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Antibiotico-resistenza, Italia maglia nera in Europa: 12mila morti all’anno per infezioni

Contagi per 8,2% ricoverati in ospedale contro 6,5% in Ue

Antibiotici -

Italia maglia nera in Europa per decessi da batteri resistenti agli antibiotici. I morti causati nel nostro Paese dall'antibiotico-resistenza in ospedale sono circa 12mila all'anno, un terzo di tutti i decessi che si verificano tra i ricoverati. Nel biennio 2022-23 sono infatti 430mila i ricoverati che hanno contratto una infezione durante la degenza, l'8,2% del totale dei pazienti, contro una media Ue del 6,5%. Lo indica l'ultimo rapporto di sorveglianza dell'Ecdc - Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie - presentato oggi, 18 novembre, in un dossier dedicato al tema, dall'Agenzia italiana del farmaco (Aifa) in occasione della Giornata europea per la lotta all'antibiotico-resistenza che apre la Settimana mondiale per il consumo consapevole di questi farmaci, organizzata dall'Organizzazione mondiale della sanità (Oms).

Peggio di noi con l'8,9% fa solo il Portogallo, che però ha una popolazione più giovane della nostra e quindi meno suscettibile. Ma siamo in fondo alla classifica anche per l'uso di antibiotici, somministrati al 44,7% dei degenti contro una media europea del 33,7%. E così il cane si morde la coda, perché l'uso tanto massiccio di antimicrobici fa nascere superbatteri resistenti agli stessi farmaci.

Tra i microbi più diffusi c'è la Klebsiella, che infetta le vie urinarie con una mortalità che arriva alla metà dei casi, lo Pseudomonas che provoca infezioni osteoarticolari con mortalità al 70%, l'Escherichia coli che causa diarrea anche sanguinolenta, il Clostridium difficile che prolifera nell'intestino con una mortalità a 30 giorni che si avvicina al 30%.

La situazione regione per regione

Nonostante le campagne di sensibilizzazione l'uso degli antibiotici da noi è in aumento, con il 35,5% dei pazienti, non solo ricoverati, che ne ha ricevuto almeno uno negli ultimi 2 anni, contro il 32,9% del periodo 2016-17. La situazione, poi, come sempre quando si parla di sanità, varia da regione a regione. Come documenta un'indagine dell'Istituto superiore di sanità, dopo un intervento chirurgico si va dal record delle 500 infezioni ogni 15mila dimessi contratte nella piccola Valle d'Aosta alle sole 70 dell'Abruzzo, passando per le 454 della Liguria e dell'Emilia Romagna, le 300 della Lombardia, le 211 del Lazio. Fatto sta - documenta il rapporto dell'Ecdc - che l'impatto sul nostro Ssn è enorme, con 2,7 milioni di posti letto occupati proprio a causa di queste infezioni, con un costo che arriva a 2,4 miliardi di euro l'anno.

Certo, i microbi in ospedale non è possibile azzerarli, perché parliamo di un ambiente chiuso dove vivono a stretto contatto pazienti che virus e batteri se li portano anche da fuori. Ma secondo la Simit, la Società italiana di malattie infettive e tropicali, "l'impatto di queste infezioni potrebbe essere ridotto di un buon 30% inaugurando un percorso virtuoso". Un obiettivo che per essere centrato richiederebbe non solo una maggiore appropriatezza prescrittiva, tanto in ambito umano che veterinario, ma anche un rinnovamento dei nostri ospedali, spesso datati come lo sono i loro impianti di riscaldamento e aria condizionata, veicolo di diffusione dei microbi. Per questo sono stati riservati 1,2 miliardi del piano di investimenti nell'edilizia sanitaria da destinare all'ammodernamento degli ospedali

Un team di giornalisti altamente specializzati che eleva il nostro quotidiano a nuovi livelli di eccellenza, fornendo analisi penetranti e notizie d’urgenza da ogni angolo del globo. Con una vasta gamma di competenze che spaziano dalla politica internazionale all’innovazione tecnologica, il loro contributo è fondamentale per mantenere i nostri lettori informati, impegnati e sempre un passo avanti.

Cronaca

Cecchettin, la sorella Elena a Valditara: “Giulia...

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La sorella della 22enne uccisa dal fidanzato nel giorno dell'inaugurazione della Fondazione intitolata a Giulia: "Cosa ha fatto quest'anno il governo? Sempre alle famiglie delle vittime spetta creare qualcosa di buono"

Elena Cecchettin - Fotogramma

"Dico solo che forse, se invece di fare propaganda alla presentazione della fondazione che porta il nome di una ragazza uccisa da un ragazzo bianco, italiano e 'per bene', si ascoltasse non continuerebbero a morire centinaia di donne nel nostro Paese ogni anno". Lo scrive su Instagram Elena Cecchettin, sorella di Giulia.

Parole pronunciate nel giorno della presentazione della fondazione che porta il nome della studentessa ventiduenne di Vigonovo (Venezia) uccisa a coltellate dall'ex fidanzato Filippo Turetta e che suonano come una risposta a distanza alle affermazioni del ministro dell'Istruzione Giuseppe Valditara che oggi in un videomessaggio inviato all'inaugurazione della Fondazione ha fatto riferimento all'aumento di violenze sessuali legate all'immigrazione.

"Mio padre ha raccolto i pezzi di due anni di dolore e ha messo insieme una cosa enorme. Per aiutare le famiglie, le donne a prevenire la violenza di genere e ad aiutare chi è già in situazioni di abuso. Oltre al depliant proposto (che già qua non commentiamo) cos'ha fatto in quest'anno il governo? Perché devono essere sempre le famiglie delle vittime a raccogliere le forze e a creare qualcosa di buono per il futuro?" sono le domande che si pone Elena.

"Un anno di lotta perché le nostre sorelle rimangano vive"

"Un anno fa ho ricevuto la conferma che Giulia non sarebbe tornata a casa. E' stato un anno difficile, di dolore, di ricordi, di lacrime. Ma soprattutto di lotta. Lotta per lei, che non c'è più", scrive Elena Cecchettin. "Oggi questa lotta prende anche la forma di un impegno. Un impegno sociale per poter iniziare un processo di cambiamento. E per tentare di impedire che nessun'altra debba ricevere quella chiamata. Che le nostre sorelle rimangano vive", spiega la giovane che ricorda la telefonata con cui le è stata comunicata la morte di Giulia.

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Cronaca

Saviano e le minacce di Bidognetti: “Ancora un rinvio...

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Lo scrittore amareggiato: "L’Italia è e rimane un Paese a vocazione mafiosa, in tutti i suoi comportamenti"

Roberto Saviano - Afp

"Sto pensando di rimettere la querela nei confronti di Bidognetti, mi sembra a volte di stare in una messa in scena’’. Lo ha detto Roberto Saviano in tribunale a Roma per l’udienza del processo di appello per le minacce rivolte in aula durante il processo ‘Spartacus’ a Napoli, nel 2008, allo scrittore e alla giornalista Rosaria Capacchione. In primo grado, il 24 maggio 2021, i giudici della Quarta sezione penale del Tribunale di Roma, che hanno riconosciuto le minacce aggravate dal metodo mafioso, hanno condannato il boss del clan dei Casalesi Francesco Bidognetti a un anno e sei mesi e l’avvocato Michele Santonastaso a un anno e due mesi.

''Questo processo dura da 16 anni, per quattro volte è stato rinviato in appello perché non si trovava il modo di notificare l’atto a Santonastaso, uno dei due imputati, avvocato di Bidognetti e condannato in primo grado per minacce mafiose. Oggi, poco prima dell’inizio dell’udienza, è arrivato dal nuovo difensore di Santonastaso un certificato medico secondo il quale ha avuto coliche renali, quindi ancora una volta rinviato – ha detto Saviano - I processi antimafia in Italia subiscono lungaggini infinite perché vivono di strategie ben precise, io persevero anche se penso di rimettere la querela perché a questo punto è diventato tutto incredibilmente al servizio della difesa degli imputati’’.

''L’Italia è e rimane un Paese a vocazione mafiosa, in tutti i suoi comportamenti – ha affermato lo scrittore fuori dall’aula - quando i processi durano così tanto non posso che ribadirlo. Le organizzazioni criminali hanno vinto, è inutile che facciamo finta con la retorica antimafiosa. Il fatto che alcuni di loro siano in galera non significa che siano stati sconfitti, comandano dal carcere. Tutto va addosso al crimine ‘straccione’, i disperati non affiliati, mentre la borghesia criminale è floridissima e i capi in carcere col loro silenzio proteggono i capitali che sono fuori. Ricordo che l’economia criminale rimane è la più florida di questo Paese, oltre 100 milioni di guadagni al giorno. Invece noi continuiamo a parlare dei reati degli immigrati. Ci vediamo al prossimo rinvio’’, ha concluso Saviano.

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Cronaca

Farmaci, studio: tirzepatide efficace per ridurre peso e...

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I risultati a 3 anni del trial Surmount-1 presentati in occasione della ObesityWeek 2024

Farmaci, tirzepatide efficace per ridurre peso e prevenire diabete 2: lo studio

In pazienti adulti con prediabete e obesità o sovrappeso, tirzepatide di Eli Lilly, somministrato settimanalmente per via sottocutanea, riduce significativamente il rischio di progressione a diabete di tipo 2. Inoltre, alla dose di 15 mg il farmaco determina una diminuzione media del peso corporeo fino al 23% rispetto al 2,1% per il placebo alla fine del periodo di trattamento. Lo dimostrano i risultati a 3 anni di Surmount-1, lo studio più lungo su tirzepatide, pubblicati su 'The New England Journal of Medicine' e presentati di recente in occasione della ObesityWeek 2024. I dati - riporta una nota - evidenziano una riduzione del 94% del rischio di progressione a diabete tipo 2 per tutte le dosi aggregate di tirzepatide (5, 10, 15 mg) rispetto al placebo nei 3 anni dello studio negli adulti con prediabete e obesità o sovrappeso. In termini assoluti, quasi il 99% delle persone trattate con tirzepatide non ha sviluppato diabete alla settimana 176. La perdita di peso corporeo osservata nelle persone trattate con tirzepatide alla dose di 15 mg è stata mantenuta nei 3 anni di trattamento.

"Mentre registriamo le innovazioni e i successi nel trattamento del diabete tipo 2, dobbiamo considerare le moltissime persone che vivono una condizione di prediabete, una sorta di anticamera, un campanello d'allarme che si associa spesso a sovrappeso e obesità e che deve suggerire prima di tutto importanti cambiamenti nello stile di vita per evitare la progressione verso la malattia - osserva Riccardo Candido, presidente FeSdi, Federazione che riunisce le 2 società scientifiche diabetologiche Amd e Sid, e presidente nazionale Amd - I risultati dello studio Surmount aprono una nuova prospettiva perché, potenzialmente, ci danno la possibilità di agire sul diabete in fase preventiva e non solo in termini di trattamento, intervenendo su un fattore di rischio chiave come l'obesità. Questi dati rafforzano i potenziali benefici clinici della terapia a lungo termine per le persone che vivono con obesità e prediabete".

Tirzepatide - ricorda la nota - è il primo e unico farmaco doppio agonista dei recettori Gip (polipeptide insulinotropico glucosio-dipendente) e Glp-1 (peptide 1 simile al glucagone). Entrambi questi recettori sono ormoni secreti a livello gastrointestinale in risposta ai pasti e sono responsabili dell'effetto incretinico. In altri endpoint, lo studio ha dimostrato un'associazione tra il trattamento con tirzepatide e miglioramenti per quanto riguarda controllo della glicemia, fattori di rischio cardiometabolico (inclusi insulina a digiuno, pressione arteriosa e lipidi) e qualità di vita legata alla salute, che sono stati mantenuti nelle 176 settimane. Un'analisi di mediazione post hoc ha suggerito che l'effetto di ritardo nell'insorgenza del diabete tipo 2 osservato con tirzepatide era associato per metà alla riduzione di peso indotta dal farmaco, con il restante beneficio potenzialmente attribuito ad altri effetti di tirzepatide.

"L'obesità è una malattia cronica che mette a rischio milioni di adulti in tutto il mondo ed è anche il principale fattore di rischio del diabete tipo 2 - afferma Rocco Barazzoni, presidente della Sio (Società italiana di obesità) - Il crescente aumento dell'obesità ha portato a un aumento del diabete: quasi il 95% delle persone con diabete tipo 2 è in sovrappeso o con obesità. In questa prospettiva, i risultati dello studio a 3 anni Surmount ci forniscono un'importante indicazione perché, mentre confermano l'efficacia di tirzepatide, dall'altra convalidano il nuovo paradigma farmacologico che collega la riduzione dell'obesità e del sovrappeso alla possibilità, oltre che di controllare il diabete, anche di prevenirlo, insieme a tantissime altre importanti complicanze e patologie associate all'obesità".

Il profilo generale di sicurezza e tollerabilità di tirzepatide dopo 193 settimane (176 settimane seguite da 17 settimane di sospensione del trattamento) si è dimostrato consistente con i risultati alla settimana 72 di Surmount-1, precedentemente pubblicati, e altri studi clinici su tirzepatide condotti per la perdita di peso e il suo mantenimento a lungo termine. Al di là del Covid-19, gli eventi avversi riferiti con maggiore frequenza - conclude la nota - sono stati di tipo gastrointestinale e di gravità generalmente da lieve a moderata. Gli eventi avversi di tipo gastrointestinale più comuni tra i pazienti trattati con tirzepatide sono stati nausea, diarrea e costipazione.

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