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Mani Bambini Arcobaleno Canva

Oggi, 20 novembre, si celebra la Giornata Mondiale del Bambino e dell’Adolescente, una ricorrenza che ricorda l’adozione della Convenzione ONU sui diritti del bambino, avvenuta il 20 novembre 1989. In Italia, come nel resto del mondo, questa giornata dovrebbe essere un’occasione di riflessione e impegno sui diritti e sul benessere delle giovani generazioni. Tuttavia, i dati che emergono non sono confortanti. Se da un lato l’Italia vanta un sistema sanitario pediatrico tra i più avanzati al mondo, dall’altro deve affrontare sfide imponenti legate alla povertà, alle disuguaglianze regionali e sociali, che minano la salute e il futuro dei suoi bambini.

Quest’anno, in concomitanza con la Giornata del Bambino, si apre a Firenze il 79° Congresso della Società Italiana di Pediatria (SIP). Il congresso, che riunisce esperti e professionisti della salute, offre uno spunto importante per analizzare lo stato di salute e di benessere dei bambini italiani, non solo dal punto di vista sanitario, ma anche sociale ed educativo. Il tema della povertà, in particolare, assume un ruolo centrale nelle discussioni: la povertà in Italia non è solo economica, ma si estende a livelli alimentari, sanitari, educativi e persino energetici, con gravi conseguenze sullo sviluppo fisico e psicologico delle nuove generazioni.

Povertà assoluta e povertà relativa

Secondo i dati ISTAT aggiornati al 2023, più di 1 milione e 295 mila bambini in Italia vivono in condizioni di povertà assoluta, pari al 13,8% dei minori. La povertà assoluta si definisce come l’incapacità di soddisfare i bisogni primari per una vita dignitosa, tra cui cibo, abbigliamento e alloggio. Una condizione che, in un Paese come l’Italia, dovrebbe essere impensabile, ma che oggi è purtroppo una realtà. Le differenze territoriali sono un ulteriore aggravante: al Nord, infatti, il tasso di povertà assoluta è del 12,9%, mentre al Sud si alza al 15,5%.

Il divario geografico tra Nord e Sud non è una novità, ma è diventato ormai un segnale preoccupante che allarga il gap tra le regioni italiane, soprattutto per quanto riguarda l’accesso a servizi sociali e sanitari. In particolare, i bambini nati in famiglie di immigrati vivono in condizioni di estrema difficoltà, con il tasso di povertà assoluta che arriva al 35,1% nei nuclei familiari composti esclusivamente da stranieri, contro il 6,3% delle famiglie italiane.

“Ogni bambino dovrebbe avere la possibilità di crescere e svilupparsi in maniera ottimale, essere curato nel migliore dei modi quando si ammala, essere educato in modo da poter sviluppare tutte le sue potenziali risorse intellettuali e conoscitive. Ma la povertà, nelle sue diverse forme, ostacola il raggiungimento di questo diritto” denuncia Mario De Curtis, presidente del Comitato per la bioetica della Società Italiana di Pediatria, che sottolinea come la povertà nelle sue diverse forme rappresenti un ostacolo significativo al pieno sviluppo dei bambini. De Curtis evidenzia come la povertà alimentare, sanitaria, educativa, energetica e la povertà ereditaria siano tutte concausa di un ambiente di crescita che non offre pari opportunità a tutti i bambini. La crescita fisica, psichica e intellettuale di un bambino dipende anche dalle condizioni materiali e sociali in cui si trova a vivere.

Povertà alimentare

La povertà alimentare è uno degli aspetti più drammatici di questo scenario. I dati parlano chiaro: oltre 7 bambini su 100 di età inferiore a 16 anni nel Mezzogiorno soffrono di deprivazione alimentare. Questi bambini non hanno accesso a una dieta equilibrata e nutriente, e questo ha gravi ripercussioni sul loro sviluppo fisico e cognitivo. La povertà alimentare non significa solo non poter mangiare a sufficienza, ma anche non poter acquistare cibi sani, come frutta e verdura, per cui il rischio di malnutrizione aumenta significativamente.

Nel 2021, la povertà alimentare ha colpito il 5,9% dei minori sotto i 16 anni in Italia, con una percentuale che sale al 7,6% nel Sud. La situazione è destinata a peggiorare, come dimostra l’aumento delle attività delle associazioni benefiche che distribuiscono alimenti alle famiglie in difficoltà. La Fondazione Banco Alimentare Onlus, ad esempio, nel 2023 ha distribuito oltre 110 mila tonnellate di cibo, supportando più di 1,7 milioni di persone, di cui circa 330 mila bambini sotto i 14 anni.

Povertà educativa

Accanto alla povertà alimentare, c’è la povertà educativa, un fenomeno che impedisce a molti bambini di accedere a una formazione adeguata e di sviluppare il proprio potenziale. Se Maria Montessori affermava che un bambino senza istruzione è “un cittadino dimenticato”, oggi la povertà educativa riguarda milioni di bambini, soprattutto nel Sud Italia, dove la disponibilità di asili nido è insufficiente. Nel 2022, l’obiettivo fissato dal Consiglio europeo di Barcellona di garantire un posto in asilo nido al 33% dei bambini sotto i 3 anni in ogni Paese membro dell’UE non è stato raggiunto da molte regioni italiane, in particolare quelle meridionali.

De Curtis denuncia che alcune regioni, come Sicilia e Campania, sono ancora lontane dal raggiungere una copertura del 45% dei bambini, obiettivo fissato dalla Commissione Europea per il 2030. Il tasso di abbandono scolastico in Italia resta uno dei più alti dell’Unione Europea, con un 11,5% di abbandoni rispetto alla media europea del 9,6%. La povertà educativa non è solo una questione di accesso all’istruzione, ma anche di qualità e opportunità di apprendimento.

Povertà sanitaria

Un’altra forma di povertà che colpisce i bambini italiani è la povertà sanitaria, una condizione che dipende in larga parte dalla regione in cui si vive. I dati sulla mortalità infantile in Italia rivelano un divario significativo tra il Nord e il Sud del Paese. Nel 2020, il tasso di mortalità infantile è stato di 2,51 per mille nati vivi, ma il dato nasconde una grave disuguaglianza. Nei bambini nati al Sud, infatti, il tasso di mortalità infantile è stato superiore del 70% rispetto a quelli nati al Nord. Se il Mezzogiorno avesse avuto gli stessi tassi di mortalità infantile del Nord, nel 2020 sarebbero sopravvissuti 155 bambini in più.

La disuguaglianza nell’accesso alle cure è ancora più marcata per le famiglie con bambini stranieri, che affrontano ulteriori difficoltà nel garantire ai propri figli l’assistenza sanitaria necessaria. La cosiddetta migrazione sanitaria è una realtà sempre più diffusa, con molte famiglie che sono costrette a trasferirsi da una regione all’altra per trovare cure migliori, ma questo porta con sé enormi costi economici e sociali.

Povertà energetica

Una forma di povertà che non è sempre visibile, ma che ha gravi impatti sul benessere dei bambini, è la povertà energetica. Secondo un rapporto di Save the Children, circa 1 bambino su 10 di età inferiore a 5 anni ha vissuto in case non adeguatamente riscaldate durante l’inverno del 2023. Le case fredde sono solo uno dei segni tangibili di una condizione di povertà che compromette il diritto a un ambiente sano e protetto. Anche in questo caso, il divario tra Nord e Sud si fa sentire, con il 16% dei bambini nel Sud Italia che vive in una condizione di povertà energetica.

L’impatto della povertà sulla salute

Come sottolineato dalla Società Italiana di Pediatria, la povertà ha un impatto diretto sulla salute psico-fisica dei bambini. I bambini che vivono in condizioni di povertà sono più vulnerabili a malattie croniche, a disturbi psicologici come ansia e depressione, e a difficoltà comportamentali. Il legame tra povertà e malattia è ormai un dato scientifico consolidato: l’incapacità di accedere a cure adeguate, a un’alimentazione sana e a un ambiente stimolante per lo sviluppo psicologico può compromettere il benessere dei bambini, accelerando il processo di invecchiamento biologico e aumentando il rischio di malattie dell’età adulta. Secondo un recente studio dell’Istituto Superiore di Sanità, la povertà è associata a un rischio maggiore di obesità infantile, un problema che sta diventando sempre più comune anche in Italia.

Annamaria Staiano, presidente della Sip, sottolinea l’allarmante aumento dei disturbi psicologici tra i giovani, soprattutto a partire dalla pandemia. Un adolescente su quattro, secondo la letteratura internazionale, mostra sintomi di depressione e uno su cinque soffre di disturbi d’ansia. Una condizione che comporta vulnerabilità, con effetti devastanti che si ripercuotono sulla qualità della vita e sulle relazioni sociali. Drammatici segnali di questo disagio sono emersi anche dai più recenti episodi di violenza giovanile, spesso legati a dinamiche di esclusione sociale e assenza di supporto familiare. L’isolamento sociale, noto come hikikomori, coinvolge oggi oltre 60mila adolescenti italiani, mentre l’abuso di alcol tra i minorenni si fa sempre più diffuso, favorito dalla disponibilità di bevande a basso costo.

In questo contesto, la Società Italiana di Pediatria invita le istituzioni a compiere un salto di qualità nel garantire il benessere dei bambini italiani. Oltre alla necessità di affrontare le disuguaglianze territoriali e sociali, la SIP propone soluzioni concrete, tra cui l’estensione dell’assistenza pediatrica fino ai 18 anni, la creazione di reti pediatriche più forti e il rafforzamento dell’educazione sanitaria nelle scuole per sensibilizzare i più giovani sui temi della salute e prevenzione.

La SIP propone anche la creazione di Case di Comunità nelle quali siano presenti pediatri specialisti in grado di garantire l’accesso alle cure per tutti i bambini, indipendentemente dalla loro provenienza geografica o socio-economica. Inoltre, è essenziale promuovere politiche che favoriscano l’accesso universale all’istruzione e ai servizi sanitari, affinché ogni bambino possa svilupparsi nel miglior modo possibile, senza essere ostacolato dalla condizione sociale o economica in cui è nato.

“In inglese – riprende Staiano – esiste un termine, ‘flourishing’, che significa fiorire: è uno stato di benessere che va oltre la semplice felicità, abbracciando la capacità di prosperare anche in condizioni difficili. Questo stato è correlato al benessere della famiglia, all’instaurarsi di relazioni familiari sane e quindi, alla crescita del bambino in un ambiente sano. Affinché i bambini italiani possano davvero ‘fiorire’, è fondamentale proteggerli da disuguaglianze e offrire alle loro famiglie il supporto necessario per una crescita serena e in salute. Solo costruendo una società che metta ‘il bambino al centro’ – conclude la presidente della Sip – potremo garantire a ogni giovane la possibilità di crescere in un ambiente che rispetti i loro diritti fondamentali”.

Un team di giornalisti altamente specializzati che eleva il nostro quotidiano a nuovi livelli di eccellenza, fornendo analisi penetranti e notizie d’urgenza da ogni angolo del globo. Con una vasta gamma di competenze che spaziano dalla politica internazionale all’innovazione tecnologica, il loro contributo è fondamentale per mantenere i nostri lettori informati, impegnati e sempre un passo avanti.

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Gravidanza e bellezza: i rischi nascosti di smalti e trucco

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allattamento al seno

Attenzione all’uso di smalti per le unghie, trucco, se siete in gravidanza. Potreste aumentare l’esposizione a sostanze chimiche tossiche, con tutte le conseguenze per la salute vostra e del vostro bambino. Una ricerca della Brown University School of Public Health, la scuola di salute pubblica della Brown University, un’università di ricerca privata nel Rhode Island (USA), ha infatti trovato una correlazione tra l’uso di prodotti per la cura della persona (PCP) e le concentrazioni di PFAS nelle donne in gravidanza o in allattamento.

In sostanza, più prodotti per l’igiene personale si usano, più si rischia di accumulare alti livelli di sostanze perfluoroalchiliche e polifluoroalchiliche, PFAS appunto, nel plasma sanguigno e nel latte materno.

Cosa sono i PFAS, onnipresenti e dannosi per la salute

I PFAS sono sostanze chimiche sintetiche utilizzate fin dagli anni ’50 nei prodotti di consumo e in contesti industriali, grazie alla loro capacità di resistere a olio, acqua e calore. Il lato negativo è che sono stati associati a una tutta una serie di effetti negativi sulla salute, tra cui malattie epatiche, problemi cardiometabolici e cardiovascolari e vari tipi di cancro. Inoltre, possono contribuire a esiti avversi alla nascita, come il calo del peso alla nascita, il parto pretermine, alcuni disturbi dello sviluppo neurologico e una ridotta risposta ai vaccini nei bambini. Effetti in parte dovuti al trasferimento dei PFAS attraverso la placenta e il latte materno, che facilita l’esposizione durante la gestazione e l’infanzia.

I PFAS sono persistenti nell’ambiente, onnipresenti e, sottolinea lo studio, rilevabili in quasi il 100% dei canadesi – la ricerca ha riguardato il Paese nordamericano, ma certamente il problema ci riguarda tutti. Ognuno di noi entra in contatto con i PFAS ingerendo cibo contaminato, bevendo anche semplice acqua, o attraverso gli imballaggi alimentari, le pentole, i mobili e PCP come trucco, prodotti per capelli e smalto per unghie.

Occorre sottolineare che i PFAS continuano a essere prodotti a livelli elevati a livello globale, con volumi annuali superiori a 230mila tonnellate di fluoropolimeri e 46mila tonnellate di acidi perfluoroalchilici. “Sebbene i PFAS siano onnipresenti nell’ambiente, il nostro studio indica che i prodotti per la cura della persona sono una fonte modificabile di PFAS“, ha affermato l’autrice dello studio Amber Hall, ricercatrice associata post-dottorato in epidemiologia presso la Brown University School of Public Health. Per modificabile si intende che si può ridurre l’esposizione limitando l’uso dei prodotti a rischio.

L’uso di trucco, smalti e tinture aumenta i livelli di PFAS nel corpo

L’analisi della Brown University School of Public Health, recentemente pubblicata su Environment International, ha utilizzato i dati del Maternal-Infant Research on Environmental Chemicals Study, che ha esaminato solo quattro tipi di PFAS tra i migliaia utilizzati nell’industria e nel commercio, e che dunque probabilmente sottostima l’entità del problema. La ricerca ha coinvolto 2001 donne incinte in 10 città del Canada tra il 2008 e il 2011.

L’effetto dei prodotti per la cura delle persone sui livelli di PFAS è stato analizzato nel plasma prenatale (da sei a 13 settimane di gestazione) e nel latte materno (da due a 10 settimane dopo il parto). Le partecipanti dovevano riferire la frequenza di utilizzo di otto categorie di prodotti in tre momenti: durante il primo e il terzo trimestre di gravidanza, da uno a due giorni dopo il parto e da due a dieci settimane dopo il parto.

I risultati dimostrano che nelle donne incinte al primo trimestre, un uso maggiore di prodotti per la cura delle unghie, profumi, trucco, tinture per capelli e lacche o gel per capelli era associato a concentrazioni plasmatiche di PFAS, PFOA, PFOS e PFHxS più elevate. Risultati simili sono stati osservati per l’uso di prodotti per la cura personale nel terzo trimestre e per le concentrazioni di PFAS nel latte materno da due a 10 settimane dopo il parto.

Ancora, le partecipanti che si truccavano ogni giorno nel primo e nel terzo trimestre avevano concentrazioni di PFAS nel plasma e nel latte materno rispettivamente del 14% e del 17% più elevate rispetto alle persone che non lo facevano ogni giorno.

Inoltre, i ricercatori hanno scoperto che chi usava tinture colorate permanenti uno o due giorni dopo il parto aveva livelli di PFAS più elevati (16%-18%) rispetto a chi non le utilizzava mai nelle concentrazioni del latte materno. In generale, un maggiore utilizzo di PCP è stato associato a livelli più elevati di PFOS, PFOA, PFNA e PFHxS nel post-partum.

Risultati allarmanti, che possono servire, si augurano i ricercatori, per stabilire una regolamentazione dei PFAS e, più nel piccolo, a guidare le scelte individuali in modo da ridurre l’esposizione a queste sostanze tossiche laddove possibile.

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Eduscopio 2024, quali sono le migliori scuole in Italia?...

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eduscopio 2024 Aula Scuola

È stata pubblicata la nuova edizione di Eduscopio 2024, il rapporto della Fondazione Agnelli che fornisce una guida completa per orientare studenti e famiglie nella scelta delle scuole superiori. Questo strumento di analisi si basa su un database che raccoglie i dati di oltre 1,3 milioni di diplomati provenienti da più di 7.000 scuole in tutta Italia, offrendo una panoramica dettagliata delle istituzioni scolastiche che preparano meglio gli studenti per l’università e il mondo del lavoro.

Le migliori scuole città per città: la classifica

Milano

  • Miglior Liceo Classico: Sacro Cuore
  • Miglior Liceo Scientifico: Alessandro Volta
  • Miglior Liceo Linguistico: Civico Manzoni
  • Miglior Istituto Tecnico Economico: Gino Zappa
  • Miglior Istituto Tecnico Tecnologico: Galvani

Roma

  • Miglior Liceo Classico: Ennio Quirino Visconti
  • Miglior Liceo Scientifico: Augusto Righi
  • Miglior Liceo Scientifico – Scienze Applicate: Antonio Labriola
  • Miglior Liceo Linguistico: Edoardo Amaldi
  • Miglior Liceo Scienze Umane: Margherita di Savoia
  • Miglior Istituto Tecnico Economico: Cristoforo Colombo
  • Miglior Istituto Tecnico Tecnologico: Boaga

Torino

  • Miglior Liceo Classico: Vincenzo Gioberti
  • Miglior Liceo Scientifico: Altiero Spinelli
  • Miglior Liceo Linguistico: Altiero Spinelli
  • Miglior Istituto Tecnico Economico: Bosso – Monti
  • Miglior Istituto Tecnico Tecnologico: Santorre di Santarosa

Bologna

  • Miglior Liceo Classico: Luigi Galvani
  • Miglior Liceo Scientifico: Niccolò Copernico
  • Miglior Liceo Scientifico – Scienze Applicate: Enrico Fermi
  • Miglior Liceo Linguistico: Niccolò Copernico
  • Miglior Istituto Tecnico Economico: Crescenzi-Pacinotti-Sirani
  • Miglior Istituto Tecnico Tecnologico: Arrigo Serpieri

Napoli

  • Miglior Liceo Classico: Convitto Vittorio Emanuele II
  • Miglior Liceo Scientifico: Convitto Vittorio Emanuele II
  • Miglior Liceo Scientifico – Scienze Applicate: Eleonora Pimentel Fonseca
  • Miglior Istituto Tecnico Economico: Francesco Saverio Nitti
  • Miglior Istituto Tecnico Tecnologico: Della Porta-Porzio

Firenze

  • Miglior Liceo Classico: Galileo Galilei
  • Miglior Liceo Scientifico: Niccolò Machiavelli
  • Miglior Istituto Tecnico Economico: Russell – Newton
  • Miglior Istituto Tecnico Tecnologico: Morante-Ginori Conti

Palermo

  • Miglior Liceo Classico: Umberto I
  • Miglior Liceo Scientifico: Galileo Galilei
  • Miglior Istituto Tecnico Economico: Giovanni Falcone
  • Miglior Istituto Tecnico Tecnologico: Giovanni Verga

Catania

  • Miglior Liceo Classico: Marco Polo
  • Miglior Liceo Scientifico: Galilei
  • Miglior Istituto Tecnico Economico: Ferraris

Bari

  • Miglior Liceo Classico: Aristotele
  • Miglior Liceo Scientifico: Fermi
  • Miglior Istituto Tecnico Economico: De Viti De Marco

Novità dell’edizione 2024

Quest’anno, per la prima volta, Eduscopio ha analizzato separatamente le prestazioni dei diplomati degli indirizzi scientifici sportivi. Questa scelta risponde all’aumento di popolarità di questi percorsi, che combinano l’approfondimento delle discipline scientifiche con la preparazione fisico-sportiva.

Dopo la scuola, tra università e lavoro

L’edizione 2024 riflette ancora le conseguenze della pandemia per i diplomati del 2020-2021. Secondo il rapporto, molti studenti hanno incontrato difficoltà nell’adattarsi alla didattica universitaria, con una lieve riduzione del numero di esami sostenuti e della media dei voti.

La buona notizia arriva dagli istituti tecnici e professionali: il tasso di occupazione per i diplomati di questi percorsi sta tornando ai livelli pre-pandemia. Questo dato conferma la crescente domanda di profili tecnici nel mercato del lavoro, soprattutto nei settori tecnologici e manifatturieri.

Come viene stilata la classifica Eduscopio

L’analisi di Eduscopio si basa su criteri rigorosi e oggettivi che tengono conto di due macro-aree:

  1. Prestazioni accademiche degli studenti universitari, valutate sulla base del numero di esami sostenuti e della media dei voti;
  2. Occupabilità dei diplomati negli istituti tecnici e professionali, calcolata in termini di percentuale di studenti occupati a due anni dal diploma.

Questo approccio permette di identificare le scuole non solo in base alla preparazione accademica ma anche in relazione alla capacità di inserirsi rapidamente nel mondo del lavoro.

Cosa significa Eduscopio per studenti e famiglie

Con l’avvicinarsi del periodo delle iscrizioni scolastiche, Eduscopio rappresenta una risorsa fondamentale per orientarsi tra le molteplici opzioni disponibili. Scegliere la scuola giusta non significa solo optare per il percorso formativo più adatto alle inclinazioni dello studente, ma anche garantire una preparazione che risponda alle esigenze future del mercato del lavoro.

L’analisi evidenzia forti disparità regionali. Le scuole delle città settentrionali, in particolare quelle di Milano e Bologna, continuano a distinguersi per eccellenza accademica e occupazionale, mentre nel Sud Italia permangono difficoltà strutturali legate alla carenza di risorse e infrastrutture scolastiche. Tuttavia, alcune città meridionali, come Napoli e Bari, stanno emergendo con scuole in grado di competere con quelle del Centro-Nord, dimostrando come l’impegno di studenti e docenti possa fare la differenza. Il Politecnico del capoluogo pugliese, inoltre, è il primo in Italia per assunzioni entro un anno dalla laurea.

Consigli per sfruttare al meglio Eduscopio

Per le famiglie che devono scegliere la scuola superiore, è importante:

  • Considerare i propri obiettivi: se l’intenzione è proseguire con l’università, privilegiare scuole con buoni risultati accademici. Per chi vuole entrare nel mondo del lavoro subito dopo il diploma, preferire istituti tecnici e professionali con alti tassi di occupazione;
  • Confrontare le opzioni locali: Eduscopio consente di filtrare i risultati per area geografica, permettendo di scegliere scuole vicine e accessibili;
  • Valutare i trend futuri: il mercato del lavoro evolve rapidamente, ed è utile considerare percorsi che offrono competenze richieste in settori emergenti, come la tecnologia e la sostenibilità.
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Femminicidio, uccise 96 donne nel 2023. Valditara: “Mai...

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Giuseppe Valditara

I femminicidi stimati in Italia sono pari a circa l’82% del totale delle donne uccise. È quanto emerso dal report Istat “Le vittime di omicidio anno 2023” che ha preso in considerazione, in base al framework delle Nazioni Unite al quale l’Italia ha aderito, la definizione di femminicidio come l’omicidio che riguarda l’uccisione di una donna in quanto donna.

Dalle informazioni al momento disponibili (relazione tra vittima e autore, movente, ambito dell’omicidio) è stata elaborata una stima del fenomeno che, per molti, smentirebbe le parole del ministro all’Istruzione Giuseppe Valditara.

All’inaugurazione della Fondazione Giulia Cecchettin alla Camera dei deputati, in un videomessaggio, il ministro aveva citato il fenomeno dell’immigrazione illegale tra le cause della violenza sessuale: “È legato anche a forme di marginalità e di devianza in qualche modo discendenti da una immigrazione illegale”. Parole che hanno creato polemica in quanto, sempre secondo il report Istat, il 94,3% delle donne italiane uccide per motivi sentimentali è vittima di italiani. Scopriamo, quindi, la dimensione del fenomeno in Italia e come il ministro ha chiarito il fraintendimento che si è generato in seguito alle sue parole.

Femminicidi e omicidi in Italia

Secondo quanto emerso dal report, “sono 63 le donne uccise nell’ambito della coppia, dal partner o ex partner; sono 31 le donne uccise da un altro parente; due le donne uccise da un conoscente con movente passionale. In totale si tratta di 96 femminicidi presunti su 117 omicidi con una vittima donna. Nel 2019, erano 101 su 111, nel 2020 erano 106 su 116, nel 2021 104 su 119, nel 2022 105 femminicidi presunti su 126 omicidi”.

“Tra le restanti 21 vittime donne: quattro sono state uccise per rapine, una per follia, tre per interessi economici o debiti, sei per futili motivi, liti o rancori da conoscenti e sconosciuti, una per motivi legati agli stupefacenti ed una per regolamento di conti nell’ambito mafioso, mentre per cinque non è stato stabilito il movente e di queste tre non hanno un autore identificato – si osserva nel report dell’Istat – Di questi 21 casi, 15 omicidi sono stati perpetrati da uomini, uno da una donna conoscente e per quattro non si conosce il sesso dell’autore, in quanto si tratta di casi di omicidio non risolti”.

“Sono i partner a compiere omicidi”

Per le donne si conferma un quadro stabile in cui le morti violente avvengono soprattutto nell’ambito della coppia. Nel 2023 è pari allo 0,21 per 100mila donne il tasso delle donne uccise da un partner o un ex partner – sia esso un coniuge, un convivente o un fidanzato o un amante – del tutto simile a quello del 2022 (0,20). Mentre per gli uomini, lo stesso tasso è pari a 0,02 per 100mila uomini”.

“In particolare – continua il report Istat – sono i partner con cui la donna ha una relazione al momento della morte (coniugi, conviventi, fidanzati) a compiere il maggior numero degli omicidi nella coppia (il 41%), mentre sono il 12,8% gli ex partner (ex coniugi, ex conviventi, ex fidanzati). Il rischio di essere uccise da un partner non si differenzia a seconda delle età (a partire dai 18 anni)”. “Sessantuno sono i partner maschi (96,8%) delle 63 donne uccise nell’ambito della coppia, mentre i sei uomini vittime di partner sono stati uccisi tutti da donne”, continua il report.

“Le donne italiane vengono uccise dai partner, attuali o precedenti, nel 51,5% dei casi, le straniere nel 68,7% – prosegue – Risulta lievemente in diminuzione il tasso delle donne uccise da parenti (0,10 nel 2023; 0,14 nel 2022). Le donne uccise da altri familiari (31) sono state uccise da uomini nell’83,8% (26 casi) e da donne in cinque casi. Sono 40 gli uomini uccisi dai parenti, 37 dei quali sono stati assassinati da altri uomini”.

La polemica

I dati Istat riportano anche la nazionalità d’origine degli assassini e arrivano in seguito alle polemiche nate dalle parole del ministro Valditara che – nel videomessaggio – ha dichiarato che tra le cause della violenza contro le donne ci sarebbe anche l’immigrazione illegale. Un’affermazione, questa, che ha destato qualche perplessità nell’opinione pubblica, anche alla luce di quel “94,3% delle donne italiane è vittima di italiani” riportato dall’Istituto di ricerca.

Il messaggio è stato espresso nel giorno dell’anniversario della morte di Giulia Cecchettin, studentessa 22enne uccisa dal fidanzato, alla presentazione da parte del padre Gino della fondazione inaugurata negli scorsi giorni e che si propone l’obiettivo di sensibilizzare e tutelare le donne vittime di violenza.

La ragazza, un anno fa, è stata assassinata dal compagno “bianco perbene”, come lo ha definito la sorella, secondo la quale, come Giulia, sono tante le donne uccise da partner o ex partner e non di nazionalità straniera. Inoltre, lo stesso padre della giovane vittima ha ribadito che la violenza è violenza indipendentemente dalla provenienza dell’assassino.

A creare la polemica che divampa sui social, però, sono stati due principali fattori:

  1. Il fatto che il ministro abbia detto che il concetto di “patriarcato” si è ormai estinto nonostante persistano fenomeni di maschilismo. Nel suo intervento, Valditara aveva dichiarato che “la visione ideologica vorrebbe risolvere la questione femminile lottando contro il patriarcato. Ma come fenomeno giuridico è finito con la riforma del diritto di famiglia del 1975, che ha sostituito alla famiglia fondata sulla gerarchia la famiglia fondata sulla eguaglianza”. Per alcuni “Cassare a ideologico il femminismo vs il patriarcato è stato un atto sminuente (si legge sui social)” che affievolirebbe le cause culturali che persistono dietro la violenza di genere.
  2. Il fatto che il ministro, dicendo che tra le cause della violenza contro le donne c’è anche l’immigrazione illegale, avrebbe spostato il focus dell’attenzione su uno dei temi maggiormente trattati in campagna elettorale dell’attuale governo: le politiche migratorie. Per molti, si è trattato di un atto di “propaganda politica non supportato dai dati”.

La risposta di Valditara

Il ministro si è difeso dalle accuse, oggi al Salone dello studente a Roma, sostenendo di non aver mai detto che il femminicidio è colpa degli immigrati: “Non ho mai detto che il femminicidio è colpa degli immigrati, ma che in Italia c’è un aumento preoccupante delle violenze sessuali a cui contribuisce anche, ed è importante l’anche, la marginalità e la devianza conseguenti a un’immigrazione irregolare”.

“Le violenze sessuali sono un altro fenomeno molto triste – ha aggiunto Valditara -. I dati Istat e del ministero dell’Interno sono purtroppo inequivocabili e mi dispiace che qualcuno li abbia alterati o non li abbia conosciuti. Non ho detto che l’immigrato è causa di questo”.

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