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Elezioni Usa, il ‘rebus’ di Putin: meglio Trump o Harris?

L'analisi di Politico: "Se il Cremlino dovesse esprimere un voto, non c'è dubbio che sceglierebbe il caos"

Trump, Putin e Harris

Per chi tifa Vladimir Putin? Gli Stati Uniti votano per eleggere il nuovo presidente, si va alle urne per scegliere tra Donald Trump e Kamala Harris. Se Putin potesse entrare in un seggio americano, a chi darebbe il suo voto nell'election day? "Se il Cremlino dovesse esprimere un voto, non c'è dubbio che sceglierebbe il caos, la polarizzazione e la disillusione nei confronti della democrazia americana. Ad oggi, sembra avere buone possibilità di vincere", scrive l'edizione europea di Politico in un'analisi in cui si evidenziano i motivi per i quali il presidente russo, Vladimir Putin, non avrebbe motivi di preferire Donald Trump a Kamala Harris o viceversa come nuovo inquilino della Casa Bianca.

Quando il tycoon vinse le elezioni nel 2016, a Mosca saltarono i tappi di champagne, ricorda Politico Europe, secondo cui, tuttavia, otto anni, due elezioni e un'invasione dell'Ucraina dopo, questo scenario difficilmente si ripeterà. E questo nonostante molti osservatori ritengano che la scelta del Cremlino ricada anche oggi sul candidato repubblicano.

"Putin è un uomo basso e vanitoso" e "al Cremlino piace il fatto che l'alto e ricco Trump sia in sua assoluta soggezione", ha premesso Nina Khrushcheva, professoressa alla New School di New York e pronipote dell'ex leader sovietico Nikita Khrushchev.

Perché Putin preferisce Trump

Certamente l'elemento che in teoria dovrebbe spingere il governo russo verso Trump è la sua posizione sull'Ucraina. Il candidato repubblicano ha promesso di mettere fine alla guerra in un giorno, presumibilmente costringendo Kiev a fare concessioni territoriali e "Putin ha disperatamente bisogno di una vittoria - ha affermato il suo ex speechwriter Abbas Gallyamov - Un conflitto prolungato che non è in grado di vincere non aiuta la sua legittimità".

Perché a Putin non piace Trump

Trump, tuttavia, ha un lato negativo. Come Mosca ha imparato a sue spese durante il suo primo mandato, scrive Politico, non sempre mantiene le sue promesse. In particolare, non ha mantenuto quella di riparare le relazioni con la Russia e di revocare le sanzioni occidentali per la sua invasione della Crimea e dell'Ucraina orientale. Tutto questo spinge Mosca a dubitare del fatto che l'ostilità di Washington di colpo sparisca se venisse eletto il tycoon.

"Le elezioni non cambieranno nulla per la Russia, perché i candidati riflettono pienamente il consenso bipartisan secondo cui il nostro Paese deve essere sconfitto", ha affermato su Telegram il vice presidente del Consiglio di sicurezza russo, Dmitry Medvedev, che ha definito "banalità" le parole di Trump sulla fine della guerra e i suoi buoni rapporti con la Russia.

"Non può fermare la guerra. Non in un giorno, non in tre giorni, non in tre mesi. E se ci provasse davvero, potrebbe essere il nuovo Jfk", ha aggiunto Medvedev, mentre il ministro degli Esteri, Sergei Lavrov, ha evidenziato che "chiunque vinca le elezioni, non vediamo alcuna prospettiva che l'America cambi il suo corso russofobo".

Se vince Harris...

Le prospettive di una vittoria di Harris, invece, malgrado la sua ostilità aperta potrebbero non essere così negative per il Cremlino come si penserebbe. Lo scorso settembre la candidata dem ricevette un apparentemente sarcastico 'endorsement' da Putin. Il presidente Joe Biden era "il nostro preferito", disse a Vladivostok e, dopo il ritiro del presidente, Putin precisò che la Russia avrebbe fatto ciò che Biden aveva chiesto ai suoi sostenitori di fare cioè "sostenere" Harris. "Ha una risata così espressiva e contagiosa, dimostra che sta facendo bene", affermò suscitando risate nel suo pubblico.

Secondo Krushcheva, tuttavia, quelle parole potrebbero avere un fondo di verità. La promessa di Trump di una fine della guerra rapida in Ucraina, anche se assicurasse territorio a Mosca, potrebbe non essere l'esito preferito da Putin. "Ha fatto della guerra il fulcro della sua eredità, e quindi la combatterà finché ne avrà bisogno, vorrà e potrà", ha rimarcato Krushcheva, secondo cui Harris potrebbe aiutare il presidente russo in questo prolungando uno status quo che Mosca ritiene stia giocando a suo favore.

Un team di giornalisti altamente specializzati che eleva il nostro quotidiano a nuovi livelli di eccellenza, fornendo analisi penetranti e notizie d’urgenza da ogni angolo del globo. Con una vasta gamma di competenze che spaziano dalla politica internazionale all’innovazione tecnologica, il loro contributo è fondamentale per mantenere i nostri lettori informati, impegnati e sempre un passo avanti.

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Esteri

Georgia stretta tra repressione e propaganda. La...

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Il partito filorusso Sogno Georgiano conferma la sua svolta autoritaria impiegando violenza contro i manifestanti pro-Ue

Un arresto durante le proteste in Georgia - Fotogramma /Ipa

“Un mio collega è stato arrestato qualche giorno fa, picchiato durante la detenzione e condannato a diversi giorni di prigione per reati amministrativi che non ha commesso. È stato rilasciato ma è ancora sotto indagine: continuano a chiamarlo e interrogarlo”. Questo è quanto racconta sulle proteste in Georgia Tornike Turmanidze, Senior Fellow dell’influente Fondazione Rondeli, all'Adnkronos.

“È un collega più giovane, coinvolto nelle proteste ma mai violento: si limita a postare video sui social. Ma a quanto pare ha attirato l'attenzione del ministero degli Interni e la polizia si è presentata a casa sua”.

Ogni sera, da quasi un mese, migliaia di georgiani affollano la via principale della capitale Tbilisi sfidando la repressione sempre più brutale da parte delle forze dell’ordine. Protestano contro la deviazione della Georgia dal percorso di adesione all’Unione europea, decisa dal premier Irakli Kobakhidze il 28 novembre dopo un processo elettorale viziato da irregolarità e manipolazioni. Finora si sono registrati circa cinquecento arresti, oltre trecento segnalazioni di pestaggi a opera delle autorità, o gruppi a loro affini, e violazioni di diritti umani secondo organizzazioni come Amnesty International e Human Rights Watch.

Autoritarismo in salsa russa

La svolta politica del premier suggella l’orientamento filorusso di Sogno Georgiano, il partito che ha rivendicato la vittoria, spiega Turmenidze. “Negli ultimi anni il partito ha consolidato l’apparato autoritario del Paese”. E tramite l’utilizzo massiccio di una propaganda di stampo russo “ha convinto i membri delle forze dell’ordine che stanno agendo per difendere la Georgia e le sue tradizioni dall'influenza malevola dell’Occidente”. Il risultato è un’ondata di violenza di Stato contro i manifestanti, che sono perlopiù pacifici.

Il governo sta cercando di identificare i manifestanti più attivi tra i giovani e neutralizzarli in modi diversi, continua l’esperto. Si va dai pestaggi, in modo che rimangano in ospedale per circa due settimane e non siano in grado di scendere in piazza, a trattenerli in caserma o in prigione per giorni, a infliggere sanzioni da 2000-2500 lari (circa 700-900 euro). Inoltre, chi protesta rischia di incorrere in loschi gruppi “semi-criminali” che attaccano i manifestanti in strade secondarie. “Ci sono stati diversi incidenti, tra cui un assalto a giornalisti di un canale televisivo dell'opposizione, trasmesso in diretta”.

Il ruolo della propaganda

Cosa spinge le autorità a sollevare il manganello contro i cittadini? Un misto di propaganda, impunità e incentivi economici che Sogno Georgiano impiega da anni per rafforzare la dimensione autoritaria dello Stato, spiega l’esperto. “La catena di comando e controllo è piuttosto forte, e la polizia viene pagata con stipendi molto alti, più un onorario per ogni giorno di dispersione delle proteste e altri ‘lavori’ extra. Il partito ha anche promesso a tutti i poliziotti che, qualunque cosa facciano, non saranno puniti né identificati”. E come emerso dalle interazioni tra manifestanti e membri delle forze dell’ordine, questi ultimi sono intrisi di propaganda e certi di star proteggendo il Paese da nemici all’esterno.

Sono le stesse narrative che Sogno Georgiano utilizza per giustificare il riorientamento di Tbilisi verso Mosca, “nonostante la maggioranza dei georgiani sia pro-Europa”, spiega Turmanidze. Non è un caso che gli argomenti ricordino da vicino quelli del Cremlino, aggiunge: l’influenza russa è profonda anche se non immediatamente visibile. Ma come le controparti russe Sogno Georgiano parla dell’esistenza di un “partito della guerra” che controlla i governi occidentali, accusa Ue e Stati Uniti di voler orchestrare una “rivoluzione colorata” nel Paese, ipotizza che l’Occidente voglia trascinare la Georgia in un conflitto contro la Russia.

La paura di uno scontro con Mosca gioca un ruolo centrale nella strategia del governo, sottolina l’esperto. “La Georgia ha combattuto diverse guerre con la Russia, l'ultima delle quali nel 2008, ed è un grande trauma per la società georgiana. Sogno Georgiano sostiene che finché resterà al potere non ci sarà alcuna guerra con i russi, che scatterebbe se l’opposizione andasse al potere”. Questo spiega la passività di parte dei georgiani: “è una tattica tipica di un regime autoritario, terrorizzare la popolazione e dissuaderla dall’unirsi alle proteste attive”.

Cambio al vertice?

La prossima tappa è l’insediamento del presidente eletto da Sogno Georgiano, l’ex calciatore (e unico candidato) Mikheil Kavelashvili, il 29 dicembre. La presidente uscente, la filoeuropea Salomé Zourabishvili, ha promesso che non passerà il testimone ed è vista dai manifestanti come l’unica leader legittima nel Paese. “Potrebbe essere l'unica in grado di unire i partiti dell’opposizione e radunare l'opinione pubblica dietro una sola figura”, afferma Turmanidze; “è importante che chi avversa Sogno Georgiano crei un centro politico alternativo, perché per l’Occidente sarà più chiaro chi sostenere”.

Washington e Londra hanno da poco imposto sanzioni contro funzionari del governo ed esponenti-chiave di Sogno Georgiano. Secondo l'analista, ora sta all’Ue seguire il loro esempio (come già hanno fatto Estonia e Lituania) e prendere altre contromisure per sostenere il popolo georgiano nella loro aspirazione filoeuropea: “credo che rimanere al potere sarebbe molto difficile per Sogno Georgiano senza la legittimazione dell’Occidente”.

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Esteri

Esplode l’auto, ferito capo russo di Berdiansk...

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Ucraina intanto sotto attacco, con decine di droni lanciati dalla Russia: morti e feriti. Cremlino: "Aperti a risolvere situazione in negoziati, ma Kiev non vuole"

Vetro rotto di un'auto a Zaporizhia - Fotogramma /Ipa

Vasyl Nechet, capo nominato dai russi del consiglio di occupazione della città di Berdiansk, nell'oblast di Zaporizhia, è rimasto ferito dopo l'esplosione della sua auto. Lo ha riferito Suspilne, citando Mykola Matvienko, capo ad interim dell'amministrazione militare della città di Berdiansk. La causa dell'esplosione non è nota. L'auto di Nechet è esplosa in un cortile fuori da una casa. A seguito dell'esplosione, Nechet è stato ricoverato in ospedale, secondo il canale Telegram del movimento di resistenza femminile Zla Mavka. Le sue attuali condizioni non sono note.

La Russia ha occupato Berdiansk dall'inizio del 2022. La città si trova sul Mar d'Azov e funge da snodo di trasporto chiave per le autorità occupanti.

Ucraina sotto attacco, morti e feriti

Ucraina intanto sotto attacco, con decine di droni lanciati dalla Russia. E gli  attacchi russi contro il Paese hanno causato la morte di due civili e il ferimento di cinque persone nelle ultime 24 ore. A riferirlo sono le autorità regionali ucraine.

Secondo un rapporto dell'aeronautica militare, durante la notte le forze armate russe hanno lanciato 60 droni verso l'Ucraina dalle città russe di Bryansk, Millerovo e Primosk-Akhtarsk. Unità missilistiche antiaeree ucraine, unità di guerra elettronica e gruppi di fuoco mobili hanno abbattuto 36 droni nelle regioni di Kiev, Chernihiv, Sumy, Kharkiv, Poltava, Dnipropetrovsk, Zaporizhzhia e Khmelnytskyi. Ventitré droni sarebbero andati perduti a causa di contromisure di guerra elettronica.

Nella regione di Kherson, la Russia ha colpito 38 insediamenti, tra cui il centro regionale di Kherson. Come risultato degli attacchi, una persona è stata uccisa e altre due sono rimaste ferite, ha riferito il governatore Oleksandr Prokudin. Nell'oblast di Donetsk, una persona è rimasta ferita nella città assediata di Pokrovsk, mentre un'altra è stata uccisa nella città di Kostiantynivka. Nella città di Siversk, una persona è rimasta ferita, ha riferito il governatore Vadym Filashkin. Nella regione di Kharkiv, un uomo di 66 anni è stato ricoverato in ospedale a seguito dell'attacco russo contro il villaggio di Dvorichna, nel distretto di Kupiansk, secondo il governatore Oleh Syniehubov.

Russia: "Aperti a risolvere situazione con negoziati"

Intanto Mosca si dice nuovamente "aperta" a risolvere la situazione in Ucraina attraverso i negoziati, ma Kiev "continua a respingere questa opzione". A ribadirlo, parlando con la Tass, Dmitry Peskov, portavoce del presidente russo Vladimir Putin.

"Come il presidente russo Vladimir Putin ha ripetutamente affermato - ha spiegato il portavoce del Cremlino - rimaniamo aperti a risolvere i problemi attraverso i negoziati. Ma poiché non ci sono ancora progressi in termini di preparazione dell’Ucraina ai negoziati, stiamo continuando l'operazione speciale".

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Esteri

Israele: “Decapiteremo leader Houti come abbiamo...

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Il ministro Katz promette di colpire duramente l'organizzazione yemenita e conferma per la prima volta la responsabilità di Tel Aviv nell'assassinio di Haniyeh. Le misure di Netanyahu

Houthi in Yemen - Fotogramma /Ipa

Israele "decapiterà i leader degli Houthi, proprio come abbiamo fatto con Haniyeh, Sinwar e Nasrallah". A prometterlo è il ministro della Difesa dello Stato ebraico Israel Katz, che ha confermato così per la prima volta in via ufficiale la responsabilità israeliana dell'assassinio del leader politico di Hamas Ismail Haniyeh a Teheran la scorsa estate.

Secondo Katz, riporta Haaretz, Israele ha quindi "sconfitto Hamas, abbiamo trionfato su Hezbollah, abbiamo accecato i sistemi di difesa iraniani e colpito le loro capacità produttive, abbiamo rovesciato il regime di Assad in Siria, abbiamo colpito duramente l'asse del male - e colpiremo duramente anche l'organizzazione terroristica Houthi in Yemen, che rimane l'ultima ancora in piedi”.

Nella giornata di ieri, intanto, il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha dichiarato di aver ordinato alle proprie forze armate di distruggere le infrastrutture dei ribelli Houthi sostenuti dall'Iran, dopo che il gruppo yemenita ha lanciato missili contro Israele nei giorni scorsi.

“Ho dato ordine alle nostre forze di distruggere le infrastrutture degli Houthi perché chiunque cerchi di danneggiarci sarà colpito con piena forza. Continueremo a schiacciare le forze del male con forza e ingegno, anche se ci vorrà del tempo”, ha detto Netanyahu in parlamento.

Gli Houthi dello Yemen hanno intanto rivendicato un nuovo lancio di droni verso il territorio israeliano, precisando di aver lanciato due droni con l'obiettivo di colpire le aree di Ashkelon e Tel Aviv. Non si sono avute notizie dell'impatto sulle zone in questione mentre l'Idf ha reso noto che le forze aeree hanno abbattuto un drone all'esterno dello spazio aereo israeliano, ha spiegato il Times of Israel.

L'Idf ha quindi reso noto stamane che un missile lanciato dallo Yemen è stato intercettato prima di entrare in territorio israeliano. L'esercito ha aggiunto che sono state suonate le sirene d'allarme in tutto il centro di Israele e in alcune parti della Cisgiordania e del Negev in caso di caduta di detriti.

Sul fronte della lotta ai ribelli yemeniti, il Comando centrale degli Stati Uniti (Centcom) ha annunciato intanto in un post su X che le sue forze stanno “preparando gli ordigni per gli attacchi contro gli obiettivi Houthi nello Yemen”.

Sabato scorso il Centcom aveva annunciato di aver effettuato attacchi aerei di precisione contro obiettivi Houthi nel Paese, tra cui un deposito di missili e una struttura di comando e controllo nella capitale del Paese. Gli Stati Uniti hanno spiegato che gli attacchi hanno lo scopo di “interrompere e degradare le operazioni degli Houthi, come gli attacchi contro le navi da guerra e le navi mercantili della Marina statunitense nel Mar Rosso meridionale, a Bab al-Mandeb e nel Golfo di Aden”.

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