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Giappone, la Corte d’Appello di Tokyo dichiara incostituzionale il divieto di matrimonio per coppie LGBTQ+

Kimono Matrimonio Giappone Canva

La Corte d’Appello di Tokyo ha emesso una sentenza storica, dichiarando incostituzionale il divieto di matrimonio tra persone dello stesso sesso in Giappone. Secondo la Corte, come riportato da Kyodo News, il divieto viola il diritto all’uguaglianza sancito dalla Costituzione e si basa su norme superate, prive di “ragioni valide”. La decisione della Corte rappresenta un passo significativo per i diritti LGBTQ+ in un Paese che rimane l’unico del G7 a non riconoscere legalmente il matrimonio omosessuale.

Uguaglianza e dignità individuale

Presieduta dal giudice Sonoe Taniguchi, la Corte ha stabilito che l’attuale divieto contrasta con l’articolo della Costituzione giapponese che prescrive la promulgazione di leggi familiari dal punto di vista della “dignità individuale e dell’uguaglianza essenziale dei sessi.” Questa norma, che intende garantire pari diritti e dignità a tutte le persone, è stata interpretata dalla Corte come incompatibile con la discriminazione subita dalle coppie omosessuali, negando loro il diritto di formalizzare la propria unione. Inoltre, Taniguchi ha sottolineato come la crescente accettazione sociale del matrimonio tra persone dello stesso sesso rappresenti una realtà non ignorabile, indicativa di un cambiamento culturale che il legislatore giapponese dovrebbe considerare.

Nonostante questo importante riconoscimento, la Corte ha comunque respinto la richiesta di risarcimento avanzata dai sette querelanti, i quali avevano chiesto allo Stato un risarcimento di 1 milione di yen ciascuno (circa 6.500 dollari) per la violazione dei loro diritti. La decisione di rigettare la richiesta è motivata dalla mancata pronuncia della Corte Suprema sul tema, segno che la magistratura giapponese procede con cautela su un tema socialmente e culturalmente complesso. La Corte ha infatti chiarito che, in assenza di un verdetto definitivo da parte della Corte Suprema, non si può ritenere il governo giapponese responsabile per la mancata azione del Parlamento in materia di matrimonio omosessuale.

La sentenza si colloca in un contesto legale frammentato, in cui diversi tribunali distrettuali giapponesi hanno espresso pareri discordanti: mentre le corti di Sapporo e Nagoya hanno già dichiarato incostituzionale il divieto, le corti di Tokyo e Fukuoka si sono limitate a definirlo in uno “stato di incostituzionalità,” invitando il Parlamento a legiferare in proposito senza imporre, però, un intervento immediato.

Il Giappone e diritti LGBTQ+

Il Giappone, unico paese del G7 a non riconoscere legalmente le unioni tra persone dello stesso sesso, si trova così al centro di una crescente pressione interna e internazionale per allineare il proprio ordinamento ai principi di uguaglianza e inclusività, principi che il movimento LGBTQ+ e i suoi sostenitori continuano a richiedere a gran voce.

La recente sentenza, pur non portando a un’immediata svolta legislativa, potrebbe esercitare un’influenza significativa sull’opinione pubblica e sui rappresentanti politici. La vicenda potrebbe anche intensificare il dibattito sul ruolo e sulla definizione della famiglia in Giappone, soprattutto considerando che in diverse amministrazioni locali sono stati introdotti sistemi di partnership civile per le coppie omosessuali. Tuttavia, come dichiarato dal Segretario Capo di Gabinetto Yoshimasa Hayashi, il governo sta osservando l’evoluzione delle cause legali in corso e il processo di discussione nel Parlamento, mantenendo una posizione prudente e interlocutoria.

Resta da vedere come il Giappone affronterà questa spinta verso il cambiamento: da una parte, l’evidente discrasia tra l’accettazione sociale e il mancato riconoscimento legale di diritti fondamentali, dall’altra la necessità di affrontare una trasformazione culturale che tocca aspetti profondamente radicati della società nipponica. La strada verso il matrimonio egualitario appare ancora lunga, ma la sentenza della Corte d’Appello di Tokyo rappresenta una vittoria morale per coloro che lottano per un Giappone più inclusivo e rispettoso della dignità di ogni individuo.

Questo articolo è stato originariamente pubblicato dall’agenzia Adnkronos. Sbircia la Notizia Magazine non è responsabile per i contenuti, le dichiarazioni o le opinioni espresse nell’articolo. Per qualsiasi richiesta o chiarimento, si prega di contattare direttamente Adnkronos.

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Italia, disuguaglianze tra Nord e Sud: “Uno su quattro in...

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Le disuguaglianze regionali in Italia sono una sfida aperta. L’Unione europea, su questo tema che riguarda un po’ tutti gli Stati membri, si pone l’obiettivo di ridurre il divario tra i livelli di sviluppo delle sue regioni, così da promuoverne uno sviluppo armonioso e rafforzare la coesione economica, sociale e territoriale. Tale obiettivo è perseguito attraverso la politica di coesione, che è la principale politica di investimento dell’Ue con la finalità di modifica strutturale dei contesti economici dei territori.

L’analisi Istat sugli indicatori di Benessere e disuguaglianze dei cittadini italiani ha fotografato un quadro allarmante. Ciò che emerge con maggior chiarezza è lo svantaggio del Mezzogiorno negli indicatori salute, istruzione e formazione, paesaggio e patrimonio culturale e, in particolar modo, nei domini lavoro e conciliazione dei tempi di vita e relazioni sociali.

Mezzogiorno vs Nord

Entrando nello specifico, regioni come Campania, Basilicata, Calabria e Sicilia hanno tutti o quasi tutti gli indicatori con un valore inferiore alla media nazionale, mentre in Piemonte e Lombardia sono tutti sopra la media; per le relazioni sociali in Campania, Puglia e Sicilia si riscontrano sempre valori più bassi del dato medio, mentre nelle due province autonome di Bolzano e Trento, in Veneto e Emilia-Romagna i valori sono tutti più alti del valore Italia.

Per quanto riguarda “politica e istituzioni”, “sicurezza”, “benessere soggettivo”, “ambiente”, “innovazione”, “ricerca e creatività” invece il quadro è geograficamente meno polarizzato. Per “sicurezza” la maggior parte degli indicatori delle regioni del Mezzogiorno (a esclusione di Campania e Puglia) ha valori migliori rispetto alla media nazionale, invece Emilia-Romagna, ma soprattutto Lombardia e Lazio, presentano dati molto più negativi.

Per quanto riguarda il “benessere soggettivo”, non emerge uno schema territoriale definito, con la Lombardia e la Calabria che hanno tutti gli indicatori su livelli migliori rispetto alla media nazionale, mentre Umbria, Marche, Puglia e Sicilia non ne hanno nessuno. In relazione al dominio “innovazione ricerca e creatività”, per tutte le regioni del Mezzogiorno la maggior parte degli indicatori registra valori inferiori alla media nazionale, ma in questo caso lo stesso accade anche per Piemonte, Liguria, Umbria e Marche, mentre per Lombardia e Lazio cinque indicatori su sei sono sopra la media.

Valle d’Aosta, Molise, Sardegna emergono ognuna per un particolare aspetto ambientale, rispettivamente la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, la disponibilità di verde urbano e la qualità dell’aria.

Il Lazio si distingue positivamente per la densità e rilevanza del patrimonio museale e per la percentuale di occupati con istruzione universitaria in professioni scientifico-tecnologiche.

La Lombardia emerge per i posti-chilometri offerti dal trasporto pubblico nei comuni capoluogo di provincia (11.244 nel 2022, rispetto al dato italiano di 4.696).

Bolzano e Trento

Per la provincia autonoma di Bolzano vede la diffusione delle aziende agrituristiche pari, nel 2022, a 46,1 per 100 chilometri quadrati, un valore cinque volte superiore al dato nazionale, e oltre 20 punti più alto della Toscana, che segue nella graduatoria (24,5 per 100 chilometri quadrati). Anche per quanto riguarda la soddisfazione per la propria vita, Bolzano si distingue rispetto al resto d’Italia, con quasi due persone su tre che valutano tra 8 e 10 la loro soddisfazione per la vita nel complesso, in confronto a una media Italia pari al 46,6%.

A sua volta la provincia autonoma di Trento spicca, in particolare per la disponibilità di verde urbano, le attività di volontariato, la fiducia generalizzata e la fruizione delle biblioteche; ad esempio, quasi un terzo degli abitanti della provincia autonoma di Trento, nel 2023, si è recato in biblioteca almeno una volta, mentre nelle altre regioni questa percentuale spesso non raggiunge neanche il 15%, e in Molise e Campania è intorno al 5%.

Le criticità del Sud

Tra le situazioni più critiche, si possono citare quattro indicatori per la Calabria: irregolarità nella distribuzione dell’acqua, disuguaglianza del reddito netto, utenti regolari di internet e soprattutto la grave deprivazione materiale e sociale.

Il Molise registra una notevole pressione ambientale a causa dell’alto afflusso di rifiuti urbani nelle sue discariche, con un valore (77,1% sul totale dei rifiuti prodotti in regione) che supera di quattro volte la media Italia. In Molise, e in Basilicata, è elevato anche il valore dell’emigrazione ospedaliera in altra regione: rispettivamente il 30,4% e il 28,4% dei residenti si recano in un’altra regione per ricoverarsi, contro una media Italia dell’8,3%; se però in Molise si osservano anche consistenti flussi in entrata, che indicano una mobilità geografica determinata soprattutto dalle piccole dimensioni del territorio, lo stesso non può dirsi per la Basilicata.

La Basilicata si distingue anche per una maggiore percezione di insicurezza del lavoro: la percentuale di occupati che ritengono probabile perdere il lavoro e non ritrovarlo è dell’8,8%, più del doppio del dato nazionale.

Due aspetti, in Campania, sono particolarmente problematici: nel 2022 quasi un quarto dei residenti ha dichiarato di arrivare a fine mese con grande difficoltà (rispetto ad una media nazionale del 6,9%) e l’8,8% di famiglie ha dichiarato molta difficoltà a raggiungere 3 o più servizi essenziali (contro il 4,9% a livello Italia).

E, per concludere, l’impatto degli incendi boschivi in Sicilia (con il 9,8 per mille del territorio regionale colpito nel 2022, rispetto a una media nazionale del 2,4 per mille), la rinuncia alle prestazioni sanitarie in Sardegna (che ha interessato nel 2023 il 13,7% della popolazione rispetto al 7,6% della media Italia), la grave deprivazione abitativa in Piemonte (la percentuale di persone che vivono in abitazioni sovraffollate o in alloggi privi di alcuni servizi e con problemi strutturali era pari al 10,8% nel 2022, un tasso più che doppio rispetto all’Italia), i borseggi nel Lazio (che, nel 2023, hanno registrato 13,6 vittime ogni 1.000 persone, rispetto a una media nazionale di 5,1) e il tasso di infortuni sul lavoro in Umbria (16,7 ogni 10.000 occupati nel 2022, contro il 10 a livello Italia) denotano ancora un quadro critico.

Questo articolo è stato originariamente pubblicato dall’agenzia Adnkronos. Sbircia la Notizia Magazine non è responsabile per i contenuti, le dichiarazioni o le opinioni espresse nell’articolo. Per qualsiasi richiesta o chiarimento, si prega di contattare direttamente Adnkronos.
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Mundys, con Equilibrium un nuovo capitolo di welfare...

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Aeroporto Fiumicino Comm

Mundys avvia Equilibrium: il nuovo capitolo di welfare aziendale dedicato al benessere globale dei dipendenti. Mundys è un’azienda internazionale di infrastrutture e mobilità che con 23.000 dipendenti opera in circa 30 Paesi e gestisce 5 aeroporti, circa 9.000 chilometri di autostrade e una serie di servizi digitali per la mobilità che semplificano gli spostamenti della vita quotidiana. Una società globale e inclusiva che fa della differenza tra gli individui e le culture un valore aggiunto.

La capogruppo ha da tempo intrapreso un percorso di valorizzazione delle proprie persone, costruendo una cultura organizzativa che guardi ai risultati (il ‘Cosa’) unitamente al modo in cui questi vengono raggiunti (il ‘Come’). L’approccio definito “human centric” è olistico e abbraccia ogni aspetto del vissuto aziendale, incluso il benessere organizzativo del lavorare in azienda, inteso come: modello di lavoro, sostegno alla salute psico-fisica, ricerca dell’equilibrio tra professione e vita privata.

Ora, questo percorso si arricchisce di un nuovo capitolo, ancora più stimolante: il progetto Equilibrium, un’iniziativa che si aggiunge all’impianto di welfare via via sviluppato da Mundys e che mira a promuovere il benessere globale dei dipendenti. Il progetto è frutto delle sfide degli ultimi anni che invitano chi lavora in azienda a sapersi muovere nel cosiddetto ‘Vuca’ (volatilità, incertezza, complessità, ambiguità) affrontando situazioni economiche e politiche in rapida e continua trasformazione, in cui la complessità sociale è una costante. Tutto questo richiede una capacità di continuo e naturale adattamento, competenza chiave del vivere quotidiano e dell’abitare Mundys oggi, contando sulla contaminazione culturale, il confronto continuo tra tutti gli stakeholder e la capacità di lavorare insieme.

Dell’Indagine del benessere: un’analisi annuale attraverso la quale Mundys rileva il livello di ben-essere delle persone che lavorano in azienda, utilizzando i KHI, ovvero i Key human indicators, che, a differenza dei più noti KPI (Key performance indicators) per l’analisi dei processi aziendali, misurano la metrica umana. I risultati dell’indagine aiutano a comprendere come vengono gestite le emozioni e regolate nella relazione con l’altro, che livello di consapevolezza individuale e sociale ciascuno ha, quanto si sente parte dell’azienda, indagando le dimensioni di relazione e inclusione, fiducia e ingaggio, responsabilità e coraggio manageriale, energia trasformativa, bilanciamento ed equilibrio tra agenda professionale e personale.

Per quanto alcuni interventi e strumenti professionali possano offrire le migliori condizioni nel condividere lo stesso spazio e lo stesso tempo in azienda il dipendente – in quanto individuo responsabile dei propri obiettivi, aspettative e scelte – è l’unico a poter indirizzare il suo percorso di crescita e consolidare la propria stabilità e maturità (personale e professionale). L’azienda può tuttavia affiancare il percorso di ognuno, dotandosi di strumenti in grado di promuovere il benessere psico-fisico delle proprie persone.

In particolare, Mundys ha concentrato il proprio impegno su diversi aspetti del vivere dentro fuori e l’azienda, tra cui:

  • Flessibilità: Mundys ha introdotto da diversi anni un modello di lavoro “ibrido” in cui si ha la possibilità di pianificare giornate di lavoro da remoto per favorire la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. Questa flessibilità, che sostiene l’equilibrio personale ma anche l’impegno all’agenda di sostenibilità, per la riduzione di emissioni di CO2, non manca di valorizzare il lavoro in presenza che rappresenta il legame più forte e costante della condivisione di idee, emozioni e della creazione di reti organizzative.
  • Un check up annuale che prevede 16 visite – tra cui una con il medico nutrizionista per definire un percorso di ri-educazione alimentare, partendo dall’analisi di alcuni indicatori (ormoni) del benessere di quel momento:
    • Melatonina: responsabile della regolazione ciclo sonno-veglia, per indicare la qualità del riposo e la regolarità del sonno.
    • Cortisolo: regolatore della pressione arteriosa e del sistema immunitario
    • Testosterone: funzionale alla produzione di globuli rossi, per regolare l’umore, le funzioni cognitive e mantenere la massa muscolare.
    • Omocisteina: indicatore della salute cardiovascolare e/o dell’eventuale carenza di acido folico e vitamine.
    • DHEA: responsabile del corretto funzionamento del sistema nervoso, e del mantenimento del metabolismo osseo.
  • Un monitoraggio della postura in ufficio con il supporto di uno Posturologo che analizza i “vizi posturali” e suggerisce esercizi correttivi personalizzati.
  • Integrazione, all’interno dei Food Corner (aree già esistenti negli uffici di Mundys), di alimenti che abbiano una funzione di integratori naturali, per nutrire il benessere quotidiano e allenare un’educazione alimentare.
  • Un invito “formale” attraverso la registrazione della voce “Walk out” – disponibile nel sistema presenze dell’azienda – di un intervallo della pausa pranzo dedicato a una passeggiata per rigenerare mente e corpo al di fuori dell’edificio aziendale, all’aperto e nelle città e comunità in cui l’azienda lavora.

Il piano welfare aziendale prevede una serie di misure volte a supportare i dipendenti e i loro familiari. Alcuni esempi: i rimborsi spese per la propria istruzione e quella della famiglia, dai livelli prescolari fino agli studi universitari e post-laurea, inclusi i corsi di formazione continua. In più, il piano copre le spese per l’acquisto dei libri scolastici, attività extrascolastiche quali campus estivi e vacanze studio, nonché corsi di lingua e informatica. Sono previsti indennizzi anche per servizi di baby-sitting e assistenza agli anziani. Inoltre, il piano prevede anche buoni acquisto utilizzabili per attività culturali e sportive. Tutti i lavoratori possono usufruire anche di una polizza sanitaria, estendibile ai familiari e di una polizza vita. Tra le numerose iniziative promosse a favore della mobilità sostenibile, è garantito l’abbonamento annuale dei mezzi pubblici utilizzati per raggiungere le sedi di lavoro di Roma e Milano e di un parco auto full electric.

In ambito Formazione, negli ultimi 3 anni il Gruppo ha investito in oltre 1,6 milioni di ore di formazione per il personale con un focus sulla costruzione di quelle competenze che aiutano a restare competitivi in un mondo che evolve velocemente – ne sono un esempio le oltre 100.000 ore di formazione in materia di sostenibilità erogate al senior management del gruppo che è chiamato a guidare la transizione verde, digitale e sociale del nostro business, così come le prime sessioni pilota in ambito GenAI per formare i dipendenti su come usare questa nuova tecnologia nell’agenda di lavoro quotidiana.

Modello della ‘We Economy’

Il modello di We Economy, che Mundys applica da 3 anni, è basato su equità retributiva e accessibilità a percorsi di crescita e sviluppo. Oggi, nella Capogruppo a tutti sono riconosciute forme organizzative e retributive trasparenti, eque e inclusive.

Il modello “We Economy” – è stato pensato per creare un’organizzazione connotata dall’ampia condivisione delle responsabilità e delle opportunità, in questo modo, la retribuzione di ogni dipendente è strutturalmente formata da 3 elementi ordinari: lo stipendio, la remunerazione variabile e i piani di welfare integrativi. La Capogruppo ha completato il percorso di eliminazione di qualunque differenziale retributivo tra dipendenti di genere maschile e femminile, che ricoprono le medesime posizioni o posizioni dello stesso livello organizzativo. Questo su tutte le componenti della remunerazione, sia monetaria (fisso, variabile), sia in natura (benefits).

A livello di Gruppo, Mundys ha l’impegno di colmare entro il 2030 il divario retributivo di genere. Fanno parte della We Economy anche gli stessi strumenti di accessibilità a percorsi di ascolto, formazione e sviluppo per il Gruppo.

Liberare il potenziale delle persone che lavorano per le aziende di Mundys è un obiettivo della strategia della Capogruppo, che intende costruire una talent factory (fabbrica di talenti), incoraggiando e sponsorizzando percorsi di carriera nazionali e internazionali tra le proprie aziende operative, favorendo una contaminazione culturale che porti valore, confronto e scambio nelle organizzazioni.

10Days4, il modello di cittadinanza attiva

E’ oramai parte dell’azienda il modello di cittadinanza attiva per cui tutti i dipendenti di Mundys, che intendono offrire il loro impegno nell’ambito del terzo settore, possono usufruire fino a 10 giorni retribuiti per collaborare con associazioni, enti e istituti che svolgono attività benefiche caritatevoli, assistenziali, sociali, religiose, artistiche, culturali, sportive e ambientali.

L’accordo è stato sottoscritto con tutte le principali rappresentanze sindacali del settore e crea un’opportunità di azione concreta dei dipendenti e di vicinanza e integrazione tra Mundys, la società civile e le comunità in cui opera. L’iniziativa si configura, inoltre, come un’occasione per arricchire la sensibilità e le attitudini proprie del mondo non profit divenute ormai sempre più preziose e importanti, oltre che di grande rilevanza sociale: tenacia e concretezza, identità e diversità, apertura e inclusione, relazione e solidarietà, vicinanza e reciprocità, individualità e comunità.

I progetti di sostegno all’Ucraina e all’Emilia Romagna degli ultimi due anni sono le pagine più significative dei contributi umanitari dei dipendenti di Mundys.

Policy Diversity Equality & Inclusion

Le linea guida sulla Diversità, Uguaglianza e Inclusione (DE&I) hanno la finalità di:

  • Favorire e promuovere una cultura della diversità, valore fondativo del concetto di uguaglianza e inclusione, che Mundys sostiene nel proprio modello di fare impresa.
  • Garantire a ciascun dipendente uguali condizioni ed opportunità, senza distinzioni di età, sesso/genere e identità di genere, orientamento sessuale, etnia/cultura, religione, condizione fisica e disabilità, condizione economica, opinione politico-sindacale e altro.
  • Informare tutti i lavoratori sui diritti e sui doveri per la prevenzione e la rimozione di ogni comportamento discriminatorio, per la promozione di un clima di lavoro che assicuri il rispetto della dignità di ciascuno.
  • Ad oggi, le donne che ricoprono le circa 1700 posizioni manageriali nel gruppo sono circa il 31% e Mundys ha l’ambizione di continuare a promuovere la rappresentanza di genere a tutti i livelli nell’organizzazione, a partire da quelli manageriali dove almeno 1 manager su 3 deve sarà una donna entro il prossimo triennio.

Debito Green

Con le recenti emissioni di Sustainability-Linked Bond per oltre 1 miliardo di euro, Mundys ha confermato il suo forte impegno a integrare la sostenibilità nella propria strategia di finanziamento: oggi il 100% del i debito e linee di credito della capogruppo sono collegate e indicatori ESG. I tassi d’interesse aumentano o diminuiscono in base ai progressi che il Gruppo realizza sugli obiettivi ambientali e sociali, misurati da tre indicatori di performance, tra cui i progressi nella pari opportunità di genere nei ruoli manageriali, gli altri sono relativi alla decarbonizzazione delle proprie fonti energetiche e alla velocità di transizione verso l’energia elettrica verde.

“La ricerca di un equilibrio tra corpo, mente ed emozioni è possibile. Il progetto Equilibrium nasce per sostenere il benessere dei dipendenti. Questa l’idea di Maria Sole Aliotta, human resources director di Mundys.

Mariasole Aliotta Human Resources Director Mundys
Maria Sole Aliotta, human resources director di Mundys

Ogni anno, attraverso indagini approfondite sul benessere, raccogliamo dati preziosi per comprendere le esigenze dei lavoratori e per migliorarne la qualità di vita. Da tempo Mundys opera con un approccio che guarda al benessere della persona a 360° per offrire un ambiente di lavoro equilibrato e attento alle esigenze personali di ciascuno di noi:

  • salute (prevenzione con check-up annuale che include specifiche analisi su ormoni del benessere e che copre anche i famigliari del dipendente)
  • benessere digitale con diritto alla disconnessione
  • benessere psichico con piano di welfare aziendale che offre fra i vari servizi (per famiglie, educazione, assistenza, attività sportive, viaggi) anche counseling psicologico e coaching.

Questa iniziativa fa parte del più ampio impegno di Mundys sul fronte ESG: in questo caso, particolare attenzione è dedicata agli aspetti sociali della nostra comunità lavorativa”, conclude Aliotta.

Questo articolo è stato originariamente pubblicato dall’agenzia Adnkronos. Sbircia la Notizia Magazine non è responsabile per i contenuti, le dichiarazioni o le opinioni espresse nell’articolo. Per qualsiasi richiesta o chiarimento, si prega di contattare direttamente Adnkronos.
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#Childfree, cos’è il trend TikTok che parla di chi non...

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Coppia Senza Figli Canva

“Perché non vuoi avere figli?” Inizia sempre con questa domanda uno dei dibattiti più accesi tra le nuove generazioni. La risposta è nell’hashtag “#Childfree”. Diventato un vero e proprio slogan social, “Child free” si è diffuso su piattaforme come TikTok, ad esempio, che ha raccolto sotto questa espressione tutte le testimonianze delle donne o di giovani coppie che decidono deliberatamente di non voler avere figli o che, per motivi diversi, non possono averne.

Ma oltre ad essere un semplice hashtag social, è anche un vero e proprio movimento e un fenomeno radicalmente diffuso da oltre 60 anni, con una Giornata internazionale dedicata che cade il primo agosto di ogni anno e che è nata proprio per rivendicare la libertà di coloro che scelgono di non avere figli.

Come nasce “#Childfree”?

L’espressione Child free, a differenza di “Child less (cioè chi non può avere figli, ma li desidera)”,
ha lo scopo di enfatizzare sull’intenzione e la volontà di non avere figli. Una scelta, insomma, che ha ripercussioni sociali e culturali su chi la prende e che oggi è tornata ad essere al centro del dibattito politico per le ripercussioni che ha anche sulla società e sul futuro della popolazione.

Anche se possa sembrare un termine diffusosi da poco, in realtà questa affermazione di una scelta di vita ben precisa pone le sue basi nella letteratura sociologica sin dagli anni ’60. L’espressione si è diffusa di pari passo con l’uso della pillola anticoncezionale, strumento usato dalle donne per avere il controllo sulle proprie scelte riproduttive, compresa quella di non avere figli.

Due attiviste di questo movimento, Ellen Peck e Shriley Radl, hanno fondato la National Organization for Non-Parents, nel 1972, che difende il diritto dei “senza figli per scelta”. In America, questo movimento fu ampiamente criticato da chi riteneva che la genitorialità fosse una caratteristica distintiva della famiglia americana tradizionale, ma più in generale dei valori occidentali.

Poiché questa scelta è stata culturalmente associata alla mancanza del desiderio di maternità, la maggior parte degli studi e delle statistiche sul fenomeno hanno per anni analizzato la percentuale di donne, e non di uomini, che intendeva rinunciare alla genitorialità.

A spiegare le cause di questi stereotipi è stata recentemente Kisten Varian, dottoressa dell’Istituto di salute comportamentale di Parkview, Fort Wayne, Indiana (Stati Uniti), studiosa del fenomeno “Child free”, secondo la quale, le persone che prendono volontariamente la decisione di non avere figli vengono “poi viste sotto una luce negativa”. Sono etichette che vanno dall’egoismo, all’innaturalezza della scelta, così come la manifestazione di un’insoddisfazione e infelicità relazionale.

“Tuttavia – ha spiegato la dottoressa Varian -, nessuna di queste ipotesi è necessariamente vera. Inoltre, gli studi hanno scoperto che le donne senza figli hanno semplicemente valori e atteggiamenti diversi rispetto alle madri o alle donne che vogliono avere figli. Le coppie senza figli sono anche percepite come aventi una soddisfazione coniugale più bassa rispetto alle coppie con figli, il che non è automaticamente vero, poiché i genitori negli anni di crescita dei figli hanno una soddisfazione coniugale significativamente inferiore rispetto ai non genitori”. A rilevare questo grado di soddisfazione sono stati gli studiosi J.M. Twenge, W. K. Campbell e C.A. Foster, in una ricerca dal titolo “Genitorialità e soddisfazione coniugale: una revisione meta-analitica, pubblicata nel 2003 sul Journal of Marriage and Family.

Perché ci sono persone che non vogliono avere figli?

Le motivazioni dietro la scelta di non avere figli includono un desiderio di libertà o di concentrarsi sugli obiettivi professionali, ma recentemente si sono aggiunte preoccupazioni riguardante i cambiamenti climatici, pandemie globali e crisi geopolitiche internazionali.

In uno studio sui modelli di maternità, in un campione rappresentativo a livello nazionale, Heaton et al. (1999) hanno scoperto che, mentre alcuni adulti sono rimasti “coerentemente childfree” nel tempo, altri che inizialmente intendevano avere figli hanno poi cambiato idea e deciso di non averne. Ma la maggior parte delle indagini quantitative in questo settore non distingue tra chi è volontariamente e involontariamente senza figli, riducendo all’essere o non essere genitore la dimensione del fenomeno.

Studiosi italiani, invece, quali Christian Agrillo e Cristian Nelini, entrambi docenti del dipartimento di Psicologia generale dell’Università di Padova, nel 2008, hanno esaminato il motivo per cui alcuni adulti decidano di non avere figli in uno studio dal titolo “Childfree by choice: a review”. Tra le motivazioni, configuravano come prioritarie forze macrosociali, come la crescente partecipazione delle donne al mondo del lavoro e microsociali come l’autodeterminarsi come “child free” semplicemente per avere maggior libertà e autonomia.

Oggi, per comprendere al meglio cosa ci sia dietro questo fenomeno è sufficiente cercare online hashtag come #childfreetok, #childfreebychoice e #nothavingkids, presenti su TikTok da un po’ di tempo, hanno guadagnato molta più popolarità negli ultimi anni.

La scrittrice Adrienne Rich ha raccolto nella sua produzione letteraria le motivazioni, gli scenari, le cause, le ripercussioni e la dimensione del fenomeno Child Free. In Of Woman Born, uno dei suoi libri più famosi, scrive: “Le madri: che vanno a prendere i figli a scuola; che siedono in fila durante le riunioni genitori-insegnanti; che calmano i neonati stanchi nei passeggini del supermercato; che tornano a casa per preparare la cena, fare il bucato e accudire i bambini dopo una giornata di lavoro; che lottano per ottenere un’assistenza dignitosa e aule vivibili per i loro figli; che aspettano gli assegni di mantenimento mentre il padrone di casa minaccia lo sfratto; che rimangono di nuovo incinte perché la loro unica via di fuga verso il piacere e l’abbandono è il sesso; che si infilano lunghi aghi nelle loro delicate parti interiori; che vengono svegliate dal pianto di un bambino dai loro sogni esteriormente incompiuti: le madri, se potessimo guardare nelle loro fantasie, nei loro sogni ad occhi aperti e nelle loro esperienze immaginarie, vedremmo l’incarnazione della rabbia, della tragedia, dell’energia sovraccarica dell’amore, della disperazione inventiva, vedremmo il meccanismo della violenza istituzionale lacerare l’esperienza della maternità”.

In sintesi, dietro questo fenomeno confluiscono forze sociali e culturali che variano negli anni e nei contesti geografici, ma che in tutto il mondo occidentale restituisce un quadro chiaro e preciso della consapevolezza che c’è dietro questa scelta e del peso che possa avere su di sé e sugli altri. Un principio di autodeterminazione, insomma, che sotto il vocabolo “Child free” ha trovato tutta la sua espressione massima di protesta.

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