Armi esplosive, Ass. vittime guerra: “Rispettare impegni per fermare strage civili”
Sono il 90% delle vittime delle guerre
A due anni dall'adozione della Dichiarazione politica internazionale sulle armi esplosive nelle aree popolate, l’Associazione Nazionale Vittime Civili di Guerra sostiene le gli appelli di Inew, l’International Network on Explosive Weapons sull’urgenza e la necessità che sempre più Stati firmino il documento, per assicurare alle popolazioni civili coinvolte nei conflitti armati maggiore protezione e assistenza. La Dichiarazione politica internazionale sulle armi esplosive è il primo accordo formale internazionale che riconosce la specificità dei danni umanitari causati dai bombardamenti e impegna gli Stati ad astenersi dall'usare le armi esplosive nelle città e nei centri abitati e ad assistere le vittime nel breve e nel lungo periodo.
“Quando le armi esplosive sono usate nelle aree popolate, donne, bambini e anziani pagano un prezzo altissimo. I civili rappresentano oltre il 90% delle vittime e in questi numeri non sono inclusi i profondissimi traumi che la popolazione sopravvissuta si porterà dietro. Noi vittime civili di guerra vediamo e comprendiamo chiaramente il dramma di chi vive oggi in scenari di guerra, da Gaza all’Ucraina al Sudan. E’ quantomai urgente estendere e far rispettare la Dichiarazione politica internazionale, uno strumento che dobbiamo sforzarci di far conoscere e diffondere a sempre più Stati” dichiara Michele Vigne, presidente Nazionale dell'Associazione Nazionale Vittime Civili di Guerra.
Solo nel 2023 in almeno 75 Paesi in tutto il mondo si sono verificati scontri, conflitti a bassa intensità e guerre condotti con armi esplosive in zone densamente popolate che hanno causato morti, feriti e compromesso in maniera irrimediabile l'accesso agli aiuti umanitari, ai servizi sanitari e alle scuole e distrutto le reti fognarie ed elettriche. L’Associazione Nazionale Vittime Civili di Guerra si unisce all’appello di Inew per chiedere agli Stati che non l'hanno ancora fatto di firmare la Dichiarazione e a quelli che l'hanno fatto di impegnarsi affinché venga attuata, dimostrando l'impegno per rafforzare la protezione dei civili nei conflitti armati.
La Dichiarazione Politica internazionale è stata adottata da 83 Paesi a Dublino il 18 novembre 2022. Ad oggi è stata firmata da 87 paesi in tutto il mondo, tra cui l'Italia. La Dichiarazione impegna gli Stati su tre fronti: astensione totale dell'uso delle armi esplosive nei centri abitati; raccolta e scambio di dati per lo studio dell'impatto umanitario, nel lungo periodo, dei danni causati dall'impiego delle armi esplosive; assistenza nel breve e nel lungo periodo ai civili e alle comunità colpite.
Nel 2023 i paesi con il più alto numero di civili colpiti direttamente o dalle conseguenze dell'impiego delle armi esplosive sono stati Gaza, Ucraina, Sudan, Yemen, Siria e Sudan. Secondo Action on Armed Violence, i civili vittime di armi esplosive nel 2023 (morti e feriti) sono stati 34.791. Poiché il dato è raccolto attraverso il monitoraggio dei soli media di lingua inglese, è probabile che il numero delle vittime sia almeno quattro volte più alto.
Nel 2023 in tutto il mondo sono stati registrati 514 attacchi contro ospedali, 57 contro ambulanze. In almeno 154 casi, è stato colpito personale sanitario. In generale, gli attacchi contro gli aiuti sanitari nei conflitti armati sono aumentati del 12% rispetto al 2022 (Explosive Waepons Monitor 2023). Gli attacchi alle scuole condotti con armi esplosive sono stati 278 e in 25 casi sono stati colpiti insegnanti. Gli attacchi alle scuole sono aumentati del 80% rispetto al 2022 (Explosive Waepons Monitor 2023). Gli attacchi con armi esplosivi agli operatori umanitari sono stati 46 e 23 sono le persone morte. Il numero è 5 volte superiore rispetto al 2022 (Explosive Waepons Monitor 2023).
Cronaca
Cecchettin, la sorella Elena a Valditara: “Giulia...
La sorella della 22enne uccisa dal fidanzato nel giorno dell'inaugurazione della Fondazione intitolata a Giulia: "Cosa ha fatto quest'anno il governo? Sempre alle famiglie delle vittime spetta creare qualcosa di buono"
"Dico solo che forse, se invece di fare propaganda alla presentazione della fondazione che porta il nome di una ragazza uccisa da un ragazzo bianco, italiano e 'per bene', si ascoltasse non continuerebbero a morire centinaia di donne nel nostro Paese ogni anno". Lo scrive su Instagram Elena Cecchettin, sorella di Giulia.
Parole pronunciate nel giorno della presentazione della fondazione che porta il nome della studentessa ventiduenne di Vigonovo (Venezia) uccisa a coltellate dall'ex fidanzato Filippo Turetta e che suonano come una risposta a distanza alle affermazioni del ministro dell'Istruzione Giuseppe Valditara che oggi in un videomessaggio inviato all'inaugurazione della Fondazione ha fatto riferimento all'aumento di violenze sessuali legate all'immigrazione.
"Mio padre ha raccolto i pezzi di due anni di dolore e ha messo insieme una cosa enorme. Per aiutare le famiglie, le donne a prevenire la violenza di genere e ad aiutare chi è già in situazioni di abuso. Oltre al depliant proposto (che già qua non commentiamo) cos'ha fatto in quest'anno il governo? Perché devono essere sempre le famiglie delle vittime a raccogliere le forze e a creare qualcosa di buono per il futuro?" sono le domande che si pone Elena.
"Un anno di lotta perché le nostre sorelle rimangano vive"
"Un anno fa ho ricevuto la conferma che Giulia non sarebbe tornata a casa. E' stato un anno difficile, di dolore, di ricordi, di lacrime. Ma soprattutto di lotta. Lotta per lei, che non c'è più", scrive Elena Cecchettin. "Oggi questa lotta prende anche la forma di un impegno. Un impegno sociale per poter iniziare un processo di cambiamento. E per tentare di impedire che nessun'altra debba ricevere quella chiamata. Che le nostre sorelle rimangano vive", spiega la giovane che ricorda la telefonata con cui le è stata comunicata la morte di Giulia.
Cronaca
Saviano e le minacce di Bidognetti: “Ancora un rinvio...
Lo scrittore amareggiato: "L’Italia è e rimane un Paese a vocazione mafiosa, in tutti i suoi comportamenti"
"Sto pensando di rimettere la querela nei confronti di Bidognetti, mi sembra a volte di stare in una messa in scena’’. Lo ha detto Roberto Saviano in tribunale a Roma per l’udienza del processo di appello per le minacce rivolte in aula durante il processo ‘Spartacus’ a Napoli, nel 2008, allo scrittore e alla giornalista Rosaria Capacchione. In primo grado, il 24 maggio 2021, i giudici della Quarta sezione penale del Tribunale di Roma, che hanno riconosciuto le minacce aggravate dal metodo mafioso, hanno condannato il boss del clan dei Casalesi Francesco Bidognetti a un anno e sei mesi e l’avvocato Michele Santonastaso a un anno e due mesi.
''Questo processo dura da 16 anni, per quattro volte è stato rinviato in appello perché non si trovava il modo di notificare l’atto a Santonastaso, uno dei due imputati, avvocato di Bidognetti e condannato in primo grado per minacce mafiose. Oggi, poco prima dell’inizio dell’udienza, è arrivato dal nuovo difensore di Santonastaso un certificato medico secondo il quale ha avuto coliche renali, quindi ancora una volta rinviato – ha detto Saviano - I processi antimafia in Italia subiscono lungaggini infinite perché vivono di strategie ben precise, io persevero anche se penso di rimettere la querela perché a questo punto è diventato tutto incredibilmente al servizio della difesa degli imputati’’.
''L’Italia è e rimane un Paese a vocazione mafiosa, in tutti i suoi comportamenti – ha affermato lo scrittore fuori dall’aula - quando i processi durano così tanto non posso che ribadirlo. Le organizzazioni criminali hanno vinto, è inutile che facciamo finta con la retorica antimafiosa. Il fatto che alcuni di loro siano in galera non significa che siano stati sconfitti, comandano dal carcere. Tutto va addosso al crimine ‘straccione’, i disperati non affiliati, mentre la borghesia criminale è floridissima e i capi in carcere col loro silenzio proteggono i capitali che sono fuori. Ricordo che l’economia criminale rimane è la più florida di questo Paese, oltre 100 milioni di guadagni al giorno. Invece noi continuiamo a parlare dei reati degli immigrati. Ci vediamo al prossimo rinvio’’, ha concluso Saviano.
Cronaca
Farmaci, studio: tirzepatide efficace per ridurre peso e...
I risultati a 3 anni del trial Surmount-1 presentati in occasione della ObesityWeek 2024
In pazienti adulti con prediabete e obesità o sovrappeso, tirzepatide di Eli Lilly, somministrato settimanalmente per via sottocutanea, riduce significativamente il rischio di progressione a diabete di tipo 2. Inoltre, alla dose di 15 mg il farmaco determina una diminuzione media del peso corporeo fino al 23% rispetto al 2,1% per il placebo alla fine del periodo di trattamento. Lo dimostrano i risultati a 3 anni di Surmount-1, lo studio più lungo su tirzepatide, pubblicati su 'The New England Journal of Medicine' e presentati di recente in occasione della ObesityWeek 2024. I dati - riporta una nota - evidenziano una riduzione del 94% del rischio di progressione a diabete tipo 2 per tutte le dosi aggregate di tirzepatide (5, 10, 15 mg) rispetto al placebo nei 3 anni dello studio negli adulti con prediabete e obesità o sovrappeso. In termini assoluti, quasi il 99% delle persone trattate con tirzepatide non ha sviluppato diabete alla settimana 176. La perdita di peso corporeo osservata nelle persone trattate con tirzepatide alla dose di 15 mg è stata mantenuta nei 3 anni di trattamento.
"Mentre registriamo le innovazioni e i successi nel trattamento del diabete tipo 2, dobbiamo considerare le moltissime persone che vivono una condizione di prediabete, una sorta di anticamera, un campanello d'allarme che si associa spesso a sovrappeso e obesità e che deve suggerire prima di tutto importanti cambiamenti nello stile di vita per evitare la progressione verso la malattia - osserva Riccardo Candido, presidente FeSdi, Federazione che riunisce le 2 società scientifiche diabetologiche Amd e Sid, e presidente nazionale Amd - I risultati dello studio Surmount aprono una nuova prospettiva perché, potenzialmente, ci danno la possibilità di agire sul diabete in fase preventiva e non solo in termini di trattamento, intervenendo su un fattore di rischio chiave come l'obesità. Questi dati rafforzano i potenziali benefici clinici della terapia a lungo termine per le persone che vivono con obesità e prediabete".
Tirzepatide - ricorda la nota - è il primo e unico farmaco doppio agonista dei recettori Gip (polipeptide insulinotropico glucosio-dipendente) e Glp-1 (peptide 1 simile al glucagone). Entrambi questi recettori sono ormoni secreti a livello gastrointestinale in risposta ai pasti e sono responsabili dell'effetto incretinico. In altri endpoint, lo studio ha dimostrato un'associazione tra il trattamento con tirzepatide e miglioramenti per quanto riguarda controllo della glicemia, fattori di rischio cardiometabolico (inclusi insulina a digiuno, pressione arteriosa e lipidi) e qualità di vita legata alla salute, che sono stati mantenuti nelle 176 settimane. Un'analisi di mediazione post hoc ha suggerito che l'effetto di ritardo nell'insorgenza del diabete tipo 2 osservato con tirzepatide era associato per metà alla riduzione di peso indotta dal farmaco, con il restante beneficio potenzialmente attribuito ad altri effetti di tirzepatide.
"L'obesità è una malattia cronica che mette a rischio milioni di adulti in tutto il mondo ed è anche il principale fattore di rischio del diabete tipo 2 - afferma Rocco Barazzoni, presidente della Sio (Società italiana di obesità) - Il crescente aumento dell'obesità ha portato a un aumento del diabete: quasi il 95% delle persone con diabete tipo 2 è in sovrappeso o con obesità. In questa prospettiva, i risultati dello studio a 3 anni Surmount ci forniscono un'importante indicazione perché, mentre confermano l'efficacia di tirzepatide, dall'altra convalidano il nuovo paradigma farmacologico che collega la riduzione dell'obesità e del sovrappeso alla possibilità, oltre che di controllare il diabete, anche di prevenirlo, insieme a tantissime altre importanti complicanze e patologie associate all'obesità".
Il profilo generale di sicurezza e tollerabilità di tirzepatide dopo 193 settimane (176 settimane seguite da 17 settimane di sospensione del trattamento) si è dimostrato consistente con i risultati alla settimana 72 di Surmount-1, precedentemente pubblicati, e altri studi clinici su tirzepatide condotti per la perdita di peso e il suo mantenimento a lungo termine. Al di là del Covid-19, gli eventi avversi riferiti con maggiore frequenza - conclude la nota - sono stati di tipo gastrointestinale e di gravità generalmente da lieve a moderata. Gli eventi avversi di tipo gastrointestinale più comuni tra i pazienti trattati con tirzepatide sono stati nausea, diarrea e costipazione.