2mila...

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Airc, tornano i cioccolatini della ricerca sabato in 2mila piazze

Sono cioccolatini amici della ricerca. E tornano in piazza sabato 9 novembre. A distribuirli migliaia di volontari di Fondazione Airc che, coordinati dai 17 uffici regionali, animeranno i banchetti allestiti per l'appuntamento più 'dolce' del programma dei Giorni della ricerca. Con le donazioni che verranno raccolte per l'occasione si potranno sostenere quasi 6mila ricercatori impegnati a trasformare i risultati di laboratorio in strumenti di prevenzione, diagnosi e cura contro il cancro. Un lavoro che si porta avanti non solo con microscopi, vetrini, reagenti, ampolle, guanti, pipette e occhiali. Anche una colorata confezione di cioccolatini, come quelle che si troveranno sabato in circa 2mila piazze d'Italia, può accelerare gli studi, portando nuove risorse, spiegano da Airc. I cioccolatini della ricerca saranno disponibili per tutto il mese di novembre anche nelle filiali Banco Bpm, partner istituzionale di Airc, e online su Amazon.it.

La sfida dei ricercatori contro il cancro è ambiziosa. Basta guardare i numeri che vedono i nuovi casi in aumento: lo scorso anno in Italia ci sono state circa 395mila diagnosi di tumore (208mila negli uomini e 187mila nelle donne), più di mille al giorno. E negli ultimi 3 anni si è registrato un incremento di oltre 18mila casi, ricorda l'Airc. A fronte del maggior numero di diagnosi si registrano però anche progressi nella sopravvivenza, grazie a cure più efficaci e alla prevenzione delle recidive. Nel nostro Paese in un decennio, tra il 2010 e il 2020, sono aumentate del 54% circa le persone che hanno superato il cancro e sono vive a oltre 10 anni dalla diagnosi. Ma la ricerca deve andare avanti e richiede tempo e investimenti, avvertono gli esperti.

Quanto sia importante ne è pienamente consapevole, fra gli altri, Domenico, giovane volontario Airc che lo ha sperimentato in prima persona. Lui che di cioccolatini ne ha distribuiti moltissimi, in piazza al fianco dei ricercatori da quando aveva 20 anni, a ottobre del 2017 riceve una diagnosi di linfoma non Hodgkin, tumore del sangue che nasce nel sistema linfatico a partire dai linfociti, cellule del sistema immunitario presenti in circolo. Era impegnato all'università con gli studi di Medicina.

Nonostante la diagnosi difficile e il percorso terapeutico con chemio e un trapianto autologo di midollo, Domenico non ha mai perso la speranza: "Ho deciso da subito di raccontare tutto il mio percorso sul mio profilo social per tenere aggiornati gli amici e le persone a me care che non potevano starmi fisicamente vicino, o anche che non sapevano come farlo - racconta - Oggi sono di nuovo qui, accanto ad Airc, con ancora più convinzione, perché ho provato sulla mia pelle che la cura nasce dalla ricerca, e dal nostro sostegno".

Domenico invita dunque tutti a "venire nelle piazze per prendere i cioccolatini della ricerca", confezioni da 200 grammi di cioccolato fondente firmato Venchi a fronte di una donazione minima di 15 euro, "un importante strumento per garantire continuità ai nostri scienziati". Importante e anche buono. Il cioccolato fondente, assicurano gli esperti, se consumato in quantità moderata, può essere un alleato per il benessere fisico. Contiene infatti cacao ricco di molecole con potenziali effetti favorevoli sulla salute come i flavonoidi, della famiglia dei polifenoli, con proprietà antiossidanti e antinfiammatorie. Insieme ai cioccolatini della ricerca sarà consegnata anche la speciale guida con un focus sulla salute maschile.

Questo articolo è stato originariamente pubblicato dall’agenzia Adnkronos. Sbircia la Notizia Magazine non è responsabile per i contenuti, le dichiarazioni o le opinioni espresse nell’articolo. Per qualsiasi richiesta o chiarimento, si prega di contattare direttamente Adnkronos.
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Salute e Benessere

Cancro polmone, firma molecolare predice efficacia...

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Cancro polmone, firma molecolare predice efficacia immunoterapia

Una 'firma molecolare' in grado di predire l'efficacia dell'immunoterapia nei pazienti con tumore al polmone non a piccole cellule (Nsclc). L'ha scoperta un gruppo di scienziati dell'Irccs Istituto nazionale tumori Regina Elena (Ire) di Roma, diretto da Marcello Maugeri-Saccà, in collaborazione con colleghi del Dana-Farber Cancer Institute di Boston (Usa) e dello University College London Cancer Institute (Uk). I risultati dello studio sono stati pubblicati su 'Clinical Cancer Research', rivista dell'Aacr, l'Associazione americana per la ricerca sul cancro.

L'immunoterapia con anticorpi monoclonali ha rivoluzionato l'approccio terapeutico nel paziente colpito da tumore polmonare, spiegano dagli Ifo, gli Istituti fisioterapici ospitalieri cui fa capo l'Ire. Purtroppo, però, solo circa il 20% dei pazienti beneficia del trattamento. Capire i meccanismi alla base di questa resistenza farmacologica intrinseca è fondamentale per offrire al paziente il percorso terapeutico più adeguato e migliorarne la sopravvivenza.

Gli autori hanno identificato "un preciso profilo molecolare chiamato 'KEAPness', che è legato al cattivo funzionamento del gene oncosopressore Keap1 e al quale si associa una ridotta sensibilità all'immunoterapia". Il lavoro, sottolineano, ha "importanti implicazioni cliniche: da una parte determinare la presenza o meno della firma molecolare KEAPness permette di re-indirizzare il paziente verso le terapie più idonee, con risparmio del sistema sanitario pubblico. Dall'altra lo studio apre alla scoperta di nuovi bersagli molecolari per lo sviluppo di terapie di combinazione capaci di potenziare l'efficacia dell'immunoterapia".

Il team di Maugeri-Saccà, clinico e ricercatore presso il Clinical Trial Center, Biostatistica e Bioinformatica Ifo, è impegnato da anni ad aprire la strada all'immunoterapia personalizzata, ricorda una nota. Il team aveva già dimostrato che la mutazione del gene Keap1, in pazienti con tumore al polmone non a piccole cellule, impatta sull'efficacia della immunoterapia. "In questo nuovo lavoro - puntualizza Maugeri-Saccà - abbiamo identificato una sequenza di geni come biomarcatori predittivi di risposta all'immunoterapia. Abbiamo anche dimostrato che i tumori che presentano tale profilo molecolare, KEAPness, ricalcano il comportamento dei tumori portatori della mutazione di Keap1, e quindi una ridotta sensibilità all'immunoterapia".

"Si tratta di un lavoro di alto livello che apre la strada alla immunoterapia di precisione e personalizzata - commenta Gennaro Ciliberto, direttore scientifico Ire - I prossimi obiettivi sono ambiziosi: riguardano infatti la validazione prospettica della KEAPness non solo nel tumore al polmone, ma anche in altre neoplasie attualmente trattate con immunoterapia".

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